Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 06 giugno 2019, n. 25133 - Infortunio mortale di un operaio investito da un treno in corsa. Mancanza di idonea organizzazione protettiva delle persone addette a lavori sui binari in esercizio


Presidente: MENICHETTI CARLA Relatore: DI SALVO EMANUELE Data Udienza: 07/03/2019

 

Fatto

 


1. I ricorrenti impugnano la sentenza in epigrafe indicata, inerente al reato di cui agli artt. 41,113 e 589, commi 1 e 2, cod. pen. perché, il M. in qualità di Capo reparto esercizi impianti segnalamento e sicurezza IS 1, Firenze; il B. di capo zona; il C. di tecnico della manutenzione dell'Unità territoriale di Firenze, con mansioni di capo- squadra, preposto alla protezione del cantiere di lavoro; T. di Dirigente del movimento presso la Stazione ferroviaria di Firenze Rifredi, per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e in violazione delle disposizioni di servizio concernenti l'obbligo di predisporre un'apposita e idonea organizzazione protettiva per le persone addette a lavori sui binari in esercizio, onde assicurarne l'incolumità al passaggio dei treni, e nell'aver omesso di adempiere ai doveri di adeguata, specifica ed effettiva informazione, formazione e addestramento dei lavoratori, con riferimento ai rischi specifici correlati all'esecuzione di lavori sui binari in esercizio e di adottare le misure appropriate affinché soltanto i lavoratori che avevano ricevuto adeguate istruzioni e specifico addestramento accedessero alle zone che li esponevano ai rischi relativi a tali lavori; non disponendo che si procedesse in regime di interruzione del binario, come sarebbe stato corretto, bensì in regime di liberazione del binario su avvistamento, peraltro in assenza di formale assegnazione degli incarichi e precisa individuazione della distanza di sicurezza e del punto di avvistamento, non sussistendo la possibilità di avvistare il treno alla "distanza di sicurezza", calcolabile in non meno di metri 830, laddove in concreto era possibile avvistare i treni provenienti da nord solo alla distanza di metri 200 circa, per la presenza di una curva e di una barriera antirumore, che limitavano la visuale, ed in considerazione altresì dell'orario notturno, dell'assenza di illuminazione e delle caratteristiche della sede dei lavori, in cui vi era un fascio di sette binari paralleli, raccordati da svariati deviatoi; non ricoverando la squadra in luogo sicuro, al transito dei treni; non adoperandosi per eliminare la situazione di pericolo grave e incombente, correlata al passaggio contemporaneo di due convogli, provocavano l'investimento e il conseguente decesso dell'operatore R.D., il quale veniva travolto da un treno regionale su un binario su cui la squadra si era spostata per il sopraggiungere, sul binario adiacente dove operava, di un treno merci.
2. M. deduce violazione di legge e vizio di motivazione, poiché non sussistono disposizioni normative che configurino relativamente al capo -reparto una posizione di garanzia e difetta, d'altronde, la violazione di una regola cautelare, in quanto la disciplina che si assume trasgredita non configura una regola cautelare ma precautelare, che non è destinata a prevenire eventi del tipo di quello che si è verificato e che non ha avuto alcuna diretta e immediata rilevanza causale rispetto alla produzione dell'evento dannoso. Erroneamente è stata affermata l'identità di funzioni tra capo-reparto e capo-zona (nella specie, B.), travisando la testimonianza di L.M.. Compito del capo reparto è infatti soltanto quello di effettuare un controllo "a campione", nell'ambito di un monitoraggio di carattere discontinuo e suppletivo rispetto a quello di competenza del capo zona, in presenza di una pluralità di soggetti subordinati al capo reparto (capi zona e preposti), cui è rimesso un controllo costante e ininterrotto del rispetto delle prescrizioni in tema di sicurezza da parte dei lavoratori, come chiarito anche dal teste S.. E comunque il capo reparto ha solo un obbligo di segnalazione delle difformità operative eventualmente rilevate. E' d'altronde indubitabile che i lavoratori avessero ricevuto adeguate istruzioni e specifico addestramento, come risulta documentalmente comprovato dallo svolgimento di molteplici corsi tenuti nella specifica materia appena qualche mese prima dell'infausto evento. Non vi sono risultanze probatorie sulla base delle quali si possa pervenire ad affermare che il capo reparto avrebbe potuto e dovuto sapere che l'avvistamento non avveniva mediante vedette ma anche con l'ausilio di un tecnico in cabina o in contatto telefonico con il dirigente del movimento, modalità di avvistamento che comunque non integra una prassi contra legem, essendo anzi prevista la necessità di contatti anche telefonici fra squadre e ufficio dei dirigenti. Nè i giudici hanno indicato gli elementi da cui hanno desunto l'effettiva consapevolezza e tolleranza, da parte del ricorrente, delle esecuzione di lavori necessitanti dell'interruzione di linea eseguiti invece con la modalità dell'avvistamento. All'epoca non esistevano infatti strumenti a disposizione del capo reparto per verificare ex post se il regime di protezione adottato fosse corretto, essendo stata introdotta solo dopo l'infausto evento la possibilità postuma di verificare il tipo di protezione adottato nei singoli interventi e la relativa adeguatezza, La correttezza del tipo di protezione attuata in concreto dalla squadra non era dunque un dato concretamente conoscibile da parte del capo reparto. Dalle deposizioni dei testi I. e G. risulta che non vi erano mai state segnalazioni di irregolarità o problemi, in quanto o era stata chiesta l'interruzione o il lavoro non era stato eseguito. Dunque la votazione di 10 attribuita alla voce "sicurezza del lavoro" era dei tutto giustificata, tanto più che anche un altro organismo di controllo, il SIGS, poco prima dell'evento, era giunto alla stessa conclusione. Non risulta che siano mai stati effettuati interventi manutentivi necessitanti regime di interruzione e che detto obbligo non sia stato osservato. 
2.1. Erroneamente la Corte d'appello ha escluso che le condotte del preposto e del dirigente movimento possano essere configurate come fattori causali sopravvenuti di per sé sufficienti a determinare l'evento. Il Dirigente del movimento, per distrazione, ha omesso di comunicare ai manutentori che stava sopraggiungendo un secondo treno. E lo stesso imputato C. ha ammesso di non aver predisposto le vedette in entrambe le direzioni. Dunque né il preposto né il Dirigente del movimento hanno applicato correttamente le modalità operative alle quali erano tenuti. Se l'avessero fatto, l'evento non si sarebbe verificato. Tali mancanze sono state talmente eclatanti da interrompere il nesso di causalità e, di fronte ad esse, la contestata - e peraltro non provata - circostanza che il capo reparto, in occasione di alcuni dei suoi interventi, abbia omesso di segnalare taluni profili di criticità, del tutto diversi da quelli evidenziati dagli operai, non può certo essere ritenuta eziologicamente rilevante.
2.2. La Corte d'appello non ha addebitato all'imputato di avere tollerato che gli interventi sui binari si svolgessero in regime di avvistamento mentre avrebbero dovuto effettuarsi in regime di interruzione del traffico ferroviario, come recita l'imputazione, bensì di avere tollerato la prassi di eseguire gli avvistamenti anche con la protezione telefonica dell'uomo in cabina o del dirigente movimento mentre avrebbero dovuto svolgersi mediante il sistema delle vedette. Il che si sostanzia nell'addebito dì un fatto diverso rispetto a quello contestato, con conseguente nullità per violazione dell'art. 521 cod. proc. pen.
3. B. Alessandro deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto ingiustificatamente la Corte d'appello ha ritenuto l'inapplicabilità di qualunque criterio di protezione diverso dall'interruzione del traffico ferroviario sul binario oggetto di intervento. Viceversa l'art. 13.6, comma 7, del regolamento di istruzione per la protezione dei cantieri ( I. P. C.) prevede che l'avvistatore venga posizionato presso l'Ufficio di movimento ( cosiddetto uomo in cabina), in contatto telefonico o radiofonico con l'avvisatore che si trova sul cantiere accanto al tecnico. Questo era il sistema normalmente utilizzato all'epoca. Tale obbligatorio collocamento dell'agente avvistatore presso l'Ufficio di movimento genera tempi di avvistamento enormemente superiori ai margini di sicurezza imposti dal regolamento, essendo assimilabile alla T. di controllo di un aeroporto, in grado di monitorare il traffico dei mezzi con amplissimo margine. I 240 m di spazio di avvistamento ipotizzati in sentenza, a fronte degli 830 m necessari, sono infatti calcolati in base alla visibilità della squadra posizionata in loco. Ma se il preposto avesse provveduto a posizionare l'avvistatore presso l'Ufficio di movimento, come preteso da B., l'evento non si sarebbe verificato, poiché un convoglio come quello che investì la persona offesa sarebbe stato avvistato con quasi 6 km di anticipo dal punto in cui si verificò il sinistro e dunque molto prima dei 1385 metri ritenuti necessari per consentire il raggiungimento della zona di sicurezza da parte dei componenti della squadra. Ed era proprio questo il metodo di protezione normalmente utilizzato ma la Corte d'appello ignora tale dato, travisando anche la deposizione del teste R.A.. E' comunque certo che con la telefonata intercorsa tra il Dirigente del movimento, T., e il preposto, C., la squadra era stata informata che stava sopraggiungendo un treno e che non era possibile effettuare alcuna verifica sul funzionamento dei deviatoi, poiché il Dirigente del movimento aveva già instradato un convoglio sul deviatoio. Dunque non vi era alcuna ragione per cui la squadra dovesse sostare in piena notte all'interno di un fascio di binari. E invece la squadra attese oltre due minuti, dopo aver avuto notizia del sopraggiungere del treno. Dunque la squadra non s'informò sulla circolazione dei treni prima di intervenire sui binari; entrò nel fascio di binari senza avvisare della sua presenza, come normalmente avveniva, il dirigente di movimento; pur avvertita del transito di un treno su un binario, rimase per oltre due minuti in loco senza mai informarsi della circolazione e senza, peraltro, poter effettuare nessuna lavorazione; non fu attuata nessuna forma di protezione del cantiere e il preposto non provvide nemmeno a rispettare le precauzioni generali per l'attraversamento dei binari. Per questi motivi le condotte poste in essere dagli operai si pongono totalmente al di fuori delle regole normalmente adottate per le lavorazioni sui binari e sono da sole sufficienti, con riguardo alla loro abnormità, a interrompere il nesso causale.
3.1.Ingiustificatamente non è stata ritenuta concedibile l'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen., ritenendo incongruamente che non vi sia prova dell'integrale risarcimento del danno, nonostante vi sia stata revoca della costituzione di parte civile.
4. C.  deduce violazione di legge e vizio di motivazione, poiché il Dirigente del movimento sapeva che gli operai erano presso il deviatoio n. 5 e omise di comunicare l'arrivo del treno che poi cagionò l'investimento. Gli operai si erano infatti recati sul luogo dopo aver preso accordi con il Dirigente. Dunque il C. raccomandò ai colleghi di guardare nelle direzioni opposte di provenienza dei treni, attuando l'unico regime di sicurezza applicabile e che era in uso presso la stazione di Firenze Rifredi, e cioè quello su avvistamento, previo contatto telefonico con il dirigente di movimento, che avrebbe dovuto comunicare il transito dei treni. D'altronde il sistema di sicurezza rappresentato dall'interruzione del traffico ferroviario non veniva mai applicato né concesso, tantomeno per un mero sopralluogo, come confermato nella sentenza del Tribunale, sulla base delle testimonianze acquisite durante l'istruttoria dibattimentale, come quelle di G., Pi. e P.. Tant'è che neanche dopo l'evento mortale i vertici della società sono intervenuti per modificare lo stato dei sistemi di sicurezza applicati. Una volta sul luogo, il ricorrente chiamò col cellulare il Dirigente di movimento, T., il quale gli comunicò che sul binario n. 4 stava sopraggiungendo un treno merci. Il T. però alle ore 23,24, quindi dopo 16 secondi dalla fine della telefonata con il C., dette via libera anche al transito di un altro treno sul binario n 7, attiguo al n. 4, senza avvertire i 3 manutentori, pur sapendo che questi ultimi si trovavano proprio sul deviatoio. La condotta del T. riveste dunque valenza interruttiva del nesso causale, risultando eccezionale e di per sé sufficiente a determinare l'evento. Non era mai infatti accaduto che un dirigente di movimento omettesse di comunicare l'arrivo di un treno ai manutentori che lavoravano proprio nel luogo in cui il treno sarebbe transitato. D'altronde il C. non avrebbe potuto recarsi con gli operai nella piazzola a quattrocento metri di distanza perché non ve ne era il tempo, onde rimanere sul deviatoio era l'unica condotta possibile. Peraltro il primo sopralluogo non era disciplinato nel testo del regolamento per la protezione dei cantieri né nei documenti relativi ai corsi frequentati dai preposti, onde non si può far carico dell'evento lesivo al preposto che viene mandato sui binari e cerca di tutelare la propria sicurezza e quella dei colleghi con i pochi strumenti messi a disposizione.
4.1. Erroneamente non è stata riconosciuta la circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen., nonostante la revoca della costituzione di parte civile ad opera delle persone offese, pienamente soddisfatte del risarcimento ricevuto.
5. T. deduce violazione di legge e vizio di motivazione perché egli non sapeva che la squadra si trovasse al deviatoio n. 5. Erroneamente la Corte d'appello ha ritenuto il contrario, valorizzando ingiustificatamente le dichiarazioni di C., che aveva interesse a scaricare la responsabilità su T.; di G. che però non ha specificato con chi i manutentori avevano preso accordi, parlando specificamente di un dirigente del movimento; di L.M., che non era presente al momento dei fatti; di La Spina, ufficiale di polizia giudiziaria, che ha espresso solo proprie valutazioni, mentre è stata ingiustificatamente svalutata la deposizione in senso contrario del teste G. T. ha sempre negato di essere a conoscenza dei movimenti della squadra, che non comunicò ai Dirigenti del movimento l'ingresso nella sede ferroviaria. Nel corso della brevissima telefonata intercorsa con il T., d'altronde, i manutentori non comunicarono la loro posizione, perché si parlò solo della manovra da effettuarsi per verificare se il guasto sussistesse ancora. Tant'è che, dopo l'infortunio, T. inviò i soccorsi in un luogo sbagliato, come confermato dai testi G. e P..
5.1. Erroneamente la Corte d'appello ha ritenuto che la doglianza inerente alla sussistenza della posizione di garanzia integrasse motivo nuovo, inammissibile perché la censura non era stata dedotta con gli originari motivi di gravame mentre essa era al centro delle argomentazioni formulate nell'atto d'appello, avendo la difesa contestato che al dirigente del movimento potesse essere ascritta la violazione dell'obbligo di prendersi cura delle esigenze di sicurezza dei manutentori, rappresentando anche che egli non partecipava alle decisioni in ordine alla scelta del regime di protezione del cantiere. La problematica relativa alla sussistenza della posizione di garanzia era comunque inscindibilmente connessa a quella inerente alla responsabilità, tanto che la Corte d'appello si diffonde nell'argomentare proprio in punto di posizione di garanzia.
5.2. Non vi era comunque in capo all'imputato alcuna posizione di garanzia, come riconosciuto anche dal primo giudice, poiché il dirigente del movimento appartiene a una linea organizzativa e gerarchica del tutto differente da quella dei manutentori. Né l'obbligo di avvisare questi ultimi dell'arrivo del treno può inferirsi da un generico obbligo di prendersi cura della sicurezza degli altri lavoratori, che non esiste nell'ordinamento. L'organizzazione del cantiere e le verifiche sulla sicurezza competono esclusivamente ai manutentori, onde un dovere di collaborazione alla sicurezza era totalmente estraneo alle funzioni del ricorrente. E infatti i manutentori gli telefonarono per motivi connessi al guasto e non alla sicurezza o alla circolazione dei treni.
5.3. La condotta gravemente imprudente e imperita del C. ha interrotto il nesso causale, poiché il regime di protezione basato sull'avvistamento non era attuabile, a causa dell'orario notturno, della presenza di una curva che limitava la visibilità, dell'assenza di distanze minime di avvistamento, dell'assenza di luoghi di ricovero adeguati; non sono state incaricate vedette; non sono stati avvisati i Dirigenti del movimento dell'ingresso in sede ferroviaria; non sono state chieste informazioni sul traffico dei treni; una volta a conoscenza dell'arrivo di un convoglio, i manutentori hanno atteso ancora due minuti e poi si sono spostati su un altro binario, attivo anch'esso, non avviando neanche alcuna procedura di avvistamento di ulteriori treni.
5.4. Si contesta poi il mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 n 6 cod. pen. con argomentazioni non dissimili da quelle degli altri ricorsi.
5.5. Comunque dell'avvenuto risarcimento si sarebbe dovuto tener conto nell'ottica del trattamento sanzionatorio, unitamente all'incensuratezza, alla leale condotte processuale e al concomitante l'impegno in altre attività di rilievo al momento dei fatti, onde il giudizio di bilanciamento non avrebbe potuto essere formulato nei medesimi termini degli altri imputati e la dosimetria della pena avrebbe dovuto esserne favorevolmente influenzata.
Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata.

 

 

Diritto

 


1. Il primo motivo del ricorso del M. è infondato. Costituisce infatti ius receptum, nella giurisprudenza della suprema Corte, il principio secondo il quale, anche alla luce della novella del 2006, il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene pur sempre alla coerenza strutturale della decisione, di cui saggia l'oggettiva "tenuta", sotto il profilo logico-argomentativo, e quindi l'accettabilità razionale, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass., Sez. 3, n. 37006 del 27 -9-2006, Piras, Rv. 235508; Sez. 6 , n. 23528 del 6-6-2006, Bonifazi, Rv. 234155). Ne deriva che il giudice di legittimità, nel momento del controllo della motivazione, non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento, atteso che l'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. non consente alla Corte di cassazione una diversa interpretazione delle prove. In altri termini, il giudice di legittimità, che è giudice della motivazione e dell'osservanza della legge, non può divenire giudice del contenuto della prova, non competendogli un controllo sul significato concreto di ciascun elemento probatorio. Questo controllo è riservato al giudice di merito, essendo consentito alla Corte regolatrice esclusivamente l'apprezzamento della logicità della motivazione (cfr , ex plurimis, Cass., Sez. 3, n. 8570 del 14-1-2003, Rv. 223469; Sez. fer. , n. 36227 del 3-9-2004, Rinaldi; Sez. 5, n. 32688 del 5-7-2004, Scarcella; Sez. 5, n.22771 del 15-4¬2004, Antonelli).
1.1. Nel caso in disamina, il giudice a quo ha evidenziato, richiamando anche la motivazione della sentenza di primo grado, che l'imputato, nonostante fosse titolare di specifici compiti di verifica della corretta applicazione della normativa in materia di igiene e sicurezza del lavoro, si limitò, nell'anno 2009, a censurare la mancata compilazione dei moduli per l'assegnazione degli incarichi, attribuendo, all'esito della verifica del 25-9-2009, che precedette di un solo mese l'infortunio del 25-11-2009, alla voce sicurezza del lavoro", la votazione di 10, nonostante fosse risultato in dibattimento che mai l'avvistamento avveniva secondo quanto disponeva l'art. 13. Il giudice a quo pone altresì in rilievo che l'effettiva consapevolezza, da parte dell'imputato, della diffusa disapplicazione delle normative vigenti e dell'IPC derivava anche dalla sua piena padronanza e conoscenza dei sistemi di protezione adoperati in materia di manutenzione degli impianti, provenendo egli dalla funzione di capo-impianto. L'apparato argomentativo a sostegno del decisum è dunque puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo i giudici di secondo grado preso in esame tutte le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede.
1.2. Anche il secondo motivo di ricorso è privo di fondamento. L'interruzione del nesso causale tra condotta ed evento è, infatti, configurabile allorché la causa sopravvenuta inneschi un rischio nuovo e del tutto incongruo rispetto al rischio originario, attivato dalla prima condotta ( Cass., Sez. 4, n. 25689 del 3-5-2016, Rv. 267374; n. 43168 del 2013, Rv. 258085; n. 17804 del 2015, Rv. 263581) o comunque del tutto eccentrico ed esorbitante rispetto a quest'ultima ( Cass., Sez. 4, n. 15493 del 10-3-2016, Pietramala, Rv. 266786). Nel caso di specie, il giudice a quo ha evidenziato che il sistema di protezione predisposto dal capo - squadra, C., con l'avallo del capo- zona, B., e del capo - reparto, M., per risolvere il guasto verificatosi, e cioè il cosiddetto sistema della liberazione del binario con avvistamento, era oggettivamente inadeguato ed in contrasto con le norme dell'IPC. Il suddetto sistema di protezione presupponeva infatti che sussistesse una distanza di sicurezza tale da consentire di liberare in tempo utile il binario. Secondo la deposizione dei tecnici della prevenzione e la valutazione del consulente del pubblico ministero, professore di meccanica applicata all'Università di Firenze, la distanza di sicurezza corrispondeva a 830 m, mentre nella specie i lavoratori avevano uno spazio di soli 240 m per avvistare il treno. Nemmeno esisteva la distanza di sicurezza per raggiungere un luogo sicuro, trovandosi esso a 40 m, poiché non poteva considerarsi luogo sicuro l'Intervia ove i lavoratori trovarono riparo, già all'epoca considerata zona gialla ed attualmente addirittura zona rossa. Occorrevano ben 27 secondi per raggiungere un posto sicuro, in luogo degli otto secondi di tempo che i lavoratori ebbero a disposizione. Da tale apparato argomentativo si desume che la sequenza eziologica sfociata nell'evento, lungi dal costituire estrinsecazione di fattori di rischio eccentrici o comunque esorbitanti rispetto al rischio originario, rappresentava null'altro che la conseguenza della situazione di pericolo originata dalle condotte degli imputati. Né ha rilievo che nell'iter condizionalistico si sia inserito anche l'operato di soggetti diversi dal M., costituendo ius receptum , nella giurisprudenza di questa Corte, che non possa ritenersi causa sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare l'evento, il comportamento negligente di un lavoratore che si riconnetta ad una condotta colposa del superiore ( Cass., Sez. 4, n. 18800 del 13-4-2016, Rv. 267255; n. 17804 del 2015, Rv. 263581; n. 10626 del 2013, Rv.256391).
1.3.Non può essere accolto nemmeno il terzo motivo di ricorso. Costituisce, infatti, consolidato principio di diritto che per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta, sì da pervenire ad un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione, da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa. Ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo confronto, puramente letterale, fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie di difesa, la violazione è del tutto insussistente laddove, come nel caso di specie, l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione ( Sez. U., n. 16 del 19-6-1996, Di Francesco; Sez. U., n. 36551 del 15-7-2010, Carelli, Rv. 248051). Tanto più che, nella fattispecie concreta in esame, anche a volersi attenere al tenore testuale dell'imputazione, in quest'ultima sono chiaramente scolpiti i lineamenti fattuali della condotta rilevante ex art. 589 cod. pen., poiché la contestazione è esplicita nell'indicare l'inosservanza dell 'obbligo, nell'esecuzione di lavori su binari in esercizio, di predisporre un'apposita e idonea organizzazione protettiva per le persone addette, per assicurarne l'incolumità al passaggio dei treni. Ragion per cui l'imputato è stato senz'altro posto in condizioni di rendersi ampiamente conto della sostanza dell'addebito mossogli e di elaborare ogni più opportuna strategia difensiva. Non può pertanto ravvisarsi alcuna violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, tanto più che è stato chiarito, in giurisprudenza, che quest'ultima non sussiste ove la contestazione riguardi globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di ravvisare elementi di colpa emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (Cass., Sez. 4, n. 35943 del 7-3-2014, Rv. 260161; Sez. 4, n. 31968 del 19-5-2009, Rv. 245313).
2. Il primo motivo del ricorso del B. è infondato. La Corte territoriale ha, infatti, posto in rilievo che il sistema adottato non corrispondeva a quello disciplinato dall'art. 13 IPC, poiché si fondava su un sistema di avvistamento indiretto da parte di una vedetta in cabina ovvero da parte del dirigente del movimento sul pannello luminoso di controllo della circolazione dei treni, senza la preventiva e concreta verifica che sussistesse un adeguato tempo di liberazione del binario, così come prescritto dal predetto art. 13. Ed opportunamente il giudice a quo sottolinea l'inaccoglibilità delle tesi difensive fondate sull'esistenza di una prassi consolidata difforme dalla disciplina prevista dalla normativa vigente, rimarcando la priorità del principio della protezione del lavoratore attraverso l'adozione, da parte dei soggetti preposti, di tutte le misure di sicurezza necessarie a salvaguardare l'incolumità fisica e psicologica dei lavoratori. Nel caso di specie, il convincimento, espresso da tutti i tecnici della manutenzione, che fosse corretto il sistema di sicurezza "su avvistamento", e cioè mediante avvistamento indiretto dei treni, nelle due declinazioni del contatto telefonico con il dirigente del movimento oppure del posizionamento di una vedetta nella cabina del dirigente del movimento, era del tutto immotivato nonché contrario alle disposizioni dettate dall'IPC, in quanto applicato senza tener conto di quale fosse la distanza di sicurezza e il tempo di liberazione del binario. L'imputato non solo non si attivò per impedire questa prassi incompatibile con gli standard di sicurezza ma anzi ne incentivò l'utilizzo. Il preposto non fece altro che realizzare una delle modalità di attuazione del sistema di protezione dei cantieri corrispondente all'ordinaria prassi, attraverso il contatto telefonico con il dirigente del movimento, trattandosi di intervento non programmato, ponendo dunque in essere una condotta pienamente prevedibile e rientrante nell'ambito della possibilità di controllo da parte del superiore. Se il B. avesse rispettato le prescrizioni di legge e cioè se avesse vietato l'uso del sistema di protezione "su avvistamento", non sussistendone i presupposti spazio- temporali per l'applicazione, e avesse quindi optato per il sistema di protezione "su interruzione", l'evento non si sarebbe verificato. Trattasi di motivazione del tutto congrua, pienamente idonea a dar conto delle ragioni della decisione e dunque immeritevole di censura.
2.1. Va invece accolto il secondo motivo di ricorso. La Corte d'appello si è infatti limitata ad affermare che non vi è prova che il risarcimento del danno sia integrale, secondo i parametri utilizzabili nel giudizio civile, e quindi abbia coperto sia il danno patrimoniale sia quello biologico e morale, in termini apodittici, senza spiegare le ragioni per cui ha ritenuto la non integralità del danno. Non è stata infatti indicata la cifra corrisposta nè sono stati specificati i parametri sulla base dei quali essa è stata ritenuta inadeguata, nonostante la diversa valutazione della persona offesa, che aveva revocato la costituzione di parte civile. Il giudice può infatti disattendere la valutazione della persona offesa ma deve dar conto dei criteri utilizzati per pervenire alla valutazione di incongruità della somma offerta o versata: ciò che nella specie non è avvenuto, onde si impone al riguardo un pronunciamento rescindente.
3. Il primo motivo del ricorso del C. è privo di fondamento. La Corte territoriale ha infatti posto in rilievo che il C., in qualità di preposto, era il soggetto cui in via principale competeva di decidere quale sistema di protezione del cantiere adottare. Egli avrebbe dunque dovuto necessariamente invocare l'applicazione del sistema di protezione "su interruzione", adottabile, secondo quanto dichiarato dai testi L.M. e G., mediante una ben precisa procedura, attraverso la quale il binario sarebbe stato posto fuori uso. In mancanza, il C. avrebbe dovuto rifiutarsi di eseguire il lavoro in assenza dei necessari standard di sicurezza. Era infatti imprudente affidarsi alla collaborazione del dirigente del movimento, poiché la possibilità che quest'ultimo commettesse un errore nella trasmissione dei dati doveva considerarsi tutt'altro che inverosimile, attesa la molteplicità dei compiti di sua spettanza: motivazione senz'altro congrua ed esente da vizi logico- giuridici.
3.1. Va invece accolto il secondo motivo del ricorso del C. per le stesse ragioni illustrate al par. 2.1., da richiamarsi integralmente in questa sede .
4. Il primo e il terzo motivo del ricorso dell'imputato T. sono fondati. In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta dai giudici di merito, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni, a preferenza di altre (Sez. U.,13-12-1995, Clarke, Rv. 203428). Il sindacato del giudice di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve pertanto essere volto a verificare che quest'ultima: a) sia "effettiva", ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica", perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente "contraddittoria", ovvero sia esente da antinomie e da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo", indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente, nei motivi posti a sostegno del ricorso, in misura tale da risultare radicalmente inficiata sotto il profilo logico (Cass., Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Rv. 251516).
Nel caso in disamina, l'apparato logico posto a base della sentenza di secondo grado non è esente da vizi, non evincendosi con chiarezza sulla base di quali argomentazioni i giudici di merito siano pervenuti all'asserto relativo alla sussistenza di un sostrato probatorio idoneo a valicare la soglia del ragionevole dubbio e a supportare adeguatamente la declaratoria di responsabilità.
Nel caso di specie, la Corte d'appello ha osservato che gli operai avevano verificato, esaminando il quadro comandi alla presenza del T., l'impossibilità di risolvere il guasto operando dalla cabina ovvero recandosi in sala relè, in quanto esso non dipendeva da disfunzioni elettriche. Trattandosi di un accertamento avvenuto alla presenza dell'imputato, non è possibile - sostiene il giudice a quo - che egli non ne abbia conosciuto l'esito, benché non possedesse le medesime competenze dei tecnici qualificati. Pertanto, pur sapendo, o dovendo sapere, che gli operai si trovavano sul deviatoio, per una fatale distrazione, il T. omise di avvertirli del simultaneo passaggio dell'altro convoglio sul binario attiguo. Egli dunque non segnalò la condizione di pericolo che si presentava, pur avendo predisposto l'itinerario di transito dei treni che avanzavano contemporaneamente e pur sapendo, o dovendo sapere, che la squadra si trovava sul deviatoio n. 5, essendogli stato chiesto dal preposto di manovrare, limitandosi a comunicare che lo scambio stava per essere impegnato da un treno in arrivo ma omettendo di avvertire dell'imminente passaggio dell'altro convoglio sul binario attiguo. Tuttavia è la stessa Corte d'appello ad affermare che il T. non aveva alcuna posizione di garanzia nei confronti del preposto, trovandosi al di fuori di un rapporto gerarchico. Nè a diverse conclusioni può giungersi sulla sola base del disposto dell'art. 20, commi 1 e 2, lett. a) , b) ed e ) d. lg. n. 81 del 2008, secondo quanto ritenuto dalla Corte d'appello. Questa norma, infatti, prescrive che ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni e omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro, specificando che il lavoratore deve contribuire, unitamente al datore di lavoro, al dirigente e al preposto, all'adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro; osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva e individuale; segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente e al preposto le deficienze dei mezzi e dei dipositivi di protezione nonché qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui venga a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di urgenza, nell'ambito delle proprie competenze e possibilità, per eliminare o ridurre le situazioni di pericolo grave e incombente. Ma la valorizzazione della portata precettiva di questa norma non può prescindere da una puntuale ricostruzione degli accordi presi fra i manutentori e T., onde stabilire se quest'ultimo, in qualità di dirigente del movimento, nonostante non rivestisse in ragione della sua qualifica una posizione di garanzia, si fosse assunto il compito di avvisare i manutentori dell'arrivo dei treni. Non senza appurare se il dirigente del movimento al quale, secondo il teste G., venne rivolta una richiesta in tal senso, secondo quanto risulta dalla motivazione della sentenza in esame, fosse effettivamente T.. Non può essere inoltre trascurato quanto si evince dal tessuto argomentativo della pronuncia in esame a proposito della prassi di collocare il cosiddetto "uomo in cabina", proprio al fine di avere qualcuno che segnalasse l'arrivo dei treni. La stessa Corte territoriale evidenzia infatti i contenuti di una deposizione definita "altamente qualificata", come quella dell'istruttore L.M. , il soggetto poi nominato capo reparto al posto di M.. Orbene, il L.M. evidenzia che i dirigenti del movimento "avevano i loro compiti da fare" e non erano istituzionalmente chiamati a stare in contatto con i manutentori. Questi infatti avevano bisogno di un collega che li seguisse e desse loro una serie di indicazioni e "questo non lo poteva fare il dirigente del movimento, nella normalità delle cose". Di qui la prassi di collocare il cosiddetto "uomo in cabina". Per di più, la Corte d'appello sottolinea che il T. avrebbe dovuto sapere che la squadra si trovava sul deviatoio n. 5 poiché gli era stato chiesto dal preposto di manovrarlo e non perché gli accordi presi fossero nel senso che egli avrebbe dovuto avvertire la squadra del passaggio dei treni. Alla luce di tali risultanze, pertanto, il giudice a quo avrebbe dovuto trarre una sintesi logica dal materiale probatorio disponibile e dare puntuale risposta alle argomentazioni difensive ( Sez. 6 ,n. 34042 del 11-2-2008, Napolitano). Qualora infatti la prospettazione difensiva sia estrinsecamente riscontrata da alcuni dati oggettivi, il giudice deve farsi carico di confutarla specificamente, dimostrandone in modo rigoroso l'inattendibilità, attraverso un adeguato apparato argomentativo Più in generale, occorre osservare come il giudice sia tenuto ad interrogarsi in merito alla plausibilità di spiegazioni alternative alla prospettazione accusatoria, qualora esse vengano additate dall'oggettività delle acquisizioni probatorie. La regola di giudizio compendiata nella formula dell'"al di là di ogni ragionevole dubbio" impone infatti al giudicante l'adozione di un metodo dialettico di verifica dell'ipotesi accusatoria, volto a superare l'eventuale sussistenza di dubbi intrinseci a quest'ultima, derivanti, ad esempio, da autocontraddittorietà o da incapacità esplicativa, o estrinseci, in quanto connessi, come nel caso in disamina, all'esistenza di ipotesi alternative dotate di apprezzabile verosimiglianza e razionalità (Cass., Sez l, n.4111 del 24-10-2011, Rv. 251507). Può infatti addivenirsi a declaratoria di responsabilità , in conformità al canone dell'« oltre il ragionevole dubbio», soltanto qualora la ricostruzione fattuale a fondamento della pronuncia giudiziale espunga dallo spettro valutativo soltanto eventualità remote, astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle risultanze processuali, ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e dell'ordinaria razionalità umana (Sez. 1 n. 17921 del 3-3-2010, Rv. 247449 ; Sez. 1 n. 23813 del 8-5-2009, Rv. 243801; Sez. 1, n. 31456 del 21-5-2008, Rv. 240763). La condanna al di là di ogni ragionevole dubbio implica che, laddove venga prefigurata una ipotesi alternativa, siano individuati gli elementi di conferma della prospettazione fattuale accolta, in modo che risulti l'irrazionalità del dubbio derivante dalla sussistenza dell'ipotesi alternativa (Cass., Sez. 4, n.30862 del 17-6-2011, Rv. 250903 ; Sez 4, n. 48320 del 12-11-2009, Rv. 245879 ). Obbligo che, nel caso sub iudice, non può dirsi adempiuto dalla Corte d'appello. Viceversa, sulla base dei criteri appena esposti, il giudice di merito avrebbe dovuto ricostruire, con precisione, l'accaduto, in stretta aderenza alle risultanze processuali e verificare se queste ultime, valutate non in modo parcellizzato ma in una prospettiva unitaria e globale, potessero essere ordinate in una costruzione razionale e coerente, di spessore tale da prevalere sulla versione difensiva e da approdare sul solido terreno della verità processuale (Cass., 25-6-1996, Cotoli, Rv. 206131). Non può pertanto affermarsi che i giudici di secondo grado abbiano preso adeguatamente in esame tutte le deduzioni difensive né che siano pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico immune da vizi, sotto il profilo della razionalità; sulla base di apprezzamenti di fatto esenti da connotati di contraddittorietà o di manifesta illogicità e di un apparato logico coerente con una esauriente analisi delle risultanze agli atti ( Sez. U., 25¬11-1995, Facchini, Rv. 203767). Si impone, pertanto un pronunciamento rescindente, che determina l'ultroneità della disamina degli ulteriori motivi del ricorso del T..
5. La sentenza impugnata va dunque annullata relativamente all'imputato T. , con rinvio alla Corte d'appello di Firenze, per nuovo giudizio. La sentenza impugnata va altresì annullata relativamente agli imputati M. , B.  e C. limitatamente al punto riguardante l'attenuante ex art. 62 n 6 cod. pen., con rinvio alla Corte d'appello di Firenze. I ricorsi di M., B. e C. vanno rigettati nel resto.
 

 

P.Q.M.

 


Annulla la sentenza impugnata relativamente all'imputato T. , con rinvio alla Corte d'appello di Firenze, per nuovo giudizio. Annulla altresì la sentenza impugnata relativamente agli imputati M. , B. e C. limitatamente al punto riguardante l'attenuante ex art. 62 n 6 cod. pen. e rinvia alla Corte d'appello di Firenze. Rigetta nel resto i ricorsi di M., B. e C..
Così deciso in Roma, il 7-3-2019.