Cassazione Penale, Sez. 3, 16 aprile 2019, n. 16498 - Infortunio mortale durante lo sbloccaggio del nastro trasportatore dovuto ad anomalia. Importanza di una formazione specifica in relazione alle singole mansioni


Presidente: ROSI ELISABETTA Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA Data Udienza: 08/11/2018

 

 

 

Fatto

 


1. - Con sentenza del 28 marzo 2018, la Corte d'appello di Milano, a seguito dell'annullamento con rinvio pronunciato dalla Corte di Cassazione con sentenza del 28 aprile 2016, ha confermato la sentenza emessa il 2 aprile 2014 dal Tribunale di Milano che aveva condannato gli imputati, per i reati di cui agli artt. 41, primo e terzo comma, 42 secondo comma, 43, primo comma e 589, secondo comma, cod. pen., perché, ciascuno mediante condotta colposa di negligenze ed imperizia, nell'inosservanza dell'art. 2087 cod. civ. e nelle qualità, rispettivamente, di rappresentante legale della ditta DIELLE s.r.l. (DC.) e di rappresentante legale della ditta appaltatrice PLANET SERVICE soc. coop. (P.), avevano cagionato la morte di T.M., lavoratore dipendente della ditta appaltatrice addetta alla manovalanza, attraverso l'inosservanza delle norme sulla prevenzione degli infortuni del lavoro e in particolare degli artt. 26, comma 3, 71, comma 4, del d.lgs. n. 81 del 2008 (per quanto attiene agli obblighi dell'imputato DC.) e degli artt. 17, 26, comma 2, e 37, comma 7, del d.lgs. n. 81 del 2008 (con riferimento agli obblighi riposti all'imputato P.).
La Corte di cassazione aveva annullato la sentenza di assoluzione pronunciata dalla Corte d'appello il 26 marzo 2015, rilevando l'insufficienza della motivazione quanto al profilo dell'ampiezza e della serietà dell'obbligo informativo sui rischi lavorativi. Si era affermato, in particolare, che la sentenza assolutoria non aveva chiarito quale fosse il livello di approfondimento del documento di valutazione e della formazione in concreto svolta, a fronte del rischio smontaggio dello scivolo a cui era detto il lavoratore, né aveva chiarito se lo smontaggio potesse dirsi come anomalia prevedibile o imprevedibile, anche considerata la circostanza della presenza di un tubo che avrebbe potuto costituire un ostacolo allo spostamento dello scivolo; dovendosi ritenere l'indagine sulla eventuale abnormità della condotta del lavoratore quale profilo logicamente successivo.
2. - Avverso la sentenza d'appello pronunciata all'esito del giudizio di rinvio gli imputati hanno proposto, tramite difensore e con unico atto, ricorsi per cassazione, chiedendone l'annullamento.
2.1. - Con un primo motivo di doglianza, si censurano l'omessa valutazione di controprove dichiarative decisive, nonché il vizio di motivazione per il travisamento parziale e per le incoerenze delle conclusioni rispetto ai dati probatori acquisiti. In particolare, i giudici del rinvio, in contrasto con le indicazioni contenute nella sentenza di annullamento, avrebbero omesso di approfondire i dirimenti aspetti della violazione degli obblighi informativi cui erano tenuti gli imputati e dell'eventuale abnormità della condotta posta in essere dal lavoratore, che la difesa ritiene inidonea a rientrare nella categoria dei "rischi prevedibili" che il datore di lavoro avrebbe dovuto prevenire e di cui avrebbe dovuto informare i propri dipendenti. Il collegio del gravame avrebbe considerato solo parzialmente le dichiarazioni rese dai testimoni M., B. C. e CE., omettendo qualsivoglia valutazione su profili dirimenti. In particolare, avrebbe dovuto considerare che il teste B. C. (consulente esterno della sicurezza) aveva dichiarato: che i corsi di formazione venivano eseguiti direttamente in azienda ogni 3 o 4 mesi, che il lavoratore vittima dell'incidente partecipava ai corsi (tenuti in italiano, ma compresi da tutti i lavoratori presenti) e che durante gli stessi veniva espressamente indicata la procedura da seguire in caso di guasto. Aveva precisato, altresì, che la predetta procedura impediva qualsivoglia partecipazione diretta da parte del lavoratore, tenuto a contattare il tecnico della manutenzione, unico incaricato della risoluzione dei guasti dei macchinari. Tale circostanza sarebbe stata confermata dal teste MA., manutentore della DIELLE, che aveva riferito di essere l'unico incaricato della risoluzione dei guasti, che, il giorno dell'incidente era stato informato della rottura del nastro e, mentre si recava sul luogo, aveva chiamato il T.M. dicendogli di non compiere alcun intervento in attesa del suo arrivo (monito trascurato dal lavoratore che, nel tentativo di risolvere da solo il problema, era tragicamente rimasto vittima dell'incidente). Ancora, secondo la prospettazione difensiva, la Corte territoriale avrebbe dovuto valorizzare le dichiarazioni rese dal teste B. (responsabile del reparto) che aveva confermato il regolare svolgimento dei corsi di formazione tenuti dal consulente B. C. e aveva ribadito che il T.M. non era autorizzato allo smontaggio del nastro trasportatore. Identiche dichiarazioni sarebbero state rese dal teste M., dipendente della PLANET e unico testimone oculare presente al momento dell'incidente. Secondo la difesa, tali dichiarazioni - del tutto espunte dall'impianto motivazionale della Corte territoriale - sono idonee a dimostrare il corretto ed abituale svolgimento di corsi di formazione rivolti ai dipendenti delle due società coinvolte, nonché l'abnormità della condotta tenuta dal lavoratore, cimentatosi, imprevedibilmente, in un'attività non rientrante nella propria competenza. Parimenti, i giudici del gravame - richiamando l'argomentazione del Collegio di primo grado - avrebbero errato nel trarre contezza delle condizioni disagiate in cui i lavoratori erano tenuti ad operare dall'aggiunta di un freno alla ruota del nastro trasportare, dal momento che dalla documentazione in atti era emersa la completa idoneità del nastro allo svolgimento sicuro dell'attività di lavoro, nonché la regolarità degli interventi di manutenzione, tanto che lo stesso aveva continuato ad operare anche dopo il drammatico evento. Allo stesso modo, si censura l'argomentazione relativa all'asserita predisposizione meramente "formale" dei corsi di formazione, dal momento che solo l'approfondimento delle dichiarazioni illegittimamente espunte dalla motivazione avrebbe consentita di comprendere la modalità di svolgimento dei corsi ed avrebbe, altresì, dimostrato la piena padronanza della lingua italiana da parte dell'intera compagine dei lavoratori e del T.M. in primo luogo. Ancora, secondo le prospettazioni difensive, le dichiarazioni non valutate risulterebbero idonee a confutare l'argomentazione del Collegio di merito con riferimento alla ritenuta "confusione di ruoli, mansioni e responsabilità che regnava in quel contesto produttivo" dal momento che il teste B. aveva riferito che nel reparto lavaggio ed estrusione affidato in appalto alla PLANET lavoravano solo tre soggetti, tutti dipendenti della PLANET, di cui il T.M. era il preposto. Infine, si censura la ritenuta esclusione dell'abnormità della condotta posta in essere dal T.M., che la Corte d'appello aveva argomentato sulla base delle dichiarazioni testimoniali dalle quali era emerso che la necessità di spostare il nastro da un mulino all'altro era evenienza tutt'altro che rara.
2.2. - Con un secondo motivo di ricorso, si deducono vizi della motivazione con riferimento alla ritenuta responsabilità penale degli imputati. Si lamenta che il giudice del rinvio avrebbe omesso di motivare in ordine alla carenza formativa e informativa relativa al rischio insito nello smontaggio del nastro trasportatore e non avrebbe verificato se il documento di valutazione dei rischi indicava le procedure da sicurezza da seguire in caso di guasto del macchinario. Parimenti, non avrebbe operato alcuna individualizzazione degli obblighi sorti in capo ai due imputati e delle rispettive responsabilità, e non avrebbe valorizzato l'assenza di certezza in ordine all'efficienza causale dell'inosservanza di regole cautelari sull'incidente verificatosi, per l'abnormità della condotta posta in essere dal lavoratore, così violando le indicazioni date dalla Corte di cassazione in sede di annullamento, circa la necessità di approfondire l'analisi relativa all'effettivo svolgimento di corsi di formazione e all'incidenza della condotta posta in essere dal lavoratore sull'evento verificatosi. La motivazione contrasterebbe con le risultanze processuali dalle quali sarebbe pacificamente emerso che T.M., lavoratore esperto con il ruolo di caposquadra, era intervenuto sul nastro trasportatore in maniera del tutto autonoma e non autorizzata, con lo scopo di realizzare una straordinaria attività di manutenzione, riservata esclusivamente ad un tecnico apposito. Tale conclusione risulterebbe confermata, oltre che dalle dichiarazioni testimoniali richiamate sub 2.1. anche da quanto riferito dal teste Ce. e da T.A., moglie della vittima dell'incidente. Le predette prove dichiarative, dimostrerebbero, altresì, che il T.M. sapeva di non dover porre in essere la manovra perché correttamente istruito in tal senso durante i corsi di formazione tenuti in azienda, e anche ammonito dal tecnico della manutenzione, contattato per la riparazione del guasto. Del predetto divieto sarebbe stato al corrente anche il collaboratore M., presente al momento dell'accaduto, che, infatti, si era astenuto dal coadiuvare il T.M. nell'esercizio della manovra estranea alle sue competenze. La condotta del lavoratore, tale da assurgere a causa unica ed autonoma dell'evento morte dello stesso, si sarebbe dunque dovuta valutare in termini di "imprevedibilità" ed "inevitabilità". 
2.3. - In terzo luogo, si censurano la violazione degli artt. 125, comma 3, 192, 546, comma 2, cod. proc. pen. e il vizio di motivazione su punti decisivi del gravame. In particolare, secondo la difesa, la Corte d'appello avrebbe completamente omesso di rispondere alle specifiche doglianze difensive, nonché alle precise indicazioni offerte dalla sentenza di annullamento, ma si sarebbe limitata a richiamare apoditticamente e senza alcun vaglio critico l'argomentazione della sentenza di primo grado, di per sé inidonea a fondare il giudizio di colpevolezza.
2.4. - Con un quarto motivo, parzialmente ripetitivo dei precedenti, si lamenta la scorretta applicazione della regola di giudizio dell'oltre il ragionevole dubbio". A parere della difesa, l'iter argomentativo seguito a sostegno della colpevolezza degli imputati sarebbe caratterizzato da errori e omissioni, con particolare riferimento alla ritenuta carenza dei corsi di formazione svolti in azienda. Parimenti, dagli atti non sarebbe emerso se il documento di valutazione dei rischi comprendeva o meno quello dello smontaggio dello scivolo; non vi sarebbe stata alcuna individualizzazione degli obblighi contestati in capo al committente e all'appaltatore; non vi sarebbe certezza sull'efficienza causale dell'inosservanza di regole cautelari rispetto al drammatico evento della morte e sull'abnormità della sua condotta.
3. - Con un secondo ricorso, presentato nell'interesse dell'imputato P., si formulano censure analoghe a quelle già proposte con il primo ricorso, in punto di obblighi informativi e di nesso di causalità, sotto i profili dell'abnormità e dell'imprevedibilità della condotta del lavoratore.
 

 

Diritto

 

3. - I ricorsi sono infondati.
3.1. Il motivo sub 2.1. - con cui si censura la mancata valutazione di prove decisive - è infondato. Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, la Corte territoriale non ha omesso di valutare le dichiarazioni testimoniali richiamate nel presente ricorso, ma, pur valutandole, le ha ritenute immeritevoli di prevalere rispetto alle dichiarazioni di senso contrario, specifiche, complete e soprattutto reciprocamente riscontrate. In particolare, per quanto attiene alla predisposizione dei corsi formativi, i giudici del gravame non si sono limitati a riportare la testimonianza del consulente B. C., nella parte in cui lo stesso ha confermato il regolare svolgimento dei corsi all'interno dell'azienda, ma hanno, altresì, richiamato il prosieguo della testimonianza da cui è emerso con pacifica attendibilità che i corsi di formazione erano tenuti in lingua italiana nonostante i dipendenti impiegati nell'azienda fossero per la maggior parte stranieri e, soprattutto, che la formazione non teneva conto della differenza tra le mansioni svolte dai lavoratori, ma forniva delle indicazioni generali sul complesso delle lavorazioni compiute negli stabilimenti. I giudici di merito, pertanto, non hanno negato il regolare svolgimento dei corsi (unico profilo evidenziato dalle testimonianze richiamate dalla difesa) ma, sulla base delle dichiarazioni acquisite, hanno correttamente rilevato che i corsi - per come effettivamente organizzati - non erano idonei a formare i lavoratori in ordine allo svolgimento delle specifiche mansioni cui erano preposti e ad informarli in merito al complesso dei rischi connessi non solo alla propria attività, ma anche alle ulteriori operazioni inevitabilmente interferenti con le lavorazioni di propria competenza.
Tale conclusione - confermata dalle dichiarazioni rese dal teste M. - non risulta smentita da nessuno dei testimoni richiamati dalla difesa, limitatisi a confermare il regolare svolgimento dei corsi, ma non certamente la completezza e la specificità degli stessi con riferimento alle singole mansioni attribuite ai lavoratori e ai rischi insiti nelle lavorazioni e nelle attività connesse. Considerazioni non dissimili devono svolgersi con riferimento alle prove inerenti all'accertamento dell'abnormità della condotta posta in essere dal lavoratore. In particolare, la Corte territoriale ha correttamente riferito che quanto dichiarato dal teste MA. (tecnico manutentore della DIELLE s.r.l.) non era stato riscontrato dai dipendenti presenti al momento della vicenda i quali, al contrario, avevano riferito di non aver visto il manutentore sul luogo al momento del sinistro, ma solo (e neanche con certezza) dopo il verificarsi del tragico evento. Del tutto logiche e coerenti sono le argomentazioni relative alla frequenza dell'intervento di sbloccaggio del nastro trasportatore. La Corte territoriale - sulla base delle testimonianze rese dai dipendenti M. e Y. (colleghi del T.M.) - ha correttamente ritenuto "non rara" la necessità di intervenire sulle frequenti anomalie del macchinario gestito dal T.M., con ciò riferendosi alla necessità di spostare il nastro da un mulino all'altro e non certo all'eventualità di abbassare il carrello, operazione che lo stesso MA. - secondo quanto da lui riferito - si era trovato a svolgere solo un paio di volte nell'arco di tre anni. È chiaro, pertanto, che la censura difensiva travisa la motivazione della Corte territoriale volta a rilevare la frequente necessità di interventi di "sbloccaggio" del nastro trasportatore che avrebbero richiesto una specifica formazione dei lavoratori o quanto meno una concreta informativa in ordine ai rischi connessi allo svolgimento di quell'attività, a prescindere dalla tipologia di intervento da compiere per garantire la ripresa del funzionamento dei macchinari. Nessuna omissione è infine riscontrabile con riferimento alla ritenuta "confusione di ruoli" esistente all'interno degli stabilimenti gestiti dalla DIELLE s.r.l. e dalla PLANET Service s.r.l. La Corte d'appello ha infatti valorizzato le pregnanti testimonianze dei testi CE., M. e Y., i quali avevano descritto un quadro operativo privo di effettiva distinzione di ruoli, di competenze e di mansioni (tanto che il T.M. era solo formalmente considerato un "preposto", ma in realtà svolgeva attività di operaio semplice al pari di tutti gli altri lavoratori). Secondo la corretta valutazione dei giudici di merito, tali dichiarazioni - precise e tra loro concordanti - risultano di per sé idonee a superare quanto riferito dal teste B., limitatosi ad affermare che nel reparto in cui si era verificato il tragico evento lavoravano tre soggetti (tra cui il T.M.); circostanza assolutamente inidonea a dimostrare la sussistenza di una soddisfacente organizzazione aziendale all'Interno della quale i singoli lavoratori erano distribuiti in ruoli effettivi, godevano dell'attribuzione di compiti ben precisi ed erano informati in ordine ai rischi connessi le singole lavorazioni, ordinarie e straordinarie. Nessuna omissione nella valutazione della prova è, dunque, riscontrabile nella sentenza impugnata, dal momento che le testimonianze richiamate dalla difesa e solo parzialmente non ricomprese nell'impianto motivazionale, non risultano idonee ad aggiungere alcun elemento ulteriore rispetto ai dati pacifici già esaminati dai giudici del gravame e correttamente ritenuti prova del mancato adempimento degli obblighi preventivi ed informativi posti in capo agli odierni ricorrenti.
3.2. - Infondato è anche il secondo motivo di ricorso, con cui si censurano la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità penale per i reati contestati agli imputati. A tale proposito, deve osservarsi che i giudici del gravame - con motivazione logica, completa e priva di contraddizioni - hanno correttamente risposto alle doglianze della difesa e alle indicazioni emergenti dalla sentenza di annullamento di questa Corte, spendendosi lungamente nell'analisi relativa alla valutazione dell'idoneità preventiva ed informativa dei corsi di formazione tenuti all'interno dell'azienda e all'incidenza causale della condotta posta in essere dal lavoratore.
Come già evidenziato sub 3.1., con riferimento al primo profilo, la Corte d'appello ha ben rilevato che i corsi di formazione predisposti dagli imputati, sebbene svolti con cadenza trimestrale, non potevano ritenersi sufficienti a garantire ai lavoratori un idoneo livello di preparazione e informazione perché - secondo quanto emerso da plurime testimonianze - avevano carattere generale e poco approfondito, non prevedevano insegnamenti differenziati per le singole mansioni attribuite ai dipendenti, erano tenuti soltanto in lingua italiana anche se rivolti ad una compagine di lavoratori stranieri per buona parte incapaci di comprendere l'italiano e, soprattutto, non facevano alcun riferimento ai rischi "collaterali" insiti in talune lavorazioni per loro natura inclini a subire interferenze estranee rispetto all'ordinaria attività svolta dai lavoratori. Questi rischi, d'altronde, non erano stati considerati neppure nel DUVRI, documento ampiamente vagliato dai giudici del merito che ne hanno correttamene decretato l'inidoneità preventiva, perché assolutamente generico e privo di riferimenti concreti a qualsiasi procedura di sicurezza da attuare nel caso di blocco degli impianti. A questo proposito, deve dunque ricordarsi che il datore di lavoro non è tenuto solamente a predisporre tutte quelle misure che nel caso concreto e rispetto a quella specifica lavorazione risultino idonee a prevenire i rischi tecnici dell'attività posta in essere, perché garante dell'Incolumità fisica dei lavoratori (ex plurimis Sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014; Sez 4, n. 20595 del 12/04/2005), ma è tenuto ad informare il lavoratore circa i rischi propri dell'attività cui è preposto e dell'attività derivante dalla diretta esecuzione di operazioni ad altri riservate, ovviamente laddove vi sia un ragionevole rischio di interferenza funzionale tra le diverse operazioni (ex plurimis Sez. 4, n. 44106 dell'l 1/07/2014). Infatti - come osservato nella sentenza di annullamento - l'art. 73, comma 1 e 2, lettera b), del d.lgs. n. 81 del 2008, prevede l'obbligo per il datore di lavoro di fare sì che per ogni attrezzatura di lavoro messa a disposizione i lavoratori incaricati dispongano di ogni informazione e di ogni istruzione d'uso necessaria alla sicurezza, anche se tratti di attrezzature da essi non usate normalmente o di situazione anormali purché prevedibili. Orbene, nel caso di specie, come osservato dalla Corte territoriale, la necessità di agire sul nastro trasportatore era attività tutt'altro che imprevedibile, perché - secondo quanto emerso da plurime testimonianze acquisite agli atti - era frequente che il nastro o i mulini ai quali esso conduceva si bloccassero e fosse necessario intervenire sugli stessi durante il corso ordinario della lavorazione. È dunque palese che la predetta attività costituiva un'interferenza tutt'altro che straordinaria perché sostanzialmente connaturata alla lavorazione di cui era incaricato il lavoratore rimasto vittima dell'incidente. Conseguentemente, gli odierni imputati avrebbero dovuto predisporre tutti gli strumenti necessari per istruire i lavoratori in ordine manovre da svolgere in caso di guasto e, soprattutto, avrebbero dovuto concretamente informarli in merito ai rischi collegati all'intervento di sbloccaggio, attività di esclusiva competenza del tecnico manutentore. Nel caso di specie, nessuno dei predetti obblighi è stato adempiuto: né nel documento di prevenzione dei rischi né durante lo svolgimento dei corsi di formazione si faceva esplicito e concreto riferimento al rischio insito nell'intervento di sbloccaggio autonomo, attività - si ripete - strettamente collegata alla lavorazione ordinaria e dunque assolutamente prevedibile nella sua realizzazione sbrigativa da parte del lavoratore.
Questa conclusione è dirimente anche per quanto attiene la valutazione relativa all'abnorrnità della condotta tenuta dal T.M.. Con motivazione logica e coerente, la Corte territoriale ha riconosciuto la superficialità dell'intervento posto in essere dal lavoratore, correttamente ritenuto "incauto", ma ne ha escluso la rilevanza causale in termini di abnormità, proprio per l'assenza di informazione in ordine ai rischi insisti nell'attività di smontaggio del nastro trasportatore che il lavoratore compiva regolarmente (sebbene con manovre parzialmente diverse rispetto a quelle poste in essere al momento del tragico incidente) e, dunque, percepiva erroneamente come intervento ordinario, rientrante nell'ambito delle proprie competenze collaterali. Dunque, la condotta del lavoratore sarebbe stata eccezionale o abnorme solo se lo stesso avesse deciso di agire impropriamente pur disponendo delle informazioni necessarie e di adeguate competenze e fosse stato consapevole dei rischi cui si esponeva; condizioni certamente insoddisfatte nel caso di specie, ove il T.M. ha agito, senza dubbio alcuno, perché abituato ad intervenire sporadicamente sul malfunzionamento del nastro trasportatore, in assenza della dovuta informativa in ordine ai rischi insiti nello svolgimento di un autonomo intervento.
3.3. - Alle argomentazioni svolte sub 3.1. e 3.2. consegue la manifesta infondatezza del terzo motivo di ricorso, con cui si censura l'omessa motivazione su punti decisivi del gravame e sulle indicazioni promananti dalla sentenza di annullamento, nonché l'illegittimo richiamo alla sentenza di primo grado. Come visto, la Corte territoriale si è ampiamente confrontata con le doglianze difensive proposte nell'atto d'appello e ha argomentato criticamente in ordine alla ritenuta inadeguatezza formativa e informativa dei corsi tenuti all'Interno dell'azienda e alla ritenuta irrilevanza della condotta incauta posta in essere dall'imputato. In tale quadro, la sentenza del primo giudice è stata richiamata a soli fini descrittivi, per completare l'impianto motivazionale attraverso la ricostruzione dei fatti emersa nel primo grado di giudizio, cosicché la Corte d'appello ha ritenuto di aderire alle conclusioni del primo giudice a seguito di un'autonoma e completa analisi delle questioni sollevate nell'atto di gravame, in piena rispondenza al principio secondo cui è legittima la motivazione "per relationem", che recepisce in modo critico e valutativo quella impugnata, limitandosi a ripercorrere e ad approfondire alcuni aspetti del complesso probatoria oggetto di contestazione da parte della difesa, ed omettendo di esaminare quelle doglianze dell’atto di appello, che avevano già trovato risposta esaustiva nella sentenza del primo giudice (explurimis, Se. 2, n. 19619 del 13/02/2014; Sez. 6, n. 28411 del 13/11/2012)
3.4. - Per le stesse ragioni, deve essere ritenuto inammissibile l'ultimo motivo di ricorso, con cui si censura il mancato superamento della soglia del "ragionevole dubbio" in ordine alla ritenuta colpevolezza degli imputati. Infatti, il quadro probatorio analizzato dai giudici del merito non lascia dubbi in relazione alla responsabilità penale degli imputati che non hanno adempiuto gli obblighi di prevenzione ed informazione imposti dalla legge a tutela dell'incolumità dei lavoratori ed hanno conseguentemente provocato per colpa la morte del dipendente. Parimenti, nessuna lacuna motivazione è ravvisabile con riferimento alla differenziazione tra le posizioni assunte dagli imputati, già operata in imputazione con riferimento agli obblighi specifici spettanti al committente ed all'appaltatore e ribadita dalla Corte d'appello, che ha evidenziato la volontaria confusione di ruoli posta in essere da P. e DC., chiamati a rispondere del reato contestato a titolo di cooperazione colposa, per la violazione comune di diversi obblighi, anche ai sensi dell'art. 299 del d.lgs. n. 81 del 2008, che attribuisce la posizione di garanzia ad ogni soggetto che di fatto esercita poteri direttivi, anche al di fuori di investiture formali.
4. - I ricorsi, conseguentemente, devono essere rigettati, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute: nel grado dalla parte civile T.A., da liquidarsi in euro 4500,00, oltre spese generali e accessori di legge.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile T.A., che liquida in euro 4500,00, oltre spese generali e accessori di legge.
Così deciso in Roma, l'8 novembre 2018.