Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 28 maggio 2019, n. 23246 - Infortunio della lavoratrice "in nero" di un ristorante durante la pulizia della cappa di aspirazione della cucina. Prescrizione


 

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: DAWAN DANIELA Data Udienza: 20/02/2019

 

 

 

Fatto

 

1. Il 04/05/2018, la Corte di appello di Salerno ha confermato la sentenza del Tribunale che condannava A.B. alla pena (sospesa) di mesi 6 di reclusione e al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile da liquidarsi in separata sede nonché al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva liquidata in euro 3.000,00 nonché alla rifusione delle spese da quella sostenute.
2. L'imputato era chiamato a rispondere del reato di cui all'art. 590, cod. pen. perché, in qualità di legale rappresentante della ditta Al Vecchio Convento, sita in Montecorvino Pugliano, e datore di lavoro di C.A., con violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro e, in particolare, per colpa specifica - artt. 4 e 389 lett. c), d.P.R. n. 547/1955 - consistita nell'omettere di attuare idonee misure di sicurezza al fine di evitare il verificarsi di incidenti e segnatamente di adottare le necessarie misure di protezione per la friggitrice nonché per colpa generica, ne cagionava l'incidente dalla quale la C.A. riportava lesioni personali superiori a 40 giorni (in Montecorvino Pugliano, il 04/02/2008).
3. Il fatto per come ricostruito dai Giudici di merito è il seguente: ad C.A. che lavorava "in nero" presso il ristorante Al Vecchio Convento, con mansioni di addetta alla pulizia e alla cucina, era stato richiesto di effettuare la pulizia della cappa di aspirazione della cucina. Servendosi di una sedia (non essendo possibile, per la ristrettezza dello spazio, utilizzare una scala) saliva, dunque, sul piano cottura e mentre avanzava lungo questo non si rendeva conto che era stata accesa la macchina friggitrice così finendo inavvertitamente con l'appoggiare il piede sinistro nell'olio bollente, procurandosi ustioni in parte del piede e della gamba.
4. Avverso la prefata sentenza, l'imputato, a mezzo del difensore, interpone ricorso per Cassazione fondato su due motivi. Con il primo, deduce vizio di motivazione anche sotto il profilo del travisamento del fatto. La Corte di appello non ha tenuto in conto i rilievi della difesa sulla inattendibilità della persona offesa costituita parte civile la quale vanta un rilevante interesse economico stante che la sua domanda di risarcimento era stata rigettata in sede lavoristica per carenza di prova. A conferma della falsità del contenuto delle dichiarazioni della persona offesa, il ricorrente richiama le testimonianze di S.R., di R.A., ispettore dell'INAIL e del teste dell'accusa e L.M., ispettore del lavoro, i quali ultimi due avevano manifestato qualche perplessità sulle modalità di accadimento dell'infortunio; di G.B. e della stessa C.A. la quale aveva affermato di non sapere che la friggitrice era accesa, non salendoci in caso contrario. La persona offesa, quindi, reputava improbabile pulire la cappa - come ella si era accinta a fare - salendo sul vano ove era in funzione la friggitrice. Improbabile, inoltre, che non si sia accorta, nonostante i vapori, che questa era accesa.
Peraltro, l'imputato aveva evidenziato l'impossibilità materiale di salire in piedi sul vano ove si trovava la friggitrice. È, conseguentemente, innegabile che la persona offesa abbia tenuto un comportamento abnorme, del tutto non prevedibile dal datore di lavoro, essendosi concretizzato un rischio diverso da quello che questi avrebbe potuto evitare.
Con il secondo motivo, si lamenta l'omessa motivazione in ordine alla mancata assunzione di una prova decisiva rappresentata da una perizia disposta ai sensi dell'art. 507 cod. proc. pen.
 

 

Diritto

 


1. Osserva il Collegio che sussistono i presupposti per rilevare, ai sensi dell'art. 129, comma 1, cod. proc. pen., l'intervenuta causa estintiva del reato per cui si procede, essendo spirato il relativo termine di prescrizione massimo.
Deve rilevarsi che il ricorso in esame non presenta profili di inammissibilità, per la manifesta infondatezza delle doglianze ovvero perché basato su censure non deducibili in sede di legittimità, tali, dunque, da non consentire di rilevare l'intervenuta prescrizione.
Sussistono, pertanto, i presupposti, discendenti dalla intervenuta instaurazione di un valido rapporto processuale di impugnazione, per rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen. maturate, come nel caso di specie, successivamente rispetto all'adozione della sentenza impugnata.
E’ poi appena il caso dì sottolineare che risulta superfluo qualsiasi approfondimento al riguardo, proprio in considerazione della maturata prescrizione: invero, a prescindere dalla fondatezza o meno degli assunti del ricorrente, è ben noto che, secondo consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, qualora già risulti una causa di estinzione del reato, non rileva la sussistenza di eventuali nullità, addirittura pur se di ordine generale, in quanto l'inevitabile rinvio al giudice di merito è incompatibile con il principio dell’immediata applicabilità della causa estintiva (cfr. Sez. U., n. 1021 del 28.11.2001, dep. 2002, Cremonese, Rv. 220511) e non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in presenza, come nel caso di specie, di una causa di estinzione del reato, quale la prescrizione (v. Sez. U., n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv.244275).
Si osserva, infine, che non ricorrono le condizioni per una pronuncia assolutoria di merito, ai sensi dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen., in considerazione delle congrue e non illogiche valutazioni rese dalla Corte di appello nella sentenza impugnata: non emergendo, dunque, all'evidenza circostanze tali da imporre, quale mera "constatazione" cioè presa d'atto, la necessità di assoluzione (Sez. U., n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv.244274), discende di necessità la pronunzia in dispositivo.
2. Si impone, pertanto, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata ai fini penali perché il reato è estinto per prescrizione. Deve invece essere rigettato il ricorso ai fini civili, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile che vanno liquidate in complessivi euro 2.500,00, oltre accessori come per legge.
 

 

P.Q.M.
 

 

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata ai fini penali perché il reato è estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso ai fini civili e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile che liquida in complessivi euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso il 20 febbraio 2019