Cassazione Penale, Sez. 4, 18 giugno 2019, n. 26882 - Amputazione di quattro dita della mano di un operaio durante un intervento sul macchinario bloccato. Responsabilità dei componenti del Consiglio di Amministrazione


Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: ESPOSITO ALDO Data Udienza: 08/02/2019

 

FattoDiritto

 


1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Firenze, in riforma della sentenza assolutoria del Tribunale di Firenze del 23 dicembre 2016, ha condannato G.A., I.A. e I.AL. alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi quattro di reclusione per il reato di cui all'art. 590 cod. pen. (in Barberino Val D'Elsa il 17 novembre 2010).
B.M., dipendente della Icet Industrie s.p.a., della quale gli imputati erano consiglieri di amministrazione, subiva l'amputazione di quattro dita della mano destra a seguito di un intervento effettuato su di un macchinario Finn Power piegatrice di lamiere, in funzione presso la sede di Barberino Val D'Elsa.
Il macchinario funzionava in modo automatico. Per impedire eventuali trattenimenti o trascinamenti accidentali dei lavoratori negli organi in movimento, l'area era interdetta all'accesso con un recinto: se la porta era aperta, il macchinario si bloccava.
Il giorno dell'accaduto, B.M., addetto alla lavorazione della piegatrice da dieci anni, unitamente a R.A., entrava nel recinto di protezione, perché la macchina si era bloccata. Non riuscendo ad individuare la causa del blocco, decidevano di uscire dal recinto e di riattivare la macchina in modalità passo - passo occorrente verificare il punto critico; per comprendere il tipo di guasto, decidevano di uscire dal recinto a macchina in funzione, attraversando la griglia dalla quale fuoriscivano le lamiere piegate; in tal modo, il dispositivo di sicurezza costituito dal blocco della porta era bypassato: mentre B.M. esaminava la macchina, R.A. usciva dal recinto, passando dalla porta, e ciò determinava la riattivazione della macchina, col conseguente movimento dell'unità portautensili che amputava le dita dell'operaio. Si trattava di modalità di intervento improprie, perché si doveva entrare nel recinto soltanto passando dalla porta e perché gli interventi di manutenzione erano riservati alla ditta di assistenza Finn Power, con modalità di richiesta telefonica urgente.
1.1. Secondo il Tribunale, la responsabilità dell'infortunio era ascrivibile al solo preposto R.A. (giudicato separatamente ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen.), il quale non aveva avvertito l'assistenza tecnica in occasione del sinistro, mentre i vertici della società non avevano conoscenza di prassi difformi, risultando dimostrati interventi di manutenzione da parte della ditta di assistenza. Le modalità di prevenzione del rischio erano contenute nel manuale delle istruzioni del macchinario ed erano note agli operai, ai quali era imputabile una condotta gravemente negligente.
1.2. La Corte di appello ha riformato la sentenza di primo grado, attribuendo la responsabilità a carico dei tre imputati, datori di lavoro dell'autore materiale delle lesioni e membri del Consiglio di Amministrazione. 
La Corte territoriale ha osservato che la Icet era una società articolata e con numerosi dipendenti, ma priva di deleghe specifiche in ordine alla sicurezza e alla prevenzione degli infortuni sul lavoro, come dichiarato dal teste N. della ASL, dalla visura della CCIAA nonché esplicitamente e specificamente dal documento modello di gestione e controllo di cui al D. Lgs. n. 231 del 2001 prodotto dalla difesa. In assenza di esplicite deleghe di funzioni, i componenti del Consiglio di Amministrazione dovevano rispondere quali datori di lavoro. La richiesta di intervento dell'ASL, peraltro, perveniva dopo ben quattro mesi, circostanza indicativa dell'Intento di non accelerare i dovuti controlli.
B.M., sebbene dipendente da circa dieci anni, preposto a quel macchinario in via esclusiva, non aveva mai svolto corsi di formazione specifica, salvo quella ordinaria. B.M. e R.A. dichiaravano che, come prassi, in caso di guasti, sentivano telefonicamente l'assistenza della Finn - Power e ne richiedevano l'intervento solo se non erano in grado di rimediare da soli. Il fermo di tale macchina, infatti, comportava il fermo di tutta la produzione.
La Corte di merito ha configurato un'ipotesi di negligente disattenzione del Consiglio di Amministrazione della Icet verso gli specifici problemi di sicurezza del macchinario in questione e che tale prassi era incoraggiata, in quanto i dipendenti erano tenuti ad "arrangiarsi”' in situazioni del genere di quella verificatasi (in particolare, R.A. riferiva che avevano fretta). Anche dalla medesima documentazione prodotta dalla Icet emergeva la mancanza di richieste di interventi di riparazione alla Finn - Power.
2. I tre imputati, a mezzo dei rispettivi difensori, ricorrono per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo quattro motivi di impugnazione.
2.1 Violazione degli artt. 590, 42 e 43 cod. pen., per insussistenza dell'elemento soggettivo della colpa, non essendo rimproverabile nessuna condotta giuridica all'imputato.
Si deduce che la responsabilità era stata attribuita sulla base di un criterio meramente formale, in assenza di una condotta rimproverabile sotto il profilo soggettivo.
La macchina in questione aveva smesso di funzionare e il lavoratore, eludendo i sistemi di sicurezza, era penetrato all'interno del recinto di protezione, passando attraverso la griglia dalla quale fuoriuscivano le lamiere, eludendo il dispositivo di sicurezza, che bloccava automaticamente il funzionamento. Quale preposto a quella macchina era stato designato R.A., tecnico di lavorazione della lamiera, responsabile della macchina, del ciclo produttivo e della sua manutenzione.
Inoltre, era stato designato quale Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione G.A., figlio del ricorrente, mai indagato per i fatti in questione. La macchina era dotata di dispositivi autobloccanti di sicurezza ed era confinata, al fine di evitare contatti con l'operatore, che non aveva la necessità di toccare la macchina.
I vertici aziendali non erano a conoscenza dell'adozione di prassi improprie. F. illustrava le prassi anomale solo a G.A. , che a sua volta riferiva di non aver informato la dirigenza delle problematiche emerse sulla valutazione dei rischi.
2.2. Violazione degli artt. 590, 41 e 42 cod. pen., in quanto il comportamento abnorme del lavoratore escludeva ogni rapporto di causalità tra la presunta carenza organizzativa e l'infortunio.
Si rileva che B.M., addetto da dieci anni alla macchina piegatrice, non doveva eseguire la manutenzione della medesima; sapeva - come R.A. - di non poter effettuare la manovra anomala che causava l'incidente. Ammetteva di aver eluso i dispositivi di sicurezza unitamente a R.A..
2.3. Vizio di motivazione per mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale ex art. 5 CEDU, 192, 533 e 603, comma 3-bis, cod. proc. pen..
Il Tribunale aveva assolto l'imputato, affermando che non era emerso con certezza se di tale prassi fosse a conoscenza G.A.. La Corte di appello, senza riascoltare G.A., F.S., B.M. e R.A., perveniva ad una diversa rivisitazione delle prove dichiarative assunte in primo grado.
2.4. Vizio di motivazione per violazione della regola del "ragionevole dubbio" e sul travisamento della prova circa la conoscenza da parte dell'imputato di uno specifico rischio per la sicurezza connesso alla manutenzione della macchina.
Si sostiene che le dichiarazioni del teste R.A. erano state del tutto travisate, perché dalle medesime assolutamente non emergeva una scelta aziendale di incoraggiare le prassi di riparazione della macchina senza chiamare l'assistenza. La ricostruzione del fatto operata dalla Corte di appello era diametralmente opposta e, trattandosi di riforma totale della sentenza di primo grado, sussisteva un obbligo di motivazione rafforzata.
3. La sentenza deve essere annullata senza rinvio per estinzione del reato dovuta a prescrizione, maturata nelle more del giudizio di legittimità, tenuto conto della data del fatto (17/11/2010) e del titolo di reato, in relazione al combinato disposto di cui agli artt. 157 e 161 cod. pen..
4. Quanto alla valutazione dei motivi posti a base del ricorso, ai fini del controllo di una valida instaurazione del rapporto processuale, deve rilevarsi che alcuni di essi non possono ritenersi manifestamente infondati, soprattutto con riferimento alle censure riguardanti la mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale ex artt. 6 CEDU e 603 cod. proc. pen. e la inosservanza dell'obbligo di motivazione rafforzata.
La Corte territoriale, infatti, ha ribaltato la decisione assolutoria del Tribunale, senza espletare attività istruttoria in violazione del consolidato principio, secondo il quale il ribaltamento della prima sentenza assolutoria obbliga il giudice di appello alla rinnovazione istruttoria in relazione al compendio dichiarativo ritenuto decisivo ai fini della affermazione di responsabilità (Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, Rv. 269785; Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267490).
Non era consentita alla Corte di merito una ulteriore e nuova valutazione della rilevanza della prova orale ai fini della rinnovazione, rispetto al compendio probatorio del quale, peraltro, la stessa Corte di merito ha rilevato la decisività ai fini del giudizio, dovendosi ricomprendere nella rinnovazione istruttoria di alcune prove orali già escusse in primo grado, con riferimento alle audizioni di B.M. e R.A.. Il ribaltamento della pronunzia di assoluzione, infatti, si basava sulle loro dichiarazioni sulle illegittime prassi tollerate dall'azienda in caso di guasti al macchinario.
La sentenza va dunque annullata per essere il reato estinto per intervenuta pre-scrizione.
 

 

P.Q.M.

 


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato ascritto estinto per intervenuta prescrizione.
Così deciso in Roma l'8 febbraio 2019.