Cassazione Civile, Sez. 6, 03 maggio 2019, n. 11739 - Mobbing alla docente affetta da patologia tumorale. Palese pretestuosità di tre sanzioni disciplinari, frequenti controlli e continue visite fiscali


 

Presidente: CURZIO PIETRO Relatore: SPENA FRANCESCA Data pubblicazione: 03/05/2019

 

Rilevato
che con sentenza in data 10 maggio- 14 luglio 2017 numero 403 la Corte d'Appello di Salerno riformava la sentenza del Tribunale della stessa sede e, per l'effetto, accoglieva la domanda di risarcimento del danno proposta da T.M.— già dipendente del MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA (in prosieguo: MIUR) in qualità di docente presso l’ISTITUTO TECNICO COMMERCIALE (in prosieguo:ITC) GENOVESI di Salerno— nei confronti del datore di lavoro e dell'ITC GENOVESI, condannando i convenuti al pagamento della complessiva somma di euro 27.918;
che a fondamento della decisione la Corte territoriale, dopo aver richiamato la definizione giurisprudenziale del mobbing e precisato che alcuni comportamenti potevano dare luogo a responsabilità datoriale anche in assenza dell'intento persecutorio unificante che qualificava il mobbing, se vessatori e mortificanti, in relazione al danno alla integrità psicofisica patito dal lavoratore, riteneva ravvisabile nella fattispecie di causa una condotta mobbizzante in danno della docente o, quanto meno, condotte vessatorie e mortificanti generatrici di responsabilità.
In particolare riteneva rilevante l’irrogazione alla T.M. da parte della dirigente scolastica, professoressa C.C., di ben tre provvedimenti disciplinari ingiustificatamente offensivi e degradanti e già dichiarati illegittimi dal giudice del primo grado. Le dichiarazioni dei testi di entrambe le parti di causa evidenziavano la palese pretestuosità delle sanzioni disciplinari; grave ed ingiuriosa appariva la contestazione di avere utilizzato impropriamente i bagni degli alunni senza tenere conto delle ragioni di salute poste a base di tale comportamento.
Altrettanto ingiustificabili apparivano le continue richieste di visite fiscali per la verifica dell'assenza della ricorrente, dovuta ad una patologia tumorale, condizione che l'Istituto non poteva non conoscere, in quanto la T.M. aveva reso edotta la scuola della necessità di terapie post operatorie.
Nell'apprezzare le deposizioni testimoniali doveva anche tenersi conto della dipendenza dei testi nei confronti della resistente e delle loro remore nel pregiudicare la posizione della C.C..
Non era poi contestato nel suo accadimento l'episodio del marzo del 2008, allorquando la T.M. veniva sottoposta a continui, improvvisi ed ingiustificati controlli del personale della scuola mentre era in aula così come non era contestato che a seguito delle continue richieste di chiarimenti formulate dalla T.M. alla dirigente in occasione dell'assenza alla verifica del 16 ottobre 2008 quest'ultima la ricevesse soltanto diverso tempo dopo.
La denigrazione della professionalità della docente era assolutamente ingiustificata, alla luce delle positive qualità confermate dai testi; la condotta era chiaramente espressiva non di un contrasto momentaneo ma di un risentimento maturato nel tempo ed anche reiteratamente manifestatosi, come lamentato della ricorrente e riscontrato dei documenti e dalle dichiarazioni testimoniali.
Tali inaccettabili comportamenti oltre ad incidere, sia complessivamente che singolarmente, sulla dignità della lavoratrice avevano provocato danni alla salute, come riscontrato degli accertamenti peritali disposti nel grado di appello.
Di tale danno era responsabile l'amministrazione a causa dell'omessa vigilanza sulla condotta della C.C., materiale autrice della condotta mobbizzante e dell'omesso adeguato intervento nonostante le reiterate segnalazioni pervenute dalla ricorrente.
che avverso la sentenza hanno proposto ricorso il MIUR e l'ITC GENOVESI di Salerno, articolato in due motivi, cui T.M. ha opposto difese con controricorso;
che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti— unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza camerale—ai sensi dell'articolo 380 bis codice di procedura civile;
che entrambe le parti hanno depositato memoria;
 

 

Considerato
che le amministrazioni ricorrenti hanno dedotto:
- con il primo motivo— ai sensi dell'articolo 360 numero 3 codice di procedura civile— violazione e falsa applicazione dell'articolo 2087 codice civile, per avere la sentenza impugnata ravvisato una condotta di mobbing pure in assenza di un intento persecutorio laddove l'accertamento di tale elemento soggettivo unificante era necessario alla configurazione della fattispecie astratta del mobbing, come elaborata dalla giurisprudenza di questa Corte.
- con il secondo motivo — ai sensi dell'articolo 360 numero 5 codice di procedura civile— omesso esame di un fatto decisivo per la controversia, consistente nella verifica dell'elemento soggettivo del mobbing, la cui sussistenza era stata contestata daH'amministrazione nella comparsa di costituzione in appello;
che ritiene il Collegio si debba respingere il ricorso;
che, invero:
- quanto al primo motivo, la sentenza impugnata non ha negato, contrariamente a quanto si assume in ricorso, il rilievo dell'intento persecutorio del datore di lavoro ai fini della integrazione della fattispecie costitutiva del mobbing ma lo ha, anzi, richiamato tra gli elementi rilevanti ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro ( pagina 3 della sentenza, in principio, sub lettera d), così conformandosi al consolidato principio enunciato da questa Corte secondo cui ai fini della configurabilità del mobbing l'elemento qualificante, che deve essere provato da chi assume di avere subito la condotta vessatoria, va ricercato non nell'illegittimità dei singoli atti bensì nell'intento persecutorio che li unifica (Cassazione civile sez. lav., 10/11/2017, n.26684; 27/11/2018, n.30673) . La Corte territoriale si è limitata, piuttosto, ad aggiungere che pur nella ipotesi di insussistenza di un intento persecutorio — e quindi di inconfigurabilità di una condotta di mobbing— il giudice del merito è comunque tenuto ad accertare se alcuni dei comportamenti denunciati possano essere considerati in sé vessatori e mortificanti per il lavoratore e, come tali, produttivi di responsabilità per il danno da questi patito alla propria integrità psico-fisica .
Quanto al secondo motivo, il giudice dell'appello non ha omesso l'esame dell'elemento soggettivo del mobbing ma lo ha anzi positivamente accertato, affermando che nei confronti della lavoratrice era stata attuata una condotta mobbizzante (pagina 3 della sentenza, terzo capoverso), alla luce della palese pretestuosità delle tre sanzioni disciplinari e della complessiva condotta della dirigente scolastica ,come precisata in sentenza, «chiaramente non espressiva di un contrasto momentaneo ed episodico, ma frutto di un risentimento maturato nel tempo ed anche presumibilmente costantemente e reiteratamente manifestatosi» (pagina 5 della sentenza, primo capoverso). Soltanto quale ulteriore ad autonoma ratio decidendi la Corte di merito ha affermato che si erano comunque verificati comportamenti ingiustamente vessatori e mortificanti, anche di per sé forieri di danni risarcibili (pagina 3 della sentenza, terzo capoverso).
che, pertanto, essendo condivisibile la proposta del relatore, il ricorso deve essere respinto con ordinanza in camera di consiglio ex articolo 375 cod.proc.civ.;
che le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
che non può trovare applicazione nei confronti dell'Amministrazione dello Stato, pur soccombente, il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, atteso che questa, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, è esentata dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr. Cass. nr. 1778/2016).
 

 

PQM

 


La Corte rigetta il ricorso. Condanna le parti ricorrenti al pagamento delle spese, che liquida in € 200 per spese ed € 4000 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002 dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale del 9 gennaio 2019