Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 1, 21 maggio 2019, n. 22114 - Alterazione del tachigrafo installato sul trattore stradale


 

Presidente: CASA FILIPPO Relatore: MINCHELLA ANTONIO Data Udienza: 12/03/2019

 

 

 

Fatto

 


1. Con sentenza in data 21/01/2016 il Tribunale di Potenza condannava S.P. alla pena di mesi sei di reclusione (con sospensione condizionale della stessa) per avere concorso all'Installazione su di un trattore stradale di un dispositivo elettronico in grado di inibire i dati relativi alla velocità e ai tempi di guida forniti dall'apparecchio destinato a prevenire disastri ed infortuni sul lavoro. Si legge in sentenza che in data 29/06/2012 la Polizia Stradale di Potenza procedeva ad un controllo su di un complesso veicolare che transitava nell'agro di Vietri di Potenza e che era condotto da P.A.; la verifica sul tachigrafo digitale conduceva a scoprire che era stato applicato un meccanismo che distaccava quel sensore che procedeva alla registrazione dei dati: di conseguenza, il cronotachigrafo poteva non registrare l'attività di guida del conducente ed il rispetto delle pause da quella attività di conduzione; si scopriva altresì che il blocco del sensore avveniva premendo il tasto di una plafoniera posta nell'abitacolo del guidatore, la quale era stata modificata appunto per essere collegata al dispositivo anzidetto; peraltro, il tecnico incaricato dalla polizia giudiziaria confermava che il congegno elettronico installato falsava il funzionamento del tachigrafo digitale, il quale non rilevava più le anomalie di marcia, ed era comandato appunto dalla "luce di cortesia" posta sopra la testa del conducente del veicolo: anzi, dai dati registrati che indicavano errori nel movimento si deduceva trattarsi, in realtà, di periodi di marcia dell'automezzo che non erano stati registrati. Concludeva il Tribunale che il proprietario del mezzo, e cioè l'imputato, doveva rispondere del reato poiché l'elusione dei controlli sui tempi di percorrenza rispondeva ad un suo precipuo interesse a discapito dell'Incolumità pubblica e, del resto, l'azione complessiva non poteva avere altro senso. Si negava il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche per la mancanza di elementi positivi.
2. Interponeva appello l'imputato, sostenendo che l'alterazione del tachigrafo era soltanto un illecito amministrativo e lamentando comunque il trattamento sanzionatorio inflitto.
3. Con sentenza in data 24/11/2017 la Corte di Appello di Potenza confermava la condanna del S.P., assolvendo invece il conducente dell'automezzo. Rilevava la Corte di Appello che era incontestabile l'installazione del dispositivo che eludeva il controllo sui tempi di percorrenza consentendo al conducente di guidare ininterrottamente: tale condotta era considerata quale reato per giurisprudenza ormai consolidata e il solo S.P., quale proprietario del mezzo, aveva la disponibilità piena del veicolo e la possibilità di far installare il dispositivo illegale. La mera incensuratezza non poteva giustificare il riconoscimento di circostanze attenuanti generiche.
4. Avverso detta sentenza propone ricorso il condannato per mezzo del difensore Avv. F., deducendo, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen., manifesta illogicità della motivazione: sostiene che non vi era stata prova che fosse il proprietario il preposto alla sicurezza del veicolo per cui la sua responsabilità era derivata dalla sola proprietà del mezzo, la quale però non dimostrava una piena disponibilità poiché l'automezzo era condotto da altri e nemmeno era stata dimostrata la qualifica di datore di lavoro del ricorrente.
5. In udienza le parti hanno concluso come indicato in epigrafe.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso deve essere rigettato poiché infondato.
È opportuno premettere, avendo costituito argomento dibattuto nel processo, che non sussiste rapporto di specialità tra la disposizione di cui all'art. 179 del codice della strada - che punisce con una sanzione amministrativa colui che mette in circolazione un veicolo con cronotachigrafo manomesso - e quella di cui all'art. 437 cod. pen. - che sanziona l'omessa collocazione, la rimozione o il danneggiamento di apparecchiature destinate a prevenire infortuni sul lavoro - stante la diversità non solo dei beni giuridici tutelati (rispettivamente la sicurezza della circolazione stradale, la prima, e la sicurezza dei lavoratori, la seconda), ma anche strutturale tra le fattispecie, sotto l'aspetto oggettivo e soggettivo: questa Corte ha già affermato che non è configurabile il solo illecito amministrativo stradale nella condotta del datore di lavoro, amministratore di una società di autotrasporti, che imponga ai conducenti degli automezzi di utilizzare accorgimenti per eludere la corretta registrazione dei dati dei cronotachigrafi istallati sui medesimi (Sez. 1, n. 47211 del 25/05/2016, Rv. 268892).
2. Lamenta il ricorrente che la responsabilità penale sarebbe stata affermata sulla scorta della sola proprietà dell'automezzo, la quale però non dimostrava una piena disponibilità in quanto l'automezzo medesimo era condotto da altri e non era stata dimostrata la qualifica di datore di lavoro del ricorrente.
Si tratta di argomentazioni che non possono essere accolte.
La sentenza impugnata non fa derivare la dichiarazione di responsabilità penale dalla mera proprietà del veicolo, bensì muove dalla inoppugnabilità dell'apposizione di un dispositivo che alterava le registrazioni del cronotachigrafo (nemmeno il ricorrente solleva censure su questo dato di fatto) e, ragionando a ritroso, compie un percorso logico che si articola tra i momenti dell'occasione, della possibilità e del movente di tale apposizione.
Così, il punto di partenza era quello per cui il dispositivo illecitamente installato consentiva l'elusione sui tempi di percorrenza e di sosta, non registrando la conduzione senza interruzione del veicolo: pertanto, occorreva che vi fosse la possibilità di accedere al veicolo, di installare il dispositivo e di sistemare l'azionamento del comando nella cabina di guida; questa possibilità - evidenzia la Corte territoriale - certamente ricadeva sul ricorrente, il quale era proprietario dell'automezzo e ne aveva la piena disponibilità, sì da poter ordinare, consentire ed effettuare quella installazione.
Ma questo dato veniva correlato poi ad un altro elemento individualizzante e cioè la ragione e l'interesse sotteso all'installazione del dispositivo illecito, che riconduceva esclusivamente al ricorrente.
Così dipanata, la motivazione segue un percorso logico e lineare, privo di balzi irragionevoli e di vizi giuridici, non sindacabile in sede di legittimità.
Le doglianze prospettate dal ricorrente appaiono invece orientate a riprodurre un quadro di argomentazioni già esposte nel giudizio di merito, ed ivi ampiamente vagliate e correttamente disattese dal giudice, ovvero a sollecitare una rivisitazione meramente fattuale delle risultanze processuali, poiché imperniata sul presupposto di una valutazione alternativa delle fonti di prova, in tal guisa richiedendo l'esercizio di uno scrutinio improponibile in questa Sede, a fronte della linearità e della logica consequenzialità che caratterizzano la scansione delle sequenze motivazionali dell'impugnata decisione, la quale non può più essere vagliata alla luce di un non consentito sindacato sulla congruità di scelte valutative compiutamente giustificate dal giudice, che ha adeguatamente ricostruito il compendio storico-fattuale posto a fondamento del tema d'accusa.
3. Il ricorso deve dunque essere rigettato: al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 12 marzo 2019.