Brevi considerazioni de iure condendo su asseverazione e dintorni

Intervento programmato all'incontro di studio L'asseverazione dei modelli di organizzazione e di gestione della sicurezza sul lavoro (Urbino, 10 maggio 2019)

 

Chiara Lazzari

 

1. È molto difficile dire qualcosa di nuovo in tema di asseverazione al termine di una mattinata così ricca di interventi a tutto campo sull'argomento.

In questa breve riflessione mi ricollegherò, pertanto, ad alcune sollecitazioni provenienti da chi mi ha preceduto, cercando di collocare il ragionamento in un quadro più generale. Lo scorso dicembre, a Roma, si è svolto, infatti, un importante convegno, organizzato da Olympus in collaborazione con l'Avvocatura Inail, nel decennale dell'approvazione del d.lgs. n. 81/2008[1], il quale ha rappresentato altresì l'occasione per ragionare, in una prospettiva de iure condendo, sulle criticità, che, in tale arco temporale, sono emerse dall'applicazione della citata normativa.

Quest'ottica mi pare interessante anche ai nostri fini.

Innanzitutto, come già sottolineato da altri, l'esperienza ha dimostrato la difficoltà d'impedire la proliferazione di organismi paritetici (d'ora in poi: OP) non genuini, in quanto costituiti da associazioni sindacali e datoriali prive del requisito della maggiore rappresentatività comparata sul piano nazionale, invece richiesto dall'art. 2, comma 1, lett. ee, d.lgs. n. 81/2008[2] [3]. Benché questo problema sia stato particolarmente avvertito a proposito della collaborazione fra OP e datore di lavoro nell'adempimento dell'obbligo formativo ai sensi dell'art. 37, comma 12, dello stesso decreto - come confermano le precisazioni contenute al riguardo sia in varie circolari ministeriali che negli Accordi Stato-Regioni in materia di formazione[4] - il profilo appare di fondamentale importanza anche ai fini dell'asseverazione. Infatti, se è vero che l'intenzione del legislatore è quella di premiare in qualche misura chi opera nel sistema della pariteticità, con tutta evidenza ritenuto in grado di contribuire a realizzare assetti di prevenzione aziendale maggiormente affidabili, come emerge dalla previsione secondo cui l'asseverazione costituisce un elemento considerabile dagli organi di vigilanza nella programmazione delle proprie attività[5], il presupposto perché ciò avvenga è che, a monte, il criterio di selezione fra gli OP operi efficacemente. E, in proposito, è indubbio che l'accertamento del possesso del requisito ricordato sconti tutte le incertezze che si registrano, più in generale, nel diritto sindacale italiano e che, periodicamente, inducono a riproporre l'introduzione, in via legislativa, di meccanismi di misurazione effettiva della rappresentatività, sul modello di quanto previsto da tempo nel pubblico impiego. Mi chiedo, allora, se non sia il caso di rilanciare l'idea[6], da sostenere adeguatamente nelle sedi opportune, di un repertorio ufficiale degli OP abilitati a svolgere le funzioni ad essi attribuite dal d.lgs. n. 81/2008, istituito, regolato e implementato dal Ministero del lavoro, previa modifica in tal senso dello stesso decreto.

 

2. Ma questo non sembra l'unico versante su cui il legislatore potrebbe intervenire.

Abbiamo ricordato questa mattina le interessanti esperienze maturate in seno ad alcuni importanti sistemi bilaterali/paritetici, che hanno cercato di colmare il vuoto normativo determinato dalla mancata individuazione di criteri metodologici per lo svolgimento dell'attività di asseverazione, provvedendo a definirli autonomamente: alludo alle due prassi di riferimento dei settori delle costruzioni edili e di ingegneria civile e dell'igiene ambientale, entrambe validate dall'UNI[7]. In proposito, credo che la naturale vocazione autoregolativa della pariteticità, chiamata a interpretare le specificità dei singoli settori, debba essere sostenuta dal legislatore sul piano della certezza delle regole giuridiche. Il che, beninteso, non svaluta minimamente o delegittima o, tanto meno, vanifica, quanto fatto nei vari sistemi; né, per converso, l'eventuale, perdurante assenza di una disciplina legislativa di dettaglio deve costituire, per la pariteticità, un comodo alibi per impedire all'istituto di funzionare. Si tratterebbe, piuttosto, di supportare tale vocazione, che, anzi, potrebbe meglio svilupparsi in un quadro normativo chiaro e affidabile, nel quale, ad esempio, fosse attribuito alla Commissione consultiva permanente il compito d'individuare criteri univoci per l'attività in parola, poi declinabili in base alle peculiarità dei singoli settori.

Insomma, da un lato, il legislatore mostra di voler ampiamente investire sulla pariteticità; e si tratta di un investimento indubbiamente audace, sol che si pensi alla finora scarsa diffusione, nel sistema di relazioni industriali italiano, di prassi partecipative, ma che certo si muove nel solco dell'implementazione, nella materia considerata, di logiche non conflittuali, incoraggiata in primis dalla normativa comunitaria. Dall'altro lato, occorrerebbe dare maggior concretezza a tale intenzione.

Ciò anche perché il bagaglio d'esperienza acquisibile sul versante dell'asseverazione, meglio sostenuta da un intervento di manutenzione legislativa, potrebbe essere utilmente speso dagli OP in modo ancora più strategicamente rilevante, come emerso altresì dal dibattito di questa mattina: ossia supportando le imprese - specie di modeste dimensioni, parlandosi di artigianato - a monte, nella fase di assistenza alla progettazione e realizzazione di idonei modelli di organizzazione e di gestione (MOG), la cui adozione diffusa, promossa dalla bilateralità secondo le procedure semplificate elaborate dalla Commissione consultiva permanente e recepite col decreto ministeriale 13 febbraio 2014, potrebbe davvero costituire un passo in avanti notevole - in termini di effettività ed efficacia dell'intero sistema prevenzionistico - in un Paese, come l'Italia, il cui tessuto produttivo è prevalentemente composto da medie, piccole e micro imprese.

Prospettiva, questa, in linea, del resto, con l'art. 51, comma 3[8], d.lgs. n. 81/2008 a proposito del sostegno, offerto dalla pariteticità, al sistema imprenditoriale nell'individuazione di soluzioni tecniche e organizzative dirette a garantire e migliorare la tutela della salute e sicurezza sul lavoro, tra cui rientrano certamente i modelli citati, in quanto destinati a intervenire sul piano della prevenzione primaria. In tal modo, si conferma che il contributo alle imprese degli OP non riguarda soltanto la verifica, a valle, di quanto da esse realizzato dal punto di vista dell'organizzazione della sicurezza (ed è questo il versante su cui opera l'asseverazione), bensì anche, a monte, la fase della vera e propria costruzione della stessa. Non a caso, le prassi di riferimento adottate nei settori delle costruzioni edili e di ingegneria civile e dell'igiene ambientale prevedono che la commissione paritetica, tecnicamente competente, possa formulare osservazioni e raccomandazioni, al fine di superare le criticità, relative al MOG sottoposto a valutazione in sede di asseverazione, eventualmente rilevate. Emerge, quindi, come la stessa valorizzazione dei modelli in questione, così centrali nell'impianto del d.lgs. n. 81/2008, passi necessariamente per la parallela valorizzazione del supporto della pariteticità.

 

3. Proprio nel settore delle costruzioni edili e di ingegneria civile, alla prassi di riferimento ha fatto seguito, nel novembre 2014, la firma, fra la Commissione Nazionale dei Comitati Paritetici Territoriali e il Ministero del lavoro, di un Protocollo d'intesa volto a dare rilievo all'ottenuta asseverazione ai fini della programmazione dell'attività di vigilanza, secondo il modello indicato dal legislatore, in modo che, come si esprime la Relazione d'accompagnamento al d.lgs. n. 106/2009, «in linea di massima, gli accessi ispettivi vengano pianificati innanzitutto in aziende ove il “controllo sociale” della bilateralità non abbia operato». In proposito, risulta chiaro come tale possibile effetto, che si concretizza in una sorta di scivolamento verso il basso in un ipotetico ordine di priorità negli interventi ispettivi, imponga comunque di garantire un adeguato livello di qualità dell'attività di asseverazione, la quale investe anche il piano della formazione dei componenti delle commissioni paritetiche chiamate a svolgerla, non a caso definite dal legislatore «tecnicamente competenti»[9]. E, tuttavia, ferma restando l'autorevole supplenza esercitata dalle iniziative Inail in materia ricordate stamattina, anche questo aspetto deve fare i conti con l'assenza di standard normativi di riferimento sulle conoscenze e abilità richieste agli asseveratori e con la mancata individuazione di specifici percorsi formativi per essi, così delineandosi un altro versante per un possibile intervento legislativo.

 

4. Le perplessità sull'indeterminatezza dell'istituto si fanno più forti laddove, mettendo in relazione l'art. 16, comma 3, secondo periodo, d.lgs. n. 81/2008 con l'art. 51, comma 3 bis, seconda parte, dello stesso decreto, si ritenesse l'attività di asseverazione idonea a far sorgere, fatta salva la prova contraria, la presunzione dell'assolvimento dell'obbligo di vigilanza del delegante sul delegato, che pare posta dal legislatore «in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all'articolo 30, comma 4»[10] (ovviamente purché la procedura di asseverazione risulti fondata su di una scrupolosa valutazione del profilo relativo all'esistenza ed efficacia del sistema ex art. 30, comma 4, d.lgs. n. 81/2008, con particolare riferimento al controllo sull'esercizio delle funzioni delegate). Si tratta di un aspetto affrontato più nel dettaglio da altri interventi, ma qui preme rimarcare come, in un'ottica siffatta - dalla quale, cioè, potrebbe derivare un'attenuazione delle responsabilità del datore di lavoro in quanto delegante - la richiesta di criteri metodologici, chiari e omogenei, per lo svolgimento dell'attività in questione diventi ancora più urgente.

 

5. Infine, una sua più completa caratterizzazione a livello legislativo potrebbe consentire all'asseverazione di meglio svolgere l'importante ruolo, che pare esserle attribuito, di collante fra il modello di controllo interno al sistema aziendale, imperniato sulla figura del datore di lavoro, primo responsabile dell'adempimento dell'obbligo di sicurezza e “primo controllore”, e quello di controllo esterno, tanto di tipo sociale, affidato agli OP, quanto, tramite quest'ultimo, di natura istituzionale, esercitato dai servizi ispettivi. E, in ultima analisi, anche di tipo giurisdizionale, dato che, tramite l'art. 30 d.lgs. n. 81/2008, la sicurezza intesa come sistema organizzato - e, attraverso essa, la complessiva organizzazione aziendale - entra nel processo per essere vagliata e giudicata; sì che, dopo il citato decreto, la libertà sancita dall'art. 41, comma 1, Cost. - sub specie di libertà d'organizzazione - si mostra sempre meno impermeabile al controllo giurisdizionale sul rispetto del diritto alla salute e alla sicurezza, proprio in ragione del più chiaro radicarsi del relativo obbligo nell'organizzazione d'impresa e nell'esercizio dei poteri gestionali. Tanto che le responsabilità datoriali risulteranno d'ora in poi sempre più legate a carenze di natura organizzativa.

 

6. Quest'ultima osservazione mi consente una considerazione finale sui possibili intrecci fra MOG, asseverazione e art. 2087 c.c.

Nell'ampio dibattito che si è sviluppato in materia, penso anch'io che l'asseverazione riguardi non già il corretto adempimento dei singoli obblighi gravanti sul datore di lavoro, ma esclusivamente i modelli ex art. 30 d.lgs. n. 81/2008, la cui adozione ed efficace attuazione costituisce, certo, un utile ausilio, di tipo organizzativo, per l'osservanza di quelli, senza, però, che sia intaccato il fondamento ultimo di tali responsabilità, sancito nell'art. 2087 c.c. La conclusione, del resto, in una materia in cui il diritto comunitario ha da tempo assunto un ruolo decisivo, sembra in linea con il rigore con cui le autorità sovranazionali interpretano il principio della responsabilità datoriale, che può essere esclusa o limitata solo «per fatti dovuti a circostanze...estranee, eccezionali e imprevedibili, o a eventi eccezionali, le conseguenze dei quali sarebbero state comunque inevitabili, malgrado la diligenza osservata» (art. 5 Direttiva 89/391/CEE). E, d'altra parte, la stessa giurisprudenza nazionale esclude l'operatività del principio di affidamento nella misura in cui afferma che nemmeno l'assenza di contestazioni, in sede ispettiva, è idonea a mettere il datore di lavoro al riparo da eventuali conseguenze in caso di successivi infortuni.

Peraltro, se l'adozione del modello di organizzazione e di gestione, e relativa asseverazione, formalmente si pongono su di un piano, volontario e per così dire “collettivo”, ulteriore e distinto rispetto a quello degli obblighi connessi alle singole posizioni di garanzia, non è escluso che l'auspicabile diffusione di tali modelli, specie laddove asseverati, possa avere riflessi anche sotto il profilo individuale, ad esempio contribuendo all'affermazione, nella giurisprudenza, di un'interpretazione dell'art. 2087 c.c. sempre più orientata in chiave organizzativa. Del resto, il contenuto dell'obbligo di sicurezza ivi posto si precisa proprio in relazione a una normativa - il d.lgs. n. 81/2008, che costituisce specificazione, e sviluppo, del precetto, a contenuto aperto, sinteticamente individuato dalla norma codicistica - la quale si articola, per l'appunto, attorno a un concetto di prevenzione di tipo organizzativo.
Da un lato, cioè, non è da escludere che si possa determinare un ampliamento di tale obbligo, laddove il MOG, specie se asseverato, possa essere annoverato fra quelle misure preventive suggerite dall'evoluzione della tecnica, anche organizzativa, e dall'esperienza, allorché ne sia dimostrata l'efficacia prevenzionale e la diffusione nel settore. Per altro verso, l'adozione ed efficace attuazione del modello, nonché l'ottenuta asseverazione, potrebbero rappresentare una seria indicazione di ciò che appare generalmente praticabile in un dato contesto produttivo, una sorta di standard di riferimento nell'interpretazione dell'art. 2087 c.c., che potrebbe anche determinare un qualche alleggerimento nella posizione debitoria finale del datore di lavoro che quella misura preventiva abbia implementato.

Dal punto di vista scientifico, mi pare che questo sia uno dei terreni d'indagine più interessanti, che meriterebbe ben altro approfondimento rispetto a quello qui consentito.

 

Riferimenti bibliografici

ANGELINI A., Intervento al Convegno La cultura della sicurezza fra organizzazione e formazione (Bari, 20 novembre 2015), dattiloscritto.

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[1]          Il riferimento è al convegno sul tema Salute e sicurezza sul lavoro a dieci anni dal d.lgs. n. 81/2008. Tutele universali e nuovi strumenti regolativi (Roma, 12-14 dicembre 2018), i cui Atti sono in corso di pubblicazione nella Collana Diritto del Lavoro nei sistemi giuridici nazionali, integrati e transnazionali, edita da Franco Angeli.

[2] Secondo tale norma, gli OP sono, infatti, «organismi costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, quali sedi privilegiate per: la programmazione di attività formative e l'elaborazione e la raccolta di buone prassi a fini prevenzionistici; lo sviluppo di azioni inerenti alla salute e alla sicurezza sul lavoro; l'assistenza alle imprese finalizzata all'attuazione degli adempimenti in materia; ogni altra attività o funzione assegnata loro dalla legge o dai contratti collettivi di riferimento».

[3] «La formazione dei lavoratori e quella dei loro rappresentanti deve avvenire, in collaborazione con gli organismi paritetici, ove presenti nel settore e nel territorio in cui si svolge l'attività del datore di lavoro, durante l'orario di lavoro e non può comportare oneri economici a carico dei lavoratori».

[4] Cfr. le circolari del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 29 luglio 2011, n. 20 e del 5 giugno 2012, n. 13, nonché la Nota 8 giugno 2015, n. 9483, cui adde le linee guida della Conferenza Stato-Regioni del 25 luglio 2012, interpretative degli accordi sulla formazione del 21 dicembre 2011, e l'accordo approvato nella stessa sede il 7 luglio del 2016 in materia di formazione di RSPP e ASPP.

[5] Cfr. l'art. 51, comma 3 bis, seconda parte, d.lgs. n. 81/2008: «Gli organismi paritetici, su richiesta delle imprese, rilasciano una attestazione dello svolgimento delle attività e dei servizi di supporto al sistema delle imprese, tra cui l'asseverazione della adozione e della efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione della sicurezza di cui all'articolo 30, della quale gli organi di vigilanza possono tener conto ai fini della programmazione delle proprie attività».

[6] V., infatti, già l'Avviso comune fra Confindustria, Cgil, Cisl e Uil, adottato nell'agosto 2015.

[7] Cfr. UNI/PdR n. 2/2013 e UNI/PdR n. 22/2016.

[8] «Gli organismi paritetici possono supportare le imprese nell'individuazione di soluzioni tecniche e organizzative dirette a garantire e migliorare la tutela della salute e sicurezza sul lavoro».

[9] Art. 51, comma 3 ter, d.lgs. n. 81/2008: «Ai fini di cui al comma 3 bis, gli organismi paritetici istituiscono specifiche commissioni paritetiche, tecnicamente competenti».

[10] Secondo il citato art. 16, comma 3, infatti, l'obbligo di vigilanza, posto in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento, da parte del delegato, delle funzioni trasferite, «si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all'articolo 30, comma 4».