Cassazione Penale, Sez. 4, 15 maggio 2019, n. 20821 - Infortunio durante il varo di una nave. Cattiva manutenzione del cavo e mancata formazione


 

Presidente: IZZO FAUSTO Relatore: RANALDI ALESSANDRO Data Udienza: 12/02/2019

 

 

 

Fatto

 

 

 

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di L'Aquila, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha ridotto l'entità della somma fissata a titolo di provvisionale e per il resto ha confermato la declaratoria di responsabilità di C.F. in ordine al reato a lei ascritto di lesioni colpose per violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro.
La vicenda attiene all'infortunio subito dal lavoratore A.C. durante il varo non riuscito della nave "Marcelita", a seguito del quale si era proceduto alle operazioni di imbracatura e poi di alaggio della nave, nel corso delle quali un cavo si incagliò sotto la chiglia della nave, caricandosi di energia, successivamente esplosa nel momento in cui la fune riuscì a disincagliarsi, con un "effetto frusta" che colpì il lavoratore, al quale era stato affidato proprio il compito di sorvegliare il maniglione affinché scorresse lungo il suo percorso verso la nave senza incontrare ostacoli.
Si addebita alla C.F., quale legale rappresentante della S.r.l. Ortona Navi International, datore di lavoro, di avere adibito il A.C. a tale lavorazione in orario notturno, pur se sprovvisto di adeguata formazione ed addestramento per l'operazione e omettendo di dotare il cavo, in stato di cattiva manutenzione, di adeguate protezioni.
2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l'imputata, a mezzo dei propri difensori, lamentando, con unico articolato motivo, la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione agli artt. 40, 41, 43, 590 cod. pen. e alla normativa di cui al d.lgs. n. 81/2008.
I) Deduce la carenza di nesso causale fra le omissioni ascritte e l'evento, non avendo la sentenza spiegato il collegamento causale tra le supposte violazioni - principalmente quella di avere adibito il lavoratore infortunato a mansioni anomale e ad alto rischio - e le lesioni, avuto riguardo alla mancanza di conoscenza delle cause del mancato varo e quindi di consapevolezza della situazione pericolosa, affermata apoditticamente. Non si considera che l'antecedente logico-giuridico delle lesioni è costituito dal caricamento di tensione del cavo, e che la ricorrente non era a conoscenza dell'esistenza di incagli o ostacoli per la risalita della motonave. Pertanto nessuna incidenza causale assume il mancato posizionamento di barriere o la scarsa illuminazione, dal momento che gli accertamenti dei sommozzatori avevano escluso ostacoli per la risalita, ingenerando nella prevenuta un affidamento. Il caricamento di energia del cavo non è dipeso dalle omissioni della ricorrente.
Deduce che la Corte territoriale giustifica con uno standard probatorio minore la sussistenza del nesso causale, poggiandosi su un «elevato grado di probabilità logica» tipico del processo civile ed inidoneo a soddisfare il canone dell'oltre ogni ragionevole dubbio.
Rileva che, secondo la sentenza, alla C.F. è stato rimproverato non di non aver previsto il fallito varo della nave, bensì di aver tenuto, successivamente a detto fallito varo, una serie di condotte omissive, illogicamente definite come causalmente efficienti rispetto all'evento lesivo. Tuttavia, la Corte di merito omette di valorizzare l'elemento della verifica da parte dei sommozzatori e non spiega concretamente il collegamento eziologico tra le omissioni indicate e l'evento, limitandosi ad affermazioni a contenuto assiomatico sul piano della capacità di evitare l'evento, in definitiva verificatosi per l'immediata ed improvvisa rottura del cavo. La stessa sentenza impugnata riconosce, contraddittoriamente con la ritenuta colpa della C.F., che la tensione del cavo è stata "inaspettata" e subitanea, per cui le omissioni contestate non avrebbero comunque potuto evitare l'evento.
II) Deduce che le stesse norme antinfortunistiche non contemplano una condotta doverosa che la motivazione abbia individuato come omessa e collegata eziologicamente al determinismo del fatto lesivo. L'astratta assunzione della posizione di garanzia non determina di per sé l'imputabilità del fatto in capo al datore di lavoro in assenza della specifica violazione di norme cautelari.
Ili) Deduce che la sentenza non ha adeguatamente tenuto conto della delega di funzioni conferita in favore dell'ing. Luciano Pompa, giudicato separatamente e condannato per lo stesso infortunio. La delega fa espresso riferimento al conferimento delle funzioni di cui all'art. 9 d.lgs. 626/1994, operando non una semplice designazione ma una autentica delega di tutte le funzioni del servizio di protezione. La ricorrente non ha mai svolto direttamente tali funzioni, mentre all'ing. P. erano state delegate funzioni nell'immediato necessarie a neutralizzare le fonti di pericolo, costituendo a suo carico una autonoma posizione di garanzia, viste le modalità immediate ed inaspettate del fatto.
IV) Deduce che la sentenza impugnata ha omesso di esaminare la tesi alternativa prospettata dalla difesa, che ricollegava causalmente l'evento a fattori diversi dalla colpa della ricorrente, individuati nell'immediatezza ed imprevedibilità del carico di energia del cavo e della conseguente rottura, senza tenere conto dell'affidamento ingenerato dalle verifiche dei sommozzatori. La colpa genericamente addebitata alla prevenuta - di avere adibito un lavoratore non qualificato come A.C. e operazioni rischiose, il mancato posizionamento di barriere o la insufficiente illuminazione - non regge logicamente il giudizio di causalità, non integrando omissioni la cui verificazione avrebbe impedito l'evento.
 

 

Diritto

 


1. Le censure prospettate dalla ricorrente - che possono essere trattate congiuntamente in quanto accomunate dal fatto di contestare, sotto diversi profili, l'iter logico-giuridico seguito nella sentenza impugnata in relazione alla posizione di responsabilità della prevenuta ed alla configurabilità del nesso causale fra le omissioni contestate e l'evento lesivo - non colgono nel segno; conseguentemente il ricorso deve essere rigettato.
Al riguardo si deve precisare che, nonostante nella specie sia già maturato, alla data del 14.12.2015 - come già rilevato dalla Corte territoriale - il termine di prescrizione del reato, tale evento estintivo non può essere dichiarato, avendo la ricorrente formalmente rinunciato ad avvalersi dell'istituto della prescrizione.
2. Si deve premettere che nel caso che occupa ci si trova di fronte ad una c.d. "doppia conforme" di condanna, avendo entrambi i giudici di merito affermato la responsabilità di C.F. in ordine al reato a lei ascritto di lesioni colpose del A.C. per violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro. Ne deriva che le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione. Ciò tanto più ove, come in casi qual è quello che ci occupa, i giudici dell'appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, di guisa che le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 25759501; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011 - dep. 2012, Valerio, Rv. 25261501; Sez. 2, n. 5606 del 10/01/2007, Conversa e altro, Rv. 23618101).
3. Sul piano della colpa omissiva, si deve osservare che in sede di merito è stato accertato che la C.F. era presente, la sera dell'incidente, in prossimità delle operazioni che dovevano svolgersi per affrontare il noto imprevisto costituito del mancato varo serale (la nave era rimasta incagliata), per cui era stato deciso di procedere con la manovra di alaggio. Del tutto correttamente il primo giudice ha rammentato l'obbligo giuridico del legale rappresentante della società di interessarsi delle problematiche che erano sorte, al fine di adottare le misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza. E' stato puntualizzato che il rischio della vicinanza dei lavoratori al raggio di azione dei cavi non era stato previsto, né era stato preteso nella situazione di emergenza un comportamento che tenesse conto dell'insorgenza di una situazione di rischio diversa, rispetto a quella già prevista del varo, alla luce, fra l'altro, della assoluta inconsapevolezza delle cause del mancato varo, che dovevano indurre alla maggiore diligenza e prudenza possibile. Sotto questo profilo, è stato congruamente considerato che l'infortunio si è verificato nella parte del cantiere adibita al varo e all'alaggio delle navi, quindi in un'area in cui era presente un sistema di cavi, verricelli e paranchi destinati ad essere posti in tensione tramite delle funi. La mancata conoscenza delle cause del mancato varo e la vicinanza del A.C. ad una zona in cui i cavi sarebbero stati o avrebbero potuto essere improvvisamente in tensione, con possibili rotture foriere di conseguenze dannose per il lavoratore, come poi verificatosi, costituiva un insieme di fattori di rischio che i giudici di merito hanno condivisibilmente ritenuto concreti e prevedibili ex ante, e che avrebbero dovuto indurre la prevenuta, nella sua qualità di datore di lavoro, ad apprestare opportune misure, sotto forma di barriere di protezione o di adeguata copertura dei cavi, atte a proteggere il lavoratore e ad evitare il pericolo connesso allo stazionamento nella zona di tensione dei cavi stessi, misure del tutto omesse da parte della C.F.. Ciò nonostante la sua indiscutibile posizione di garanzia derivante dalla normativa prevenzionistica, ed in particolare dagli artt. 15 e 18 del d.lgs n. 81/2008, oltre che dalla norma generale di cui all'art. 2087 cod. civ. E' infatti indiscutibile che il datore di lavoro risponde dell'infortunio occorso al lavoratore, in caso di violazione degli obblighi, di portata generale, relativi alla valutazione dei rischi presenti nei luoghi di lavoro nei quali siano chiamati ad operare i dipendenti, e della formazione dei lavoratori in ordine ai rischi connessi alle mansioni, anche in correlazione al luogo in cui devono essere svolte (Sez. 4, n. 45808 del 27/06/2017, Catrambone e altro, Rv. 27107901). Inoltre, il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza, ha l'obbligo non solo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all'art. 2087 cod. civ., egli è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro. (Sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014 - dep. 2015, Ottino, Rv. 26320001).
Sono quindi prive di pregio le dissertazioni della ricorrente in ordine all'asserita inevitabilità dell'evento a ragione della improvvisa rottura del cavo, risultando adeguatamente motivato dai giudici di merito che quel rischio avrebbe potuto e dovuto essere previsto e scongiurato con le misure di protezione indicate.
4. Sulla ricostruzione del nesso causale la lettura combinata delle sentenze di merito fornisce congrua e adeguata motivazione, in cui sono stati posti in risalto una serie di fattori rilevanti: l'affidamento al A.C. di una mansione esulante dalla sua formazione e dai suoi compiti; la posizione in cui lo stesso era costretto ad operare, particolarmente vicina ai cavi in trazione e senza nessuna protezione; l'orario notturno, che avrebbe consigliato di non effettuare il varo poi risultato impraticabile, e la conseguente manovra di alaggio; il fatto stesso che il blocco dell'imbarcazione durante il varo costituiva evento inconsueto, ciò che avrebbe dovuto aumentare le cautele ed indurre la prevenuta a non destinare lavoratori impreparati e sforniti di adeguate protezioni ad operare sul campo, in ragione della obiettiva pericolosità della situazione.
In questa prospettiva, il rapporto di causalità tra omissioni contestate ed evento è stato ritenuto sussistente sulla base di un giudizio di alta probabilità logica fondato, oltre che su un ragionamento deduttivo basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto, secondo i noti principi dettati in materia dalla più recente giurisprudenza di questa Corte di legittimità (cfr. Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv. 26110301).
5. Quanto alla doglianza in ordine alla asserita delega di funzioni conferita in favore dell'ing. L.P., si deve considerare che sul punto la sentenza impugnata ha osservato insindacabilmente che dalla documentazione in atti si evince che si è trattato di una mera nomina di un responsabile del servizio di prevenzione e protezione (cd. RSPP), non accompagnata da alcuna effettiva delega operativa o da una attribuzione di poteri di spesa in capo al presunto delegato.
Ne deriva che, non avendo la ricorrente dedotto un effettivo vizio di travisamento della prova documentale in questione (ricadente cioè sul "significante"), essendosi piuttosto limitata ad assumerne un'erronea interpretazione (ricadente cioè sul "significato") da parte della Corte territoriale, la censura non è sindacabile in sede di legittimità, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze del 11/01/2018, Ferri, Rv. 27321701; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 26548201; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012 Minervinl, Rv. 25309901).
6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile che liquida come da dispositivo.
 

 

P.Q.M.
 

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile che liquida in complessivi euro 2.500,00 oltre accessori di legge.
Così deciso il 12 febbraio 2019