Cassazione Penale, Sez. 4, 24 giugno 2019, n. 27777 -  Caduta del lavoratore stagionale durante lo scarico dell'uva nella tramoggia. Prescrizione


 

Presidente: DOVERE SALVATORE Relatore: DAWAN DANIELA Data Udienza: 10/01/2019

 

Fatto

 

1. La Corte di appello di Bologna, con sentenza resa il 25/01/2018, in riforma della sentenza di primo grado e in accoglimento dell'appello del pubblico ministero, ha dichiarato R.D. responsabile del reato di lesioni gravi, commesso con violazione della normativa in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, lo ha condannato alla pena di mesi due di reclusione con i doppi benefici di legge.
2. Il fatto avveniva il 23/09/2010 presso lo stabilimento AGRINTESA di Cotignola. A.S. era stato assunto come lavoratore stagionale con l'incarico di seguire lo scarico dell'uva all'interno delle tramogge. Egli aveva il compito di abbassare la parete mobile della tramoggia, tramite l'azionamento di un pulsante elettrico, dovendo procedere anche all'apertura della sponda posteriore del rimorchio in modo da consentire ai mezzi carichi d'uva di svuotare il prodotto all'interno della tramoggia.
Si trovava in prossimità del bordo della cavità destinata allo scarico delle uve quando perdeva l'equilibrio e vi cadeva dentro, non riuscendo ad afferrare la manopola del rimorchio per via del succo d'uva che gli bagnava i guanti. Si procurava così lesioni consistenti in "fratture composte dell'arco medio della X e XI costa destra ed escoriazione del ginocchio destro".
3. Avverso la prefata sentenza di appello, l'imputato, per il tramite del difensore, interpone ricorso articolando sei motivi.
3.1. Con il primo, deduce violazione ed erronea applicazione dell'art. 590 cod. pen. in riferimento all'art. 28 d. lgs. 81/2008 e vizio di motivazione sulla ritenuta omessa previsione dello specifico rischio nel documento di valutazione dei rischi. Diversamente da quanto assunto dalla impugnata sentenza, il rischio di caduta era stato adeguatamente valutato, come attesta il documento di valutazione dei rischi (allegato al ricorso) alla p. 26 di cui si riportano i passi.
Altrettanto si dica per le previsioni contenute nelle norme di sicurezza e di comportamento generale per il personale delle cantine AGRINTESA, a loro volta riportate nel ricorso.
La Corte di appello valorizza, ai fini della colpa, che pur qualifica come lieve, lo studio antinfortunistico dell'INAIL (anch'esso allegato al ricorso), specificamente riferito al «Comparto vinicolo oleario. Le cantine» ma ne travisa le linee guida perché è palese come il documento di valutazione del rischio e la procedura operativa ivi prevista riflettano in modo speculare la misura in concreto posta in essere dall'azienda, ovvero la balaustra mobile, della cui presenza si dà atto in sentenza. Il dispositivo di sicurezza adottato, dunque, era già conforme alle norme CE senza l'ulteriore garitta, commissionata dal Serra successivamente all'infortunio. Risulta, pertanto, per tabulas, che il documento di valutazione dei rischi elaborato dall'azienda aveva esaustivamente contemplato le prescrizioni di cui all'art. 28 d.lgs. 81/08 in riferimento a quanto previsto dall'art. 17 del medesimo decreto così come era pienamente conforme alle linee guida dettate dall'INAIL.
A fronte della prova documentale contraria, la Corte territoriale non si è curata di dare conto delle ragioni per cui ha reputato insussistente la previsione dello specifico rischio e delle
conseguenti misure adottate, invece, dall'azienda. Si ricorda, peraltro, che il ricorrente aveva investito una società di consulenza specializzata in sicurezza nei luoghi di lavoro della verifica preliminare delle misure concretamente adottabili nel documento di valutazione dei rischi.
3.2. Con il secondo motivo, eccepisce la violazione e l'erronea applicazione degli artt. 16, 17, 28 d. lgs. n. 81/08; 40, 42, 43 e 590 cod. pen. anche in riferimento agli artt. 2203 e 2204 cod. civ. In presenza di azienda di grande dimensioni, come quella del caso di specie, la vigilanza sulle fasi dinamiche dell'attività produttiva non può che far capo, in presenza di una valida delega, al soggetto delegato, che è preposto a seguire l'evoluzione delle esigenze antinfortunistiche, specie quando il medesimo sia stato investito di piena autonomia finanziaria e decisoria. Affermare un dovere assoluto di vigilanza dell'organo datoriale sullo svolgimento dei compiti del delegato significherebbe anche svuotare la delega di ogni contenuto, rendendola del tutto inutile. Ricorda che il primo Giudice, pur ritenuta integrata una colpa omissiva, l'ha tuttavia esclusa in capo al datore di lavoro delegante, in ragione della inesigibilità da parte del R.D., quale presidente del CDA di AGRINTESA, di una diversa condotta. Nel caso in disamina, la ritenuta mancanza di «ulteriore» protezione, rispetto a quella già in essere e costituita dalla paratia mobile applicata ad una macchina certificata CE e conforme alle richiamate disposizioni INAIL, non afferiva a scelte di carattere generale di politica aziendale né integrava una carenza strutturale impegnante la responsabilità del datore di lavoro. La protezione aggiuntiva, allo stato dell'arte, era peraltro sconosciuta e fu poi quella progettata e realizzata dal delegato Serra.
3.3. Con il terzo motivo, il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 40, 43 e 590 cod. pen. e del vizio di motivazione in ordine alla asserita colpa omissiva dell'imputato malgrado il conferimento di valida delega ed al nesso eziologico tra la condotta del R.D. e l'evento. La Corte di appello non ha delineato - come avrebbe dovuto, trattandosi di riforma di una pronuncia di assoluzione - le linee portanti del proprio ragionamento, né ha confutato specificamente i più rilevanti argomenti della sentenza del primo grado, essendosi invece limitata ad imporre la propria valutazione del compendio probatorio perché ritenuta preferibile a quella coltivata nel provvedimento impugnato. Mancano, nella impugnata sentenza, alcun supporto argomentativo alla tesi della prevedibilità dell'evento e un giudizio controfattuale sul nesso di causalità. Ciò si afferma anche in considerazione del fatto che la normativa antinfortunistica vigente all'epoca non contemplava che fosse applicata alla tramoggia in questione qualsiasi ulteriore protezione aggiuntiva.
3.4. Il quarto motivo denuncia violazione dell'art. 603, comma 3, cod. proc. pen. in relazione all'art. 6 CEDU perché non ha provveduto a rinnovare l'escussione del teste F.M. (tecnico della ASL) essendosi limitata a rivalutare in senso colpevolistico le sue, peraltro decisive, dichiarazioni.
3.5. La quinta doglianza concerne il vizio di motivazione sotto il profilo del travisamento delle linee guida INAIL in tema di scarico delle uve, in riferimento alle quali la Corte di appello menziona quelle relative alla predisposizione di «accessi sicuri per le postazioni situate in alto sui vasi vinari mediante gradini stabili antiscivolo, parapetti [...] imbracatura con sistema di
trattenuta che impedisca la caduta dall'alto». È evidente, stante la posizione a terra del lavoratore, che il citato richiamo, operato dalla sentenza impugnata, non ha alcuna attinenza con la fattispecie concreta, avendo erroneamente la Corte del merito fatto riferimento al paragrafo intitolato «lavoro in postazioni sopraelevate» - afferente alle lavorazioni dall'alto dei vasi vinari e sulla parte superiore delle autocisterne - mentre, all'evidenza, il paragrafo che viene in rilievo, nel caso in disamina, è quello dello «scarico uve». Il lavoratore infortunato, invero, non si trovava al di sopra di un vaso vinario o di un'autocisterna, ma in piedi, a terra, intento allo scarico dell'uva nella tramoggia.
3.6. Con il sesto motivo, si deduce violazione degli artt. 521, 597 cod. proc. pen., con conseguente nullità della sentenza ex art. 522 cod. di rito perché mentre nel capo di imputazione si contesta, in palese contrasto con la documentazione, l'assenza totale di valutazione del rischio, la sentenza imputa al R.D. l'inefficacia delle soluzioni aziendali di sicurezza adottate dall'azienda per fronteggiare tale rischio, seppure previsto con la paratia prescritta dalle guide INAIL.
 

 

Diritto

 


1. Osserva il Collegio che sussistono i presupposti per rilevare, ai sensi dell'art. 129, comma 1, cod. proc. pen., l'intervenuta causa estintiva del reato per cui si procede, essendo spirato in data 23/09/2017 il relativo termine di prescrizione massimo (pari a sette anni e mezzo).
Deve rilevarsi che il ricorso in esame non presenta profili di inammissibilità, per la manifesta infondatezza delle doglianze ovvero perché basato su censure non deducibili in sede di legittimità, tali, dunque, da non consentire di rilevare l'intervenuta prescrizione.
Sussistono, pertanto, i presupposti, discendenti dalla intervenuta instaurazione di un valido rapporto processuale di impugnazione, per rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen. maturate, come nel caso di specie, successivamente rispetto all'adozione della sentenza impugnata (fatto del 23/09/2010; sentenza di secondo grado del 25/01/2018; prescrizione massima maturatasi, non essendo intervenuti eventi sospensivi, il 23/03/2018).
E' poi appena il caso di sottolineare che risulta superfluo qualsiasi approfondimento al riguardo, proprio in considerazione della maturata prescrizione: invero, a prescindere dalla fondatezza o meno degli assunti del ricorrente, è ben noto che, secondo consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, qualora già risulti una causa di estinzione del reato, non rileva la sussistenza di eventuali nullità, addirittura pur se di ordine generale, in quanto l’inevitabile rinvio al giudice di merito è incompatibile con il principio dell'immediata applicabilità della causa estintiva (cfr. Sez. U., n. 1021 del 28.11.2001, dep. 2002, Cremonese, Rv. 220511) e non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in presenza, come nel caso di specie, di una causa di estinzione del reato, quale la prescrizione (v. Sez. U., n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv.244275). 
Si osserva, infine, che non ricorrono le condizioni per una pronuncia assolutoria di merito, ai sensi dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen., in considerazione delle congrue e non illogiche valutazioni rese dalla Corte di appello nella sentenza impugnata: non emergendo, dunque, all'evidenza circostanze tali da imporre, quale mera "constatazione" cioè presa d'atto, la necessità di assoluzione (Sez. U., n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv.244274), discende di necessità la pronunzia in dispositivo.
2. Si impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, per essere il reato contestato estinto per prescrizione.
 

 

P.Q.M.
 

 

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione. Così deciso il 10 gennaio 2019.