Cassazione Civile, Sez. Lav., 10 giugno 2019, n. 15562 - Schiacciamento di un dito e risarcimento del danno biologico differenziale. Violazione di misure di sicurezza "innominate"


 

 

L'osservanza del generico obbligo di sicurezza di cui all'art. 2087 c.c., impone al datore di lavoro l'adozione delle correlative misure di sicurezza cd. "innominate", sicché incombe sullo stesso, ai fini della prova liberatoria correlata alla quantificazione della diligenza ritenuta esigibile nella predisposizione delle suindicate misure, l'onere di far risultare l'adozione di comportamenti specifici che, pur non dettati dalla legge o altra fonte equiparata, siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, dagli "standards" di sicurezza normalmente osservati o trovino riferimento in altre fonti analoghe (Cass. n. 15082 del 2014, Cass. n. 34 del 2016, Cass. n. 10319 del 2017).
Il datore di lavoro è totalmente esonerato da ogni responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore assuma caratteri di abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, necessariamente riferiti al procedimento lavorativo "tipico" ed alle direttive ricevute, in modo da porsi quale causa esclusiva dell'evento (Cass. n. 3786 del 2009): così integrando il cd. "rischio elettivo", ossia una condotta personalissima del lavoratore, avulsa dall'esercizio della prestazione lavorativa o anche ad essa riconducibile, ma esercitata e intrapresa volontariamente in base a ragioni e motivazioni del tutto personali, al di fuori dell'attività lavorativa e prescindendo da essa, come tale idonea ad interrompere il nesso eziologico tra prestazione ed attività assicurata (Cass. n. 18786 del 2014).
La sentenza impugnata si è conformata a tali principi avendo escluso la ricorrenza di un rischio elettivo ed accertato la violazione di misure di sicurezza cd. "innominate", tali da garantire una attenta sorveglianza dei movimenti dei lavoratori.


 

Presidente: NOBILE VITTORIO Relatore: BOGHETICH ELENA Data pubblicazione: 10/06/2019

 

 

 

Rilevato che
1. Con sentenza n. 4460 del 10.10.2016, la Corte d'appello di Roma, in riforma della del Tribunale della medesima sede, ha accolto la domanda proposta da D.P. nei confronti di Co.I.Stra. s.r.l. e di S.M. quale amministratore della società, nonché del chiamato in causa Generali Assicurazioni s.p.a., avente ad oggetto il risarcimento del danno biologico differenziale conseguito all'infortunio sul lavoro del 27.4.2010 che aveva determinato lo schiacciamento del dito di una mano.
2. In particolare, la Corte territoriale, dichiarato il difetto di legittimazione passiva del S.M. e l'inoperatività della polizza assicurativa, ha affermato la responsabilità esclusiva della società in relazione alla violazione di regole di comune prudenza consistenti nell'emissione di modalità di esecuzione del lavoro di realizzazione di un impianto fognario tali da garantire un'attenta sorveglianza dei movimenti dell'operaio D.P., intento a posizionare un tubo all'interno di una trincea, e del gruista che aveva provveduto a sganciare il tubo dalla catena della gru per posizionarlo in allineamento con gli altri tubi.
3. Propone ricorso avverso tale sentenza la società affidandosi a quattro motivi e S.M. propone ricorso incidentale affidato ad un motivo. D.P. resiste con controricorso; Generali Assicurazioni s.p.a. resiste con controricorso illustrato da memoria. L'Inail è rimasto intimato.
 

 

Considerato che
4. Con il primo motivo del ricorso principale si denunzia, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 112 cod.proc.civ. e 345 cod.proc.civ., avendo, la Corte territoriale, erroneamente ricostruito le circostanze in cui si è determinato l'incidente, anche a fronte della carenza di istanze istruttorie del lavoratore in ordine all'inosservanza di norme di cautela.
5. Con il secondo ed il terzo motivo si deduce, ai sensi dell'art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 2087 cod. civ. nonché vizio di motivazione, per avere la sentenza impugnata trascurato che l'obbligo di sicurezza del datore di lavoro va necessariamente correlato ad una fonte legislativa, e non prescrive l'obbligo di rispettare ogni cautela immaginabile volta ad evitare il danno, quale - nel caso di specie - la presenza di una terza persona preposta a vigilare le operazioni, a fronte dell'accertata predisposizione del Piano di Sicurezza dell'opera, della fornitura della dotazione necessaria, dell'adempimento della formazione per i dipendenti.
6. Con il quarto motivo si deduce violazione degli artt. 1913 e 1915 cod.civ., ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., avendo, la Corte distrettuale, trascurato che la compagnia di assicurazione nulla aveva dedotto in ordine alla tempestività della comunicazione del sinistro.
7. Con l'unico motivo di ricorso incidentale S.M. denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod.proc.civ., ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., avendo, la Corte distrettuale, compensato le spese di lite tra il D.P. e il S.M. nonostante non sussistesse reciproca soccombenza.
6. I tre motivi del ricorso principale possono essere trattati congiuntamente e devono essere rigettati.
7. Preliminarmente, la pretesa violazione di legge ex art. 360, primo comma, n. 3 cod.proc.civ., pure invocata impropriamente in relazione agli artt. 112 e 345 cod.proc.civ., nella sostanza si traduce in una contestazione della ricostruzione della vicenda storica quale operata dalla Corte territoriale, preclusa dall'art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ. come novellato dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012 (convertito, nella legge n. 134 del 2012), anche quando si contestino gli atti di acquisizione probatoria che incidono soltanto sul merito delle valutazioni in fatto compiute dal giudice (Cass. n. 17247 del 2006; conforme: Cass. n. 19072 del 2004).
8. La giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato (tra le tante, Sez. L, Sentenza n. 15156 del 11/07/2011) che la responsabilità dell'imprenditore ex art. 2087 cod. civ., pur non essendo di carattere oggettivo, deve ritenersi volta a sanzionare l'omessa predisposizione da parte del datore di lavoro di tutte quelle misure e cautele atte a preservare l'integrità psicofisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto del concreto tipo di lavorazione e del connesso rischio.
8. In particolare, l'osservanza del generico obbligo di sicurezza di cui all'art. 2087 c.c., impone al datore di lavoro l'adozione delle correlative misure di sicurezza cd. "innominate", sicché incombe sullo stesso, ai fini della prova liberatoria correlata alla quantificazione della diligenza ritenuta esigibile nella predisposizione delle suindicate misure, l'onere di far risultare l'adozione di comportamenti specifici che, pur non dettati dalla legge o altra fonte equiparata, siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, dagli "standards" di sicurezza normalmente osservati o trovino riferimento in altre fonti analoghe (Cass. n. 15082 del 2014, Cass. n. 34 del 2016, Cass. n. 10319 del 2017).
9. Il datore di lavoro è totalmente esonerato da ogni responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore assuma caratteri di abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, necessariamente riferiti al procedimento lavorativo "tipico" ed alle direttive ricevute, in modo da porsi quale causa esclusiva dell'evento (Cass. n. 3786 del 2009): così integrando il cd. "rischio elettivo", ossia una condotta personalissima del lavoratore, avulsa dall'esercizio della prestazione lavorativa o anche ad essa riconducibile, ma esercitata e intrapresa volontariamente in base a ragioni e motivazioni del tutto personali, al di fuori dell'attività lavorativa e prescindendo da essa, come tale idonea ad interrompere il nesso eziologico tra prestazione ed attività assicurata (Cass. n. 18786 del 2014).
10. La sentenza impugnata si è conformata a tali principi avendo escluso la ricorrenza di un rischio elettivo ed accertato la violazione di misure di sicurezza cd. "innominate", tali da garantire una attenta sorveglianza dei movimenti del D.P. e del gruista.
11. Il quarto motivo del ricorso principale è inammissibile in quanto l'accertamento in fatto del momento in cui la società ha comunicato il sinistro alla compagnia assicurativa è riservato al giudice del merito ed è censurabile in sede di legittimità nei limiti previsti dall'art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., applicabile alla fattispecie nel testo riformulato dall'art. 54 del d.l.n. 83 del 2012.
12. Il primo motivo di ricorso incidentale è fondato, posto che dalla sentenza impugnata si evince chiaramente che la Corte distrettuale ha proceduto a compensare integralmente le spese di lite tra D.P. e S.M. (non con riguardo a "non univoci orientamenti giurisprudenziali", che vengono evocati esclusivamente con riguardo alla questione della "manleva assicurativa" bensì) per la "complessità degli accertamenti", profilo logicamente e cronologicamente successivo (e distinto) rispetto alla preliminare questione del difetto di legittimazione passiva che ha consentito di definire il giudizio tra le parti innanzi indicate.
13. In assenza di ragioni che consentissero la compensazione delle spese di lite, l'impugnata sentenza va pertanto cassata, con rinvio, in relazione al ricorso incidentale accolto, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione.
14. In conclusione, va rigettato il ricorso principale e le spese di lite sono definite in base al criterio della soccombenza dettato dall'alt. 91 cod.proc.civ.; va accolto il ricorso incidentale, e la sentenza va cassata in relazione al (unico) motivo articolato, con rinvio alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, cui si demanda altresì di provvedere sulle spese del presente giudizio di legittimità.
15. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).
 

 

P.Q.M.
 

 

La Corte rigetta il ricorso principale e condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese di lite del presente giudizio di legittimità, liquidate, a favore di D.P. e Generali Italia s.p.a., per ciascuno in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali oltre 15% per spese generali ed accessori di legge, da distrarsi in relazione alle spese di D.P. a favore dell'avv. B.G..
La Corte accoglie il ricorso incidentale, cassa l'impugnata sentenza in relazione al ricorso accolto e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Così deciso nell'Adunanza camerale dell'11.4.2019