Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 1, 06 maggio 2019, n. 18901 - Omissione di impianti destinati a prevenire infortuni sul lavoro. Applicazione della misura di sicurezza di espulsione dal territorio dello Stato


 

Presidente: BONI MONICA Relatore: MINCHELLA ANTONIO Data Udienza: 21/03/2019

 

 

 

Fatto

 


1. Con sentenza in data 23/01/2018 il GUP del Tribunale di Prato applicava ex art. 444 cod.proc.pen. a H.Y. e a H.YO. la pena di anni tre e mesi due di reclusione ciascuno per i reati di omissione di impianti destinati a prevenire infortuni sul lavoro, omicidio colposo, incendio colposo ed impiego di cittadini stranieri privi di permesso di soggiorno; il GUP richiamava atti istruttori e giudiziari dai quali si traeva l'impossibilità di emettere una sentenza di proscioglimento.
2. Avverso detta sentenza propone ricorso il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Firenze, deducendo, ex art. 606, comma 1, lett. b), cod.proc.pen., erronea applicazione di legge: sostiene che la condanna imponeva, ai sensi dell'art. 445 cod.proc.pen. e 235 cod.pen., l'applicazione della misura di sicurezza dell'espulsione dal territorio dello Stato, mentre il giudice aveva omesso ogni valutazione e motivazione al riguardo.
3. Il P.G. chiede il rigetto del ricorso.
 

 

Diritto

 


1. Questa Corte ritiene che il ricorso debba essere rigettato poiché è infondato.
Per come già detto, il GUP del Tribunale di Prato ha applicato ai predetti H.Y. e H.Yo. la pena sopra indicata, stabilendo anche la pena accessoria dell'interdizione dei pubblici uffici. Né la motivazione , né il dispositivo del provvedimento fanno menzione di alcuna misura di sicurezza.
Il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Firenze ha impugnato la sentenza di patteggiamento, censurando l'omessa valutazione dei presupposti della indicata misura di sicurezza dell'espulsione dal territorio dello Stato.
Tuttavia si tratta di una argomentazione che non può essere accolta: viene qui in rilievo il disposto dell’art. 235 cod. pen., al lume del cui primo comma il giudice ordina l'espulsione dello straniero ovvero l'allontanamento dal territorio dello Stato del cittadino appartenente ad uno Stato membro dell'Unione europea, oltre che nei casi espressamente preveduti dalla legge, quando lo straniero o il cittadino appartenente a uno Stato membro dell'Unione europea sia condannato alla reclusione per un tempo superiore ai due anni.
In ragione di tale norma, deve darsi per assodato che questa espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, nel caso di condanna alla reclusione per un tempo superiore a due anni, costituisce una misura di sicurezza personale. Essa, quindi, trova la sua disciplina generale negli artt. 199 e ss. cod. pen., sicché può essere disposta soltanto se il giudice di merito, con congrua e logica motivazione, accerti - alla luce dei criteri posti dall'art. 133 cod. pen. (come richiamati dall'art. 203 cod. pen.) - la sussistenza in concreto della pericolosità sociale del condannato, la quale si può manifestare principalmente con la reiterazione dei fatti criminosi.
Ma la misura di sicurezza personale di cui si tratta non presenta alcun profilo di automatica obbligatorietà, essendo rimessa - al pari delle altre misure di sicurezza, a cui afferisce il regime giuridico stabilito in via generale dall'att. 202 cod. pen. - alla discrezionalità del giudice di merito, il quale la applica ogni volta che abbia verificato la sussistenza della pericolosità sociale.
La natura in tal senso facoltativa della misura prevista dall'aiticolo 235 cod. pen. trova conferma nella lettera della norma, differente da quella che disciplina altri casi di espulsione, in particolare quello di cui all'art. 86 d.P.R. n. 309 del 1990 (Sez. 1, n. 51161 del 09/05/2018, Rv. 274652).
Così, la natura facoltativa della misura regolata dall'art. 235 cod. pen. non comporta, in linea di principio, uno specifico onere di esplicitazione della valutazione negativa (a meno che la motivazione resa in concreto non abbia esplicitato l'evenienza di elementi di pronunciata pericolosità sociale annessi alla sfera del condannato, circostanza che non si riscontra nel provvedimento oggi impugnato).
2. Dunque, nella fattispecie, l'applicazione della menzionata misura di sicurezza era facoltativa ed il giudice ha ritenuto di non applicarla.
Inoltre, l'art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., siccome introdotto dall'art. 1, comma 50 della legge 23 giugno 2017, n. 103, stabilisce ora che «Il pubblico ministero e l'imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza solo per motivi attinenti all'espressione della volontà dell'imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all'erronea qualificazione giuridica dei fatto e all'illegalità della pena o della misura di sicurezza».
Ciò posto, non può non essere rilevato, alla stregua anche della terminologia adottata dal Legislatore, il manifesto ed espresso disfavore che il Legislatore ha riservato all'Impugnazione di legittimità, prevista "solo per motivi" ecc., con una scelta ben precisa nel senso della tassatività delle ipotesi di ricorso.
In ragione di ciò, il ricorrente si è doluto invece dell'omesso accertamento circa la pericolosità dell'imputato, al fine della successiva eventuale applicazione della misura di sicurezza dell'espulsione, laddove però il ricorso di legittimità si presenta possibile, invece, data una lettura di stretta interpretazione, solamente nei riguardi di una misura di sicurezza all'evidenza applicata (Sez. 3, n. 45559 del 07/03/2018, Rv. 273950).
Ma nella fattispecie, non risulta essere stata applicata la misura di sicurezza.
3. Di conseguenza, il ricorso deve essere rigettato.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

 

Così deciso il 21 marzo 2019