Cassazione Penale, Sez. 4, 15 aprile 2019, n. 16186 - Caduta del dipendente della ditta subappaltatrice durante l'installazione di impianti fotovoltaici nonostante l'ordine di sospensione. Responsabilità dell'appaltatore e del datore di lavoro


Presidente: IZZO FAUSTO Relatore: CENCI DANIELE Data Udienza: 21/12/2018

 

Fatto

 

l. La Corte di appello di Ancona il 6 aprile 2017, In parziale riforma della sentenza emessa all'esito del dibattimento il 12 gennaio 2016 del Tribunale di Pesaro, appellata dagli imputati, sentenza con cui F.F. ed E.P. sono stati ritenuti responsabile di lesioni colpose, con violazione della disciplina antinfortunistica, nei confronti di M.R., fatto commesso il 2 luglio 2011 (capo A), ed E.P. anche della contravvenzione di cui agli artt. 159, comma 1, lett. c), e 97, comma 3, del d. lgs. 8 aprile 2008, n. 81, fatto commesso sino al 2 luglio 2011 (capo B), e, in conseguenza, condannati, concesse al solo F.F. le circostanze attenuanti generiche stimate equivalenti, alle pene stimate di giustizia, ed al risarcimento alle parti civili, ha dichiarato non doversi procedere in relazione al capo B), per essere il reato estinto per prescrizione e, in conseguenza, ha rideterminato la pena, riducendola, nei confronti del solo F.F.; con conferma nel resto.
2. In sintesi i fatti, come ricostruiti dai giudici di merito.
2.1. Va premesso che la società PV Italy One s.r.l. (la cui amministratrice unica, C.M., all'esito del processo di primo grado è stata assolta) aveva affidato alla ditta individuale NEG Energia di E.P. l'appalto per la realizzazione delle opere di installazione di impianti fotovoltaici sopra i lastrici di copertura di alcuni capannoni in Fano (PU); E.P. aveva affidato l'esecuzione delle opera a ditte subappaltatrici, tra cui, per quanto riguarda la realizzazione e la posa in opera degli Impianti elettrici, la ditta di F.F..
Il 2 luglio 2007 M.R., lavoratore dipendente della ditta di F.F., che era salito sulla copertura di un capannone per sistemare i cavi elettrici necessari per l'alimentazione dei pannelli fotovoltaici da installare, aveva camminato sopra dei "copponi" di fibrocemento costituenti, oltre ad alcune travi di cemento, la copertura: essendosi sfondati i "copponi" e non essendo M.R. assicurato da funi, imbracature o altro, era precipitato, riportando lesioni causative di malattia di durata superiore a quaranta giorni.
2.2. Gli odierni ricorrenti sono stati ritenuti responsabili, in estrema sintesi:
per quanto riguarda E.P. (appaltatore), per non avere verificato le condizioni di sicurezza, per non avere assicurato l'applicazione del piano di sicurezza e coordinamento, per non avere vigilato sulla presenza di tutti i presidi antinfortunistici né, anche al fine di coordinare i lavori, che la ditta affidataria ne fosse in possesso e ne facesse in concreto uso, per essersi limitato, ciò che è evidentemente insufficiente, a raccomandare solo a voce a coloro che dovevano salire sulla copertura, compresi i dipendenti di F.F., di camminare sulla copertura mantenendosi sulle parti in cemento armato, evitando di calpestare il fibrocemento, per avere disposto la ripresa dei lavori malgrado l'ordine di sospensione del giorno prima della A.S.L., senza apposizione di passarelle per camminare e di linee-vita per agganciarsi per passare, nonostante l'intimazione in tal senso ricevuta;
per quanto riguarda F.F. (subappaltatore), per non avere fornito a M.R. gli strumenti antinfortunistici necessari per evitare precipitazioni, per essersi limitato a raccomandare, a voce, ai suoi dipendenti, tra cui M.R., di camminare sulla copertura mantenendosi solo sulle parti in cemento armato, evitando di calpestare il fibrocemento, per avere fatto riprendere i lavori il 2 luglio 2007, malgrado il giorno prima la A.S.L. avesse ordinato la sospensione dei lavori per inadeguatezza delle misure di sicurezza e non si fosse dato corso alle prescrizioni.
3. Ricorrono tempestivamente per la cassazione della sentenza gli imputati, tramite difensore, affidandosi ciascuno a due motivi.
4. E.P. (l'appaltatore) denunzia con un primo motivo promiscuamente erronea applicazione della legge penale (art. 62-bis e 133 cod. pen.) e vizio motivazionale e con il secondo difetto motivazionale per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della giustificazione della decisione.
4.1. In primo luogo, ad avviso del ricorrente la Corte di appello avrebbe dovuto applicare all'imputato una pena inferiore rispetto a quella in concreto irrogata, non tenendo conto dei precedenti penali, pur sussistenti ma che risalgono nel tempo e, inoltre, concedere all'imputato le attenuanti generiche. La motivazione della Corte sul punto sarebbe illogica e contraddittoria.
4.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la pretesa ingiustizia della decisione di condanna intervenuta nei confronti solo dell'appaltatore (E.P.) e del subappaltatore (F.F.) dei lavori, ma non già della committente, che sarebbe stata ingiustamente assolta in primo grado, per non avere commesso il fatto, nonostante avesse dato incarico alla ditta di E.P., che era carente dei requisiti, e del coordinatore per l'esecuzione dei lavori, nel frattempo deceduto.
Richiamata giurisprudenza di legittimità stimata pertinente, si afferma che il ricorrente non fosse gestore del rischio cui è stato esposto il lavoratore caduto.
5. F.F. si affida, a sua volta, a due motivi, con i quali denunzia, rispettivamente, violazione di legge (artt. 115 del d. lgs. n. 81 del 2008 e 40 e 41 cod. pen.) e difetto motivazionale.
5.1. Con il primo motivo censura violazione di legge, per avere - ma si stima erroneamente ed illegittimamente - la Corte di merito ritenuto (alle pp. 4-5 della sentenza) che la responsabilità di F.F. poggerebbe sul non avere fornito al dipendente M.R. gli strumenti antinfortunistici, quali dispositivi di ancoraggio, imbracature etc., necessari, in ragione dell'altezza cui doveva eseguirsi il lavoro, ad impedire la caduta e, comunque, per aver fatto lavorare il dipendente in un cantiere in cui erano stati sospesi i lavori dalla A.S.L. per riscontrate violazioni alla disciplina antinfortunistica.
Sotto il primo profilo, l'istruttoria svolta avrebbe dimostrato che, essendo il piano di lavoro sul quale doveva agire l'operaio interamente circondato da parapetti su tutti i lati, i dispositivi richiamati dall'art. 115 del d. lgs. n. 81 del 2008, cioè imbracature etc., sarebbero stati del tutto inutili.
Quanto alla capacitò di sostenere il peso del tetto, l'imputato - si sottolinea - si è fidato della rassicurazioni dell'appaltatore ing. E.P. e del responsabile della sicurezza, ing. M.: a tal proposito la Corte di merito non ha tenuto conto della operatività del principio di affidamento sulla correttezza degli altri soggetti ulteriormente gestori del rischio, principio che pure era stato invocato nell'atto di appello (alle pp. 4-8) e richiama sentenza di legittimità stimate pertinenti. Del resto - si assume - F.F. non aveva la possibilità materiale di verificare direttamente la calpestabilità del piano e, prima ancora, non aveva alcun motivo di dubitare della verità di quanto gli era stato riferito, se non entrando in conflitto con il committente ing. P..
Sotto il profilo della disposta sospensione dei lavori da parte dell'autorità amministrativa, si afferma che «l'appaltante ing. E.P. [...] gli aveva garantito, assumendo anche apposto impegno contrattuale, l'apprestamento di tutti i doverosi presidi di sicurezza, nonché la loro sussistenza accertata anche dopo il controllo dell'ASUR» (così alle pp. 6-7 del ricorso).
5.2. Con il secondo motivo lamenta, in sostanza, sotto il profilo del difetto motivazionale, lo stesso ritenuto errore, per avere, cioè, «sbrigativamente omesso ogni indagine sulla fondatezza o meno del principio di affidamento invocato dal F.F., richiamando il generico dovere di parte datoriale di garantire l'incolumità dei lavoratori subordinati» (così alla p. 7 del ricorso), dovendosi nel caso di specie contemperare la salvaguardia del lavoratore con l'affidamento sulla corretta condotta di soggetti ugualmente responsabili della sicurezza. Aggiunge che «Se il contemperamento tra due principi deve, alla fine, equivalere all'azzeramento del principio di affidamento per il datore di lavoro, deve concludersi che ia responsabilità datoriale equivarrebbe in tutto e per tutto ad una responsabilità oggettiva che codesto S.C. recisamente esclude. Sussistono elementi di prova per affermare che il F.F. aveva il dovere di non credere al committente ing. E.P. ed alle verifiche del responsabile della sicurezza ing. M. ? [...] E se effettivamente quelle lastre fossero calpestabili e la caduta del M.R. si fosse verificata per essere finito su una latra lesionata dalle lavorazioni ? O per avere saggiato con mezzo inappropriato la sua resistenza ? Non erano, forse, necessari ulteriori accertamenti, come invano chiesto dal difensore di F.F. ? » (così alla p. 8 del ricorso).
5.3. E' pervenuta il 17 dicembre 2018 memoria da parte della difesa di F.F. con la quale si insiste per l'accoglimento del ricorso.
 

 

Diritto

 


1. Entrambi i ricorsi sono infondati.
2. Si esamini in primo luogo l'impugnazione nell'interesse di E.P..
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, come si è visto, la mancata concessione delle attenuanti generiche e la eccessività della pena, mentre le sentenze di merito valorizzano - legittimamente ed adeguatamente - la sussistenza di plurimi precedenti penali, anche specifici, dell'imputato e la gravità dei fatti, in ragione del grado della colpa e del danno patito dal lavoratore (p. 9 della sentenza impugnata e p. 14 di quella del Tribunale).
2.2. Il secondo motivo è strutturato in maniera generica ed aspecifica, in sostanza lamentandosi il ricorrente della ritenuta ingiustizia dell'assoluzione dell'originaria coimputata C.M. e della impossibilitò di processare il coordinatore per l'esecuzione dei lavori, nel frattempo scomparso e sostenendo - in maniera assai vaga - una pretesa estraneità dell'imputato ai fatti.
3. Passando al ricorso nell'Interesse di F.F., si premette che, come noto, «Nel giudizio camerale di legittimità, le memorie e le produzioni difensive depositate in violazione del rispetto dei termini di quindici e cinque giorni "liberi" prima dell'udienza, previsti dall'art. 611 cod. proc. pen., sono tardive e, pertanto, non possono essere prese in considerazione» (Sez. 1, n. 13597 del 22/11/2016, dep. 2017, De Silvio, Rv. 269673; in conformità, Sez. 4, n. 49392 del 23/10/2018, S., Rv. 274040), sicché non può prendersi in alcuna considerazione il contenuto della memoria del difensore depositata presso la Cancelleria della S.C. quattro giorni prima dell'udienza.
Ciò posto si possono affrontare insieme i due motivi.
Ebbene, F.F., dopo avere correttamente richiamato gli addebiti riconosciuti sussistenti dalla Corte territoriale alle pp. 4-5 (avere inviato il lavoratore sul tetto senza imbracature, funi etc., atte ad evitare la caduta ed averlo mandato nonostante l'ordine di sospensione dei lavori impartito dalla A.S.L.), in realtà si misura soltanto con il primo aspetto, affermando che vi erano parapetti laterali, sicché il rischio caduta era fronteggiato, e che gli era stato assicurato che il piano era calpestabile, ma non si confronta con l'ulteriore, essendo il lavoratore precipitato per la rottura improvvisa del piano di calpestio.
I giudici di merito hanno fornito adeguata risposta incentrata - anche - sulla non operatività del principio di affidamento nel caso di specie, avendo l'autorità amministrativa ordinato la sospensione dei lavori il 1° luglio 2011 anche per non essere la copertura pedonabile ed essendo, ciononostante, le lavorazioni proseguite il giorno seguente, quando si è verificato l'infortunio in base alla mera superficiale assicurazione verbale di E.P. che "era tutto a posto", evidentemente insufficiente (pp. 4-8 della sentenza impugnata e p. 11 di quella di primo grado).
Né, del resto, l'impugnazione si misura con la accertata necessità di apporre passerelle di legno per evitare di camminare sulle zone fragili (v. p. 6 della decisione della Corte di merito e p. 9 della sentenza di primo grado) ovvero con la emersa fretta, sia di E.P. che di F.F., di terminare i lavori (p. 10 della sentenza impugnata), in spregio alle esigenze di sicurezza.
Il ricorrente soleva, infine (p. 8), interrogativi e prospettazioni meramente ipotetiche, sviluppate in parte mediante la formulazione di domande retoriche, su circostanze di fatto estranee, in quanto tali, al giudizio di legittimità.
4. Consegue dunque il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti, per legge (art. 616 cod. proc. pen.), al pagamento delle spese processuali.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 21/12/2018.