Cassazione Penale, Sez. 4, 17 giugno 2019, n. 26570 - Incendio durante le operazioni di pressurizzazione. Responsabilità del dirigente della sicurezza per mancata adozione di cautele supplementari atte ad evitare la fuoriuscita del gas


 

 

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA Relatore: BRUNO MARIAROSARIA Data Udienza: 15/03/2019

 

Fatto

 

1. Con sentenza emessa in data 28/11/2016, La Corte d'appello di Venezia in parziale riforma della pronuncia emessa dal Tribunale di Treviso nei confronti di R.L., appellata dall'imputato, dai responsabili civili ICEPI ed ENERGO s.p.a., ha revocato le statuizioni civili nei confronti di ICEPI s.p.a. ed ha concesso il beneficio della non menzione all'imputato, confermando nel resto la pronuncia del Tribunale con la quale il R.L. era stato dichiarato colpevole del reato di lesioni colpose in danno del dipendente L.M., fatto commesso in Roncade il 22.6.2010, con violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Era contestato al R.L. di avere, in concorso con R.G. - deceduta nei corso della celebrazione del processo - nella sua qualità di dirigente per la sicurezza della Soc. Energo s.p.a., per negligenza, imprudenza, imperizia, nonché per colpa specifica [art. 15 co. 1 lett. a), b), c), e), f); 18 lett. z); 182, 192, 223, 225 d. lgs. N. 81 del 9 aprile 2008], cagionato lesioni personali gravi a L.M., consistite in ustioni di II e III grado in varie parti del corpo, che ne determinavano una incapacità ad attendere alle normali occupazioni per un tempo superiore a quaranta giorni. Si legge in sentenza che la persona offesa rimaneva degente in ospedale per oltre tre mesi nel corso dei quali subiva cinque interventi chirurgici ricostruttivi e, dimesso dall'ospedale, si trasferiva a casa dei genitori, dove trascorreva un lungo periodo di tempo nel corso del quale aveva bisogno di un'assistenza continua.
Il L.M., dipendente della società Energo S.p.a., nello svolgimento delle sue mansioni lavorative, si recava con un furgone dotato di idonea attrezzatura di analisi (cosiddetto "laboratorio mobile") presso l’abitazione dei signori M. e G. al fine di procedere alla revisione decennale del serbatoio di GPL ad uso domestico, che era interrato nel giardino dell'abitazione dei proprietari di casa. Dopo aver eseguito la revisione, riavvolgeva all'Interno del furgone la manichetta utilizzata per l'analisi, piena di GPL in fase liquida. Nel compiere tale operazione, dal rubinetto posto al termine del bocchettone del tubo, fuoriusciva improvvisamente il GPL - senza che la persona offesa riuscisse a fermarlo chiudendo il rubinetto - si formava quindi una nube di condensa che repentinamente prendeva fuoco ed avvolgeva con le fiamme il corpo di L.M..
Si individuavano profili di responsabilità a carico dell'imputato a cui era addebitato, nelle sentenze di merito, di non aver provveduto a sostituire il rubinetto della manichetta con un mezzo in grado di ridurre "alla fonte" il rischio incombente sui lavoratore, mediante adeguamento dell'attrezzatura, secondo le migliori conoscenze tecniche in materia di sicurezza messe a disposizione dal progresso scientifico, evitando un rischio che gli era noto, avendolo espressamente previsto ai punto 18 dei documento distribuito ai dipendenti, concernente le operazioni che l'addetto alla pressurizzazione avrebbe dovuto compiere una volta raggiunto il serbatoio da verificare.
2. La Corte di merito ha ritenuto dimostrata la responsabilità del R.L., conformemente al primo giudice, evidenziando che l'imputato rivestiva il ruolo di responsabile per la sicurezza della società, giusta procura rilasciatagli il 14/9/06. Egli stesso, inoltre, aveva redatto la procedura operativa da seguire nelle operazioni di pressurizzazione che, come già detto, prescriveva di prestare attenzione a non trascinare l'estremità delle manichette lungo il terreno in fase di riavvolgimento.
I giudici condividevano le osservazioni del perito, Ing. P., secondo cui l'apposizione di una seconda valvola di sicurezza sulla manichetta, ovvero di un tappo cieco alla sua estremità o, comunque, di un sistema di tenuta, avrebbe evitato l'evento, escludendo il rischio della fuoriuscita del gas.
3. Avverso la sentenza di cui sopra, hanno proposto ricorso per Cassazione l'imputato R.L. ed il responsabile civile Soc. Energo, a mezzo dei rispettivi difensori che contestano in toto le argomentazioni offerte dalla Corte di merito, deducendo, con separati atti, i seguenti motivi di doglianza (richiamati in sintesi, giusta il disposto di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.)
3.1 In favore dell'imputato R.L., la difesa, nell'articolato atto di ricorso, ha rassegnato i seguenti motivi di doglianza.
I) Manifesta illogicità deità motivazione nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto provato il nesso causale tra le presunte condotte negligenti contestate al ricorrente e l'evento, nonostante l'evidente impossibilità di ricostruire le cause dell'improvvisa apertura della valvola a volantino.
La difesa, dopo avere riepilogato nei dettaglio io svolgimento dei fatti e l'addebito mosso al R.L., anch'egli dipendente della Soc. Energo, pone in evidenza come, nel corso del dibattimento, il perito nominato dai Giudice ed i consulenti tecnici di parte, abbiano ammesso di non essere stati in grado di ricostruire con certezza né l'origine dell'innesco, né le cause della fuoriuscita di gas e, in particolare, dell'apertura accidentale della valvola a volantino. Ciò sarebbe dipeso anche dal fatto che l'unico testimone, vale a dire la stessa persona offesa, nel corso delle sommarie informazioni e durante l'esame reso a dibattimento, avrebbe alternato diverse versioni dei fatti, tra loro completamente diverse. Di tale circostanza si darebbe atto anche nella sentenza impugnata, ove si ammette che il racconto della persona offesa "non ha consentito di sapere con certezza cosa abbia provocato l'iniziale apertura parziale della valvola a volantino" (pag. 22 della sentenza impugnata).
L'apertura della valvola, pertanto, potrebbe essere dipesa da diverse cause, riconducibili alla caduta della manichetta dalle mani del L.M.; al fatto che la valvola potrebbe essersi impigliata nelle maglie della recinzione presente sul posto; al fatto che la manichetta sia stata trascinata a terra durante le operazioni di riavvolgimento.
In tutti i casi menzionati, afferma la difesa, i dispositivi indicati dai Giudici di merito non potevano sortire l'effetto di impedire l'evento. In particolare, si legge nel ricorso, se fossero state installate due valvole a volantino, il trascinamento della manichetta avrebbe potuto provocare l’apertura di entrambe; se fosse stata installata una valvola ad intercetto rapido, in caso di caduta sul terreno e di apertura accidentale della valvola, vi sarebbe stata una fuoriuscita ancora più copiosa di GPL (invero, la valvola ad intercetto rapido, così come poteva essere chiusa rapidamente dal lavoratore, allo stesso modo si poteva aprire rapidamente e l’eventuale presenza di un tappo non avrebbe evitato l’accumulo di gas nella manichetta, anzi, l'avrebbe maggiorato).
II) Erronea applicazione della legge extrapenale che disciplina i dispositivi di sicurezza obbligatori sui cd. laboratori mobili, di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale. Manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui ha contestato all’Imputato la mancata applicazione di ulteriori dispositivi di protezione, i quali, oltre a non essere obbligatori, sarebbero in concreto inadatti ad evitare il rischio concretizzatosi nel caso di specie (uscita di gas e successivo incendio).
Secondo la difesa, i Giudici di merito chiamati ad occuparsi del caso, avrebbero dovuto ritenere adeguato il dispositivo di sicurezza adottato dalla società AEA, costruttrice dell'apparecchiatura, che doveva considerarsi quello maggiormente idoneo ad impedire il rischio concretizzatosi nel caso in esame.
La difesa a questo proposito evidenzia che non esistono disposizioni che prevedano l'obbligo di adottare determinati tipi di valvole in relazione all'impianto di cui si tratta.
Nel d.m. del 14.5.04 (sulla regola tecnica di prevenzione incendi per l’installazione e l’esercizio dei depositi di gas di petrolio liquefatto con capacità complessiva non superiore a 13 metri cubi) è previsto che sia sufficiente l'installazione di un'unica valvola per le tubazioni flessibili utilizzate per il riempimento di depositi di GPL di oltre 50 tonnellate (ovvero di capienza molto maggiore rispetto a quello per cui si procede). La circolare del VV.FF. del 18.5.15 prevede che nel caso di valvole di intercettazione a volantino, come quella montata nel laboratorio mobile utilizzato dalla soc. Energo, non sia richiesto alcun ulteriore presidio. Si evidenzia inoltre che il sistema di valvole censurato dalla Corte territoriale (valvola a volantino) è quello tuttora installato dalle diverse ditte che producono ì laboratori per le prove sui serbatoi ed è quello che la stessa ISPELS adopera nello svolgimento della sua attività.
III) Vizio di motivazione per contraddittorietà e manifesta illogicità della sentenza, nella parte in cui i Giudici hanno ritenuto sussistente l'elemento soggettivo del reato sulla base di valutazioni apodittiche ed omettendo completamente di considerare gli elementi, dedotti in sede di gravame, attestanti l'impossibilità, da parte del R.L., di prevedere l'evento e l'inesigibilità della condotta alternativa nei suoi confronti. Vizio di travisamento della prova.
La sentenza d'appello, con riferimento all'elemento soggettivo del reato, rileva la difesa, ha sostenuto che il rischio dell'evento dannoso fosse prevedibile per il R.L. e che la condotta alternativa richiesta (che la Corte di merito neanche indicherebbe con esattezza) fosse da lui esigibile. Tale ragionamento sarebbe tuttavia da ritenersi contraddittorio ed illogico rispetto alle emergenze processuali.
Ed invero, quanto all'asserita prevedibiltà dell'evento dannoso, sarebbe emerso dai dibattimento che Energo era solo l'utilizzatore del laboratorio mobile, il quale era stato costruito da altro soggetto (AEA), Per tale ragione, Energo non sarebbe stata nelle condizioni (per la sua qualità di mero utilizzatore del macchinario) di poter accedere ad informazioni che erano nella disponibilità di coloro che avevano progettato e costruito il laboratorio. In ogni caso, Energo, nei corso dell'esperienza maturata nell'utilizzo del macchinario, non aveva mai avuto la possibilità di rendersi conto della pericolosità dell'impianto e della necessità di sostituire la valvola a volantino con altro tipo di valvola, atteso che non si era mai verificata l'accidentale fuoriuscita di gas dalla manichetta. Le procedure elaborate da Energo per l'utilizzo del macchinario erano state adottate dopo alcune riunioni finalizzate a fare emergere eventuali problematiche legate all'utilizzo del laboratorio mobile. Nel corso di tali incontri, a cui avevano partecipato gli equipaggi e io stesso L.M., nessuno aveva mai fatto riferimento a precedenti episodi di perdita di gas, sebbene fossero state effettuate numerosissime prove. Tutto ciò dimostrerebbe che l'Energo non era a conoscenza di alcuna situazione di pericolo.
L'inserimento, nelle procedure operative, di prescrizioni in materia di riavvolgimento delle manichette erano state dettate non dalla consapevolezza di precedenti episodi di pericolo, ma solo ed esclusivamente per "buon senso", come hanno concordemente ammesso i testi T. e F..
Pertanto, posto che né L.M., né gli altri addetti ai laboratori avevano mai comunicato alla Energo la esistenza di rischi connessi alla fuoriuscita di gas dalla valvola montata, nonostante fossero stati ampiamente consultati, sarebbe erronea la conclusione dei Giudici in ordine alla prevedibilità dell'evento.
La sentenza impugnata sarebbe inoltre meritevole di censura anche sotto il profilo della esigibilità della condotta alternativa. Per la Corte d'appello vi erano delle soluzioni alternative e l'adozione delle medesime sarebbe stata ascrivibile al R.L.. Anche su questo punto, tuttavia, la sentenza impugnata sarebbe illogica e contraddittoria rispetto alle risultanze processuali. E' dirimente, per la difesa, considerare la documentazione prodotta dal ricorrente all’udienza del 4 maggio 2015 da cui risulta che il laboratorio mobile utilizzato da L.M. aveva ricevuto in data 13/8/05 il parere di conformità dei VV.FF.
Pertanto, risulterebbe dimostrato che gli stessi Vigili del Fuoco espressero parere favorevole al progetto, dopo aver appreso che sul mezzo erano state montate le valvole a volantino (senza alcun dispositivo di ritenuta a doppia valvola o tappo).
Per l'effetto, nessuna modifica avrebbe potuto essere effettuata sul mezzo se non previamente autorizzata dai Vigili del Fuoco, li cui interlocutore era esclusivamente il costruttore del mezzo e non la Soc. Energo. Ne deriverebbe l'inesìgibiiità in capo al R.L. della condotta alternativa ipotizzata dalla Corte di merito.
La Corte d'appello avrebbe omesso di considerare anche ulteriori circostanze: all'udienza 04/05/15, la difesa di Energo aveva prodotto documentazione attestante l'avvenuta verifica da parte dell'ISPELS e le dichiarazioni di conformità che riguardavano i due laboratori mobili realizzati dalla Soc. AEA. Alia medesima udienza, ring. R.L. aveva anche depositato una stampata da cui risulta come tale mezzo sia tuttora utilizzato dall'ISPELS per effettuare operazioni analoghe a quelle che sono effettuate da Energo.
Sarebbe quindi del tutto illogica l'affermazione del Giudice d'appello, secondo cui R.L. avrebbe dovuto adottare soluzioni tecniche differenti, ove si consideri che l'organo di controllo utilizzava laboratori identici a quello interessato dall'infortunio, munito della stessa tipologia di valvola, senza alcuna doppia valvola o tappo.
L'obbligo gravante sulla società, i cui dipendenti si servivano di tale apparecchiatura, era esclusivamente quello di preoccuparsi che i lavoratori la utilizzassero in modo corretto e seguissero modalità di lavoro sicure.
Quindi, vigeva su Energo l’obbligo di elaborare procedure di lavoro che tenessero conto dei rischi esistenti nell’utilizzo del laboratorio (necessariamente pericoloso, considerato che prevedeva la gestione di GPL), di fornire ai dipendenti un adeguato bagaglio formativo (tale da consentire di discernere rischi e pericoli) e di munire gli equipaggi dei laboratori mobili di DPI idonei all'attività svolta. Tali obblighi sarebbero stati tutti puntualmente adempiuti. Ed invero, dal dibattimento era emerso che la società si era dotata di una procedura operativa idonea che, ove fosse stata attentamente osservata dagli operatori, avrebbe certamente scongiurato l'evento.
La Corte territoriale trascurerebbe inoltre di considerare che il R.L. non possedeva ia qualifica dì datore di lavoro. Tale qualifica, all'epoca dei fatti, era rivestita da G.A. (come chiaramente emerge dal DVR in vigore al 04/1/10, acquisito all'udienza del 04/5/15). Le norme richiamate nella imputazione -afferenti ad importanti profili di colpa specifica - non solo indicano come destinatario la figura del datore di lavoro (G.A. e non R.L.), ma attengono ad obblighi che, in quanto strettamente connessi alla valutazione dei rischi, non sono delegabili ex lege, ai sensi dell'art. 17 d.lgs. 81/08.
IV) Erronea applicazione della legge penale, con specìfico riferimento agli artt. 22, 23, 24, 70 e 71 d.lgs. 81/2008, nella parte della sentenza in cui sono stati attribuiti al R.L., quale procuratore speciale del datore di lavoro, compiti e responsabilità spettanti al progettista ed al fabbricante della macchina ritenuta pericolosa.
Secondo la difesa, a torto la Corte di merito ha sostenuto che il R.L. si sarebbe dovuto preoccupare dell'inidoneità del sistema di tenuta della manichetta, ponendovi rimedio o, comunque, suggerendo soluzioni idonee a risolvere la problematica, non essendo egli costruttore del mezzo e non rivestendo la qualifica datoriale.
Pur prendendosi atto degli orientamenti della Corte di Cassazione in tema di pluralità di posizioni di garanzia con riferimento alle figure del costruttore e del datore di lavoro, in caso di infortuni derivanti dall'utilizzo di macchinari, è noto come il medesimo orientamento di legittimità, al fine di evitare pericolose forme di responsabilità oggettiva, tenda ad escludere la responsabilità del datore di lavoro nella ipotesi in cui l'accertamento di un elemento di pericolo della macchina o di un vizio di progettazione o di costruzione sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio, che impediscano di apprezzarne la sussistenza con l'ordinaria diligenza (così Sez. 4, n. 22249 del 14/03/2014 Rv. 259229 01).
Ebbene, sul punto, la Corte d'appello avrebbe errato nell'applìcazione della legge penale: tutti i testi e lo stesso perito hanno concordemente sostenuto che la valutazione del rischio andava fatta (anzi, poteva essere fatta) non dall'utilizzatore del laboratorio (ovvero dall'ENERGO) ma solo ed esclusivamente dal soggetto che aveva progettato l'apparecchiatura non potendo la soc. Energo apprezzare la esistenza di eventuali vizi con l'ordinaria diligenza. Lo stesso perito nominato dal Giudice ha evidenziato come la scelta della valvola e l'eventuale sostituzione di essa spettava al costruttore.
Alla luce di tali evidenze, l'unico soggetto in grado di valutare i rischi connessi alle possibili applicazioni del laboratorio mobile, avrebbe dovuto essere il progettista o il costruttore dell'apparecchiatura (nel caso specifico AEA) e non il R.L..
V) Erronea applicazione della legge penale con particolare riferimento agli artt. 16, 223 e 225 d. lgs. 81/2008, in relazione alla parte della sentenza impugnata in cui sono stati attribuiti al ricorrente obblighi propri del datore di lavoro, non delegabili ed obblighi del responsabile della prevenzione e sicurezza.
Nella parte iniziale della sentenza impugnata, in punto di diritto, la Corte di merito, sulla delega conferita al R.L., conclude nel senso che "le attività delegate ricomprendevano evidentemente, sia pure senza menzionarli direttamente anche i compiti di valutazione del rischio in materia di sicurezza".
In altri termini, secondo la Corte di merito, è ammissibile la delega anche di funzioni non menzionate all'interno dell'atto di procura con cui si conferiscono determinati poteri. Tale conclusione sarebbe assolutamente in contrasto con i più recenti orientamenti della Corte di Cassazione, formatisi a seguito della nota pronuncia delle Sezioni Unite Tyssen-Krupp, secondo i quali in materia di infortuni sul lavoro, gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro, possono essere trasferiti ad altri soggetti a condizione che il relativo atto di delega, ex art. 16 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, riguardi un ambito ben definito e non l'intera gestione aziendale, sia espresso ed effettivo, non equivoco ed investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa.
Il R.L., rappresenta la difesa, oltre ad avere un limite di spesa di soli 1000 euro non era stato investito di alcuna delega in materia.
La sentenza d'appello, sul punto, sarebbe affetta da un duplice vizio: per un verso attribuisce a R.L. poteri che egli non possedeva e che dovrebbero essere attributi ad altri soggetti (il RSSP M.A.), per altro verso, non tiene conto che il R.L. - in considerazione degli oggettivi limiti di spesa e dei costi di gran lunga superiori rispetto al limite di spesa dell'intervento - non avrebbe potuto porre in essere alcuna delle modifiche ipotizzate dalla Corte di merito.
VI) Erronea applicazione della legge extra-penale con riferimento alla parte della sentenza in cui è stata prevista la condanna al risarcimento del danno e al pagamento di una provvisionale in favore della persona offesa L.M. in violazione dell'art. 10 del d.P.R. n. 1124 del 30/06/1965. Manifesta illogicità della motivazione in ordine ai criteri utilizzati per la valutazione del danno differenziale.
La difesa rappresenta che ai L.M. erano già state riconosciute dall'Inail prestazioni previdenziali per un costo complessivo pari, alla data del 6 ottobre 2014, ad euro 213.830,88, come risulta dalla diffida di pagamento trasmessa in tale data dall'INAIL ad Energo (depositata agli atti in data 4/5/2015).
L'Inail ha poi riconosciuto un aggravamento delle condizioni di salute del signor L.M., indicata nel 25% e, in data 20 novembre 2014, ha indicato una riduzione della capacità lavorativa pari al 35%.
Tale aggravamento comporterà un aumento delle prestazioni riconosciute dall'Inail all'infortunato.
La Corte d'Appello ha confermato l'ingente provvisionale disposta in primo grado in favore di L.M., pari ad euro 50.000, sulla base degli importanti danni fisici cagionati alla parsona offesa. 
In tal modo la Corte d'Appello avrebbe di fatto disapplicato l'art. 10 del d.P.R. 1124/65, in base al quale il giudice, prima di condannare al risarcimento del danno e riconoscere una provvisionale, dovrebbe: calcolare l'entità del danno cagionato (ovvero, per la provvisionale, l'entità del danno per cui si ritiene raggiunta la prova); accertare l'entità dell'indennizzo Inail (o quanto meno fare una valutazione prognostica) e, nel caso in cui il danno subito sia superiore all'indennizzo versato, calcolare l'eventuale differenza tra i due importi e valutare su queste basi i presupposti per la liquidazione del danno o della provvisionale.
Pertanto, si chiede l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, nella parte in cui ha condannato l'imputato ed il responsabile civile al risarcimento del danno e ad una provvisionale in favore del signor L.M.. In subordine, si richiede di annullare la sentenza con rinvio alla Corte d'appello, affinché valuti la sussistenza di un danno differenziale in capo al signor L.M., nonché la sussistenza dei presupposti per la condanna al risarcimento del danno e al riconoscimento di una provvisionale, se dei caso annullando o riducendo la provvisionale medesima. Ritenuta la risarcibilità in questa sede del solo "danno differenziale" e la totale assenza di motivazione su tale specifica tipologia di danno, la difesa richiede di annullare senza rinvio la sentenza impugnata, nella parte in cui ha riconosciuto una provvisionale al signor L.M.; in subordine, chiede di annullare la sentenza con rinvio alla Corte d'appello affinché proceda a riesaminare la richiesta di provvisionale della predetta parte civile.
VII) Carenza di motivazione in ordine alla esistenza di un concorso di colpa in capo al lavoratore e sulla quantificazione del danno differenziale e della provvisionale.
Lamenta che il danno differenziale non deve essere sopportato dal datore di lavoro per l'intero ma deve essere ridotto quando la condotta dei lavoratore è stata invece connotata da una molteplicità di comportamenti negligenti ed imprudenti. Il L.M. sarebbe incorso in una serie di violazioni, trascinando la manichetta e non indossando il materiale ignifugo che era stato messo a sua disposizione.
VIII) Mancanza di motivazione in ordine alle ragioni per le quali è stato riconosciuto il danno iure proprio ai prossimi congiunti del L.M.
La condanna generica al risarcimento del danno e il riconoscimento di una provvisionale a favore di persone diverse dall'infortunato, vale a dire i familiari del signor  L.M., si pongono in contrasto con i principi sostenuti dalla giurisprudenza in tema di danno non patrimoniale cd. "da riflesso".
Secondo un orientamento giurisprudenziale sarebbero inammissibili le richieste risarcitorie formulate iure proprio dai prossimi congiunti della persona offesa dal reato di lesioni personali. Trattasi di un interpretazione ragionevole, dettata dalla preoccupazione di un'incontrollabile moltiplicazione delle richieste di risarcimento.
In ogni caso, anche l'orientamento che ammette la risarcibìlità di tale tipo di danno circoscrive il risarcimento alle lesioni di gravissima entità ed a particolari situazioni affettive esistenti con la vittima stessa, che giustifichino la liquidazione di un danno in via equitativa, sulla base di una valutazione complessiva del pregiudizio non patrimoniale subito.
Tale valutazione si deve basare su elementi oggettivi forniti dai danneggiato, come la coesione del nucleo familiare e la sua consistenza, le abitudini di vita e la compromissione delle esigenze familiari.
Nel caso di specie, sebbene nulla sia emerso nel corso del dibattimento in ordine alla coesione del nucleo familiare ed i rapporti tra la vittima e le singole parti civili, è stato disposto il risarcimento dei danno patrimoniale, con il riconoscimento di una provvisionale, non solo nei confronti dei due genitori conviventi (Andrea L.M. e R.B.) ma anche delle quattro sorelle non conviventi.
L'omessa motivazione è ancor più evidente per le signore OMISSIS, considerato che, sìa il giudice di primo grado che quello di secondo grado hanno evidenziato che il L.M. ha avuto assistenza solo dai genitori e dalla sorella Omissis.
IX) Carenza di motivazione in ordine alla ritenuta non abnormità della condotta del lavoratore.
Secondo un principio di comune applicazione giurisprudenziale può essere considerato imprudente ed abnorme ai fini causali, non solo il comportamento del lavoratore posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli, ma anche quello che rientri nelle mansioni che sue proprie, ma che sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte dei lavoratore nella esecuzione del lavoro.
X) Mancata assunzione, ai sensi dell'art. 603 cod.proc.pen., della testimonianza dell'Ing. C. in merito ai costi degli interventi strutturali richiesti dal giudice di merito. In sede di gravame, la difesa del R.L. aveva chiesto alla Corte di merito - ex art. 603 cod.proc.pen. - di voler disporre la rinnovazione parziale del dibattimento mediante l'escussione dell'Ing. Vincenzo C., in ordine all'individuazione dei costi di studio, progettazione e realizzazione degli interventi strutturali sulla manichetta richiesti dai Tribunale. Tale rinnovazione parziale del dibattimento, era da considerarsi assolutamente necessaria, attenendo ad una circostanza fondamentale ai fini del presente giudizio, in considerazione del fatto che la procura notarile conferita all'imputato R.L. aveva un limite tassativo di spesa di euro 1.000,00. Invece, sulla scorta di quanto emerso dalla documentazione a firma dell'Ing. C. (allegata all’atto d'appello), la spesa per l’intervento ipotizzato dal Tribunale avrebbe richiesto un costo di gran lunga superiore ai 1.000 euro.
4. In favore della Soc. Energo, Sa difesa, nell'articolato atto di impugnazione, ha rassegnato motivi di ricorso del tutto analoghi a quelli presentati dall'imputato R.L., così riassumibili.
I) Nel primo motivo lamenta che non sono state accertate in maniera completa e soddisfacente le cause dell’evento e dell'accidentale apertura della valvola. Si afferma pertanto che la motivazione offerta dalla Corte di merito, riguardante la esistenza del nesso di causa tra le condotte contestate al ricorrente e l’evento sarebbe manifestamente illogica.
II) Nel secondo motivo di ricorso lamenta erronea applicazione della legge extra-penale che disciplina i dispositivi di sicurezza obbligatori sui cosiddetti laboratori mobili. Deduce inoltre la manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui ha addebitato all'imputato la mancata adozione di dispositivi di sicurezza non obbligatori; tali dispositivi sarebbero assolutamente inadatti ad evitare il rischio concretizzatosi nei caso in esame.
III) Nel terzo motivo deduce manifesta Illogicità della motivazione nella parte in cui ha ritenuto sussistente l'elemento soggettivo del reato, la prevedibilità dell'evento e l'esigibilità della condotta alternativa.
IV) Nel quarto motivo deduce erronea applicazione della legge penale nella parte in cui attribuisce all'imputato, quale procuratore speciale dei datore di lavoro dell'infortunato, compiti e responsabilità spettanti al progettista ed al fabbricante della macchina ritenuta pericolosa.
V) Nel quinto motivo deduce erronea applicazione della legge penale nella parte in cui sono state attribuite al R.L., delegato in materia di sicurezza, obblighi propri del datore di lavoro non delegabili ed obblighi del responsabile della prevenzione e sicurezza.
VI) Nel sesto motivo lamenta erronea applicazione della legge nella parte in cui è stata emessa una sentenza di condanna al risarcimento dei danno e al pagamento di una provvisionale in favore di  L.M. in violazione dell'art. 10 d.P.R. 1124/65. Manifesta illogicità della motivazione in ordine ai criteri utilizzati per la valutazione dei danno differenziale.
VII) Nel settimo motivo lamenta carenza di motivazione in ordine alla esistenza di profili di colpa in capo al lavoratore, in vista della valutazione del danno differenziale.
Vili) Nell'ottavo motivo deduce mancanza di motivazione in ordine alle ragioni per cui è stato riconosciuto il danno patrimoniale, biologico e morale in capo ai prossimi congiunti di L.M..
TX) Nel nono motivo lamenta mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta non abnormità della condotta del lavoratore.
Le argomentazioni poste a fondamento dei predetti motivi di ricorso, risultano del tutto analoghe a quelle rappresentate nel ricorso prodotto dalla difesa dell'imputato, sopra riassunte.
5. Con memoria ex art. 611 cod. proc. pen,, depositata in data 25/2/2019, le parti civili costituite chiedevano la inammissibilità dei ricorsi.
 

 

Diritto

 


1. Deve preliminarmente rilevarsi come il reato ascritto all'imputato sia estinto per intervenuta prescrizione.
Il termine massimo di prescrizione del reato di lesioni colpose è di anni sette e mesi sei, da farsi decorrere dalla data dell'infortunio, occorso in data 22/6/2010. In assenza di cause di sospensione della prescrizione, non rilevate dalla lettura degli atti, tale termine risulta interamente decorso alla data del 22/12/2017.
La causa di estinzione dei reato per intervenuta prescrizione deve essere rilevata anche in sede di legittimità, fuorché nei casi di inammissibilità del ricorso (ex multis Sez. 6, n. 32872 dei 04/07/2011 Rv. 250907, così massimata: "La prescrizione dei reati maturata nel corso del giudizio di legittimità è rilevabile a condizione che il ricorso, almeno in parte, sia ammissibile e sempre che non risulti dagli atti la prova evidente che il fatto non sussiste, non è stato commesso dall'imputato o non costituisce reato"). Quanto alle più favorevoli forme di proscioglimento, di cui alla previsione del secondo comma dell'art. 129 cod. proc. pen., esse vengono in rilievo soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale, emergano dagli atti in modo assolutamente evidente e non contestabile, essendo la valutazione da compiersi in tali casi, più vicina al concetto di "constatazione", che di "apprezzamento". Essa, invero, è incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 dei 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274).
Nel caso in esame, è da escludersi che i ricorsi proposti presentino profili di inammissibilità, capaci d'incidere sulla valida instaurazione del rapporto di impugnazione, pertanto, deve dichiararsi la estinzione dei reato per intervenuta prescrizione.
Benché sia intervenuta la causa estintiva del reato, si dovrà procedere ad esaminare nel merito i motivi di doglianza proposti dai ricorrenti. Invero, nel giudizio di impugnazione, in presenza di una condanna al risarcimento dei danni o alle restituzioni pronunciata dai primo Giudice o dalla Corte d'appello, in seguito a costituzione di parte civile nel processo, è preciso obbligo del Giudice, anche di legittimità, secondo il disposto dell'art. 578 cod. proc. pen,, esaminare il fondamento dell'azione civile e verificare, senza alcun limite, l'esistenza di tutti gli elementi della fattispecie penale, al fine di confermare o meno la condanna alle restituzioni ed al risarcimento pronunciate nei precedenti gradi.
2. Tutto ciò premesso, deve ulteriormente evidenziarsi che, essendo di eguale contenuto le critiche mosse alla sentenza di appello da parte dei difensori dell'imputato e del responsabile civile, sì procederà ad una trattazione unitaria dei motivi di impugnazione, così evitando di incorrere in superflue ripetizioni.
Passando quindi al merito della regiudicanda, occorre rilevare come le doglianze difensive siano tutte infondate.
3. Quanto al primo motivo di doglianza, risulta acclarato che la valvola a volantino che ha cagionato la fuoriuscita del gas si è aperta accidentalmente. Tale aspetto non è stato messo in discussione dalle difese che si dolgono specificamente del mancato accertamento delle modalità attraverso le quali si è verificata l'apertura della valvola, formulando tre distinte ipotesi (caduta della manichetta dalle mani dell'operaio; urto della manichetta contro la rete metallica esistente in loco; strofinamento sul terreno).
Ebbene, i diversi casi ipotizzati dai ricorrenti non sono suscettibili di determinare alcuna incertezza sulla ricostruzione della causa dell'infortunio e sul nesso eziologico tra la condotta addebitata al ricorrente e l'evento, essendo la fuoriuscita dei gas comunque riconducibile al fenomeno dell'apertura accidentale della valvola. Spostando l'attenzione dalla causa della fuoriuscita del gas, alla occasione da cui è scaturita tale causa, i difensori introducono argomenti di riflessione che risultano essere del tutto ininfluenti ai fini della ricostruzione del fatto e della individuazione delle responsabilità del ricorrente. 
A questo proposito non è superfluo ricordare che il Giudice di primo grado, ha evidenziato in sentenza che l'Ing. P. (nominato perito dal G.i.p. in sede d'incidente probatorio), analizzata l'attrezzatura presente sul laboratorio mobile, dopo avere eseguito alcune prove pratiche sul funzionamento della valvola di testa della manichetta della fase liquida, ha accertato che, in ogni caso di caduta della stessa dall'altezza di circa un metro, nonché, in caso di suo trascinamento sui terreno anche per un brevissimo tratto, in ragione dell’effetto combinato della pressione interna e di quella generata dal contatto con il terreno, sì era verificata l'apertura della valvola di 1-2 giri.
E' quindi infondata la prospettazione difensiva secondo la quale sarebbero rimaste ignote le cause della fuoriuscita del gas e della conseguente fiammata, essendo del tutto evidente, sulla base della logica ricostruzione dei fatti operata dai Giudici di merito, che l'origine dell'infortunio sia da ascriversi all'apertura accidentale della valvola a farfalla che si produce, sulla base di quanto recepito in base alle prove pratiche effettuate dal perito nominato, sia per effetto della caduta della manichetta, sia per effetto del suo trascinamento.
Da tale premessa discende la correttezza logica della ulteriore argomentazione portata dai giudici di merito: qualunque sia stata l'occasione dell'apertura improvvisa della valvola durante la movimentazione compiuta dall'operaio - urto o strofinamento - la collocazione di una valvola supplementare nella parte finale del tubo flessibile (o di una valvola ad intercetto o di un tappo di chiusura) avrebbe sicuramente impedito la fuoriuscita del gas, scongiurando il determinarsi dell'evento. Anche sotto questo profilo, ì Giudici hanno ritenuto di attribuire rilievo alle conclusioni rassegnate dal perito nominato il quale ha sostenuto la validità di tale modifica al sistema di sicurezza già presente sull'apparecchiatura, per elidere il rischio della fuoriuscita accidentale del gas durante le manovre della tubazione.
Si deve pertanto concludere che sulla eziologia dell'evento non possano svolgere alcuna incidenza le diverse modalità osservate dalla difesa: tali modalità, riconducibili al numerus clausus indicato dai ricorrenti (urto e strofinamento), sono in grado di determinare comunque l'apertura accidentale della valvola.
Né è possibile sostenere, in contrapposizione a quanto è stato affermato dai giudici di merito, che i rimedi individuati nelle sentenze non solo non sarebbero suscettibili di eliminare i fattori di rischio concretizzatisi nel caso in esame, ma ne comportorterebbero il loro potenziamento. Tale affermazione è meramente assertiva: essa oltre ad essere sprovvista di argomentazioni scientifiche a sostegno, è contraria a logica in quanto risulta piuttosto evidente che un rafforzamento del sistema di sicurezza presente sulla manichetta - come evidenziato dai Giudici - non avrebbe consentito la fuoriuscita dei gas liquido.
Le argomentazioni poste a fondamento del ragionamento seguito dai Giudici nell'analisi concreta del caso, con riferimento agli aspetti riguardanti la previsione del rischio ed i rimedi esperibili per farvi fronte, risultano conformi agli orientamenti stabiliti in sede di legittimità, in base ai quali deve essere previsto ogni rischio a cui si espone il lavoratore nei corso dell'attività che egli è chiamato a svolgere; devono essere approntate da parte del datore di lavoro e, più in generale, da parte di coloro che rivestono una posizione di garanzia, i rimedi di sicurezza che garantiscano la maggiore tutela possibile della salute dei lavoratore; si deve fare luogo al rafforzamento delle misure di sicurezza in ogni momento ove l'attività evidenzi possibili pericoli (si veda, ex muitis, Sez. 4, n. 20129 del 10/03/2016, Rv. 267253 01, così massimata: "In tema di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro ha l’obbligo di analizzare e individuare con il  grado di specificità, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'Interno dell'azienda, avuto riguardo alla casistica concretamente verificabile in relazione alla singola lavorazione o all'ambiente di lavoro, e, all'esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall'art. 28 del D.Lgs. n. 81 del 2008, all'interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori").
4. Parimenti infondato risulta il secondo motivo di ricorso.
La violazione della legge extrapenale e, più in generale, la conformità dell'impianto alle previsioni di settore è evocata dalla difesa attraverso il richiamo a disposizioni che non impongono l'adozione di cautele supplementari rispetto a quelle già presenti sull'apparecchiatura in esame. Tale circostanza, tuttavia, non può essere addotta come ragione di esonero di responsabilità, avendo questa Corte più volte sostenuto, con riferimento a molteplici casi, il principio che il rispetto delle cautele previste ex lege non esaurisce tutti gli obblighi di colui che riveste la qualifica datoriale e dei soggetti che ricoprano una posizione di garanzia nella gestione del rischio. Il principio è stato affermato proprio con riferimento all'impiego di macchinari che avevano superato positivamente il vaglio di controllo degli organi competenti e che si erano rivelati poi pericolosi [si veda in proposito Sez. 4, n. 41985 del 29/04/2003 Rv. 227286 - 01, così massimata: "In tema di infortuni sul lavoro, la circostanza addetti lavoratori (nella specie una rotoimballatrice), conforme alla legge, non esonera l’imprenditore da responsabilità, in quanto egli è in primis il destinatario delle norme antinfortunistiche, previste a tutela della sicurezza dei lavoratori, ed ha l'obbligo di conoscerle e di osservarle, indipendentemente da prescrizioni, suggerimenti ed eventuali carenze delle autorità di vigilanza, obbligo che costituisce la manifestazione più significativa dei dovere di solidarietà, previsto dall'art. 2 della Costituzione"].
Pertanto, il fatto che la disposizione invocata dalla difesa preveda la esistenza di una sola valvola a volantino, non vuol dire che non possa essere necessario un ulteriore sistema di controllo delle fughe di gas, anche in relazione al tipo di attività che in concreto doveva essere svolta dall'operaìo ed ai luoghi nei quali essa veniva espletata.
La tematica è strettamente connessa a quella della previsione del rischio, che compete al soggetto chiamato alla sua gestione, il cui ambito non può essere perimetrato in astratto ma in concreto, in base alla valutazione di tutte le circostanze in cui si trovi ad operare ii lavoratore. Pertanto, il fatto che l'apparecchiatura fosse dotata del certificato di conformità o che tale tipo di apparecchiatura sia adoperata anche dall'Ispels, non è dirimente ai fini della esclusione della responsabilità del ricorrente R.L..
In proposito, la giurisprudenza di questa Corte ha affermato ripetutamente che la valutazione dei rischio debba essere la più ampia e specìfica possibile e che il datore di lavoro che metta a disposizione dei propri dipendenti un determinato macchinario, deve eliminare ogni fonte di pericolo per i lavoratori dipendenti chiamati ad avvalersi della macchina, con l'unico limite rappresentato dall'Impossibilità di avvedersi del vizio o del difetto con la ordinaria diligenza (così, ex plurìmìs, Sez, 4, n. 1216 del 26/10/2005, dep, 13/01/2006 , Rv. 233175 - 01, così massimata: "La responsabilità del costruttore, nell’ipotesi in cui l’evento dannoso sia stato provocato dall'inosservanza delle cautele antinfortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, non vale ad escludere la responsabilità del datore di lavoro utilizzatore della macchina, giacché questi è obbligato ad eliminare le fonti dì pericolo per i lavoratori dipendenti chiamati ad avvalersi della macchina. A tale regola, fondante la concorrente responsabilità dei datore di lavoro, si fa eccezione nella sola ipotesi in cui l'accertamento di un elemento di pericolo nella macchina o di un vizio di progettazione o di costruzione di questa sìa reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio, impeditive dì apprezzarne la sussistenza con l'ordinaria diligenza (per esempio, allorquando il vizio riguardi una parte non visibile e non raggiungibile della macchina).
Ebbene, nel caso in esame, come hanno condivisibilmente evidenziato i Giudici di merito, la fonte del pericolo era ben nota alla Energo, essendo previsto nel documento elaborato dai R.L., in cui erano state stabilite le procedure da seguire per effettuare la pressurizzazione, di prestare attenzione a non trascinare l'estremità delle manichette, che avrebbe potuto determinare la rotazione dei volantini con rilascio incontrollato della fase liquida.
5. Sulla prevedibilità dell'evento, oggetto del terzo motivo di ricorso in entrambi gli atti di impugnazione, come già detto, la Corte di merito si è correttamente espressa, ponendo in evidenza la circostanza che il R.L. fosse a conoscenza del rischio specifico collegato ad una accidentale apertura della valvola, tanto da averla prevista nel documento che regolamentava e procedìmentalizzava le operazioni di pressurizzazione. La previsione di tale rischio, imponeva evidentemente l'adozione di soluzioni tecniche adeguate per farvi fronte, non potendo essere affidata alla esclusiva accortezza dei lavoratore il compito di di fronteggiare un pericolo cosi grave. E' quindi del tutto condivisibile il passaggio della sentenza impugnata in cui si afferma: "la certezza della possibilità d’aperture accidentali della valvola ... avrebbe imposto l'adozione di soluzioni tecniche, che risolvessero alla fonte il problema della fuoriuscita accidentale di gas, quali quelle indicate in motivazione, che, aggiungendo sicurezze aggiuntive del tutto necessarie alla luce di quanto esposto dal consulente escusso, avrebbero certamente impedito il verificarsi dell'evento".
Per i difensori, la Corte di merito avrebbe trascurato di considerare una serie di elementi dai quali sarebbe desumibile la non prevedibilità dell'evento da parte della Energo e l'inesugibilità delle modifiche prospettate dai Giudici sul macchinario da parte del R.L..
In proposito, nei ricorsi si distingue la posizione dell'Energo (utilizzatore dell'apparecchiatura) da quella di AEA (costruttore della stessa) e si sostiene che l'adozione di cautele supplementari per evitare la fuoriuscita del gas debba ritenersi di esclusiva spettanza del costruttore o del progettista, in quanto depositari delle informazioni necessarie per provvedere ad effettuare modifiche sul macchinario.
La impostazione è in contrasto con gli orientamenti della Corte di legittimità, già ricordati in precedenza e richiamati anche nella sentenza di appello, secondo i quali, in caso di impiego di un macchinario nel quale sia presente un vizio suscettibile di arrecare danno alla salute del lavoratore, vi è la concorrente responsabilità del costruttore e del datore di lavoro che consenta l'utilizzazione di tale macchinario. Ciò in quanto il datore di lavoro ha l’obbligo di garantire la sicurezza dell'ambiente di lavoro e dunque anche quello di accertarsi che i macchinari messi a disposizione dei lavoratori siano sicuri e idonei all'uso, rispondendo, in caso di omessa verifica, dei danni subiti da questi ultimi per il loro cattivo funzionamento, anche a prescindere dall'eventuale configurabìlìtà dì autonome concorrenti responsabilità nei confronti dei fabbricante o dei fornitore dei macchinari stessi (così Sez. 4, n. 6280 del 11/12/2007, dep. 08/02/2008, Rv. 238959 - 01).
6. In ordine alla qualifica rivestita da R.L. nell'ambito dell'azienda, risulta acclarato che il R.L. era responsabile della sicurezza, essendo destinatario di un'ampia procura che lo investiva, tra gli altri, del compito di: "prevedere, pianificare e curare l'adozione di tutti i mezzi di protezione, i dispositivi, gli strumenti e gli interventi tecnico-organizzativi atti ad assicurare le migliori condizioni per ia sicurezza dei 'lavoratori sui luogo di lavoro... aggiornando le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e lavorativi rilevanti ai fini della salute e della sicurezza sul lavoro, ovvero in relazione all'evoluzione della tecnica della prevenzione e protezione ii tutto coordinandosi con chi esercisce la funzione dì responsabile del servizio di prevenzione e protezione, fornendogli l'opportuno supporto ed osservandone le direttive.
Ciò ha permesso ai Giudici di merito di affermare che il R.L. era titolare di una posizione di garanzia nei confronti del lavoratore, rimarcata peraltro dalla circostanza che egli era il redattore di un documento nel quale erano indicate le procedure da seguire nelle operazioni di pressurizzazione ed era individuato il rischio della possibile apertura della valvola in conseguenza del suo strofinamento.
Sebbene determinati obblighi non siano delegabili (siccome prevede oggi espressamente l'art. 17 d.lgs 81/08), è altrettanto vero che l'assunzione di responsabilità tipiche della figura datoriale possa derivare dall'esercizio di fatto delle sue funzioni (sul principio dell'effettività, si veda Sez. 4, n. 24136 dei 06/05/2016, Rv. 266854 - 01, così massimata: "In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, le responsabilità del dirigente e del preposto non trovano la propria origine necessariamente nei conferimento di una delega da parte del datore di lavoro, potendo derivare, comunque, dall'investitura formale o dall'esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure dì garantì"; conforme: Sez. 4, n. 22246 dei 28/02/2014, Rv. 259224 - 01, così massimata: "In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in base al principio di effettività, assume la posizione di garante colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto, il che non vale, tuttavia, a rendere efficace una delega priva dei requisiti di legge").
La Corte di merito, in ossequio ai principi richiamati, ha evidenziato che il R.L., contemplando l'evenienza dell'apertura della valvola a volantino, ha previsto il rischio collegato a tale possibilità, il che si e tradotto nell'assunzione di fatto della responsabilità collegato alla gestione di tale rischio.
Per altro verso, anche in tempi recenti, la Corte di legittimità ha ribadito che, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell’obbligo di tutela impostogli dalla legge per cui l’omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione (cosi Sez. 4, n. 6507 del 11/01/2018, Rv. 272464 - 01).
La esistenza del limite di spesa di cui disponeva il R.L., su cui i difensori hanno richiamato l'attenzione dei Giudici di merito e di questa Corte, non risulta argomento valido per la esclusione della responsabilità dei ricorrente. La difesa ha ricordato che le Sezioni Unite di questa Corte, pronunciandosi in ordine alla ripartizione degli obblighi di prevenzione tra le diverse figure di garanti, nelle organizzazioni complesse hanno puntualizzato che "In materia di infortuni sul lavoro, gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro, possono essere trasferiti con conseguente subentro dei delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante, a condizione che il relativo atto di delega ex art. 16 del D.Lgs. n. 81 del 2008 riguardi un ambito ben definito e non l’intera gestione aziendale, sia espresso ed effettivo, non equivoco ed investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa" (Sez. U, Sentenza n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261108 - 01). .
Ebbene, non può assegnarsi valore dirimente, ai fini della esclusione della responsabilità del R.L., all'asserita circostanza che il potenziamento del sistema di sicurezza avrebbe comportato un impegno di spesa maggiore di quello di cui disponeva il ricorrente, Sul punto, il primo Giudice ha evidenziato che non risulta acclarato con certezza che la modifica dei macchinario avrebbe comportato una spesa superiore ai budget di cui disponeva il ricorrente e che, pur volendo ammettere (come riferito dal C.T. De.) che il valore della modifica avrebbe comportato un esborso di circa 1500-2000 euro, tale differenza non si discostava considerevolmente dal tetto di spesa di cui disponeva il R.L.,
7. Infondati sono i motivi di ricorso che riguardano il riconoscimento della provvisionale in favore della persona offesa, la mancala determinazione dei cd. danno differenziale, il riconoscimento della provvisionale in favore dei prossimi congiunti della persona offesa.
E’ noto che la condanna generica al risarcimento dei danni contenuta nella sentenza penale, pur presupponendo che il giudice abbia riconosciuto il relativo diritto alla costituita parte civile, non comporta alcuna indagine in ordine l’accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e dell’esistenza - desumibile anche presuntivamente, con criterio di semplice probabilità - di un nesso di  causalità tra questo ed il pregiudizio lamentato, restando perciò impregiudicato l'accertamento riservato al giudice civile sulla liquidazione e l'entità dei danno, ivi compresa la possibilità di escludere l'esistenza stessa di un danno eziologicamente collegato all’evento illecito (Sez, 3, Sentenza n. 36350 del 23/03/2015. Bertini e altri, Rv, 265637),
Quanto ai danno differenziale, la Corte ha avuto modo di precisare che "In tema di risarcimento di danni scaturenti da reato, è legittima l'assegnazione di una somma a titolo di provvisionale in favore della vittima di infortunio sul lavoro, nei cui confronti sia stata già disposta rendita Inail, la quale non risarcisce i danni morali conseguenti al reato. La predetta provvisionale, stante il carattere di provvisorietà, non pregiudica in alcun modo la liquidazione definitiva del danno e, pertanto, non è suscettibile di censura, in ordine al quantum, in sede di legittimità (così Sez. 4, Sentenza n, 16541 del 30/11/1990 lld. (dep, 18/12/1990 ) Rv. 186107 - 01).
In ordine al riconoscimento della provvisionale in favore della persona offesa, il provvedimento con il quale il giudice di merito, nel pronunciare condanna generica ai risarcimento dei danno, assegna alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva non è impugnabile per Cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento (ex multis Sez. 2, Sentenza n. 49016 del 06/11/2014, Rv. 261054 - 01).
Con riferimento al riconoscimento della provvisionale in favore dei prossimi congiunti della vittima, la Corte di merito ha ricordato che, ai prossimi congiunti della persona offesa che abbia subito lesioni personali, a causa di un fatto illecito costituente reato, spetta il risarcimento di tutti i danni.
Tale assunto è conforme ai principi stabiliti in sede di legittimità, avendo questa Corte affermato che: "Ai prossimi congiunti della persona che abbia subito, a causa di un fatto illecito costituente reato, lesioni personali, spetta il risarcimento dei danni patrimoniali, biologici e morali" (così Sez. 4, Sentenza n. 11203 del 21/01/2010, Rv. 249484 - 01). Si legge in motivazione della citata sentenza che, in tema di danni patrimoniali cagionati dai reato, la responsabilità civile del colpevole sussiste non solo in relazione all'offesa al bene oggetto specifico della tutela penale, ma altresì alla lesione di ogni altro interesse patrimoniale riconducibile nell'ambito della condotta delittuosa dei condannato, in virtù del nesso di derivazione eziologica. Il nesso tra fatto illecito ed evento dannoso può essere anche indiretto o mediato, e ciò si verifica quando il comportamento dell'autore, pur non cagionando direttamente il danno, abbia determinato una situazione tale che, senza di esso, questo non si sarebbe verificato. Pertanto, poichè il danneggiato dal reato - cui spetta il risarcimento del danno ai sensi dell'art. 185 del cod. pen. non si identifica soltanto con il soggetto passivo del reato, anche i prossimi congiunti della parte colpita da lesioni gravissime possono riportare un danno eziologicamente riferibile, sia pure in via indiretta, alla condotta del soggetto attivo del reato e, quindi, essere legittimati a chiedere dì essere risarciti dei danni di contenuto economico da essi patiti.
E' quindi legittimo il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno e della provvisionale in favore dei prossimi congiunti della vittima, avendo la Corte di merito precisato che, dalle testimonianze assunte, si e acclarato che la malattia provocata nella vittima ha duramente colpito e sconvolto l'intero nucleo familiare d'origine minandone la serenità per lungo tempo.
8. Parimenti infondato è il motivo di ricorso riguardante la mancata valutazione del comportamento abnorme del lavoratore. Sul punto i giudici di merito, con argomentazioni immuni da vizi logici, hanno sostenuto che nessun rischio eccentrico era stato attivato dal lavoratore, evidenziando che l'infortunio era avvenuto nello svolgimento delle attività che erano state affidate al L.M. e che il suo comportamento era stato scevro da connotati eccentrici ed imprevedibili.
L'argomento difensivo che fa leva sulla presunta abnormità del comportamento del lavoratore è quindi inaccoglibile: il dipendente, come evidenziato dai giudici di merito non ha posto in essere alcun comportamento abnorme o eccezionale rispetto all'attività da eseguire, alla luce dei criteri elaborati dalla giurisprudenza consolidata di questa stessa sezione, secondo cui "In tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore faccia venir meno la responsabilità del datore di lavoro, occorre un vero e proprio contegno abnorme del lavoratore medesimo, configurabile come un fatto assolutamente eccezionale e del tutto al di fuori della normale prevedibilità, quale non può considerarsi la condotta che si discosti fisiologicamente dal virtuale ideale" (cfr. Sez, 4 n. 22249 del 14/03/2014, Rv. 259127). Sempre con riferimento al concetto dì "atto abnorme", si è pure precisato che tale non può considerarsi il compimento da parte del lavoratore di un'operazione che, pure inutile e imprudente, non sia però eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell'ambito dei ciclo produttivo [cfr. Sez. 4 n. 7955 del 10/10/2013 Ud. (dep. 19/02/2014), Rv. 259313].
L'abnormità del comportamento del lavoratore, dunque, può apprezzarsi solo in presenza della imprevedibilità della sua condotta e, quindi, della sua ingovernabilità da parte di chi riveste una posizione di garanzia. Sul punto, si è peraltro efficacemente sottolineato che tale imprevedibilità non può mai essere ravvisata in una condotta che, per quanto imperita, imprudente o negligente, rientri comunque nelle mansioni assegnate, poiché la prevedibilità di uno scostamento del lavoratore dagli standards di piena prudenza, diligenza e perizia costituisce evenienza immanente nella stessa organizzazione del lavoro. Il che, lungi dall'avallare forme di automatismo che svuotano di reale incidenza la categoria del "comportamento abnorme", serve piuttosto ad evidenziare la necessità che siano portate alla luce circostanze peculiari - interne o esterne ai processo di lavoro - che connotino la condotta dell'infortunato in modo che essa si collochi al dì fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso (cfr. in motivazione Sez. 4 n. 7955/2013 richiamata;.
9. Quanto alla mancata rinnovazione del dibattimento finalizzata alla escussione del perito Ing. C., il giudice d'appello ha l'obbligo di motivare espressamente sulla richiesta di rinnovazione dei dibattimento nel solo caso di suo accoglimento, mentre può anche motivarne implicitamente il rigetto, evidenziando la sussistenza di elementi sufficienti ad affermare o negare la responsabilità del reo (così, da ultimo, Sez. 4, n. 1184 del 03/10/2018, Rv. 275114 - 01). Tale orientamento è espressione del più generale principio della presunzione dì completezza della istruttoria dibattimentale svolta in primo grado. Pertanto, mentre la decisione di procedere a rinnovazione deve essere specificamente motivata, occorrendo dar conto dell'uso del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non poter decidere allo stato degli atti, nel caso di rigetto, la decisione può essere anche sorretta da una motivazione implicita, rinvenibile nella stessa struttura argomentativa posta a base della pronuncia di merito, che evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti per la valutazione negativa o positiva della responsabilità [cfr, Sez 5 n. 6379 del 17/03/1999, Bianchi r. eu altri, Rv. 213403; n. 8891 dei 16/05/2000, Caligari F,, Rv. 217209; conf. Sez. 1 n, 19022 del 10/10/2002 Ud. {dep. 72/04/7003). Di Gioia, Rv. 723985; n. 38177 dell'l 1/10/7007, Giovannel», Rv. ¿22469; Sez. 6 n. 22526 dei 17/02/2003, Tateo, Rv. 226295; Sez. 5 n. 13767 drl 18/03/7003, Prospero e altro. Rv. 725633; Fez. 6 n, 6787 del 18/12/7006 Ud. (dep. 12/02/2007), Gagliano, Rv, 236084: Sez. 5 n. 15320 del 10/12/2009 Ud. (dep. 21/04/2010), Pacini, Rv. 246859; Sez. 3 n. 24294 dei 21/05/2010, Rv. 247872: Sez. 6 n. 30774 del 16/07/2013. Trecce. Rv. 257741: n. 11907 del 13/12/2013 Ud. (dep. 12/03/2014), Coppola, Rv. 259893; n. 40496 dei 21/05/2009, Messina e altro, Rv. 245009].
10. In considerazione di quanto precede deve annullarsi senza rinvio, agli effetti penali, la sentenza impugnata nei confronti di R.L. per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione. Si rigettano i ricorsi agli effetti civili con condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili Omissis in questo giudizio di legittimità che sono liquidati in complessivi €4.500,00 oltre accessori come per legge.
 

 


P.Q.M.

 

Annulla senza rinvio, agli effetti penali, la sentenza impugnata nei confronti di R.L. per essere il reato estinto per prescrizione. Rigetta i ricorsi, agli effetti civili, e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili Omissis in questo giudizio di legittimità che liquida in curo 4.500,00, oltre accessori come per legge.
In Roma, cosi deciso il 15 marzo 2019