Cassazione Penale, Sez. 4, 15 maggio 2019, n. 20837 - Turni di lavoro massacranti per il conducente di una betoniera e incidente stradale. Responsabilità del datore di lavoro e del dirigente di fatto


 

 

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA Relatore: MENICHETTI CARLA Data Udienza: 16/04/2019

 

 

 

Fatto

 

1. La Corte di Appello di Firenze, con sentenza del 28 novembre 2017, confermava integralmente la sentenza del Tribunale cittadino, con la quale G.F. e G.R. erano stati condannati alla pena di mesi otto di reclusione, oltre al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile costituita, per il reato p. e p. dall'art. 590, commi 2 e 3, cod.pen., perché, in violazione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro, il primo quale legale rappresentante della omonima ditta e dunque datore di lavoro, il secondo quale dirigente di fatto ai sensi dell'art. 299, d.lgs. n. 81/2008, disponendo turni di lavoro massacranti di oltre dieci ore continuative anche notturne senza possibilità di riposo e tali da cagionare necessariamente cali di attenzione e concentrazione (art. 18, lett. c, d.lgs. n. 81/2008), facevano sì che il lavoratore X.S. conducente di una betoniera, subisse durante l'attività di trasporto del calcestruzzo un colpo di sonno, con conseguente incidente stradale dal quale derivavano gravi lesioni personali.
2. I giudici di merito ricostruivano concordemente e pacificamente i fatti.
La persona offesa, X.S. dipendenze della ditta individuale G.F., con mansioni di autista delle autobetoniere, il giorno 3 luglio 2010, alle ore 13.00 circa, nel percorrere la strada provinciale per tornare dal cantiere all'impianto di betonaggio della Toto S.p.A. presso il campo base sito in loc. Molino di Frassineta, era uscito di strada, abbattendo il guard-rail e rovesciandosi nella scarpata per alcuni metri. Veniva altresì accertato che la Toto S.p.A., appaltatrice dei lavori del Lotto 13 della Variante di Valico dell'autostrada Al, pur avendo propri autisti ed automezzi, aveva stipulato con la ditta individuale G.F. un contratto di nolo a caldo per avvalersi, a chiamata, degli autisti e dei mezzi di tale ditta per caricare il calcestruzzo dall'impianto di betonaggio e trasportarlo nel luogo di utilizzo del cantiere, ove, in base alla programmazione, i lavori si svolgevano a ciclo continuo di giorno e di notte.
2.1. L'istruttoria dibattimentale permetteva di appurare che la causa del sinistro era da ricondurre ad un colpo di sonno che sopraggiunse all'autista X.S. mentre era alla guida, in quanto egli non si era mai riposato dalle ore 19.31 del 1° luglio fino alle ore 10.13 del 2 luglio e poi nuovamente dalle ore 16.00 del 2 luglio fino alle 13.00 del 3 luglio, quando era stato sopraffatto dalla stanchezza accumulata. Tanto era emerso, in particolare, dai contatti telefonici intrattenuti dalla persona offesa con i datori di lavoro, nonché dalle sue stesse dichiarazioni ed annotazioni sul calendario circa i turni di lavoro, nonché dai DDT acquisiti, dai quali era possibile ricavare con precisione la presenza del X.S. sul luogo di lavoro.
2.2. I due imputati venivano condannati in quanto ritenuti entrambi titolari di una posizione di garanzia nei confronti del lavoratore: G.F., quale formale datore di lavoro del X.S., legale rappresentante dell'omonima ditta individuale, e il fratello, G.R., presente costantemente in cantiere, quale alter ego del titolare e deputato ad attuarne le direttive in sua assenza, in particolare attribuendo al lavoratore i massacranti turni di lavoro che avevano condotto all'Infortunio, così andando di fatto a ricoprire la posizione di dirigente ex art. 299, d.lgs. n. 81/2008.
3. Gli imputati, a mezzo del proprio comune difensore di fiducia, propongono ricorso per cassazione, elevando due motivi.
3.1. Con il primo motivo deducono violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla valutazione della prova dichiarativa resa dalla persona offesa ed alla mancata considerazione della deposizione dei testi della difesa. Osservano che la Corte distrettuale ha del tutto omesso di valutare l'attendibilità dei testi C. e M., i quali avevano invece fornito elementi confutanti la tesi accusatoria, mettendo in luce le incongruenze raccontate dalla persona offesa.
3.2. Con il secondo motivo lamentano vizio della motivazione circa l'affermazione di responsabilità degli imputati. Sostengono che i giudici di merito hanno fondato la condanna su un impianto indiziario insufficiente e discordante, senza valutare adeguatamente l'attendibilità o meno della persona offesa, nonché svariati elementi favorevoli alla difesa e contrari alla tesi accusatoria, quali la presenza nel campo base di alloggi della ditta G.F. a disposizione dei lavoratori per riposare, le annotazioni sul calendario, esibite solo diversi giorni dopo l'infortunio, le chiamate ricevute dal X.S. e non riconducibili agli imputati ed i documenti di trasporto; il G.R. era poi del tutto sprovvisto del ruolo di titolare di fatto della ditta.
3.3. In ultimo, i ricorrenti rappresentano come il reato per cui è processo risulti estinto per intervenuta prescrizione in data 3 gennaio 2018, concludendo per l'annullamento della sentenza impugnata.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso è inammissibile, in quanto manifestamente infondato e generico.
2. In tema di ricorso per cassazione, infatti, la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che sono inammissibili i motivi che si limitano a riprodurre le censure dedotte in appello, anche se con l'aggiunta di frasi incidentali di censura alla sentenza impugnata meramente assertive ed apodittiche, laddove difettino di una critica argomentata avverso il provvedimento attaccato e l'indicazione delle ragioni della loro decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice di merito (Sez. 2, 7801 del 19/11/2013, Hussien, Rv. 259063; Sez. 6, n. 8700 del 
21/01/2013, Leonardo ed altri, Rv. 254584; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849). Deve perciò considerarsi inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi si limitino genericamente a lamentare l'omessa valutazione di una tesi alternativa a quella accolta dalla sentenza di condanna impugnata, senza indicare precise carenze od omissioni argomentative ovvero illogicità della motivazione di questa, idonee ad incidere negativamente sulla capacità dimostrativa del compendio indiziario posto a fondamento della decisione di merito (Sez. 2, 30918 del 07/05/2015, Falbo ed altro, Rv. 264441).
3. Ciò chiarito in generale, occorre peraltro rilevare come nel caso odierno si sia in presenza di una c.d. "doppia conforme" di condanna, potendo pertanto il vizio di travisamento della prova essere dedotto con il ricorso per cassazione solamente in due ipotesi: quando il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, ovvero quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, Rv. 272018; Sez. 4, n. 5615 del 13/11/2013, Nicoli, Rv. 258432).
Come noto, poi, è assolutamente pacifico il principio per cui, in tema di integrazione delle motivazioni tra le conformi sentenze di primo e di secondo grado, se l'appellante si limita alla riproposizione di questioni di fatto o di diritto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure prospetta critiche generiche, superflue o palesemente infondate, il giudice dell'impugnazione ben può motivare per relazione; quando invece sono formulate censure o contestazioni specifiche, introduttive di rilievi non sviluppati nel giudizio anteriore o contenenti argomenti che pongano in discussione le valutazioni in esso compiute, è affetta da vizio di motivazione la decisione di appello che si limita a respingere con formule di stile o in base ad assunti meramente assertivi o distonici dalle risultanze istruttorie le deduzioni proposte (Sez. 6, n. 28411 del 13/11/2012, Santapaola ed altri, Rv. 256435; Sez. 5, n. 3751 del 15/02/2000, Re Carlo, Rv. 215722).
4. Tutto ciò considerato, osserva il Collegio che nel caso di specie i ricorrenti si limitano a lamentare la ricostruzione probatoria effettuata dai giudici di merito senza addurre alcun elemento dirimente in grado di scardinare le argomentazioni sviluppate in base ad essa. Conseguentemente, il compendio motivazionale unitario costituito dalle due sentenze di merito di condanna risulta del tutto scevro dai vizi lamentati dagli odierni ricorrenti, avendo affrontato ogni aspetto della vicenda ed avendo saggiato la portata delle deduzioni difensive, anche sotto il profilo testimoniale.
5. In particolare, infatti, in relazione al primo motivo di ricorso, i giudici di merito, alla luce delle svariate evidenze probatorie, avevano considerato le deposizioni dei testi C. e M. del tutto inattendibili e volutamente compiacenti verso gli imputati, tanto che il Tribunale le aveva persino rimesse all'attenzione della Procura. Il M., in particolare, aveva reso dichiarazioni del tutto inattendibili circa l'organizzazione dei turni di lavoro degli autisti delle autobetoniere, in accordo alle quali vi sarebbe stato persino un esubero, atteso che in ventiquattro ore non vi era spazio per i due autisti giornalieri che secondo il teste si sarebbero alternati. Entrambi i testi, poi, avevano sminuito la portata dei DDT, dei quali, debitamente firmati, non era seriamente possibile mettere in dubbio l'attendibilità. Essi testi, infine, si erano anche contraddetti fra loro, in quanto il Morelli aveva affermato di avere fatto il turno 7.30-17.00 del 3 luglio e di non avere incrociato sulla strada il X.S. alla guida dell'altra betoniera, mentre il C. aveva riferito di avere ceduto la guida della betoniera alla persona offesa alle ore 11.00 del medesimo giorno.
A fronte di tali puntuali rilievi, del tutto generiche si mostrano le doglianze dei ricorrenti, che si limitano infatti ad affermare che le deposizioni dei testi della difesa avrebbero potuto scardinare l'impianto accusatorio, senz'altro aggiungere o specificare e senza confrontarsi con le argomentazioni spese dai giudici di merito.
6. Parimenti generiche sono le doglianze espresse con il secondo motivo di ricorso. Tutti gli elementi ivi censurati dalla difesa sono stati vagliati dai giudici di merito.
6.1. Le telefonate compiute dal X.S. avevano permesso di accertare la presenza di quest'ultimo presso il luogo di lavoro negli orari di cui in contestazione nonché nei giorni e nei momenti segnati da lui stesso annotati sul proprio calendario, atteso che l'utenza dell'autista, in quegli orari, aveva agganciato sempre la medesima cella o celle viciniori, vale a dire quelle relative ai luoghi (Barberino di Mugello, loc. Ripa o loc. Collina) in cui veniva trasportato il calcestruzzo, come analiticamente indicato dalla Corte distrettuale.
6.2. Medesima funzione probatoria veniva attribuita dai giudici anche agli svariati DDT, dai quali si ricavavano chiaramente gli orari di servizio del lavoratore.
6.2. Quanto alle annotazioni sul calendario, esse venivano ritenute logiche e necessarie, poiché il X.S. non era stato formalmente assunto da G.F. e dunque aveva interesse a segnare le effettive prestazioni per potere controllare la congruità della remunerazione. 
6.3. Quanto infine agli appartamenti della ditta G.F. presso il cantiere, nei quali, secondo la difesa, il lavoratore avrebbe potuto riposare, i giudici di merito ritenevano che la difesa non avesse prodotto alcuna prova atta a dimostrare che la persona offesa se ne fosse effettivamente servita, mentre risultava che, al contrario, i periodi di pausa venivano trascorsi dal X.S. presso il luogo di lavoro dedicandosi al lavaggio del camion o ad altra piccola manutenzione.
7. La piena concordanza fra la testimonianza della persona offesa, le annotazioni manoscritte sul calendario, le telefonate ed i trasporti documentati dai DDT permettevano, portavano quindi alla ineccepibile conclusione della completa e totale credibilità del X.S., sia per quanto riguarda l'incidente (si sottolineava, infatti, come ribadito dalla Corte di Appello, che dai tabulati telefonici si desumeva con chiarezza che al momento del sinistro la persona offesa non stesse utilizzando il telefono mentre era alla guida della betoniera, con ciò smentendo la tesi difensiva per la quale l'incidente sarebbe avvenuto per distrazione dell'autista dovuta all'uso del telefono), sia per quanto riguarda complessivamente il proprio rapporto di lavoro, caratterizzato da turni orari massacranti e debilitanti.
8. Infine, quanto al G.R., la Corte di Firenze, uniformandosi ai principi di diritto più volte enunciati da questa Corte regolatrice, ha del tutto correttamente ritenuto tale imputato titolare di una posizione di garanzia di fatto ritraibile dall'art. 299, d.lgs. n. 81/2008. Come è noto, infatti, la giurisprudenza di legittimità è costante nell'interpretare l'art. 299 nel senso che l'individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensì sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto, ossia alla sua funzione formale (Sez. 4, n. 18090 del 12/01/2017, Amadessi ed altro, Rv. 269803; Sez. 4, n. 10704 del 07/02/2012, Corsi, Rv. 252676). Secondo il diritto vivente, pertanto, la disposizione in esame concretizza, dal punto di vista normativo, il principio di effettività (Sez. 4, n. 22606 del 04/04/2017, Minguzzi, Rv. 269973), nel senso che assume il ruolo di garante colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto, senza necessità di un elemento probatorio documentale o formale, potendo il giudice del merito fondare il convincimento anche su testimonianze od altri accertamenti fattuali (Sez. 4, n. 34299 del 04/06/2015, Ficara, Rv. 264410).
Ciò posto, il G.R. è stato considerato a ragione dirigente di fatto, in quanto presente costantemente in cantiere e deputato a stabilire gli orari di lavoro degli autisti: egli attuava le direttive del fratello in sua assenza ed affidava al X.S. gli orari più massacranti, nonostante quest'ultimo avesse fatto presente di sentirsi stanco, con ciò violando la precisa prescrizione normativa oggetto di incolpazione (art.18 del d.Lgs.n.81/2008) secondo cui i datori di lavoro ed i dirigenti, nell'affidare i compiti ai lavoratori, debbono tenere conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute ed alla sicurezza.
Questo argomentare della sentenza impugnata è immune da censure, in quanto frutto di un'attenta analisi del compendio probatorio e di congrua applicazione dei principi di diritto in materia prevenzionale.
9. Deve pertanto pervenirsi alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, cui segue per legge la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma, come da dispositivo, in favore della cassa delle ammende.
10. Per giurisprudenza consolidata, l'inammissibilità dei ricorsi preclude a questa Corte di rilevare d'ufficio l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione (Sez. Un., n. 12602 del 17/12/2015, Ricci, Rv. 266818; Sez. Un., n. 23428 del 22/03/2005, Bracale, Rv. 231164).
 

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila ciascuno a favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 16 aprile 2019