Cassazione Penale, Sez. 4, 09 aprile 2019, n. 15335 - Caduta mortale del dipendente non regolare durante l'uso del trabattello. Responsabilità dei datori di lavoro, del CSE e responsabilità amministrativa dell'impresa


 

Presidente: FUMU GIACOMO Relatore: MONTAGNI ANDREA Data Udienza: 19/03/2019

 

 

 

Fatto

 


1. La Corte di Appello di Firenze, con la sentenza indicata in epigrafe, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Grosseto resa in data 2.10.2015, per quanto rileva in questa sede, ha assolto P.S., P.D. B.G. e M.A. dai reati di cui ai capi 2), 4) e 6) perché i fatti non sussistono; il Collegio ha quindi rideterminato il trattamento sanzionatorio nei confronti di P.S., P.D. e B.G., in relazione al reato di omicidio colposo indicato in rubrica. La Corte territoriale, in accoglimento dell'impugnazione della parte pubblica, ha dichiarato la conseguente responsabilità amministrativa della M.G. s.r.l., condannando la predetta società alla sanzione pecuniaria di euro 25.800,00 corrispondente a 100 quote del valore di euro 258,00 ciascuna.
I fratelli P., quali datori di lavoro di B.A., dipendente non regolarmente assunto dalla DSM Montaggi, impresa subappaltatrice di cui i prevenuti rivestono la qualità di legali rappresentanti e B.G., quale coordinatore per la sicurezza, sono chiamati a rispondere dell'omicidio colposo aggravato del lavoratore B.A., nei termini indicati al capo 1) della rubrica. In particolare, ai P. si ascrive di non aver adottato idonee opere provvisionali ed al B.G. di non averne verificato l'idoneità, in riferimento all'utilizzo di un trabattello posto a due metri e mezzo da terra, privo di parapetti, di talché B.A., che operava sul richiamato trabattello, cadeva a terra procurandosi lesioni che lo conducevano a morte.
La Corte di merito ha confermato l'affermazione di responsabilità penale dei richiamati imputati, rispetto al reato di omicidio colposo. Con riguardo alla posizione del B.G., il Collegio ha richiamato il contenuto degli obblighi gravanti sul coordinatore per la sicurezza, osservando che il prevenuto era venuto meno ai propri doveri di vigilanza e che aveva vistato il POS solo in data successiva al verificarsi dell'infortunio mortale.
In riferimento alla posizione della società M.G. srl, che ebbe a ricevere l'incarico dalla committenza di effettuare una tettoia, la Corte territoriale ha evidenziato che la predetta società aveva affidato l'esecuzione del manufatto di cui si tratta alla DSM Montaggi; e che aveva omesso di effettuare ogni attività di vigilanza, neppure verificando la redazione del POS da parte della ditta subappaltatrice. Per tali ragioni, la società è stata ritenuta responsabile dell'illecito amministrativo di cui agli artt. 5, comma 1, lett. a) e 25-septies, d.lgs. n. 231 del 2001.
2. Avverso la richiamata sentenza della Corte di Appello di Firenze hanno proposto ricorso per cassazione P.S. e P.D., a mezzo del comune difensore.
Gli esponenti si dolgono delle valutazioni espresse dalla Corte di Appello in punto di trattamento sanzionatorio. Rilevano che i giudici, nel rideterminare la pena per il reato di omicidio colposo nella misura di anni due e mesi sei di reclusione hanno omesso di soffermarsi sulle censure che erano state affidate all'atto di appello, con particolare riguardo al comportamento collaborativo assunto dagli imputati, anche per fare luce sulla irregolarità della assunzione del lavoratore deceduto.
3. B.G., a mezzo del difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza che occupa.
La parte chiarisce di impugnare la statuizione con la quale è stata confermata la penale responsabilità del B.G. per il reato di omicidio colposo di cui al capo n. 1).
Con il primo motivo si deduce violazione di legge in riferimento all'art. 43 cod. pen. e travisamento della prova.
L'esponente osserva che la Corte di Appello ha omesso di soffermarsi sul tema della assenza di colpa in capo al B.G., che era stato espressamente dedotto.
Tanto premesso, l'esponente contesta la sussistenza di alcuna necessità di coordinamento fra ditte diverse; ciò in quanto nel caso di specie operava una sola impresa, la DSM Montaggi, deputata all'esecuzione della copertura in legno. Rileva che la Corte di Appello avrebbe dovuto confrontarsi con il tema del rischio interferenziale, escludere l'applicabilità della relativa disciplina ed apprezzare l'insussistenza di obblighi a carico del coordinatore per la sicurezza. Il ricorrente osserva che il Collegio ha confuso la posizione di garanzia del coordinatore con quella dei datori di lavoro, che impiegarono un lavoratore esterno in aggiunta ai due titolari.
Il ricorrente denuncia il vizio di travisamento della prova, posto che la Corte di Appello ha omesso di valutare le dichiarazioni del consulente tecnico della difesa. L'esponente osserva poi che nei confronti del coordinatore, che svolge una autonoma funzione di alta vigilanza, non era esigibile la costante presenza in cantiere.
Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e mancanza di motivazione in riferimento alla rilevanza causale da assegnare alla violazione antinfortunistica che si ascrive al B.G.. La parte sottolinea che al prevenuto si contesta di non aver verificato l'idoneità del POS; al riguardo nel ricorso si afferma che il piano non è direttamente destinato ai lavoratori. L'esponente sottolinea che B.G. aveva di converso regolarmente predisposto e depositato il piano di sicurezza e coordinamento, piano che per i lavori in quota prevedeva che i ponteggi fossero dotati di idonei parapetti. La parte rileva che il POS conteneva le stesse prescrizioni contenuto nel PSC. Ciò posto, sottolinea che il trabattello noleggiato dalla ditta P. era dotato di parapetti a norma; e rileva che i parapetti, la mattina in cui ebbe a verificarsi il sinistro, erano però stati smontati ed appoggiati ad un muro dal B.A. unitamente ai fratelli P..
Il ricorrente rileva che se i parapetti non fossero stati rimossi l'infortunio non si sarebbe verificato; e considera che B.G., non presente in cantiere, non potè percepire tale anomalia.
Con il terzo motivo la parte contesta la valutazione della Corte di Appello che ha escluso qualsiasi rilevanza causale della condotta imprudente posta in essere dal B.A.. Osserva che B.A. era un lavoratore esperto e che B.G. neppure sapeva della sua presenza in cantiere, trattandosi di un lavoratore irregolarmente assunto dai P.. L'esponente rileva che il lavoratore ha violato le più semplici regole di comune cautela. Considera che la somma liquidata a titolo di provvisionale doveva essere perciò ridotta e non aumentata.
Con il quarto motivo la parte si duole della entità della pena e del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e di cui all'art. 114 cod. pen., alla luce del collaborativo comportamento processuale.
4. Avverso la sentenza in esame ha proposto ricorso per cassazione la società M.G. s.r.l., a mezzo dell'avvocato Filippo V., quale difensore e procuratore speciale.
L'esponente si sofferma sulle difformi valutazioni espresse dai giudici di merito, rispetto alla posizione assunta dalla società. La ricorrente richiama le argomentazioni affidate alla memoria depositata nel processo di appello, a fronte dell'impugnazione proposta dal Procuratore Generale avverso la sentenza assolutoria resa dal Tribunale nei confronti della M.G. s.r.l. La deducente considera che correttamente il Tribunale di Grosseto aveva affermato che la M.G. s.r.l. non era qualificabile come affidataria e che comunque non era stata posta nelle condizioni di adempiere agli obblighi gravanti sulla impresa affidataria delle opere di cui si tratta.
Nel ricorso si sottolinea che la Corte di Appello, nel riformare la pronuncia liberatoria nei confronti dell'ente, ha reso una motivazione evanescente. La parte osserva: che i giudici hanno fatto un generico riferimento al contratto di appalto stipulato tra la società M.G. e la DSM Montaggi, senza indicare i relativi documenti; e che in sentenza neppure viene identificato il committente delle opere. 
Tanto premesso, con unico articolato motivo la ricorrente denuncia violazione di legge e vizio motivazionale, anche per omessa valutazione di prove decisive, in ordine alla assunzione di garanzia da parte della società ed alla possibilità di adempiere al relativo obbligo di controllo.
La ricorrente osserva: che la parte committente non ha richiesto alla società M.G. i documenti che ne comprovassero l'idoneità tecnico professionale; che la committente non ha mai stipulato un contratto di appalto con la M.G. srl; sottolinea che la committente non ha trasmesso il PSC alla M.G.; sul punto, evidenzia che la mancata sottoscrizione del contratto di appalto ha impedito alla società di conoscere il PSC; che la committente non ha comunicato il nominativo del coordinatore per la sicurezza; che la committente e il coordinatore della sicurezza non hanno consentito alla M.G. di scrivere il POS, né di ricevere il POS della impresa esecutrice; che la M.G. non è mai stata invitata alle riunioni di coordinamento; che la committente non ha inserito la M.G. nella notifica preliminare disciplinata dall'art. 97, d.lgs. n. 81 del 2008, né in quelle successive, così impedendo alla M.G. l'ingresso nel cantiere. L'esponente ribadisce che i richiamati inadempimenti da parte della committente hanno impedito alla società di esercitare la posizione di garanzia tipica della impresa affidataria.
La ricorrente osserva che le prove documentali e quelle dichiarative hanno dimostrato la sussistenza delle riferite violazioni; e sottolinea che la Corte di Appello ha ignorato tali fonti di prova.
Ciò posto, la ricorrente si sofferma sul contenuto delle specifiche prove addotte a sostegno della tesi difensiva, ribadendo che la Corte territoriale ha errato nella identificazione della parte committente. Osserva che la Corte di Appello ha fatto riferimento allo scambio di telefax intervenuto tra A.C. e M.G., sottolineando che non è stato accertato alcun collegamento tra tale corrispondenza e P.V.C., indicata come committente nel capo di imputazione e neppure rispetto a E.G..
L'esponente rileva che per il contratto di appalto la giurisprudenza richiede la forma scritta ad substantiam oltre che ad probatioriem., ai sensi dell'art. 26, d.lgs. n. 81/2008, applicabile anche in materia di cantieri temporanei e mobili. E considera che il richiamato scambio di fax non soddisfa tali condizioni.
La parte considera che la società, neppure in via di fatto, ha assunto la posizione di garanzia che le è stata attribuita dalla Corte di Appello; e ribadisce che la società ha assunto il mero ruolo di fornitrice di legname, come chiarito dal dichiarante Ispettore P.. A sostegno dell'assunto, l'esponente evidenzia che la fornitura di legname è avvenuta presso l'Azienda Agricola di E.G. e non presso il cantiere.
La ricorrente osserva che secondo la Corte di Appello la società avrebbe omesso di effettuare l'attività di doverosa vigilanza in ragione della posizione di garanzia in concreto assunta. Al riguardo, la parte rileva che occorre che il garante abbia effettivamente il controllo delle fonti di rischio; che, al riguardo, rispetto alla società affidataria subappaltante, occorre che la stessa società sia immessa nel cantiere; e che la parte committente ed il coordinatore per la sicurezza abbiano adempiuto a quanto previsto dal T.U. del 2008, per i cantieri temporanei e mobili.
La parte ricorda poi che l'impresa che non risulta iscritta nella notifica preliminare ex artt. 90, comma 10, 99, d.lgs. n. 81 del 2008, non può entrare legittimamente in cantiere, evenienza non esaminata dalla Corte di Appello, pure a fronte di specifica sollecitazione. E rileva che la mancata trasmissione del PSC da parte della committente alla società M.G. ha sortito del pari rilevanti ricadute sullo svolgimento delle funzioni attribuite all'impresa affidataria, anche per il carattere pregiudiziale del PSC rispetto alla redazione dei POS, come inferibile dalla disciplina dettata dall'art. 101, d.lgs. n. 81 del 2008.
La ricorrente considera: che la M.G. non ha quindi potuto redigere il proprio POS e neanche verificare la congruità di quello della DSM Montaggi; e che neppure in via di fatto ha preso in carico la posizione di garanzia attribuitale dalla Corte di Appello.
In conclusione, la parte osserva che la committente ed il coordinatore per la sicurezza, avendo consentito l'inizio dei lavori da parte della DSM prima che la M.G. assumesse il controllo dell'attività di cantiere, hanno impedito all'Ente di evitare la verificazione del sinistro occorso ad B.A..
5. La costituita parte civile, L.B., ha depositato memoria in data 5.02.2019.
L'esponente rileva inammissibilità ovvero l'infondatezza dei ricorsi di S. e P.D. .
Evidenzia, altresì, l'inammissibilità del ricorso nell'interesse di B.G..
Infine, la parte civile rileva l'inammissibilità del ricorso della società M.G. s.r.l., considerando che il ricorso è affidato a censure di merito.
5.1. La parte civile C.A., in data 28.02.2019, ha depositato memoria di contenuto sovrapponibile a quella dell'altra parte civile, ora richiamata.
6. Ha proposto motivi nuovi la società M.G. s.r.l., a mezzo dell'avvocato P.S., quale codifensore e procuratore speciale.
Con il primo motivo nuovo la parte contesta l'intervenuta assunzione della concreta posizione di garanzia da parte della società affidataria dei lavori. 
L'esponente rileva l'insussistenza del contratto di appalto tra la committente E.G. ed il legale rappresentante della M.G. s.r.l.; e considera di essere intervenuta come mero fornitore del materiale. Osserva inoltre che la committente non ha mai trasmesso alla M.G. s.r.l. il Piano di sicurezza e Coordinamento né ha comunicato il nominativo del coordinatore per la sicurezza. Ribadisce che la committente ha omesso di effettuare gli adempimenti preliminari richiesti dalla legge.
Ciò posto l'esponente osserva che la Corte di Appella ha valorizzato sparute prove documentali. E rileva che, nel caso in cui la Corte territoriale riformi radicalmente la sentenza di primo grado, deve confrontarsi in modo specifico e completo con le argomentazioni poste a fondamento della prima sentenza.
Con il secondo motivo nuovo la parte osserva che la Corte di Appello ha ignorato le prove documentali e dichiarative che escludevano l'assunzione della posizione di garanzia della società. A sostegno dell'assunto sviluppa argomenti difensivi affidati al ricorso originario.
6.1. In data 12 marzo 2019 la società M.G. s.r.l ha depositato memoria evidenziando il difetto di legittimazione passiva delle persone offese ad argomentare nei confronti della predetta società.
 

 

Diritto

 


1. I ricorsi in esame impongono i seguenti rilievi.
2. I ricorsi proposti nell'interesse di P.S. e P.D. non hanno pregio.
Come noto, in tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per quanto riguarda la dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di questa Suprema Corte non solo ammette la motivazione implicita (Sez. 4, n. 23679 del 23/04/2013, Rv. 256201; Sez. 6, n. 36382 del 4/07/2003, Rv. 227142) o l'impiego di formule sintetiche (Sez. 6, n. 9120 del 4 agosto 1998, Rv. 211583), ma afferma anche che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all'art. 133 cod. pen., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Sez. 3, n. 26908 del 16 giugno 2004, Rv. 229298). Segnatamente, nel ribadire che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell'ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche valutando globalmente gli elementi indicati nell'art. 133 cod. pen., si è osservato che non è necessaria una specifica motivazione tutte le volte in cui la scelta del giudice risulti contenuta in una fascia medio bassa rispetto alla forbice edittale (Sez. 4, n. 41702 del 20/09/2004, Rv. 230278).
E bene: nel caso di specie la Corte di Appello ha espressamente chiarito che l'elevato grado di colpa rinvenibile nella condotta omissiva dei fratelli P., che avevano realizzato la pressoché totale inosservanze delle norme infortunistiche, giustificava la determinazione della pena nella misura di due anni e mesi sei di reclusione, in applicazione dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. Al riguardo, il Collegio ha pure sottolineato che i P. avevano anche pervicacemente travisato la situazione di illegittimità che caratterizzava il cantiere, redigendo in "fretta e furia", come evidenziato il primo giudice, solo all'indomani del sinistro, il Piano si sicurezza. Si tratta di apprezzamenti che sfuggono dallo specifico orizzonte del sindacato di legittimità, come sopra censito.
3. Si procede ora all'esame del ricorso nell'interesse di B.G..
3.1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
La Corte di Appello ha chiarito che, nel caso di specie, la società M.G. aveva ricevuto l'incarico dalla committenza di realizzare una tettoia; ha precisato che dalla documentazione acquisita agli atti emergeva che la ditta M.G. aveva stipulato un contratto di appalto con la DSM Montaggi dei fratelli P.; ed ha considerato che la M.G. aveva pure fornito un preventivo, a tale riguardo. In tali termini, la Corte territoriale ha insindacabilmente dato conto della infondatezza del rilievo difensivo, volto a ritenere l'insussistenza della necessità di coordinamento tra ditte diverse, questione oggi reiterata con il primo motivo di ricorso. Deve quindi rilevarsi che del tutto legittimamente la Corte distrettuale ha osservato che B.G. era venuto meno ai doveri che gravano sul coordinatore della sicurezza.
3.2. Introdotta così la valutazione del secondo motivo di ricorso, giova ricordare che la Corte regolatrice ha ripetutamente affermato che in tema di infortuni sul lavoro, il coordinatore della sicurezza per l'esecuzione dei lavori svolti in un cantiere è titolare di una posizione di garanzia - che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica - in quanto gli spettano compiti di "alta vigilanza", consistenti: a) nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel plano di sicurezza e di coordinamento, nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell'incolumità dei lavoratori; b) nella verifica dell'idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) e nell'assicurazione della sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento; c) nell'adeguamento dei piani in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, verificando, altresì, che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi POS. Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva riconosciuto la responsabilità del coordinatore per le lesioni subite da un lavoratore, in ragione dell'inidoneità del piano operativo di sicurezza predisposto dall'impresa, che non contemplava specifiche misure contro il rischio di caduta attraverso lucernari, indicato nel piano di sicurezza e coordinamento (Sez. 4, n. 45862 del 14/09/2017 - dep. 05/10/2017, Prina, Rv. 27102601).
E bene, nel caso di specie i giudici di merito hanno riferito che i fratelli P. avevano del tutto omesso di predisporre il POS; con la precisazione che un Piano di Sicurezza era stato frettolosamente redatto solo dopo la verificazione del tragico infortunio, occorso ad un dipendente assunto irregolarmente che operava alle dipendenze della DSM Montaggi. Con ragionamento del tutto coerente, rispetto al delineato contesto operativo - nel quale venivano frontalmente disattese le basilari regole antinfortunistiche - il Collegio ha affermato: che B.G. era venuto meno al principale dovere gravante sul Coordinatore per la sicurezza, relativo alla verifica di idoneità del POS a fini prevenzionistici specifici; e che detta circostanza privava di ogni conducenza il fatto che B.A. stesse operando su un ponteggio dal quale erano stati rimossi i parapetti. Deve, invero, rilevarsi che logicamente la Corte territoriale ha rilevato che il non corretto uso del trabattello, da parte del lavoratore infortunato, non valeva ad escludere la riferibilità causale dell'evento lesivo alla condotta gravemente negligente del Coordinatore per la sicurezza, posto che, nel caso, B.G. non aveva segnalato al committente la non corretta applicazione delle procedure di lavoro ed aveva omesso di proporre l'immediata sospensione dei lavori, pur sapendo che difettava ogni reale prescrizione volta a prevenire i rischi di caduta dall'alto, rispetto alle opere oggetto del subappalto.
3.3. L'ordine di considerazioni che precede conduce ad apprezzare l'infondatezza anche dei rilievi affidati al terzo motivo. Invero, la Suprema Corte ha da tempo chiarito che le norme antinfortunistiche sono destinate a garantire la sicurezza delle condizioni di lavoro, anche in considerazione della disattenzione con la quale gli stessi lavoratori effettuano le prestazioni. Segnatamente, si è precisato che nella materia che occupa deve considerarsi abnorme il comportamento che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro; e che l'eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l'obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili - come avvenuto nel caso di specie - della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica (cfr. Sez. 4, sentenza n. 3580 del 14.12.1999, dep. 2000, Rv. 215686). E preme altresì evidenziare che la Suprema Corte ha chiarito che non può affermarsi che abbia queste caratteristiche il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un'operazione rientrante pienamente, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli (Sez. 4, Sentenza n. 10121 del 23.01.2007, Rv. 236109).
3.3.1. Si osserva che la doglianza relativa alla entità della somma liquidata a titolo di provvisionale è inammissibile. La natura provvisoria della liquidazione contenuta nella condanna al pagamento di una provvisionale, insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta in sede di effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento, ha infatti condotto la giurisprudenza a rilevare che il relativo provvedimento non è autonomamente ricorribile per cassazione (Sez. U, n. 2246 di 19/12/1990, dep. 1991, Capelli, Rv. 186722; Sez. 3, n. 18663 del 27/01/2015, D.G., Rv. 263486).
3.4. Il quarto motivo di ricorso è destituito di fondamento.
Richiamate le considerazioni sopra svolte analizzando il ricorso dei fratelli P., sul contenuto dello scrutinio assegnato al giudice di legittimità in punto di dosimetria sanzionatoria, deve osservarsi che la Corte di Appello di Firenze ha insindacabilmente rilevato che la pena originariamente inflitta risultava illegale, in quanto inferiore al minimo edittale previsto dall'art. 589, comma 2, cod. pen.; e che, in accoglimento dell'impugnazione del pubblico ministero, la sanzione doveva essere rideterminata in due anni di reclusione, escluso il riconoscimento delle attenuanti generiche stante la gravità della colpa riferibile alla condotta del Coordinatore per la sicurezza.
3.5. In conclusione, il ricorso nell'interesse dell'Imputato B.G. deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
4. Si vengono ora ad esaminare il ricorso originario ed i motivi nuovi proposti nell'interesse della società M.G. s.r.l.
Giova ricordare che, in tema di infortuni sul lavoro, il committente, nei cantieri temporanei o mobili in cui sia prevista la presenza (anche non contemporanea) di più imprese esecutrici, ha l’obbligo: 1) di elaborare il documento unico di valutazione dei rischi di cui all'art. 26, comma 3, d.lgs n. 81 del 2008; 2) di nominare il coordinatore per la progettazione dell'opera di cui agli artt. 89, comma 1, lett. e), e 91 d.lgs n. 81 del 2008 (CSP), deputato a redigere il piano di sicurezza e coordinamento (PSC); 3) di nominare il coordinatore per l'esecuzione dei lavori, di cui agli artt. 89, comma 1, lett. f) e 92 d.lgs n. 81 del 2008 (CSE), deputato a verificare l'idoneità del piano operativo di sicurezza di ciascuna impresa, sia in relazione al PSC che in rapporto ai lavori da eseguirsi. In applicazione di tale principio, la Corte regolatrice ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità, per il reato di omicidio colposo, degli amministratori della società committente dei lavori, in conseguenza dell'infortunio sul lavoro occorso a un dipendente della società alla quale la subappaltatrice della prima affidataria dei lavori aveva a sua volta subappaltato i lavori, in ragione della mancata nomina del CSE e delle gravissime carenze dei POS delle imprese esecutrici (Sez. 4, n. 10544 del 25/01/2018, Scibilia e altri, Rv. 27223901).
Quanto poi alla scansione prevista dall'art. 101, d.lgs. n. 81 del 2008, non è revocabile in dubbio che l'impresa affidataria, prima dell'inizio dei lavori, debba trasmettere il piano di sicurezza e coordinamento (PSC) alle imprese esecutrici (art. 101, comma 2, cit.) e che prima dell'inizio dei rispettivi lavori ciascuna impresa esecutrice debba trasmettere il proprio piano operativo di sicurezza (POS) all'impresa affidataria (comma 3).
Preme al riguardo ricordare che la Corte regolatrice ha chiarito che l'obbligo di redigere il piano operativo di sicurezza (POS) grava su tutti i datori di lavoro delle imprese esecutrici dei lavori, ivi compreso, in caso di subappalto, quello dell'impresa subappaltante (Sez. 4, n. 31304 del 19/04/2013 - dep. 22/07/2013, E.G., Rv. 25595301).
Orbene, nel caso di specie, i rapporti contrattuali intercorsi tra la proprietà P.V.C., parte committente, la società M.G. s.r.l. e la DSM Montaggi s.n.c., involgono la realizzazione di una tettoia di legno, al servizio della piscina di proprietà della parte committente.
Segnatamente, la Corte di Appello ha chiarito: che la proprietà aveva incaricato la M.G. di realizzare la tettoia; che la predetta società aveva subappaltato alla DSM tali lavori; e che B.A., collaboratore in nero della DSM, era rovinosamente caduto da un trabattello, privo di parapetti, nell'esecuzione dell'opera.
Il Collegio ha evidenziato che il primo giudice aveva escluso l'illecito amministrativo a carico della società M.G., oltre che in considerazione del fatto che non vi era traccia del contratto intercorso tra la parte committente e la M.G. s.r.l., per la ristrettezza dei tempi, la mancata informazione sul coordinatore e la direzione dei lavori, l'omessa convocazione ai fini della progettazione e l'assenza di un POS, evenienze tutte che non avevano consentito alla M.G. l'assunzione di una posizione di garanzia.
Procedendo allo scrutinio dell'impugnazione che, sul punto, era stata proposta dalla parte pubblica, la Corte distrettuale ha sottolineato che il Tribunale aveva ignorato la documentazione acquisita agli atti, dimostrativa del fatto che la società M.G. non si era limitata a fornire il legname per la realizzazione della tettoia, ma aveva assunto il ruolo di subappaltatrice. In particolare, il Collegio ha osservato: che il carteggio intercorso tra la proprietà committente e la M.G., comprensivo del preventivo per l'esecuzione dell'opera redatto da quest'ultima, evidenziava che la società M.G. aveva ricevuto l'incarico da parte della proprietà di realizzare la tettoia; che il contratto di appalto tra la M.G. e la DSM dimostrava che tale realizzazione era stata oggetto di subappalto, in favore della DSM Montaggi; e che la M.G. aveva omesso di effettuare alcuna vigilanza sulla realizzazione dell'opera subappaltata, neppure verificando la predisposizione del POS da parte della DSM Montaggi.
La Corte di Appello ha considerato che detti elementi risultavano idonei ad affermare la responsabilità amministrativa dell'Ente, conseguente al reato di omicidio colposo. Ciò in quanto, l'inosservanza dei richiamati doveri di controllo e coordinamento, da parte della società, era finalizzata a conseguire un risparmio di spesa, rispetto ai costi necessari all'apprestamento dei mezzi di prevenzione idonei a scongiurare eventi dannosi come quello verificatosi.
Il richiamato percorso argomentativo resiste alle censure dedotte dalla società ricorrente.
Non sfugge che la Corte regolatrice, nell'arresto richiamato dall'esponente, ha affermato che deve escludersi la possibilità di conclusione di un contratto di appalto, ex art. 26, d.lgs. n. 81 del 2008, per facta concludentia. Per vero, nella stessa sentenza (sez. 3, n. 17010 del 26.02.2014, n.m.) si chiarisce che il contratto di appalto si qualifica in via generale come negozio a forma libera, salvo i casi espressamente previsti dalla legge, che non comprendono il contratto ex art. 26, cit. Ed il Collegio ha considerato che solo in ragione degli adempimenti prevenzionistici richiesti dal citato art. 26, T.U. 81 del 2008 può affermarsi che anche il contratto di appalto ex art. 26. cit. richieda la forma scritta ad substantiam. Preme tuttavia evidenziare che - anche attenendosi al principio ora richiamato, affermato in una decisione ad oggi rimasta isolata - la valutazione espressa nel caso di specie dalla Corte territoriale non risulta censurabile. La Corte di Appello di Firenze, invero, non ha altrimenti affermato che l'appalto avente ad oggetto la realizzazione della tettoia di servizio alla piscina fosse stato stipulato dalle parti per fatti concludenti: come sopra rilevato, il Collegio ha sottolineato che tra la proprietà e la M.G. s.r.l. era intercorso uno specifico carteggio, comprendente l'invio di un preventivo sui costi di realizzazione dell'opera redatto dalla società, carteggio apprezzato dai giudici quale principio di prova scritta, nella ricostruzione ex post dell'assetto negoziale convenuto dalle parti. Deve allora osservarsi che il richiamato argomento difensivo non risulta conducente: dal contenuto della motivazione resa dalla Corte di Appello emerge, infatti, che la M.G. ebbe ad accettare l'incarico di realizzare la tettoia affidatole dalla proprietà, alle condizioni convenute con lo scambio delle ricordate missive, con la precisazione che le parti omisero certamente di elaborare il documento di valutazione dei rischi, richiesto dall'art. 26, d.lgs. n. 81 del 2008.
Tanto chiarito, deve considerarsi: che la valutazione espressa dalla Corte territoriale, circa la sussistenza di un incarico contrattualmente conferito dalla proprietà alla società M.G., per la realizzazione della tettoia, risulta immune dalle dedotte censure; e che le accertate omissioni in materia prevenzionistica, di cui ebbe a rendersi responsabile anche la M.G., nel suo ruolo di subappaltatrice dell'opera in favore della DSM Montaggi, anziché offrire un elemento di giustificazione per la mancata assunzione della posizione di garanzia, integrano esse stesse i profili di responsabilità amministrativa dell'Ente, conseguenti al reato di omicidio colposo. Risulta infatti accertato che l’infortunio morale si verificò a causa delle plurime e gravi inadempienze agli obblighi in materia antinfortunistica, da parte dei diversi soggetti economici interagenti, che caratterizzano la vicenda che occupa. In particolare, il fatto di aver subappaltato le opere di realizzazione della tettoia, in mancanza del piano di sicurezza e coordinamento e pure a fronte del mancato rispetto degli obblighi preliminari da parte della committente, non esclude l'Insorgenza del debito di sicurezza in capo alla M.G.; al contrario, proprio tali accertate negligenze evidenziano l'assoluta inosservanza delle prescrizioni gravanti sull'impresa affidataria, di cui all'art. 97, d.lgs. n.8 del 2008, oggetto della specifica contestazione elevata a carico dell'Ente; e si tratta di omissioni che involgono specificamente il difetto di coordinamento con la società subappaltatrice, che a sua volta eseguì l'intervento in patente violazione delle norme antinfortunistiche deputate a garantire la sicurezza dei lavori in quota.
Si osserva infine che, in conformità alle indicazioni del diritto vivente, la Corte di Appello ha sottolineato che la responsabilità amministrativa della persona giuridica si imponeva, a fronte del vantaggio, in termini di risparmio sui costi, derivante nella sfera dell'Ente dalla commissione del reato presupposto (cfr. Sez. 4, n. 22468 del 18/04/2018, Eurocos S.n.c., Rv. 27339901).
A questo punto della trattazione è appena il caso di rilevare: che le parti civili hanno concluso unicamente contro gli imputati S. P., P.D. P. e Gianni B.G. e non già nei confronti della società M.G. s.r.l.; e che, a fronte di tale scelta processuale, gli argomenti pure sostenuti dalle parti nelle memorie versate in atti, riguardo alla posizione dell'Ente, non assumono alcun rilievo nel presente giudizio.
5. Al rigetto di tutti i ricorsi, che conclusivamente si impone, segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché di S. P., P.D. e B.G. alla rifusione delle spese in favore delle costituite parti civili, liquidate in dispositivo.

 




P.Q.M.

 


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché S. P., P.D. e B.G. alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili C.A. e L.B.,. che liquida in euro 3.000,00, oltre spese generali del 15%, CPA e IVA.
Così deciso il 19 marzo 2019.