Cassazione Civile, Sez. 3, 27 marzo 2019, n. 8449 - Infortunio durante l'attività scolastica outdoor. Copertura Inail ai sensi dell'art. 4 del DPR 1124/65


 

 

L'attività "outdoor" alla quale prese parte il N.F., e durante il cui svolgimento ebbe a procurarsi i danni dei quali ha chiesto, poi, il ristoro, non può farsi rientrare tra le "esperienze tecnico-scientifiche od esercitazioni pratiche", alle quali fa riferimento l'art. 4, comma 1, n. 5), del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, nel prevedere la copertura INAIL prevista per gli insegnanti e gli alunni delle scuole o istituti di istruzione di qualsiasi ordine e grado, anche privati.
Infatti, sebbene la giurisprudenza di questa Corte abbia fatto propria, con riferimento alla posizione dei docenti, "una interpretazione estensiva e costituzionalmente orientata degli artt. 1, n. 28 e 4, n. 5, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, in relazione agli artt. 3 e 38 Cost.", che ha esteso la portata della norma (includendo, in particolare, tra i soggetti assicurati anche gli insegnanti delle scuole materne; cfr. da ultimo, Cass. Sez. Lav., sent. 10 aprile 2015, n. 7277, Rv. 635304-01, nello stesso senso già Cass. Sez. Lav., sent. 25 agosto 2005, n. 17334, Rv. 583163-01), presupposto per l'operatività della copertura assicurativa "de qua" resta, pur sempre, il collegamento tra le suddette "esperienze tecnico-scientifiche od esercitazioni pratiche" e le attività didattiche, richiedendosi, oltretutto, che tra le une e l'altra ricorra un "nesso di derivazione eziologica", e non un "semplice rapporto di coincidenza cronologica e topografica", non bastando, cioè, "che l'infortunio sia avvenuto sul luogo di lavoro e durante l'orario di lavoro", ma occorrendo, piuttosto, "che il lavoro abbia determinato il rischio del quale l'infortunio è conseguenza" (Cass. Sez. Lav., sent. n. 17334 del 2005, cit.). Orbene, se queste affermazioni valgono con riferimento al caso in cui il soggetto infortunato sia il lavoratore/insegnante, a maggior ragione debbono trovare applicazione per gli studenti, visto che essi, a differenza dei primi "sono una particolare categoria di soggetti che non hanno un rapporto di lavoro e che sono assicurati in via eccezionale, solo per gli infortuni che accadano nel corso delle esperienze tecnico-scientifiche e delle esercitazioni pratiche e di lavoro di cui alla specifica disposizione del Testo Unico" (così la circolare INAIL del 23 aprile 2003, n. 38).
La "eccezionalità" della copertura prevista per gli studenti impone, dunque, un'ermeneusi rigorosa della norma in questione, escludendo che le attività "outdoor" - svolte nel contesto di gite scolastiche - possano includersi tra le "esperienze tecnico-scientifiche e delle esercitazioni pratiche" cui essa fa riferimento.


 

Presidente: DE STEFANO FRANCO Relatore: GUIZZI STEFANO GIAIME Data pubblicazione: 27/03/2019

 

 

 

Fatto

 

 

 

1. M.P. ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 55/16 del 16 febbraio 2016 della Corte di Appello di Trento, che - rigettando il gravame principale dallo stesso proposto contro la sentenza del Tribunale di Trento n. 853/14 del 18 luglio 2014, nonché quelli incidentali della Provincia Autonoma di Bolzano, di C.N. e della società Uniqa Österreich Versicherungen S.p.a. (d'ora in poi, "Uniqyà") - ha condannato l'odierno ricorrente, in solido con e C.N. e H.H., a tenere indenne la Provincia Autonoma di Bolzano da quanto dalla stessa dovuto a N.F., a titolo di risarcimento danni, liquidati in € 118.537,06.
2. Riferisce, in punto di fatto, l'odierno ricorrente che il predetto N.F., nonché i di lui genitori Omissis, convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale trentino (in applicazione del foro erariale), la Provincia Autonoma di Bolzano e il Ministero della pubblica istruzione, al fine di vederne affermata la responsabilità solidale, in relazione ad un sinistro occorso a N.F. il 4 dicembre 2007, in occasione dello svolgimento di attività scolastica "outdoor" (consistita, per l'esattezza, nella partecipazione ad un corso di calata passiva da una parete rocciosa) organizzata dalla Scuola professionale provinciale per il commercio, l'artigianato e l'industria di Bressanone, del quale il medesimo era, all'epoca, studente. L'azione giudiziaria intrapresa era diretta, in particolare, a conseguire il ristoro dei danni lamentati, oltre che dallo stesso N.F., per effetto della rottura della corda con conseguente precipitazione al suolo, anche dai suoi genitori, i predetti Omissis.
Costituitisi in giudizio la Provincia Autonoma di Bolzano ed il Ministero della pubblica istruzione, la prima - previa autorizzazione del Tribunale di Trento - chiamava in causa, oltre al proprio assicuratore (società INA Assitalia S.p.a., ora Generali Italia S.p.a.), anche la società di diritto austriaco Nahko OG, incaricata dalla scuola frequentata dal N.F. dell'organizzazione della suddetta attività "outdoor”. Essendo stata, tuttavia, detta società cancellata dal registro delle imprese di Innsbruck per intervenuta estinzione, la Provincia Autonoma di Bolzano veniva autorizzata a chiamare in giudizio gli ex soci, ovvero - oltre all'odierno ricorrente - il C.N. e l'H.H..
Costituitosi in giudizio l'odierno ricorrente, il medesimo eccepiva, preliminarmente, l'improcedibilità e/o inammissibilità della domanda attorea nei confronti della Provincia Autonoma bolzanina (e, di riflesso, dei terzi da essa chiamati in giudizio), sussistendo - a suo dire - i presupposti per l'applicazione dell'art. 4, comma 1, n. 5), del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, e dovendo, pertanto, indirizzarsi le pretese risarcitone di parte attrice solo nei confronti dell'INAIL, ai sensi di tale disposizione.
Nel merito, invece, sosteneva l'infondatezza delle domande di risarcimento, in quanto l'attività "outdoor" in questione era stata voluta e decisa - all'esito di un programma frutto del lavoro congiunto con la Provincia autonoma - direttamente dalla scuola di appartenenza del N.F.. Costui, a propria volta, nell'esecuzione della calata passiva, avrebbe disatteso le indicazioni fornitegli dagli accompagnatori, in particolare contravvenendo a quella di scendere verticalmente, spingendo invece la corda (che l'odierno ricorrente assume essere stata della migliore qualità) contro la parete rocciosa, sicché essa, malauguratamente, si spezzava per sfregamento con un piccolo sperone affilato di roccia, evenienza idonea ad integrare, sempre a dire del N.F. il caso fortuito.
In ogni caso, l'odierno ricorrente chiedeva - e otteneva - l'autorizzazione a chiamare in causa la società assicuratrice austriaca Uniqua, con la quale era stata stipulata un'apposita polizza, il cui rischio assicurato consisteva negli eventuali sinistri che si fossero verificati in occasione della partecipazione dei ragazzi alla suddetta attività "outdoor".
Istruita la causa essenzialmente mediante lo svolgimento di CTU medico-legale sulla persona di N.F., essendosi ritenute superflue le istanze istruttorie delle parti volte ad accertare l'assenza di responsabilità dei convenuti e terzi chiamati, ovvero a determinarne una diversa gradazione in relazione al comportamento della vittima del sinistro, la causa veniva trattenuta in decisione.
In particolare, il giudice di prime cure accoglieva la domanda del solo N.F., condannando al risarcimento esclusivamente la Provincia Autonoma di Bolzano (veniva, infatti, respinta la domanda di tutti gli attori verso il Ministero della pubblica istruzione, e quella di Omissis avverso la medesima Provincia Autonoma di Bolzano), mentre veniva rigettata la domanda di manleva della stessa Provincia Autonoma verso INA Assitalia, ponendosi, però, solidalmente a carico del N.P., del C.N. e dell'H.H. l'obbligo di tenere indenne la convenuta condannata dall'obbligo risarcitorio verso N.F. (liquidando in € 118.537,06 la somma ad esso spettante), reietta, infine, anche la domanda di manleva del M.P. verso la società Uniqa.
Gravata siffatta decisione, in via principale, dall'odierno ricorrente, nonché incidentalmente dalla Provincia Autonoma di Bolzano, da C.N. e da Uniqua, la Corte di Appello di Trento confermava la pronuncia adottata in prime cure.
3. Avverso la sentenza della Corte trentina ha proposto ricorso per cassazione il N.F. sulla base di tre motivi. 
3.1. Il primo motivo deduce - in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. - violazione dell'art. 4, comma 1, n. 5), del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124.
Nel rammentare che detta norma prevede la copertura assicurativa obbligatoria INAIL, tra gli altri, per "gli insegnanti e gli alunni delle scuole o istituti di istruzione di qualsiasi ordine e grado, anche privati, che attendano ad esperienze tecnico-scientifiche od esercitazioni pratiche", il ricorrente si duole del fatto che anche la Corte trentina abbia disatteso l'eccezione, da esso ribadita in appello, di inammissibilità e/o improcedibilità della domanda attorea verso la Provincia Autonoma bolzanina, eccezione fondata sul rilievo che il N.F. avrebbe dovuto indirizzare la propria pretesa esclusivamente nei riguardi dell'INAIL.
In particolare, si ritiene che il giudice d'appello, nel qualificare come "attività ludica" quella svolta in occasione del sinistro occorso al N.F., postulando su tali basi la mancata applicazione della norma suddetta, avrebbe violato o, comunque, male interpretato la citata disposizione.
Al riguardo, viene richiamata la circolare INAIL n. 28/03, nella quale si preciserebbe che i presupposti della copertura assicurativa "valgono per l'intera attività formativa offerta dai piani scolastici, senza distinzioni tra attività curriculari ed extracurriculari, comunque svolte nel quadro delle iniziative complementari ed integrative del percorso formativo offerto agli studenti", ivi comprese, secondo il ricorrente, le "esercitazioni pratiche", alle quali - assume il ricorrente - "debbono essere assimilate sia le attività di educazione fisica e sportiva che i viaggi di istruzione, tanto più se finalizzati, come nel caso di specie, all'acquisizione di competenze di natura comportamentale ed attitudinale da far valere direttamente anche sul piano tecnico specifico". Lo confermerebbe, del resto, la circostanza - mai contestata - che tale attività "outdoor" fu "sollecitata dalla Ripartizione scolastica provinciale n. 20" (in quanto rientrante tra quelle "che costituiscono importanti momenti di crescita degli studenti", per migliorarne e svilupparne, tra l'altro, "il senso di autoresponsabilità"), svolgendosi, inoltre, "con la partecipazione e supervisione diretta di un docente della classe".
3.2. Il secondo motivo deduce - sempre in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. - "falsa applicazione e/o comunque violazione dell'art. 2050 cod. civ.", oltre che "degli articoli 24 e 111 della Costituzione".
Il motivo, per vero, si articola in due diverse censure.
In primo luogo, non senza evidenziare come la migliore dottrina contesti la qualificazione dell'alpinismo e dello sci-alpinismo quale "attività pericolosa" ex art. 2050 cod. civ., il ricorrente assume che, anche ad accettare tale premessa (fatta propria dalla Corte trentina), sarebbe stato necessario, comunque, verificare, per applicare la norma suddetta, "il reale contenuto intrinseco dell'attività effettivamente svolta". Orbene, nella specie, oltre ad essere stato previamente acquisito - da parte della scuola - l'esplicito consenso scritto dei genitori partecipanti all'attività "outdoor" per cui è giudizio, "tutti gli alunni erano stati ampiamente e correttamente istruiti, per circa quarantacinque minuti, in merito alle tecniche di discesa ed utilizzo della corda, della cintura di sicurezza e dell'intera imbragatura, così come in ordine all'utilizzo del casco di sicurezza e al comportamento da tenere prima e dopo la discesa". Tali circostanze, dunque, deporrebbero per l'impossibilità di considerare quella a cui prese parte il N.F. come "attività pericolosa".
In secondo luogo, ci si duole del fatto - che integrerebbe violazione dei diritti garantiti dagli artt. 24 e 111 Cost. - che anche la Corte di Appello, con motivazione ritenuta del tutto apodittica, abbia disatteso la richiesta di esame testimoniale (e di svolgimento di CTU "alpinistica" pure in relazione alle "modalità di rottura della corda"), volta a "permettere ai soggetti coinvolti" di dimostrare "di aver adottato tutto le misure idonee ad evitare il danno", e dunque di fornire la prova esonerativa dalla responsabilità ex art. 2050 cod. civ., norma che prevede certamente una presunzione di responsabilità, ma comunque del tipo "iuris tantum" e non "iuris et de iure".
In particolare, in questo modo, sarebbe stato precluso ad esso M.P. di dimostrare di non essere stato affatto incaricato "di effettuare il controllo e la scelta della parete di caduta", né di avere effettuato "materialmente tale attività", avendovi, invece, provveduto gli altri due soci della Nahko, ovvero il C.N. e l'H.H..
3.3. Infine, con il terzo motivo si deduce - ancora una volta ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. - "falsa applicazione e/o comunque violazione degli artt. 1411 e 1891 cod. civ."
Si censura la sentenza impugnata laddove ha confermato il rigetto della domanda di manleva proposta dall'odierno ricorrente verso la società Uniqtf'a, e ciò sul rilievo - nella ricostruzione che il M.P. propone del "decisum" della Corte trentina - che non fosse affatto necessario stabilire se, nella specie, fosse applicabile il diritto austriaco o italiano, giacché quello concluso con la società assicuratrice risultava "un contratto a favore di terzi" (da identificare negli studenti partecipanti all'attività outdoor), "il che escluderebbe ogni tutela diretta nei confronti dello stipulante Nahko e/o dei suoi ex soci", con conseguente impossibilità di avvalersi del disposto dell'art. 1411, comma 3, cod. civ, rientrando il contratto in questione "nell'alveo dell'assicurazione per conto di chi spetta ex art. 1891 cod. civ.".
Assume il ricorrente che "non si tratta affatto", nella presente fattispecie, "di un caso di assicurazione a favore di terzo", giacché "gli eventuali danni a terzi partecipanti alle attività «outdoor»" sarebbero "l'oggetto stesso della polizza assicurativa", rimanendo la Nahko "assicurato" e "pagatore del premio".
Inoltre, diversamente da quanto affermato dal giudice di appello, non sarebbe affatto irrilevante stabilire se sia il diritto austriaco, o meno, quello applicabile, atteso che - in base ad esso (ABGB, § 881 1A) - "può sussistere un contratto a favore di terzo solo nell'ipotesi in cui l'accordo delle parti sia tale che il terzo non è solo colui che può ricevere la prestazione, ma anche colui che ha diritto di richiederla", essendosi anche precisato, da parte della Corte di Cassazione austriaca, che la spettanza del diritto al terzo "deve inequivocabilmente risultare dalla corretta interpretazione del contratto", dovendo, in ogni caso, escludersi la sussistenza del contratto a favore di terzo allorché ricorra, come nella specie, "un interesse proprio di una delle parti contrattuali alla prestazione".
D'altra parte, anche a voler ritenere applicabile il diritto italiano, dovrebbe egualmente escludersi la configurabilità - nella specie - di un contratto a favore di terzo, per la cui ricorrenza "è necessario che contraenti abbiano inteso attribuire direttamente un vantaggio al terzo" (è citata Cass. Sez. 2, sent. 11 giugno 1983, n. 4012), ed inoltre che "i contraenti abbiano previsto e voluto una prestazione a favore di un terzo estraneo al contratto come elemento del sinallagma" (è citata Cass. Sez. 3, sent. 4 ottobre 1994, n. 8075). Evenienze - secondo il ricorrente - da escludere, entrambe, nel caso di specie, "nel quale è solo il rischio assicurato ad essere legato ad eventuali danni subiti da terzi indicati in specifiche liste, nel corso di attività organizzate dalla Nahko", lista, peraltro, debitamente compilata e trasmessa - al contrario di quanto affermato in sentenza - nel caso "de quo", come risulta da comunicazione via email inviata ad Uniqa in data 27 novembre 2007, come, del pari, alla stessa veniva poi comunicata (7 dicembre 2007) i dati relativi allo studente infortunato.
4. Ha proposto controricorso anche la Provincia Autonoma di Bolzano, la quale - lungi dal chiedere la conferma della decisione impugnata - ha chiesto l'annullamento della stessa, sulla base di due motivi.
4.1. Il primo motivo deduce - in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. - violazione dell'art. 4, comma 1, n. 5), del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 ed è proposto sulla falsariga di quello del M.P..
4.2. Il secondo motivo deduce - sempre in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. - "falsa applicazione e/o comunque violazione dell'art. 2050 cod. civ.", oltre che "degli articoli 24 e 111 della Costituzione".
Nel dichiarare di condividere il motivo di censura del M.P. in relazione all'erroneità della qualificazione come "attività pericolosa" della "calata da una parete di roccia", non essendo essa "assimilabile ad un'attività alpinistica vera e propria" (ciò che ha portato, sulla base di tale falso presupposto, a valutare come non adeguata sia la verifica dell'effettiva idoneità della società Nahko a svolgere l'attività demandatale, sia l'informazione fornita ai genitori degli allievi in ordine all'attività stessa), la Provincia Autonoma di Bolzano ritiene che la sentenza impugnata sia incorsa in "un ulteriore errore di valutazione".
In particolare, si censura la sentenza di appello per aver frainteso "il ruolo dell'insegnante accompagnatore all'attività parascolastica" (che si ribadisce affidata "'«in toto» alla società Nahko"), peraltro presente per puro caso al momento dell'Infortunio. Difatti, il "docente A.C. aveva unicamente ed esclusivamente la funzione di accompagnare i ragazzi nel tragitto dalla scuola alla colonia Folserhof (dove alloggiavano i ragazzi durante la settimana) e negli spostamenti in genere, mentre la "attività di arrampicata vera e propria incombeva esclusivamente alla Nahko, dalla scelta del materiale, al tipo di attività da espletare, nonché alle modalità di esecuzione", e ciò "senza possibilità alcuna di intervento e di potere propositivo da parte del personale insegnante".
In ogni caso, anche ad ammettere che nella specie ricorressero - anche nei confronti di essa Provincia Autonoma - i presupposti per l'applicazione dell'art. 2050 cod. civ., sarebbe stato necessario "permettere ai soggetti coinvolti" di dimostrare "di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno", e dunque di fornire la prova, esonerativa dalla responsabilità, prevista da detta norma.
A tale scopo erano dirette le istanze istruttorie (ed in particolare la richiesta CTU "tecnico-alpinistica"), non ammesse dai giudici di merito, donde l'ipotizzata violazione degli artt. 24 e 111 Cost.
5. Hanno proposto controricorso anche C.N. e H.H., sebbene, pure in questo caso, per chiedere l'annullamento della sentenza della Corte di Appello di Trento, sulla base di tre motivi.
5.1. Il primo motivo deduce - in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. - violazione dell'art. 4, comma 1, n. 5), del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, risultando anch'esso proposto sulla falsariga di quello del M.P..
5.2. Il secondo motivo deduce - sempre in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. - "falsa applicazione e/o comunque violazione dell'art. 2050 cod. civ.", oltre che "degli articoli 24 e 111 della Costituzione", anche in questo caso facendosi valere argomenti sostanzialmente identici a quelli del M.P..
5.3. Il terzo motivo (destinato, peraltro, astrattamente a giovare ad ogni ricorrente) deduce - sempre in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. - "falsa applicazione e/o comunque violazione dell'art. 2697 cod. civ. e/o la nullità della CTU medico legale".
Ci si duole del fatto che nell'elaborato redatto dall'ausiliario "si rinvengono molteplici riferimenti e/o rinvìi a documentazione medica non in atti", ovvero a "documentazione medica di cui il CTU ha preso visione in occasione della visita effettuata sulla persona del Sig. N.F., in totale assenza di contraddittorio", e della quale il giudice di prime cure aveva denegato all'ausiliario l'acquisizione, sul presupposto che lo stesso dovesse visionare solo quella offerta dalle parti entro il termine previsto per il deposito della seconda memoria ex art. 183 cod. proc. civ.
Si rileva, inoltre, che parte attrice - al netto del deposito del certificato medico INAIL e di una perizia di parte - non avrebbe assolto in alcun modo l'onere probatorio su di esso gravante, contestandosi l'assunto del primo giudice secondo cui il CTU può disporre accertamenti diagnostici e strumentali, non essendo nel nostro ordinamento ammesse consulenze "esplorative", atteso che quelle cd. "percipienti" sarebbero ammissibili solo quando per la parte "sia impossibile (giuridicamente) od estremamente difficile accertare un fatto", presupposti non ricorrenti nel caso di specie.
6. Ha resistito all'impugnazione la società Uniqa, che ha anche proposto ricorso incidentale condizionato sulla base di un unico motivo. 
6.1. La controricorrente, in relazione al ricorso del M.P., e segnatamente al suo terzo motivo (che individua come il solo avente ad oggetto il rapporto intercorrente con essa Uniqa), chiede dichiararsene l'inammissibilità o, comunque, l'infondatezza.
In particolare, l'inammissibilità discenderebbe dalla circostanza che la Corte trentina si è uniformata ai precedenti della giurisprudenza di legittimità, secondo cui "all'assicurazione per conto di chi spetta, disciplinata dall'art. 1891 cod. civ., non è applicabile, attesa la sua natura indennitaria, l'art. 1411, terzo comma, cod. civ., il quale, in tema di contratto a favore di terzi, legittima lo stipulante a beneficiare della prestazione ove il terzo rifiuti di profittarne" (così Cass. Sez. Un., sent. 18 aprile 2002, n. 5556). D'altra parte, la decisione impugnata sarebbe anche conforme al principio secondo cui, dalla polizza di assicurazione per conto altrui o di chi spetta, diretta a garantire unicamente la persona che al momento dell'evento dannoso risulta essere proprietaria dei beni assicurati, non può conseguire, in mancanza di apposita pattuizione, anche la copertura assicurativa della responsabilità civile del contraente, proprio per la diversità delle stesse (è citata Cass. Sez. 3, sent. 10 novembre 2003, n. 16826).
In ogni caso, il motivo sarebbe anche infondato, proprio perché non vi era, nella specie, alcuna valida copertura assicurativa in favore della società Nahko (o dei suoi soci), atteso quella stipulata non era una "assicurazione contro i rischi della responsabilità civile, ma un'assicurazione privata contro infortuni a favore di terzi". Errata, inoltre, sarebbe la deduzione secondo cui il contratto risulterebbe regolato dai §§ 881 e ss. ABGB, trattandosi di disposizioni, queste, relative al contratto in favore dei terzi, ma non anche all'assicurazione a favore di terzi, alla quale è riservata - esattamente come avviene nel diritto italiano, ove i due istituti operano su piani diversi (artt. 1411 e 1891 cod. civ.) - una disciplina specifica, qual è quella recata dal § 74 della legge sui contratti di assicurazione austriaca. Non conferente sarebbe, dunque, il richiamo alla giurisprudenza della Corte di Cassazione austriaca, giacché concernente, appunto, il contratto a favore di terzo.
6.2. Quanto al ricorso incidentale condizionato, si deduce - in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. - "violazione o falsa applicazione dell'istituto della prescrizione del diritto", e ciò ai sensi, indifferentemente, dell'art. 2952 cod. civ., ovvero del § 12 della Legge Assicurazioni Austria.
Infatti, nella denegata ipotesi in cui si riconoscesse operante la polizza "de qua" anche in favore del N.F., il diritto da essa nascente dovrebbe ritenersi prescritto, e ciò qualunque si ritenga la legge nazionale applicabile.
Infatti, dopo il sinistro del 4 dicembre 2007, se si eccettua la nota del 10 dicembre dello stesso anno con cui Uniqua ne veniva informata (atto, peraltro, inidoneo ad interrompere il termine prescrizionale), nessun atto interruttivo del corso della prescrizione è stato compiuto fino alla citazione del 10 luglio 2012. Essa, pertanto, interveniva a prescrizione ormai maturata, sia che si reputi operante la prescrizione triennale di cui all'art. 12, comma 1, della Legge Assicurazioni Austria, sia quella biennale di cui all'art. 2952 cod. civ.
7. N.F., nonché i di lui genitori OMISSIS, hanno resistito all'impugnazione del N.F. chiedendone la declaratoria di inammissibilità o, in subordine, di infondatezza.
Quanto al primo motivo, evidenziano come una "gita scolastica" non sia coperta dall'assicurazione INAIL,
Quanto al secondo, sottolineano che - affermata da questa Corte la pericolosità dell'attività alpinistica; cfr. Cass. Sez. 3, sent. 24 luglio 2012, n. 12900 - i giudici di merito non hanno dato corso ad istanze 
istruttorie (volte, in ipotesi, a dimostrare che il M.P. avesse fatto quanto necessario per evitare la rovinosa caduta del ragazzo), sul rilievo che l'odierno ricorrente principale avesse omesso l'utilizzo della corda doppia, ovvero "il più banale dei rimedi che si pratica da sempre nell'alpinismo".
8. Il ricorrente principale M.P. e la ricorrente incidentale Uniqa hanno presentato memorie, ex art. 378 cod. proc. civ., insistendo nelle rispettive argomentazioni e replicando a quelle avversarie.
 

 

Diritto

 


9. Il ricorso principale del M.P. va rigettato.
9.1. Il primo motivo di ricorso non è fondato.
9.1.1. L'attività "outdoor" alla quale prese parte il N.F., e durante il cui svolgimento ebbe a procurarsi i danni dei quali ha chiesto, poi, il ristoro, non può farsi rientrare tra le "esperienze tecnico-scientifiche od esercitazioni pratiche", alle quali fa riferimento l'art. 4, comma 1, n. 5), del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, nel prevedere la copertura INAIL prevista per gli insegnanti e gli alunni delle scuole o istituti di istruzione di qualsiasi ordine e grado, anche privati.
Infatti, sebbene la giurisprudenza di questa Corte abbia fatto propria, con riferimento alla posizione dei docenti, "una interpretazione estensiva e costituzionalmente orientata degli artt. 1, n. 28 e 4, n. 5, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, in relazione agli artt. 3 e 38 Cost.", che ha esteso la portata della norma (includendo, in particolare, tra i soggetti assicurati anche gli insegnanti delle scuole materne; cfr. da ultimo, Cass. Sez. Lav., sent. 10 aprile 2015, n. 7277, Rv. 635304-01, nello stesso senso già Cass. Sez. Lav., sent. 25 agosto 2005, n. 17334, Rv. 583163-01), presupposto per l'operatività della copertura assicurativa "de qua" resta, pur sempre, il collegamento tra le suddette "esperienze tecnico-scientifiche od esercitazioni pratiche" e le attività didattiche, richiedendosi, oltretutto, che tra le une e l'altra ricorra un "nesso di derivazione eziologica", e non un "semplice rapporto di coincidenza cronologica e topografica", non bastando, cioè, "che l'infortunio sia avvenuto sul luogo di lavoro e durante l'orario di lavoro", ma occorrendo, piuttosto, "che il lavoro abbia determinato il rischio del quale l'infortunio è conseguenza" (Cass. Sez. Lav., sent. n. 17334 del 2005, cit.). Orbene, se queste affermazioni valgono con riferimento al caso in cui il soggetto infortunato sia il lavoratore/insegnante, a maggior ragione debbono trovare applicazione per gli studenti, visto che essi, a differenza dei primi "sono una particolare categoria di soggetti che non hanno un rapporto di lavoro e che sono assicurati in via eccezionale, solo per gli infortuni che accadano nel corso delle esperienze tecnico-scientifiche e delle esercitazioni pratiche e di lavoro di cui alla specifica disposizione del Testo Unico" (così la circolare INAIL del 23 aprile 2003, n. 38).
La "eccezionalità" della copertura prevista per gli studenti impone, dunque, un'ermeneusi rigorosa della norma in questione, escludendo che le attività "outdoor" - svolte nel contesto di gite scolastiche - possano includersi tra le "esperienze tecnico-scientifiche e delle esercitazioni pratiche" cui essa fa riferimento.
9.2. Il secondo motivo, invece, è in parte inammissibile e in parte non fondato. 
9.2.1. Quanto alla prima delle due censure in cui si esso articola, premesso che questa Corte - come evidenzia la stessa sentenza impugnata - ha già ricondotto, in passato, lo svolgimento dell'attività alpinistica alla previsione di cui all'art. 2050 cod. civ. (Cass. Sez. 3, sent. 24 luglio 2012, n. 12900, Rv. 623421-01), deve qui ribadirsi il principio secondo cui, "poiché tutte le attività umane contengono in sé un grado più o meno elevato di pericolosità per coloro che le esercitano, si deve sempre operare una netta distinzione tra pericolosità della condotta e pericolosità dell'attività in sé considerata", e ciò in quanto la prima "riguarda un'attività normalmente innocua, che assume i caratteri della pericolosità a causa della condotta imprudente o negligente dell'operatore, ed è elemento costitutivo della responsabilità ex art. 2043 cod. civ.", mentre la seconda "riguarda un'attività che, invece, è potenzialmente dannosa di per sé per l'alta percentuale di danni che può provocare in ragione della sua natura o della natura dei mezzi adoperati ed è una componente della responsabilità indicata dall'art. 2050 dello stesso codice" (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 21 ottobre 2005, n. 20357, Rv. 584514-01).
D'altra parte, costituisce principio pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che dalle "attività pericolose, che per loro stessa natura od anche per i mezzi impiegati rendono probabile e non semplicemente possibile il verificarsi di un evento dannoso e che importano responsabilità ex 2050 cod. civ., devono essere tenute distinte quelle normalmente innocue, che possono diventare pericolose per la condotta di chi le esercita e che comportano responsabilità secondo la regola generale dell'art. 2043 cod. civ.", soggiungendosi che "il giudizio di pericolosità deve essere espresso non già sulla base dell'evento dannoso, effettivamente verificatosi, sebbene secondo una prognosi postuma, che il giudice deve compiere sia facendo uso delle nozioni della comune esperienza, sia in relazione alle circostanze di fatto che si presentavano al momento dell'esercizio dell'attività e che erano conosciute o conoscibili dall'agente in considerazione del tipo di attività esercitata" (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 15 ottobre 2004, n. 20334, Rv. 577728-01). Del pari, ricorrente - nella giurisprudenza di questa Corte - è l'affermazione secondo cui "la valutazione in concreto se un'attività, non espressamente qualificata pericolosa da una disposizione di legge, possa essere considerata tale per la sua natura o la spiccata potenzialità offensiva dei mezzi adoperati, implica un accertamento di fatto" che è "rimesso in via esclusiva al giudice di merito, la cui valutazione è insindacabile in sede di legittimità ove correttamente e logicamente motivata" (così, da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 20 maggio 2015, Rv. 635443 - 01; in senso analogo già Cass. Sez. 3, sent. n. 20334 del 2004, cit.; nonché Cass. Sez. 3, sent. 17 gennaio 2007, n. 1195, Rv. 595635-01).
L'esistenza di una congrua motivazione, nel caso di specie, non può essere messa in dubbio, avendo la corte di Appello trentina osservato - riprendendo un passaggio della già citata Cass. Sez. 3, sent. n. 12900 del 2012 - che "anche le escursioni alpinistiche più facili presentano elementi di rischio elevato per soggetti sprovvisti o che hanno appena appreso le tecniche di tali escursioni, principalmente quando l'attività viene esercitata per le prime volte". Nel caso che occupa, infatti, l'attività di calata passiva, lungo parete rocciosa, vedeva impegnati degli adolescenti alle prime armi, tanto che la loro partecipazione a quell'evento (subordinata all'acquisizione del consenso da parte dei rispettivi genitori) aveva richiesto una preparazione di quarantacinque minuti, con la quale essi venivano informati in merito alle tecniche di discesa ed utilizzo della corda, della cintura di sicurezza e dell'intera imbragatura; circostanze, queste, che - diversamente da quanto ipotizza il ricorrente - depongono per la pericolosità dell'attività in cui essi risultarono impegnati.
9.2.2. Quanto, invece, al secondo profilo di censura, lo stesso risulta inammissibile.
Invero, qualora con il ricorso per cassazione "siano denunciati la mancata ammissione di mezzi istruttori e vizi della sentenza derivanti dal rifiuto del giudice di merito di dare ingresso a mezzi istruttori ritualmente richiesti, il ricorrente ha l'onere di indicare specificamente i mezzi istruttori, trascrivendo le circostanze che costituiscono oggetto di prova, nonché di dimostrare sia l'esistenza di un nesso eziologico tra l'omesso accoglimento dell'istanza e l'errore addebitato al giudice, sia che la pronuncia, senza quell'errore, sarebbe stata diversa, così da consentire al giudice di legittimità un controllo sulla decisività delle prove" (così Cass. Sez. 6-1, ord. 4 ottobre 2017, n. 23194, Rv. 645753-01; in senso sostanzialmente analogo anche Cass. Sez. 3, ord. 10 agosto 2017, n. 19985, Rv. 645357-01).
In merito, poi, al mancato svolgimento della CTU "tecnico-alpinistica", deve qui ribadirsi che "il giudizio sulla necessità ed utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, la cui decisione è, di regola, incensurabile in Cassazione", sicché, se è vero "che il giudice di merito è tenuto a motivare adeguatamente il rigetto dell'istanza di ammissione della consulenza proveniente da una delle parti", resta, tuttavia, inteso "che nel vigore nella nuova formulazione dell'art. 360, n. 5) cod. proc. civ., risultante dall'art. 54 d.l. n. 83 del 2012, convertito in legge n. 134 del 2012, è mancante ogni riferimento letterale alla «motivazione» della sentenza impugnata, con la conseguenza che è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione" (così, in motivazione, Cass. Sez. 1, sent. 23 marzo 2017, n. 7472, Rv. 644826-02).
La riduzione, dunque, al "minimo costituzionale" del sindacato sulla motivazione, anche in relazione dalla decisione di non disporre una consulenza tecnica d'ufficio, impone di ritenere esente da vizi la scelta compiuta, in tal senso, dalla Corte trentina.
Essa, difatti, ha ritenuto di escludere "l'utilità di una CTU ricostruttiva della dinamica" del sinistro, essendo la stessa "incontroversa nel suo evolversi", affermazione, questa, che si correla ad altra - contenuta a pag. 28 della sentenza - che individua la causa della precipitazione del N.F. nella duplice circostanza che "fu adoperata una corda unica anziché doppia, come norme di comune buon senso prima ancora che di buona esperienza avrebbero imposto", e nel fatto "che non furono considerate le innumerevoli sporgenze appuntite", una delle quali fu, appunto, all'origine dell'incidente, "avendo tranciato la corda cui il ragazzo era assicurato".
Si tratta, all'evidenza, di valutazione scevra da quei profili di "irriducibile contraddittorietà", di "illogicità manifesta" o di "obiettiva perplessità", i soli idonei, ormai, ad integrare il vizio motivazionale.
9.3. Il terzo motivo del ricorso principale è inammissibile. 
9.3.1. Sul punto occorre muovere dalla constatazione che - come ripetutamente affermato da questa Corte - "la qualificazione del contratto consta di due fasi consistenti, la prima, nella individuazione ed interpretazione della comune volontà dei contraenti, la seconda, nell'inquadramento della fattispecie negoziale nello schema legale paradigmatico corrispondente agli elementi, in precedenza individuati, che ne caratterizzano la esistenza", con la precisazione che le operazioni "ermeneutiche attinenti alla prima fase costituiscono espressione dell'attività tipica del giudizio di merito, il cui risultato, concretandosi in un accertamento di fatto, non è in termini generali sindacabile in sede di legittimità (salvo che per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 ss. cod. civ.), la seconda, concernente l'inquadramento della comune volontà, come appurata, nello schema legale corrispondente, si risolve nell'applicazione di norme giuridiche e può formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia infine con riferimento alla individuazione delle implicazioni conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo" (così da ultimo, in motivazione, Cass. Sez. 1, ord. 5 dicembre 2017, n. 29111, Rv. 646340-01; nello stesso senso, tra le tante, Cass. Sez. 3, sent. 12 gennaio 2006, n. 420, Rv. 586972-01; Cass. Sez. 2, sent. 3 novembre 2004, n. 21064, Rv. 577929-01; Cass. Sez. 2, sent. 25 gennaio 2001, n. 1054, Rv. 543449-01).
Resta inteso, peraltro, che ogni questione di tale natura esige che "i rilievi contenuti nel ricorso debbono essere accompagnati, in ossequio al principio di autosufficienza, dalla trascrizione delle clausole individuative dell'effettiva volontà delle parti, al fine di consentire alla Corte di verificare l'erronea applicazione della disciplina normativa" (Cass. Sez. Lav., sent. 15 novembre 2013, n. 25728, Rv. 628585-01), ponendosi, in particolare, a carico del ricorrente, "l'onere di trascriverle integralmente perché al giudice di legittimità è precluso l'esame degli atti per verificare la rilevanza e la fondatezza della censura" (Cass. Sez. 3, sent. 6 febbraio 2007, n. 2560, Rv. 594992-01).
Invero, non avendo il ricorrente ottemperato a tale onere di trascrizione integrale delle clausole contrattuali, il motivo di ricorso deve dichiararsi inammissibile, a norma dell'art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ.
10. Neanche il ricorso della Provincia Autonoma di Bolzano è fondato.
10.1. Sul primo motivo, nel senso della sua infondatezza, valgono le stesse considerazioni per il corrispondente motivo del ricorso M.P..
10.2. Sul secondo motivo, che risulta anch'esso in parte non fondato e in parte inammissibile, vanno richiamate (in punto di presunta violazione dell'art. 2050 cod. civ. e di mancata ammissione della CTU) le stesse considerazioni già svolte per il corrispondente motivo del ricorso M.P..
È, invece, inammissibile la censura relativa ad un preteso "fraintendimento" del ruolo del docente che accompagnò, in occasione dell'attività "outdoor", tra gli altri studenti, anche quello infortunatosi.
Trova, infatti, applicazione il principio secondo cui, con il ricorso per cassazione, "la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità" (Cass. Sez. 6-5, ord. 7 dicembre 2017, n. 29404, Rv. 646976-01), in quanto "la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata" (Cass. Sez. 1, sent. 2 agosto 2016, n. 16056, Rv. 641328-01).
11. Il ricorso del C.N. e dell'H.H. non è fondato.
11.1. Sul primo motivo, nel senso dell'infondatezza, valgono le stesse considerazioni illustrate per il corrispondente motivo del ricorso M.P.
11.2. Il secondo motivo è anch'esso in parte non fondato e in parte inammissibile, potendo richiamarsi le stesse considerazioni per il corrispondente motivo del ricorso M.P..
11.3. Il terzo motivo, invece, è inammissibile.
11.3.1. Va fatta applicazione del principio secondo cui la "parte che, in sede di ricorso per cassazione, deduca la nullità della consulenza tecnica d'ufficio causata dall'utilizzazione di documenti irritualmente prodotti, ha l'onere di specificare, a pena di inammissibilità dell'impugnazione, il contenuto della documentazione di cui lamenta l'irregolare acquisizione e le ragioni per le quali la stessa sia stata decisiva nella valutazione del consulente tecnico d'ufficio" (Cass. Sez. 3, sent. 15 maggio 2018, n. 11572, Rv. 648705¬02); onere, nella specie non soddisfatto.
D'altra parte, quanto alla censura relativa al fatto che attraverso la disposta CTU medico-legale il giudice di merito avrebbe "supplito" all'onere della prova incombente sull'attore, è sufficiente evidenziare che - quando il danno lamentato dall'attore consista nel pregiudizio arrecato all'integrità psicofisica di un individuo - la consulenza tecnica, come di regola (ma non esclusivamente) avviene nella cause di responsabilità sanitaria, "è di norma «consulenza percipiente» a causa delle conoscenze tecniche specialistiche necessarie, non solo per la comprensione dei fatti, ma per la rilevabilità stessa dei fatti, i quali, anche solo per essere individuati, necessitano di specifiche cognizioni e/o strumentazioni tecniche" (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 20 ottobre 2014, n. 22225), sicché la consulenza "può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova", sebbene resti pur sempre "necessario che le parti stesse deducano quantomeno i fatti e gli elementi specifici posti a fondamento di tali diritti" (Cass. Sez. 3, sent. 26 novembre 2007, n. 24620, Rv. 600467-01), come, peraltro, avvenuto nella fattispecie in esame.
12. Infine, il ricorso incidentale condizionato di Uniqua resta assorbito dal rigetto del ricorso principale, e segnatamente del suo terzo motivo.
13. Le spese seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico del ricorrente principale e di quelli incidentali (ad eccezione della società Uniqua Österreich Verischerungen S.p.a., il cui ricorso è stato, infatti, dichiarato assorbito quanto ai rapporti processuali tra costoro, da un lato, e, dall'altro, il Ministero della pubblica istruzione, N.F., OMISSIS e la società Uniquà Österreich Verischerungen S.p.a., liquidandole come da dispositivo.
Vanno, invece, compensate integralmente le spese del presente giudizio tra M.P., la Provincia Autonoma di Bolzano, C.N. e H.H., data la loro reciproca soccombenza.
14. A carico del ricorrente principale M.P. nonché dei ricorrenti incidentali Provincia Autonoma di Bolzano, C.N. e H.H., stante il rigetto dei rispettivi ricorsi, sussiste l'obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell'art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
 

 

PQM

 


La Corte rigetta il ricorso principale di M.P., nonché quelli proposti dalla Provincia Autonoma di Bolzano e da C.N. e H.H., dichiarando assorbito quello della società Uniqa Österreich Verischerungen S.p.a.
Compensa integralmente le spese del presente giudizio tra M.P., la Provincia Autonoma di Bolzano, C.N. e H.H., condannandoli, invece, a rifondere le spese del presente giudizio al Ministero della pubblica istruzione, liquidandole in € 5.600,00, più spese prenotate a debito, a N.F., OMISSIS, liquidandole in € 5.600,00, più € 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge, nonché infine, alla società Uniqa Österreich Versicherungen S.p.a., liquidandole in € 7.300,00, più € 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale M.P.. nonché dei ricorrenti incidentali Provincia Autonoma di Bolzano, C.N. e H.H., dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, all'esito di pubblica udienza della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 26 giugno 2018.