Cassazione Penale, Sez. 4, 03 maggio 2019, n. 18326 - Lavoratore investito dal carrello in retromarcia. Su colui che riveste la posizione di garanzia grava l'obbligo di porre in essere la prevenzione concreta volta a contenere il rischio garantito


 

In tema di prevenzione infortuni sul lavoro, il datore di lavoro deve controllare che il preposto, nell’esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta, impartitegli; ne consegue che, qualora nell’esercizio dell’attività lavorativa si instauri, con il consenso del preposto, una prassi contra legem, foriera di pericoli per gli addetti, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche. (Sez. 4, n. 26294 del 14/03/2018 - dep. 08/06/2018, Fassero Gamba, Rv. 27296001). 

Il semplice divieto di utilizzare un certo strumento o un bene aziendale o di evitare una certa attività o ancora di non accedere ad una struttura non fa venir meno l'obbligo del garante di tenere i siffatti elementi in perfetta efficienza o di impedire concretamente e non solo disciplinarmente l'attività vietata.
Su colui che riveste la posizione di garanzia, infatti, grava l'obbligo di porre in essere la prevenzione concreta, in questo caso anche normativamente prevista, volta a contenere il rischio garantito.
Nel caso di specie la condotta omissiva del datore di lavoro ha prodotto proprio l'evento temuto.
E perciò, come sottolineato dalla Corte territoriale, per rispondere al motivo di appello, non può ritenersi interruttivo del nesso causale il comportamento del lavoratore- quand'anche estraneo alle mansioni affidate o sinanco vietato dal datore di lavoro- che svolga la mansione affidategli e non mansioni diverse, collocandosi, tuttavia, in luogo diverso da quello destinato allo svolgimento di quella specifica operazione. Perché anche il comportamento del lavoratore che abbia disapplicato elementari norme di sicurezza non può considerarsi eccentrico o esorbitante dall'area di rischio propria del titolare della posizione di garanzia, in quanto l'inesistenza di qualsiasi forma di tutela determina un ampliamento della stessa sfera di rischio fino a ricomprendervi atti il cui prodursi dipende dall'inerzia del datore di lavoro.


 

 

Presidente: DI SALVO EMANUELE Relatore: NARDIN MAURA Data Udienza: 11/01/2019

 

Fatto

 

1. Con sentenza del 31 ottobre 2017 la Corte di Appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma con cui R.P., nella sua qualità di legale rappresentante della società cooperativa di produzione e lavoro One, è stato ritenuta responsabile del reato di cui all'art. 590, comma 1A , 2^ e 3A cod. pen. per avere colposamente cagionato, con imprudenza, negligenza ed imperizia ed in violazione delle norme di prevenzione e sicurezza dei luoghi di lavoro, lesioni personali gravi ad A.C., investito -mentre si trovava nell'area della cella frigorifera della Centrale del Latte di Roma, per svolgere le sue mansioni di 'contatore' di controllo delle merci- da un muletto condotto in retromarcia da C.A..
2. Il fatto, come descritto in sentenza, può essere riassunto come segue: in data 15 dicembre 2008, A.C., dipendente della cooperativa One, si trovava nella zona denominata 'cella frigorifera' della centrale del latte di Roma, al fine di svolgere le mansioni affidategli, consistenti nel controllo e nella conta delle casse di latte, quando, improvvisamente, veniva travolto da un carrello elevatore (o muletto), condotto da altro dipendente della cooperativa che, alle sue spalle, si muoveva in retromarcia. A.C. non si avvedeva della presenza del mezzo in movimento, in quanto questo era privo del cicalino segnaletico. A causa dell'impatto il lavoratore cadeva a terra riportando gravi lesioni alla gamba destra. Successivamente al sinistro il funzionario della A.S.L. di Roma, G.R., accertava la genericità del documento di valutazione dei rischi, in quanto privo della previsione della procedura da seguire per prevenire i rischi nell'area ove si era prodotto l'infortunio, la mancata predisposizione di una struttura di protezione, installata in seguito dal responsabile del servizio di prevenzione e protezione della Centrale del latte, nonché l'assenza di regolamentazione di movimento dell'area, da ritenersi necessaria allorquando vi operino sia operatori a piedi, che operatori su mezzi, occorrendo in ogni caso la sorveglianza di un preposto. Il funzionario rilevava inoltre che i documenti attestanti la formazione dell'interessato e dell'operaio conducente il carrello elevatore non recavano le sottoscrizioni dei lavoratori, non consentendo pertanto di colmare le lacune del documento di valutazione dei rischi.
3. La sentenza di appello dà altresì atto che i testimoni escussi in primo grado hanno riferito che: l'area era assegnata in comodato d'uso alla cooperativa One (teste P.Q., responsabile dei servizi di protezione e sicurezza in relazione agli obblighi di coordinamento delle imprese esterne della Centrale del Latte); l'evento aveva coinvolto solo personale dipendente dalla cooperativa; in occasione della stipula del contratto di appalto si erano svolti degli incontri con i responsabili della cooperativa per la predisposizione dell'area, con l'indicazione della necessità di approntare 'procedure consigliate' e percorsi consigliati' per il movimento al suo interno, in modo da regolamentare l'interazione fra mezzi meccanici e pedoni (teste P.Q.); venivano svolte riunioni periodiche di aggiornamento con i responsabili dei servizi di prevenzione e protezione delle ditte appaltatrici, in relazione alle varie aree di lavoro interessate (teste
P.Q.); la gestione ordinaria era in capo alla cooperativa e che era stato consigliato alla medesima di perimetrare l'area di lavoro assegnata; che responsabile dei servizi di protezione e sicurezza, in relazione agli obblighi di coordinamento delle imprese esterne della Centrale del Latte, P.Q., manteneva, a tutti questi fini, rapporti con F.S., dipendente della cooperativa, con mansioni di carrellista e con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione della cooperativa M. (teste P.Q.); al primo erano assegnate mansioni di preposto, mentre il secondo non era dipendente della cooperativa, ma consulente esterno con l'incarico di responsabile del servizio di prevenzione e protezione del Consorzio Servizi Globali, di cui la cooperativa era consorziata (teste M.); in tale veste aveva predisposto, a seguito di due sopralluoghi nel maggio e nel giugno 2008, una procedura - trasfusa in un elaborato scritto consegnato al consorzio ed alla Centrale del latte- con relative istruzioni in relazione alle diverse attività lavorative, che prevedevano tre figure: controllori, mulettisti ed addetti all'immissione dei dati; la procedura, il cui contenuto aveva formato oggetto di una riunione e di un corso di formazione del preposto, prevedeva percorsi che non permettevano l'attraversamento della zona in cui operavano i muletti, per impedire che i controllori venissero investiti dai carrelli (teste M.); la postazione di lavoro del 'contatore-controllore' era situata dentro un gabbiotto da cui erano visibili tutti i punti di prelievo dei prodotti (testi C. e F.S.), e dove era affisso un documento che indicava le procedure di lavoro; nondimeno, in alcune occasioni gli operatori addetti alla conta ed al controllo delle merci, per svolgere le proprie mansioni uscivano dalla postazione loro assegnata nel gabbiotto e si recavano nell'area destinata alla movimentazione; nessuno aveva contatti con R.P., in quanto anche M. teneva contatti solo con F.S., il quale a sua volta non conosceva l'imputata (testi M. e F.S.); il giorno del sinistro C.A., alla guida del muletto, stava azionando il mezzo per spostare le pedane quando, in retromarcia, senza avvedersi della presenza di A.C., lo travolgeva in un'area dove, a suo dire, non potevano essere presenti delle persone essendo la zona delimitata da inferriate, nonostante si fosse comunque accertato dell'assenza di altri lavoratori (teste C.A.). 
La sentenza ha rigettato l'appello osservando che: sebbene l'imputazione erroneamente facesse riferimento agli obblighi previsti dal d.lgs. 81/2008 (l'originaria contestazione richiamava, infatti, gli artt. 17, comma 1A, lett. a), 28 lett. d) e 64 comma 1A lett. a) d.lgs. 81/2008 in relazione agli allegati 36 e 37 del medesimo decreto legislativo), eguali doveri erano imposti al datore di lavoro dal d.lgs. 626/1994, sussistendo continuità normativa fra le prescrizioni di cui all'art. 4 del medesimo d.lgs e l'art. 28 lett. d) del d.lgs. 81/2008; anche sotto la vigenza del d.lgs. 626/1994 il documento di valutazione dei rischi non era delegabile dal datore di lavoro, in forza del combinato disposto dell'art. 89 comma 1 e dell'art. 4 comma 2; parimenti non veniva meno la responsabilità del datore di lavoro in caso di nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dei rischi, la cui nomina era obbligatoria, ai sensi dell'art. 8 del d.lgs. 626/1994; erano già previsti, sotto la vigenza della normativa antecedente il d.lgs. 81/2008, gli obblighi di informazione e formazione dei lavoratori. Su queste premesse ha ritenuto che la nomina di M., quale responsabile dei servizi di prevenzione e protezione era intervenuta non direttamente da parte di R.P., legale responsabile della cooperativa, ma dal Consorzio Servizi Globali, tanto che lo stesso M. non aveva mai avuto contatti con la R.P., ma solo con il preposto F.S.; che ciò dimostrava che l'imputata aveva abdicato al proprio ruolo di garante, non avendo neppure rapporti con il preposto, il quale, peraltro, era del tutto privo delle competenze necessarie allo svolgimento del compito assunto, avendo ricevuto solo generiche indicazioni 'dalla filiale' e non aveva ricevuto alcuna delega specifica in ordine a determinati adempimenti, il che non liberava il datore di lavoro. In conclusione, secondo la Corte, l'assenza di idoneo e non generico documento di valutazione dei rischi, in rapporto di causalità al prodursi dell'infortunio, accompagnato dall'assenza di informazione e formazione adeguata dei lavoratori, posto che i corsi organizzati dalla Centrale del Latte non involgevano i rischi connessi alla compresenza di mezzi e pedoni nell'area e che corsi specifici sono stati organizzati solo successivamente, la tolleranza di comportamenti dei lavoratori che svolgevano l'attività di contatori al di fuori del gabbiotto, sono elementi sufficienti per affermare la responsabilità di R.P.. Nè, secondo il Collegio del gravame, il comportamento della persona offesa, assunto in violazione delle direttive, può considerarsi interruttivo del nesso causale, non essendo abnorme, in quanto strettamente connesso con le mansioni, né la responsabilità dell'imputata può essere esclusa in forza del principio di affidamento, poiché l'obbligo di diligenza si innesta su una posizione di garanzia e di controllo del destinatario delle norme antinfortunistiche.
Avverso la sentenza della Corte di appello propone ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del suo difensore, affidandolo a tre motivi.
5. Con il primo fa valere, ex art. 606, primo comma, lett.re c) in relazione agli artt. 590, 157 e 159 cod. pen. l'omessa pronuncia della prescrizione del reato, maturata nel corso del giudizio di appello. Osserva che il il reato contestato risale al 15 dicembre 2018 e che la prescrizione era già maturata alla data della pronuncia della sentenza di appello, che avrebbe dovuto dichiararla come richiesto, in via subordinata, dall'appellante. Rileva che il termine finale, tenuto conto del massimo prescrizionale di anni sette e mesi sei, andava calcolato in anni otto, in forza delle sospensioni dei termini di decorrenza intervenute nel corso del giudizio.
6. Con il secondo motivo, lamenta ex art. 606, comma 1A lett.re b) ed e) la violazione di legge penale in relazione agli artt. 17, comma 1A, lett. a), 28 lett. d) e 64 comma 1A lett. a) d.lgs. 81/2008 in relazione agli allegati 36 e 37 del medesimo decreto legislativo, essendo quest'ultimo provvedimento legislativo entrato in vigore il 1A gennaio 2009, ovvero dopo l'evento. Sostiene l'erroneità della tesi fatta propria dalla decisione che ricostruisce gli obblighi di legge contenuti nel d.lgs. 626/1994 e quelli di cui al d.lgs. 81/2008, il doppio errore del pubblico ministero nella contestazione e del giudice di primo grado, non può essere superato da un'interpretazione analogica delle norme.
7. Con il terzo motivo, si duole della violazione di legge penale con riferimento all'art. 43 cod. pen. e del vizio di motivazione, sotto il profilo della carenza dell'elemento soggettivo del reato.
 

 

 

 

Diritto

 


1. Il reato deve dichiararsi estinto per prescrizione alla data del 21 giugno 2018, successivamente alla pronuncia della sentenza qui impugnata.
2. Debbono, nondimeno, essere affrontate le censure proposte con il ricorso in ordine agli effetti civili della sentenza impugnata.
3. Il secondo motivo non può trovare accoglimento.
4. Va preliminarmente ricordato -in relazione alla denunciata erronea applicazione della legge penale, per essere state contestate all'imputata le violazioni di norme non vigenti alla data fatto- che la data di entrata in vigore delle disposizioni di cui agli artt. 17 comma 1, lett. a) e 28 del d.lgs. n. 81 del 30 aprile 2008, nonché delle altre disposizioni in tema di valutazione dei rischi che ad esse rinviano, ivi comprese le relative disposizioni sanzionatorie previste dal medesimo decreto, già indicata dall'art. 306 del d.lgs. 81/2008 nel novantesimo giorno successivo alla data di pubblicazione, è stata prorogata dall'art. 4 del d.l.. 3 giugno 2008 n. 97 convertito dalla Legge 2 agosto 2008 n. 129.
Conseguentemente alla data del 15 dicembre 2008, erano ancora vigenti le disposizioni di cui all'art. 4 del D.Lgs. 626/94, nonché la disposizione sanzionatoria contenuta nell'articolo 89 comma 1 del medesimo decreto.
Nondimeno, come ricordato dalla sentenza impugnata, le disposizioni di cui all'art. 4 del d.lgs. 626/1994 e quelle contenute negli artt. 28 e 29 del d.lgs. 81/2008 si pongono in continuità normativa le une con le altre, poiché le prime sono state recepite dalla normativa successiva.
Il principio è stato più volte ribadito nella giurisprudenza di legittimità secondo cui "In tema di sicurezza nei luoghi di lavoro, sussiste continuità normativa tra l’art. 4 D.Lgs. n. 626 del 1994 (concernente gli obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto) - ancorché formalmente abrogato dall'art. 304 D.Lgs. n. 81 del 2008 (Testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro) - e la vigente normativa antinfortunistica, considerato che il contenuto delle predette disposizioni risulta recepito dagli artt. 28 e 29 D.Lgs. n. 81 del 2008, in relazione ai rischi aziendali ed alle modalità di effettuazione della relativa valutazione, disposizioni che tutelano penalmente le predette cautele antinfortunistiche. (Sez. 4, n. 42018 del 12/10/2011 - dep. 15/11/2011, Marsiletti, Rv. 25193201); ed ancora "In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, qualora in un medesimo ambiente operino stabilmente più lavoratori, dipendenti da datori di lavoro diversi e non legati tra loro da alcun rapporto di appalto o da altro rapporto giuridicamente rilevante, ciascun datore di lavoro è tenuto alla elaborazione del documento di valutazione dei rischi, ai sensi degli artt. 28 e 29 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, che contemplano fattispecie di reato le quali si pongono in relazione di continuità normativa con l'ipotesi contravvenzionale prevista dall'art. 4 D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626 (abrogato dall'art. 304 del predetto D.Lgs. n. 81 del 2008)" (Sez. 3, n. 17119 del 20/01/2015 - dep. 24/04/2015, Montaguti, Rv. 26323301; Sez. 4, n. 4347 del 26/11/2015 - dep. 02/02/2016, Viccaro ed altri, Rv. 26597901; Sez. 3, n. 17119 del 20/01/2015 - dep. 24/04/2015, Montaguti, Rv. 26323301).
5. Siffatta continuità normativa, consistente nella previsione dei medesimi obblighi in capo al datore di lavoro, emerge dal confronto del contenuto delle norme, chiarito in modo esauriente dalla sentenza impugnata, che ha individuato con precisione la corrispondenza fra l'obbligo del datore di lavoro di provvedere all'adozione del documento di valutazione dei rischi, di cui all'attuale art. 17, comma 1 lett. a) del d.lgs. 81/2008, secondo quanto disposto dall'art. 28, comma 2 lett. d) del medesimo d.lgs., e quello ricavabile dal combinato disposto dell'art. 4, comma 2 e dall'art. 89, comma 1 del d.lgs. 626/1994. 
Sicché, avuto riguardo alla condotta descritta nell'imputazione, con cui viene contestata l'omessa previsione di rischi specifici connessi alla zona di lavoro ed alla compresenza di operatori a terra e su mezzi di movimentazione, avuto riguardo alla predisposizione di procedimenti lavorativi che ne impediscano l'interferenza, non assume alcuna rilevanza l'errata indicazione delle disposizioni normative violate, essendo gli obblighi che si assumono non adempiuti in violazione della normativa di settore, previsti in modo sostanzialmente identico sia dalla normativa erroneamente indicata, che in quella effettivamente applicabile.
Ora, poiché il delitto di cui all'art. 590, comma 3^ cod. pen., oggetto dell'imputazione, fa riferimento all'ipotesi in cui le lesioni siano prodotte dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, è chiaro che è rispetto alla disciplina vigente al momento della commissione del reato che deve essere vagliata la condotta contestata, a nulla rilevando l'eventuale errata indicazione della fonte normativa, purché sia precisamente descritta la violazione ed essa corrisponda ad uno degli obblighi previsti dalle disposizioni vigenti.
Ed invero, in tema di contestazione, deve ritenersi salvaguardato il diritto alla difesa laddove il fatto sia descritto con esattezza nel contesto del capo di imputazione, risultando irrilevanti eventuali erronee indicazioni della disposizione normativa applicata, poiché è la corretta indicazione della condotta addebitata che consente all'imputato di difendersi adeguatamente in relazione agli obblighi su di lui gravanti per legge (Sez. 4, n. 336 del 19/10/1988 - dep. 16/01/1989, Francia, Rv. 18014301).
6. Il terzo motivo va parimenti respinto.
7. Anche in relazione alla sussistenza dell'elemento soggettivo della colpa il percorso argomentativo della sentenza impugnata appare, infatti, incensurabile.
8. La critica alla sentenza di appello si muove su diversi piani.
9. In primo luogo, si contesta che la predisposizione, nel documento di valutazione dei rischi, di specifiche procedure e modalità lavorative per l'area interessata incombesse sul datore di lavoro, avendo la R.P., in qualità di legale rappresentante della cooperativa, designato M., quale responsabile del servizio di prevenzione e protezione. Sicché a questi spettava assicurare che le previsioni del documento di valutazione dei rischi tutelassero effettivamente i lavoratori. D'altro canto, era emerso in giudizio che esistevano percorsi protetti per i pedoni -al fine di evitare le possibili interferenze questi ultimi ed i mezzi- e che sia la persona offesa A.C., che l'investitore C.A. avevano seguito appositi corsi di formazione sui rischi legati alle mansioni ed alle lavorazioni. 
Si osserva che le negligenze dei lavoratori e gli inadempimenti non potevano essere ascritta all'imputata, ignara - in quanto non presente sui luoghi- dei fatto che gli operatori addetti alla conta ed al controllo delle merci si allontanassero dalla postazione loro assegnata nel gabbiotto, impegnando il percorso dedicato ai carrelli elevatori. In qualità di datore di lavoro, infatti, R.P. aveva nominato il preposto F.S., cui spettava il controllo dell'attività nell'area coinvolta nelle operazioni oggetto di appalto e che non aveva provveduto a garantire il rispetto delle procedure.
In secondo luogo, si assume che il comportamento del lavoratore infortunato, proprio perché posto in essere in aperta violazione delle direttive impartite sulla postazione di lavoro e sulle procedure di impegno dell'area, rivestendo le caratteristiche dell'esorbitanza, esime il datore di lavoro da ogni responsabilità in ordine al mancato rispetto della normativa antinfortunistica.
Le censure mosse dal ricorrente, senza porre in dubbio l'evento per come realizzatosi, si concentrano, invero, sulla definizione della sfera di governo del datore di lavoro in relazione alle mansioni affidate al lavoratore ed al rischio prevedibilmente connesso con quelle. Si afferma che, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, il governo del rischio del datore di lavoro non si estende alla condotta esorbitante quella affidata con le direttive organizzative e quindi non possa 'coprire' anche i comportamenti espressamente interdetti al lavoratore. Il che significa che se il lavoratore, come in questo caso, sceglie deliberatamente di contravvenire alle istruzioni ricevute e di svolgere il lavoro che gli è stato affidato con modalità diverse da quelle stabilite il datore di lavoro non può essere ritenuto responsabile del mancato governo del rischio di un'operazione non consentita, dovendo ritenersi 'abnorme' la condotta del lavoratore che pone in essere l'attività vietata.
10. La prima questione va affrontata facendo riferimento al principio, anche recentemente ribadito da questa Corte, con cui si è affermato che "In tema di prevenzione infortuni sul lavoro, il datore di lavoro deve controllare che il preposto, nell’esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta, impartitegli; ne consegue che, qualora nell’esercizio dell’attività lavorativa si instauri, con il consenso del preposto, una prassi contra legem, foriera di pericoli per gli addetti, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche. (Sez. 4, n. 26294 del 14/03/2018 - dep. 08/06/2018, Fassero Gamba, Rv. 27296001). 
11. Il principio si confà esattamente al caso di specie, avendo la sentenza oggetto di gravame sottolineato proprio l'assenza di vigilanza da parte della datrice di lavoro sul preposto il quale ha tollerato e comunque non contrastato il ricorso da parte dei lavoratori ad una prassi operativa pericolosa ed in ogni caso inidonea a preservare la sicurezza dei lavoratori
12. Per affrontare la seconda questione deve, preliminarmente, ricordarsi che la più recente giurisprudenza, abbandonando il criterio dell'imprevedibilità del comportamento del lavoratore nella verifica della relazione causale tra condotta del reo ed evento ha sostenuto che affinché "la condotta del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia" (cfr. da ultimo Sez. 4, Sentenza n. 15124 del 13/12/2016 Ud. (dep. 27/03/2017 ) Rv. 269603; sulla base del principi enunciati da Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014 - dep. 18/09/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 261106, in motivazione).
13. La conseguenza sotto il profilo del nesso causale è stata coerentemente tratta dalla sentenza impugnata, verificandone la ricorrenza a mezzo del doveroso giudizio controfattuale, cioè di quell'operazione logica che eliminando dalla realtà (contro i fatti) la condizione costituita da una determinata condotta umana (anche omissiva, come in questo caso) verifica se il fatto oggetto del giudizio sarebbe egualmente accaduto, con la conseguenza che nell'ipotesi di indifferenza della condotta nella produzione dell'evento, deve escludersi che essa ne costituisca una causa, mentre, al contrario, laddove senza quella condotta l'evento non si sarebbe prodotto essa è condizione causale dell'evento.
14. Qui, non è dubbio che la pacifica violazione sia stata causa dell'evento. Il semplice divieto di utilizzare un certo strumento o un bene aziendale o di evitare una certa attività o ancora di non accedere ad una struttura non fa venir meno l'obbligo del garante di tenere in siffatti elementi perfetta efficienza o di impedire concretamente e non solo disciplinarmente l'attività vietata.
15. Su colui che riveste la posizione di garanzia, infatti, grava l'obbligo di porre in essere la prevenzione concreta, in questo caso anche normativamente prevista, volta a contenere il rischio garantito.
Nel caso di specie la condotta omissiva del datore di lavoro ha prodotto proprio l'evento temuto.
E perciò, come sottolineato dalla Corte territoriale, per rispondere al motivo di appello, non può ritenersi interruttivo del nesso causale il comportamento del lavoratore- quand'anche estraneo alle mansioni affidate o sinanco vietato dal datore di lavoro- che svolga la mansione affidategli e non mansioni diverse, collocandosi, tuttavia, in luogo diverso da quello destinato allo svolgimento di quella specifica operazione. Perché anche il comportamento del lavoratore che abbia disapplicato elementari norme di sicurezza non può considerarsi eccentrico o esorbitante dall'area di rischio propria del titolare della posizione di garanzia, in quanto l'inesistenza di qualsiasi forma di tutela determina un ampliamento della stessa sfera di rischio fino a ricomprendervi atti il cui prodursi dipende dall'inerzia del datore di lavoro.
16. Il motivo, pertanto, non può trovare accoglimento.
17. La sentenza, dunque, va annullata agli effetti penali perché il reato è estinto per prescrizione. Mentre il ricorso va rigettato agli effetti civili, cui consegue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio sostenute dalla parte civile A.C., ammesso al patrocinio a spese dello Stato, che liquida in euro 2000,00 operata la riduzione ai sensi di legge.
 

 

P.Q.M.

 


Annulla senza rinvio agli effetti penali la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Rigetta il ricorso agli effetti civili e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio sostenute dalla parte civile A.C., ammesso al patrocinio a spese dello Stato, che liquida in favore di quest'ultimo in complessivi euro 2000,00 operata la riduzione ai sensi di legge.
Così deciso il 11/01/2019