Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 18 marzo 2019, n. 11685 - Infortunio mortale del lavoratore travolto dalla frana della cava. Più una parete si presenta scoscesa e più tragica sarà l'eventuale caduta di materiale terroso


Presidente: IZZO FAUSTO Relatore: PICARDI FRANCESCA Data Udienza: 27/11/2018

 

 

 

Fatto

 

 

 

1. La Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha ridotto la pena applicata nei confronti di G.M. ad un anno di reclusione, confermandone la condanna per il reato di cui all'art. 589, secondo comma, cod.pen., per avere cagionato, in qualità di datore di lavoro, direttore responsabile dei lavori e amministratore della Seipa s.r.l., con colpa consistita in imprudenza, negligenza, imperizia e violazione di legge, non avendo ispezionato o fatto ispezionare le fronti della cava, interessate dal lavoro di scavo, non avendo impedito che si avviassero i relativi lavori in assenza di sorvegliante e in condizioni di rischio, derivante dalla pendenza e da cd. ingrottamenti, non avendo preso provvedimenti idonei ad evitare la situazione di pericolo, la morte di W.A., il quale, alla guida di un escavatore, mentre era impegnato a caricare il materiale di cava, era travolto da un frana e restava schiacciato nella cabina del mezzo.
2. Avverso tale sentenza ha tempestivamente proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentando la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 192, 441, 194, 546 cod.proc.pen. e 40 cod.pen., essendosi affermata la penale responsabilità dell'imputato a prescindere dall'accertamento del nesso di causalità. In particolare ha evidenziato l'erronea qualificazione giuridica attribuitagli di responsabile dei lavori e , l'illegittimità dell'accertamento di fatto compiuto dai giudici di merito, che hanno superato le dichiarazioni di T. e di C., esigendo riscontri esterni, come se fossero imputati e non testimoni, e fondato la loro ricostruzione, oltre che sulle dichiarazioni incomplete dello stesso imputato, sulle affermazioni di R., che non ha assistito all'infortunio e non è stato escusso come teste, mentre è stato "con illogica contraddizione" definito teste oculare in sentenza, disattendendo, peraltro, il dato obiettivo della presenza di alcool nello stomaco della vittima ed assumendo conclusioni contrarie a quelle del perito in relazione alla pendenza della parete. Ha lamentato, inoltre, anche l'eccessività della pena e la omessa sospensione condizionale, fatta discendere da quattro precedenti di scarsissima entità e rilievo, di cui uno depenalizzato. In data 12 novembre 2018 il ricorrente ha depositato un'ulteriore memoria esplicativa.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso non merita accoglimento.
2. La censura si traduce nella mera proposizione di una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella accertata dai giudici di merito. In proposito va ricordato che è inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi si limitino genericamente a lamentare l'omessa valutazione di una tesi alternativa a quella accolta dalla sentenza di condanna impugnata, senza indicare precise carenze od omissioni argomentative ovvero illogicità della motivazione di questa, idonee ad incidere negativamente sulla capacità dimostrativa del compendio indiziario posto a fondamento della decisione di merito (Sez. 2, n. 30918 del 07/05/2015 ud., dep. 16/07/2015, rv. 264441). A ciò si aggiunga che nel giudizio di legittimità non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante) su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 Ud., dep. 31/03/2015, Rv. 252965). Del resto, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 ud., dep. 27/11/2015, rv. 265482).
3. In particolare, secondo il ricorrente, "W.A. non sarebbe dovuto entrare nella platea di ritombamento perché quel luogo era stato espressamente proibito all'ingresso di chiunque ...La prova a discarico è stata fornita dalle dichiarazioni dell'imputato e dalle testimonianze di due testi qualificati....da chi ha trasmesso l'ordine del sig. C. da chi ha personalmente, materialmente sbarrato il transito mediante l'accumulo del materiale poi rimosso dall'W.A.". I giudici di merito, con una motivazione congrua, logica e priva di contraddizioni, non hanno ritenuto credibile tale versione, sostanzialmente reputando inattendibili i testi T. e C., in quanto il divieto di ingresso nella platea di scavo non solo non è risultato da alcun documento, ma è stato taciuto dallo stesso imputato originariamente e da R., il quale, al contrario, ha dichiarato che W.A. era intento alle operazioni di estrazione del materiale da conferire all'impianto di vagliatura. L'uso di una terminologia in parte inesatta con riferimento a R., qualificato teste oculare, non intacca la logicità del ragionamento seguito, attesa la piena e non contestata utilizzabilità delle sue dichiarazioni, a prescindere dal ruolo assunto, ed il limpido chiarimento delle ragioni per cui è stato reputato più attendibile degli altri testimoni (la sua presenza nella cava subito al momento del sinistro, rectius "nei momenti immediatamente precedenti e susseguenti", sicché anche se non vi ha assistito direttamente, ha potuto riferirne la dinamica). I giudici di merito si sono, inoltre, soffermati sulla presenza di alcool nel corpo della vittima, precisando che "al più avrebbe ingerito un caffè Borghetti, liquore a bassa gradazione alcolica, che nessun effetto risulta aver prodotto in tema di evento" e non hanno assunto conclusioni contrarie al perito, semplicemente stabilendo che, dal punto di vista della causalità giuridica, "l'elevata pendenza effettiva della parete di scavo (85%) - di molto superiore a quella approvata nel piano di scavo (60%) - abbia contribuito a rendere instabile la situazione morfologica dell'area in esame" e a determinare la morte della vittima, in quanto "più una parete si presenta scoscesa e più tragica sarà l'eventuale caduta di materiale terroso sulle cose e persone che vi si trovano sotto".
Infine, per quanto concerne la qualifica del ricorrente, è sufficiente ricordare che risulta ininfluente il ruolo di "sorvegliante" rivestito dai soci di G.M., atteso che la mera designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione non costituisce una delega di funzioni e non è dunque sufficiente a sollevare il datore di lavoro ed i dirigenti dalle rispettive responsabilità in tema di violazione degli obblighi dettati per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (Sez. 4, n. 24958 del 26/04/2017 ud.- dep. 19/05/2017, Rv. 270286). A ciò si aggiunga che in appello la contestazione formulata sul punto risulta del tutto generica, essendo limitata a tale frase finale dell'atto di impugnazione: "si sottolinea inoltre la figura imprenditoriale del G.M., che esula da quella del responsabile tecnico del cantiere, al quale non competevano le mansioni da porre in stretta causalità con l'evento".
4. Relativamente alla pena, già ridotta in appello, quantificata in misura inferiore alla media edittale, ed alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale, il ricorso si presenta del tutto generico, limitandosi a definire le quattro precedenti condanne per violazioni edilizie, lesioni colpose, falso ideologico "di scarsissima entità e rilievo" e a ricordare la depenalizzazione del falso. Va, peraltro, osservato che non vi è l'obbligo di motivare il diniego della sospensione condizionale della pena quando essa non sia concedibile giusta la disposizione di cui all'art. 164, comma secondo, n. 1 che esclude il beneficio alternativamente sia ai soggetti che abbiano riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto, sia ai delinquenti o contravventori abituali o professionali. Né l'astratta applicabilità dell'art. 164, u.c., cod. pen. che introduce una deroga al principio generale di inapplicabilità della sospensione condizionale al recidivi, impone al giudice di specificare i motivi per cui ritiene di non concederla, essendo evidente in tal caso l'implicito giudizio negativo sulla successiva astensione dalla commissione di ulteriori reati (Sez. 5, n. 30410 del 26/05/2011 ud. - dep. 01/08/2011, Rv. 250583; v. anche Sez. 3, n. 6573 del 22/06/2016 ud. - dep. 13/02/2017, rv. 268947).
5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
 

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 27 novembre 2018.