Cassazione Penale, Sez. 4, 27 giugno 2019, n. 28100 - Responsabilità del direttore dei lavori e CSE per infortunio del lavoratore autonomo caduto dalla scala


 

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: DI SALVO EMANUELE Data Udienza: 21/03/2019

 

Fatto

 


1. G.J.A. ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale è stata confermata la pronuncia di condanna emessa in primo grado, in ordine al reato di cui all'art. 589 cod. pen. perché, in qualità di direttore dei lavori e di coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, non svolgendo le opportune azioni di coordinamento e controllo per la corretta applicazione, da parte del lavoratore autonomo N.F., del piano di sicurezza e di coordinamento e per il corretto utilizzo della scala presente sul cantiere, il G.J.A. poneva in essere un antecedente causale necessario dell'infortunio occorso al N.F., il quale utilizzava la predetta scala che, essendo priva dei piedini in gomma, scivolava, provocando la caduta del lavoratore da un'altezza di metri sei circa. In Roma il 15 gennaio 2007.
2. Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto, al momento dell'infortunio, il cantiere era ormai chiuso, essendo stati ultimati i lavori, ed era stato riaperto esclusivamente per consentire al N.F. di eseguire la posa in opera del parquet di cui era stato incaricato. Erano dunque venute meno le funzioni di coordinamento e di controllo da parte del ricorrente, che dunque non può essere ritenuto responsabile del sinistro, anche perché egli non era al corrente della presenza del lavoratore autonomo nel cantiere e non sapeva neanche dell'incarico conferito al N.F. in forma esclusivamente verbale e senza alcun supporto documentale. Ne deriva che, sino a doverosa comunicazione da parte del titolare del cantiere, M., la scala oggetto dell'imputazione non avrebbe dovuto essere utilizzata, in considerazione della chiusura del cantiere e dell'inesistenza di ulteriori lavori, oltre quelli di apposizione della scala di comunicazione fra i piani e di posa in opera del parquet.
Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata.
 

 

Diritto

 


1. Le doglianze formulate esulano dal novero delle censure deducibili in sede di legittimità, investendo profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto riservati alla cognizione del giudice di merito, le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell'iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilità delle fonti di prova bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni, a preferenza di altre (Sez. U., 13-12-1995, Clarke ,Rv. 203428).
2. Nel caso di specie, il giudice a quo ha evidenziato che, alla luce di tutte le deposizioni testimoniali assunte; delle risultanze dei rilievi fotografici espletati, che ritraevano lo stato dei luoghi al momento del sinistro; di quanto constatato dalla polizia giudiziaria e dagli operatori della ASL intervenuti sul luogo, è da escludere che il cantiere fosse chiuso o anche solo in "stato di quiescenza", dovendosi completare, oltre alla posa in opera del parquet, l'esecuzione delle scalinate. Lo stesso imputato M., nel corso dell'esame, non aveva affatto smentito che l'attività edile fosse in corso al momento del sinistro, come, del resto, confermato dalla circostanza che il vano scale non fosse stato ancora edificato. Aggiunge la Corte d'appello che dagli accertamenti espletati era emerso che il trabattello, che era comunque inidoneo al trasporto verso la mansarda del materiale, non era sul luogo ma in altra zona della villetta in costruzione e che la scala si presentava priva dei prescritti piedini di gomma, poggiata su carta, con la base di appoggio protetta, in maniera rudimentale, attraverso nastro isolante, e priva di qualsiasi copertura, unico accorgimento che avrebbe evitato la caduta da un'altezza di 6 metri. Dalle cadenze motivazionali della sentenza d'appello è dunque enucleabile una attenta analisi della regiudicanda, poiché la Corte territoriale ha preso in esame tutte le deduzioni difensive ed è pervenuta alle proprie conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede. Né la Corte suprema può esprimere alcun giudizio sull'attendibilità delle acquisizioni probatorie, giacché questa prerogativa è attribuita al giudice di merito, con la conseguenza che le scelte da quest'ultimo compiute, se coerenti, sul piano logico, con una esauriente analisi delle risultanze agli atti, si sottraggono al sindacato di legittimità (Sez. U., 25-11-1995, Facchini, Rv. 203767). Del resto, nel caso in esame, nel ricorso stesso si ammette che dovevano ancora essere espletate le opere di apposizione della scala di comunicazione fra i piani e di posa in opera del parquet, onde non può non rilevarsi l'antinomia logica tra tale asserto e l'affermazione secondo cui il cantiere era chiuso ed erano, conseguentemente, venute meno le funzioni di coordinamento e di controllo da parte del ricorrente.
3. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila, determinata secondo equità, in favore della Cassa delle ammende.
 

 

P.Q.M.
 

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.
Cosi deciso in Roma, il 21-3-2019.