Cassazione Penale, Sez. 6, 29 aprile 2019, n. 17764 - Caduta dal ponteggio. Depistaggio per eludere le indagini a carico dei responsabili della sicurezza del cantiere


Presidente: CAPOZZI ANGELO Relatore: AMOROSO RICCARDO Data Udienza: 27/02/2019

 


Fatto
 

 

1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza emessa in data 28/11/2014 dal Tribunale di Pisa, in composizione monocratica, con la quale entrambi i ricorrenti sono stati condannati, V., alla pena di mesi sei di reclusione per il reato di cui agli artt. 110,590 cod. pen. e I., alla pena di mesi cinque di reclusione per il reato di cui all'art. 378 cod. pen., per avere il V. concorso con altro soggetto a cagionare le lesioni personali patite da B.M. per una caduta da un ponteggio presso il cantiere edile della ditta di cui il V. era il legale rappresentante, ed il secondo, per avere dichiarato il falso sulle modalità, luogo e dinamica dell'infortunio sul lavoro, per aiutare il V. ad eludere le indagini, con reati commessi in data 6/04/09, 08/06/09, e 16/06/09.
2. Tramite il comune difensore di fiducia, V. e I. chiedono l'annullamento del provvedimento, articolando i motivi di seguito indicati, sostanzialmente comuni ad entrambi, con alcune specificazioni correlate alla diversità dei reati contestati.
2.1. Con il primo motivo si deduce la manifesta Illogicità e contraddittorietà della motivazione per l'assoluta carenza di prova, essendovi incertezza sulla dinamica e sul luogo in cui si è verificato l'infortunio sul lavoro, non avendo la sentenza impugnata fornito adeguata motivazione sulla preferenza accordata alla versione resa dalla persona offesa, secondo cui la caduta sarebbe avvenuta dal ponteggio del cantiere edile in Crescina della ditta del ricorrente, rispetto all'altra versione, sostenuta dal ricorrente V., secondo cui B.M. sarebbe caduto da una scala ed in un luogo diverso dal suo cantiere. Si evidenzia, pertanto, il carattere incerto della ricostruzione dell'infortunio, e l'inosservanza del canone di giudizio fondato sulla assenza di un ragionevole dubbio, per le contraddizioni emerse tra le dichiarazioni rese dalla persona offesa ed altre risultanze obiettive rispetto alla circostanza del suo trasporto ed arrivo in ospedale privo di coscienza, nonché per altre contraddizioni emerse tra gli altri testi che hanno confermato la falsità della versione resa dal ricorrente, tenuto conto della compatibilità delle lesioni con una caduta tanto da una scala come da una generica caduta dall'alto, e considerato anche l'interesse della persona offesa a dichiarare il falso per non perdere l'indennizzo dell'assicurazione.
2.2. Con il secondo motivo si ripropone lo stesso vizio della motivazione con specifico riguardo alla ritenuta credibilità della persona offesa, perchè contraddetta dal referto di pronto soccorso in cui si attesta che era giunto vigile e cosciente e che riferiva di una caduta dall'alto da una rampa di scale.
2.3. Con il terzo motivo si deduce la eccessività della pena per la tipologia di reato e per la mancanza di prove certe sulla dinamica dell'infortunio. 
2.4. Con il quarto ed ultimo motivo si deduce la violazione di legge per la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche per il comportamento connotato solo da colpa e non da dolo, e per essere stato fatto tutto quanto serviva perché fossero prestate le cure necessarie all'infortunato, e perché potesse raggiungere al più presto il pronto soccorso.
3. Con riferimento alla posizione di I., nel ricorso sono articolati gli stessi motivi dell'altro ricorrente con l'aggiunta di un motivo ulteriore incentrato sulla buona fede del ricorrente che non avendo assistito all'infortunio, si sarebbe limitato a riferire la dinamica appresa dal M.V., e quindi a riportare notizie apprese da altri, senza la consapevolezza della loro falsità, essendo compatibile la sua versione con uno spostamento dell'infortunato che potrebbe avere raggiunto il luogo in cui il ricorrente ha dichiarato di averlo visto, ovvero seduto a circa 3-4 metri dalla scala da cui sarebbe caduto secondo la prima versione dell'accaduto, che si assume essere stata concordata con l'iniziale accondiscendenza anche dello stesso infortunato.
 

 

Diritto

 


1. I ricorsi sono manifestamente infondati e devono, pertanto, essere dichiarati inammissibili.
Entrambi i ricorrenti censurano la ricostruzione del fatto, attraverso una diversa ed alternativa lettura delle risultanze istruttorie, riproducendo gli stessi motivi che hanno costituito l'oggetto delle censure di merito avanzate in sede di appello, già esaminate e respinte con adeguata motivazione, immune da vizi logici.
La Corte territoriale ha ampiamente motivato con argomentazioni assolutamente coerenti alle risultanze istruttorie sulle ragioni per cui è stato riconosciuta attendibile la versione della persona offesa.
La ritrattazione operata dalla stessa persona offesa, confermata da altre testimonianze, non presenta alcuna incongruenza logica, mentre la versione proposta come alternativa è stata coerentemente ritenuta priva di verosimiglianza, per la minima valenza delle dedotte contraddizioni ravvisate tra le deposizioni poste a fondamento del giudizio di responsabilità.
Si deve ricordare che costituisce censura di fatto, non ammissibile in Cassazione, il dissentire dalla ricostruzione compiuta dai giudici di merito e il voler sostituire ad essa una propria versione dei fatti, intitolando fittiziamente i motivi con pretesi vizi di motivazione. 
Ciò vale sia per le riferite contraddizioni che sarebbero emerse tra le deposizioni rese dal figlio, B.A. ed il nipote C.B., circa le presenze in ospedale al momento del ricovero della persona offesa, trattandosi di fatti ritenuti coerentemente privi di significato, e sia con riguardo alla contraddizione emersa con il referto del pronto soccorso, ritenuta assolutamente coerente con la iniziale partecipazione della stessa persona offesa all'accordo preso con il ricorrente per evitare che dall'Infortunio potessero derivarne responsabilità a suo carico, accreditando la versione, dichiarata anche in sede di pronto soccorso, che la caduta era avvenuta in luogo diverso e soprattutto non dal ponteggio risultato privo dei requisiti di sicurezza previsti dalla normativa per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
2. Con specifico riguardo al motivo articolato dal ricorrente I. circa la sua dedotta buona fede per avere riferito ciò che gli era stato riferito dall'altro lavoratore, prima che lo stesso si risolvesse a dire la verità, ovvero il coimputato M.V., si deve osservare come la motivazione della sentenza impugnata abbia escluso tale versione sulla base di argomentazioni logiche e coerenti, evidenziando come fosse da ritenere consapevolmente falsa la indicazione del luogo in cui il predetto ricorrente aveva dichiarato di avere visto seduto l'infortunato subito dopo l'incidente, ovvero in luogo distante dal ponteggio, presupponendo l'assenza di consapevolezza da parte di I. che, in modo del tutto inverosimile, la persona offesa potesse essersi rialzata autonomamente per raggiungere a piedi e senza motivo alcuno il predetto luogo dopo la rovinosa caduta occorsagli, atteso che la indicazione del luogo in cui si trovava l'infortunato subito dopo la caduta, è stata ragionevolmente e motivatamente correlata alla concordata e falsa rappresentazione del luogo dell'infortunio, volta ad impedire la individuazione del ponteggio da cui era effettivamente caduta la persona offesa.
3. Inammissibili sono anche i motivi sul trattamento sanzionatorio e sulle attenuanti generiche, essendo del tutto inconferenti rispetto al carattere indiscutibilmente colposo del delitto per cui si procede l'addotta assenza del dolo, come anche la dedotta incertezza del fatto evidentemente contraddetta dall'affermazione di responsabilità, mentre, il dedotto buon comportamento tenuto dopo il fatto è palesemente smentito dalla partecipazione al concordato piano di depistaggio per eludere le indagini a carico dei responsabili della sicurezza del cantiere dove si è verificato l'infortunio.
4. Dalla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare ciascuno una somma, che si ritiene congruo determinare in duemila euro.
 

 

P.Q.M.
 

 

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il giorno 27 febbraio 2019