Categoria: Cassazione civile
Visite: 5847

Cassazione Civile, Sez. 6, 15 marzo 2019, n. 7533 - Rendita da malattia professionale


Presidente: DORONZO ADRIANA Relatore: FERNANDES GIULIO Data pubblicazione: 15/03/2019

 

 

 

Rilevato
che, con sentenza del 28 settembre 2017, la Corte d'Appello di L'Aquila, confermava la decisione del Tribunale di Lanciano di rigetto della domanda proposta da A.E. nei confronti dell'INAIL ed intesa al riconoscimento di una rendita da malattia professionale ("limitazione funzionale al polso destro e dito a scatto I dito mano destra. Tenosinovite di De Querva in polso destro e polso sinistro") nella misura di 26 punti percentuali;
che, ad avviso della Corte territoriale, l'appellante non aveva preso posizione in ordine alle motivazioni con le quali il primo giudice aveva rigettato la domanda (costituite dalla genericità dell'atto introduttivo del giudizio in cui il ricorrente si era limitato ad allegare di essere operaio montaggista presso la Sevel senza indicare e, quindi, provare, le caratteristiche dell'attività lavorativa svolta e la durata dell'esposizione a rischio) limitandosi ad evidenziare la mancata considerazione da parte del Tribunale della consulenza di parte - comprovante, a suo dire, dell'origine tecnopatia della malattia denunciata - laddove alla consulenza di parte non può essere attribuito valore di prova;
che per la cassazione di tale decisione propone ricorso l'A.E. affidato a due motivi cui resiste l'INAIL con controricorso; che è stata depositata proposta del relatore, ai sensi dell'art. 380- bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio;
 

 

Considerato
che : con il primo motivo di ricorso si lamenta omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ( in relazione all'art. 360, primo comma, n.5, cod. proc. civ.) non avendo la Corte territoriale preso in considerazione né la consulenza di parte né gli ordini di servizio della Sevel né la documentazione di provenienza INAIL relativa all'iter amministrativo della domanda di riconoscimento della natura professionale della malattia denunciata (tenosinovite) e l'attività di montaggista svolta; con il secondo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 139 del d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 e successive modifiche (in relazione all'art. 360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.) per non avere la Corte territoriale disposta una consulenza tecnica d'ufficio che, avuto riguardo alle prove fornite, non avrebbe avuto un carattere esplorativo;
che entrambi i motivi sono inammissibili in quanto non censurano la motivazione dell'impugnata sentenza che ha evidenziato come l'appellante, nel gravame, non avesse preso posizione in merito alle ragioni per le quali il Tribunale aveva rigettato la domanda; che, inoltre, il primo motivo è inammissibile anche perchè non presenta alcuno dei requisiti di ammissibilità richiesti dall'art. 360, primo comma, n. 5 così come novellato nella interpretazione fornitane dalle Sezioni unite di questa Corte ( SU n. 8053 del 7 aprile 2014) finendo: a) con il criticare la sufficienza del ragionamento logico posto alla base dell'interpretazione di determinati atti del processo, e dunque un caratteristico vizio motivazionale, in quanto tale non più censurabile (si veda la citata Cass., S.U., n. 8053/14 secondo cui il controllo della motivazione è ora confinato sub specie nullitatis, in relazione al n. 4 dell'art. 360 cod. proc. civ. il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all'art. 132, n. 4, cod. proc. civ., esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di 'sufficienza' della motivazione); b) con il lamentare l'omesso esame di risultanze istruttorie laddove, come precisato chiaramente nella citata sentenza n. 8053 delle S.U., l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; 
peraltro, la Corte d'appello ha precisato che la consulenza di parte non poteva avere a fornire la prova e delle mansioni svolte e della sussistenza del nesso di causalità tra le stesse e la malattia denunciata;
che, del pari, anche il secondo motivo presenta un ulteriore ragione di inammissibilità in quanto la decisione di ricorrere o meno ad una consulenza tecnica d'ufficio rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito che, tuttavia, è tenuto a motivare adeguatamente il rigetto dell’istanza di ammissione proveniente da una delle parti, motivazione fornita dalla Corte territoriale, nel caso in esame, ed individuata nella carenza di prova circa le caratteristiche dell'attività svolta dall'A.E., sicché il motivo finisce con il sollecitare una nuova valutazione del merito non ammissibile in questa sede;
che, pertanto, in adesione alla proposta del relatore, il ricorso va dichiarato inammissibile;
che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo;
che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi);
 

 

P.Q.M.

 


La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.
Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il 21 novembre 2018