Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 25 giugno 2019, n. 27871 - Macchinista travolto da un treno merci. Responsabilità del datore di lavoro distaccatario e del preposto. Ineccepibilità formale del POS ma mancanza di operatività effettiva


Presidente: MENICHETTI CARLA Relatore: DOVERE SALVATORE Data Udienza: 20/03/2019

 

Fatto

 


1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Napoli ha riformato quanto alla pena la pronuncia emessa dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con la quale S.M. e B.N. (unitamente a G.O.) erano stati giudicati responsabili del reato di cui all'art. 589 cod. pen., commesso in danno del lavoratore M.S., e condannati, previo riconoscimento delle attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, rispettivamente alla pena di due anni sei mesi di reclusione e di un anno e sei mesi di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili.
La Corte di Appello, dopo aver rigettato i motivi di appello concernenti l'affermazione di responsabilità ed aver disatteso anche quelli che investivano il giudizio di bilanciamento tra le concorrenti circostanze eterogenee, ha ridotto la pena inflitta al S.M. a due anni di reclusione e quella inflitta al B.N. ad un anno di reclusione, concedendo ad entrambi la sospensione condizionale della pena.
2. Secondo l'accertamento condotto nei gradi di merito la vicenda donde trae origine il presente procedimento deve essere così ricostruita.
La notte del 2.12.2004 si stavano svolgendo lavori lungo la tratta ferroviaria tra la stazione ferroviaria di Sessa Aurunca e quella di Falciano del Massico a cura della ditta S.M. e figli, che tuttavia utilizzava alcuni lavoratori dipendenti della ISORA s.r.l. distaccati presso la predetta impresa.
Allorquando il M.S. era sceso dal locomotore di cui era macchinista, e che si trovava sul binario interessato ai lavori, veniva travolto da un treno merci che circolava sul binario attiguo, riportando lesioni che lo conducevano a morte.
Al S.M., nella qualità di datore di lavoro distaccatario è stato ascritto di non aver formato ed informato il lavoratore sugli specifici rischi presenti sul cantiere ferroviario e di aver omesso di far osservare le cautele stabilite nel PSC e nel POS. Al B.N., nella qualità di preposto, è stato rimproverato di non aver vigilato in ordine al rispetto delle menzionate prescrizioni, per le quali l'intervento di risanamento della massicciata ferroviaria avrebbe dovuto avere inizio solo dopo la completa interruzione della circolazione dei convogli su entrambi i binari della tratta.
3. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il S.M., a mezzo del difensore avv. Giuseppe F..
3.1. Con un primo motivo deduce la violazione degli arti. 113 e 41 cod. pen. ed il vizio della motivazione.
La Corte di Appello ha riconosciuto che al S.M. non può ascriversi di aver disatteso le norme cautelari relative all'organizzazione delle operazioni da compiere sul cantiere ma ha poi omesso ogni valutazione, invece necessaria, in ordine al motivo di appello che segnalava come causa esclusiva del sinistro fosse il mancato rispetto delle procedure previste da parte del B.N. e dal direttore di cantiere G.O.. Inoltre essa ha affermato che il S.M. aveva dato implicito consenso alla decisione di iniziare i lavori prima che fosse interrotta la circolazione sui due binari, in contraddizione con il riconoscimento dell'estraneità del S.M. alle decisioni assunte dai responsabili di cantiere.
L'esponente ribadisce che la causa esclusiva dell'evento è da rinvenirsi nella condotta di chi era preposto ad assicurare il rispetto delle procedure contenute nel POS e ravvisa al riguardo un vizio motivazionale in ordine alle ragioni per cui tale tesi è stata reputata infondata.
Sostiene, inoltre, che le condotte del B.N., del G.O. e dello stesso M.S. hanno innescato un rischio nuovo ed eccentrico rispetto a quello originario attivato dalla condotta del S.M., dovendosi considerare il fatto che si era operato nell'intervia tra i binari pur in assenza di interruzione del traffico su entrambi e che il Pos era stato certamente comunicato o comunque era noto a tutti gli operai, così come, per la pregressa esperienza, nessuno di questi poteva ignorare il divieto previsto e disciplinato in tutti i POS dei cantieri simili a quello che qui interessa.
L'obbligo di informare i lavoratori era in capo al G.O. ed era comunque notorio il divieto di occupare l'intervia, sicché l'esponente dubita che la mancata preventiva informazione del rischio specifico possa avere avuto una incidenza causale.
3.2. Con un secondo motivo lamenta il vizio della motivazione a riguardo dell'operato giudizio di bilanciamento delle concorrenti circostanze eterogenee perché la corte territoriale ha valorizzato gli elementi positivi attinenti al S.M. e poi ha respinto la richiesta di ritenere prevalenti le circostanze attenuanti con motivazione contraddittoria ed illogica. Inoltre si sarebbe dovuto tener conto della incensuratezza del S.M., dell'avvenuto risarcimento, pur non in tempi idonei a far riconoscere la specifica circostanza, ed il comportamento processuale dell'imputato, che aveva rinunciato a tutti i motivi di appello ai sensi dell'art. 599-bis cod. proc. pen., peraltro senza ottenere il consenso dell'accusa.
4. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza anche B.N., a mezzo del difensore avv. Gerardo Maria C..
4.1. Con un primo motivo ha dedotto la violazione dell'art. 521 cod. proc. pen. perché la corte distrettuale, avendo riconosciuto che era venuto meno l'addebito della violazione dell'obbligo di apporre segnali di avvertimento e rallentamento dei convogli in transito sul binario adiacente a quello sul quale si effettuavano lavori, e dell'obbligo di istituire un sistema di comunicazione atto a conoscere tempestivamente il transito dei treni sul predetto binario (capo b della rubrica), non ha dato riscontro al motivo di appello che segnalava come il primo giudice, pur avendo escluso la sussistenza di quelle violazioni avesse poi dichiarato il reato sub b) della rubrica estinto per prescrizione. Ove fosse stato censurato tale vizio si sarebbero prodotti effetti sul giudizio di bilanciamento delle concorrenti circostanze eterogenee e ciò avrebbe portato all'estinzione del delitto per prescrizione.
Invece la Corte di Appello ha individuato un profilo di colpa ulteriore, ovvero di non aver ammonito i lavoratori a non svolgere attività lavorativa prima della totale interruzione della circolazione ferroviaria su entrambi i binari. In ciò la violazione dell'art. 521 cod. proc. pen.
4.2. Con un secondo motivo l'esponente ha dedotto la violazione dell'art. 41 cod. pen. per essere stato il comportamento assolutamente anomalo ed imprevedibile del lavoratore M.S. causa da sola sufficiente a determinare l'evento.
4.3. Un terzo motivo attiene alla violazione dell'art. 69 cod. pen. e al vizio della motivazione; la Corte di Appello non ha tenuto in alcuna considerazione l'avvenuto risarcimento del danno nonostante lo specifico motivo di appello concernente il giudizio di cui all'art. 69 cod. pen.; allo stesso modo, non ha tenuto conto del comportamento della vittima nella graduazione della colpa e la già menzionata erronea declaratoria di estinzione della contravvenzione.
 

 

Diritto
 

 

5. Il ricorso del S.M. è infondato.
5.1. Quanto al primo motivo, il ricorrente valorizza la circostanza che la Corte di Appello abbia riconosciuto che il S.M. aveva operato una corretta valutazione dei rischi e adottato idonee procedure di lavoro per lamentare che, ciò nonostante, non abbia ritenuto che il sinistro ha trovato origine in una scorretta prassi operativa non riconducibile al S.M. ma al G.O., al B.N. e all'A., che nelle rispettive qualità avrebbero dovuto vigilare perché fossero osservate le direttive contenute nel Pos ed invece avevano avallato la deviazione dalle stesse. 
Il rilievo, tuttavia, prende in considerazione solo parte della ricostruzione operata dai giudici di merito. Infatti, la Corte di Appello, dopo aver ribadito quanto già ritenuto dal Tribunale in merito alla ineccepibilità formale del sistema di sicurezza previsto dal Pos redatto dal S.M., ha rimarcato come a questi fosse ascritto di non aver reso quel sistema concretamente operativo; ovvero, di non aver attuato le previsioni cautelari identificate con il Pos. E ciò è affermato richiamando il compendio testimoniale, nella parte in cui dimostra che la corretta procedura di lavoro (iniziare l'attività lavorativa solo dopo l'interruzione della circolazione su entrambi i binari) non era stata portata a conoscenza dei lavoratori addetti, i quali non erano stati né informati né formati a riguardo dello specifico rischio al quale li esponeva l'operare lungo una linea ferroviaria e delle misure protettive adottate; in particolare non erano stati resi edotti dell'obbligo "di intraprendere l'attività lavorativa solo dopo aver ricevuto rassicurazioni circa la completa interruzione del traffico ferroviario sia sui binario pari sia su quello dispari". Si tratta di affermazione che trova riscontro nell'insegnamento secondo il quale il datore di lavoro risponde dell'infortunio occorso al lavoratore, in caso di violazione degli obblighi, di portata generale, relativi alla valutazione dei rischi presenti nei luoghi di lavoro nei quali M.S. chiamati ad operare i dipendenti, e della formazione dei lavoratori in ordine ai rischi connessi alle mansioni, anche in correlazione al luogo in cui devono essere svolte (Sez. 4, n. 45808 del 27/06/2017 - dep. 05/10/2017, Catrambone e altro, Rv. 271079). A ciò si aggiunge il previsto obbligo del datore di lavoro di richiedere l'osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuali messi a loro disposizione (art. 18, co. 1 lett. f d.lgs. n. 81/2008); previsione che conferisce plastica evidenza all'obbligo, peraltro già rinvenibile in chiave logica, di dare concreta attuazione alle misure di prevenzione identificate con la valutazione dei rischi, al cui ampio genus appartiene anche il Pos.
La Corte di Appello ha anche spiegato che qualora i lavoratori avessero avuto le necessarie istruzioni dal datore di lavoro, la violazione degli obblighi gravanti sugli ulteriori debitori di sicurezza (il G.O. e il B.N. tra questi) avrebbe potuto rimanere priva di effetto, perché i lavoratori medesimi avrebbero potuto esigere l'osservanza della corretta procedura.
Tale affermazione costituisce puntuale replica al motivo di appello - che il ricorrente asserisce essere stato invece ignorato o frainteso dalla corte distrettuale - con il quale si prospettava l'assorbente rilievo causale delle condotte inosservanti delle procedure identificate con il Pos, riferibili al G.O., al B.N., all'A. e allo stesso M.S.. Le trasgressioni cautelari attribuite ai coimputati sono state giudicate concause dell'evento, con corretta applicazione dell'art. 41 cod. pen., tenuto conto che allorquando l'evento tipico sia determinato dalla sommatoria delle condotte omissive ascrivibili a diversi garanti, intervenuti in tempi diversi, è configurabile il nesso causale tra l'evento letale e ciascuna delle riscontrate omissioni, essendo ognuna di esse essenziale alla sua produzione (Sez. 4, n. 24455 del 22/04/2015 - dep. 08/06/2015, Plataroti e altri, Rv. 263733).
5.2. Il principio appena rammentato vale per il caso in cui l'operato dell'ulteriore garante non abbia generato un rischio del tutto diverso da quello governato dal debitore di sicurezza la cui posizione è all'esame. Di ciò è del tutto consapevole il ricorrente che infatti sostiene che dalla prassi instauratasi (riconducibile alle violazioni commesse dal G.O. e dal B.N.) e dallo stesso comportamento negligente del M.S. (portatosi nell'area tra i binari) si è generato un rischio eccentrico. Ma si tratta di mera asserzione.
Gli strumenti ricostruttivi offerti da concetti quali 'area di rischio' e 'gestore del rischio' permettono di avvicinarsi alla fenomenologia del reato colposo con qualche maggiore chanches di afferrarne la sfuggente sostanza, fusione di fatto e valore, come altri ma più di tanti istituti del diritto penale. Intuitiva diviene, ad esempio, la necessità assoluta e pregiudiziale di identificare con precisione il rischio e la sua estensione, che non si misura sulla sola ascisse, dell'obbligo (di diligenza) ma anche sull'ordinata della regola (cautelare).
La responsabilità per colpa, infatti, non fonda unicamente sulla titolarità di una posizione gestoria del rischio (sulla quale Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014 - dep. 18/09/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, in motivazione) ma presuppone l'esistenza - e la necessità di dare applicazione nel caso concreto a - delle regole aventi specifica funzione cautelare, perché esse indicano quali misure devono essere adottate per impedire che l'evento temuto si verifichi (cfr. Sez. 4, n. 12478 del 19/11/2015 - dep. 24/03/2016, P.G. in proc. e altri in proc. Barberi e altri, Rv. 267813). Dovere di diligenza e regola cautelare si integrano definendo nel dettaglio il concreto e specifico comportamento doveroso; ciò assicura che non si venga chiamati a rispondere penalmente per la sola titolarità della posizione e pertanto a titolo di responsabilità oggettiva (sez. 4, n. 14915 del 19.2.2019, Arrigoni, n.m.).
E' dalla integrazione di obbligo di diligenza e regola cautelare che risulta definita l'area di rischio, altrimenti ridotta alla mera titolarità della posizione gestoria. Ben si comprende, quindi, come il connettersi dell'evento verificatosi ad un rischio che esorbita da quell'area esclude ogni addebito del fatto a chi è preposto a governare proprio (e solo) tal area di rischio.
Orbene, è usualmente affermato che l'obbligo di garanzia del datore di lavoro non viene meno a fronte di comportamenti negligenti del garantito, ché anzi nell'ambito della tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori, esso è conformato anche sulla assunzione implicita della ordinaria occorrenza di un siffatto comportamento, in quanto effetto dell'attività lavorativa medesima. E' concetto espresso in vario modo dalla giurisprudenza di legittimità; ma ben identificabile. Così si afferma che, in tema di infortuni sul lavoro, non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre comunque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente (Sez. 4, n. 7364 del 14/01/2014 - dep. 17/02/2014, Scarselli, Rv. 25932101). Che la condotta colposa del lavoratore fa venir meno la responsabilità del datore di lavoro se si concreta in un vero e proprio contegno abnorme del lavoratore medesimo, configurabile come un fatto assolutamente eccezionale e del tutto al di fuori della normale prevedibilità, quale non può considerarsi la condotta che si discosti fisiologicamente dal virtuale ideale (Sez. 4, n. 22249 del 14/03/2014 - dep. 29/05/2014, Enne e altro, Rv. 25922701). Che il datore di lavoro il quale, dopo avere effettuato una valutazione preventiva del rischio connesso allo svolgimento di una determinata attività, ha fornito al lavoratore i relativi dispositivi di sicurezza ed ha adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, non risponde delle lesioni personali derivate da una condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore (Sez. 4, n. 8883 del 10/02/2016 - dep. 03/03/2016, Santini e altro, Rv. 26607301). Simili enunciati esprimono lo sforzo di identificazione di un'area di rischio dalla quale risulti estromesso quello del comportamento negligente del lavoratore, fissando condizioni che tradizionalmente si rinvengono nella imprevedibilità o nell'eccezionalità. Ad avviso di questo Collegio maggiormente pertinente è l'esame dell'esatta portata della regola cautelare, che risulta implicito nella prima delle massime citate, la quale rimarca l'insufficienza delle "cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente".
Volendo formulare in guisa di principio quanto sin qui esposto, può dirsi che: "In tema di infortuni sul lavoro, perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente, imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni affidategli, costituisce concretizzazione di un 'rischio eccentrico', con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere le cautele che proprio al governo del rischio di comportamento imprudente del garantito sono finalizzate. Allora, l'evento che pure si sarà
verificato, potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore piuttosto che al comportamento - del tutto osservante - del (non più) garante".
Nel caso di specie la Corte distrettuale, rimarcando la mancata attuazione delle prescrizioni contenute nel Pos e la mancata informazione del lavoratore M.S. (così come degli altri lavoratori), ha esattamente identificato l'assenza delle cautele volte a governare anche il rischio di imprudente esecuzione dei compiti assegnati.
5.3. All'applicazione fatta dalla Corte di Appello dei principi sin qui riassunti il ricorrente oppone, oltre ai rilievi che sono stati appena esaminati, una ricostruzione alternativa dei fatti, asserendo quanto dai primi giudici negato (come la trasmissione di informazioni al M.S. della necessità di attendere l'interruzione delle due linee prima di intraprendere il lavoro), con palese sollecitazione rivolta a questa Corte di adottare una narrazione dell'accaduto che prenda il luogo di quella fatta propria dai giudici di merito. Sollecitazione che non può trovare esito in sede di legittimità, posto che compito di questa Corte non è quello di ripetere l’esperienza conoscitiva del giudice di merito, bensì quello di verificare se il ricorrente sia riuscito a dimostrare, in questa sede di legittimità, l’incompiutezza strutturale della motivazione della Corte di merito; incompiutezza che derivi dalla presenza di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro ovvero dal non aver il decidente tenuto presente fatti decisivi, di rilievo dirompente dell’equilibrio della decisione impugnata, oppure dall'aver assunto dati inconciliabili con "atti del processo", specificamente indicati dal ricorrente e che M.S. dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità cosi da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione (Cass. Sez. 2, n. 13994 del 23/03/2006, P.M. in proc. Napoli, Rv. 233460; Cass. Sez. 1, n. 20370 del 20/04/2006, Simonetti ed altri, Rv. 233778; Cass. Sez. 2, n. 19584 del 05/05/2006, Capri ed altri, Rv. 233775; Cass. Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006, imp. Moschetti ed altri, Rv. 234989).
Va qui osservato che il tema dell'informazione resa al lavoratore a mezzo del dirigente e del preposto è degno di considerazione; ma nel caso specifico non risulta pertinente perché non è emersa alcuna iniziativa del S.M. al riguardo.
5.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Il giudizio con il quale il giudice di merito apprezza l’entità dell'intero fatto circostanziato in rapporto agli elementi ed alle circostanze che lo compongono, al fine di determinare il grado di responsabilità dell'imputato e l'adeguatezza della pena, rientra nell'ambito della discrezionalità dello stesso giudice e per esso non è richiesta una analitica esposizione dei criteri di valutazione adottati, ma è sufficiente la sola indicazione degli elementi scelti per la formazione del giudizio stesso e della eseguita valutazione delle circostanze che concorrono nel reato, in modo che risulti che il giudice, nell'espressione del suo globale giudizio, abbia tenuto conto di tutte le componenti del fatto criminoso (Sez. 2, n. 4831 del 15/02/1984, dep. 24/05/1984, Lecci, Rv. 164368; Sez. 1, n. 6034 del 11/04/1995 - dep. 25/05/1995, La Marca, Rv. 201433). Sicché il giudice del merito, con la enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell'art. 133 cod. pen., assolve adeguatamente all'obbligo della motivazione: tale valutazione, infatti, rientra nella sua discrezionalità e non postula una analitica esposizione dei criteri adottati per addivenirvi in concreto (Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008, dep. 26/03/2008, Gasparri e altri, Rv. 239754).
Con specifico riferimento al giudizio di bilanciamento di cui all'art. 69 cod. pen., l'insegnamento di questa Corte è nel senso che le statuizioni ad esso relative, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non M.S. frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e M.S. sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010 - dep. 18/03/2010, Contaldo, Rv. 24593101).
Nel caso che occupa, la Corte territoriale ha replicato alla richiesta difensiva, fondata sulla asserita marginalità del contributo illecito del S.M., rimarcando la decisività della trasgressione dell'obbligo formativo e di quello informativo.
5.3. In conclusione, il ricorso va rigettato e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali.
6. Il ricorso del B.N. è inammissibile.
6.1. Il primo motivo sembra porre due distinte questioni.
In primo luogo quella della illegittimità di una declaratoria di prescrizione di un reato contravvenzionale (capo b della rubrica) che abbia quale contenuto la violazione di una regolare cautelare che tuttavia risulti negata nell'ambito del giudizio sul reato colposo la cui condotta tipica veniva in ipotesi di accusa fatta consistere proprio nella predetta trasgressione.
Questione meritevole in astratto di considerazione, ma che nel caso di specie non ha alcun rilievo, posto che con l'appello non è stata impugnata la statuizione relativa al capo b. Vale al riguardo il principio secondo il quale non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunziarsi perché non devolute alla sua cognizione (Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017 - dep. 21/03/2017, Bolognese, Rv. 26974501).
Il motivo non è quindi consentito.
Peraltro esso è manifestamente infondato: al B.N. è stato contestato di aver violato l'art. 5, co. 1 e 2 lett. a) ed h) d.lgs. n. 626/1994, anche in relazione all'art. 16, co. 3 e 4 legge n. 191/1974, avendo omesso di porre in atto tutte le disposizioni contenute nella istruzione per la protezione dei cantieri con particolare riguardo all'apposizione di segnali di avvertimento e rallentamento dei segnali di transito sul binario adiacente a quello in cui si effettuavano i lavori e di aver omesso di istituire un sistema di comunicazione atto a conoscere tempestivamente il transito dei treni su detto binario. Il Tribunale ha ascritto al B.N. di non aver imposto il rispetto delle norme di sicurezza, pur avendone il dovere ed il potere in quanto agente di scorta, titolare dell'interruzione (ovvero il soggetto titolare del potere di dare il via ai lavori), consentendo che si ponesse in essere un diverso sistema di protezione, basato sull'avvistamento del treno e sulla temporanea interruzione dei lavori per il solo tempo strettamente necessario al suo transito.
Quanto al secondo profilo, concernente la asserita violazione dell'art. 521 cod. proc. pen. nella contestazione si fa menzione della omessa attuazione delle disposizioni contenute nella istruzione per la protezione dei cantieri. Disposizioni concernenti anche la cd. interruzione totale (e che prevedevano il divieto di intraprendere i lavori prima della interruzione del transito su entrambi i binari della tratta), così come già chiarito dalla Corte distrettuale nell'esame di identico motivo posto con l'atto di appello.
6.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato. Valgono le considerazioni già fatte a riguardo della medesima questione sollevata dal S.M..
6.3. Il terzo motivo non è consentito perché non proposto con l'appello, nel quale si è sottoposto al giudice di seconda istanza unicamente il tema la misura della pena e non l'esito del giudizio di bilanciamento delle circostanze eterogenee. Nuovamente va rammentato il principio espresso, tra le altre, da Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017 - dep. 21/03/2017, Bolognese, Rv. 26974501.
6.4. In conclusione il ricorso è inammissibile e il B.N. va condannato al pagamento delle spese processuali e al pagamento di duemila euro alla cassa delle ammende.
 

 

P.Q.M.
 

 

Dichiara inammissibile il ricorso di B.N., che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di duemila euro in favore della cassa delle ammende.
Rigetta il ricorso di S.M., che condanna al pagamento delle spese processuali.
Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20.3.2019