Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 28 giugno 2019, n. 17577 - Malattia professionale e responsabilità dell'APV


 

 

 

Presidente: PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI Relatore: AMENDOLA FABRIZIO Data pubblicazione: 28/06/2019


Rilevato che


1. il Tribunale di Venezia, con sentenza n. 1109/2010, accolse le domande proposte dagli eredi di S.E., R.D. e F.S., tutti indicati in epigrafe, nei confronti dell'Autorità Portuale di Venezia (d'ora in poi APV), accertando la responsabilità dell'ente per la malattia professionale sofferta dai rispettivi danti causa (mesotelioma pleurico) determinata dalla esposizione all'amianto, con condanna dell'ente al risarcimento del danno subito dai lavoratori deceduti; in accoglimento della domanda azionata dall'Inail nel medesimo giudizio, il Tribunale condannò l'APV in via di regresso per la rendita erogata al Sig. S.;
2. la Corte di Appello, con sentenza pubblicata in data 3 maggio 2014, ha riformato solo in parte la pronuncia di primo grado limitatamente alla  liquidazione delle spese del giudizio, confermando per il resto la decisione impugnata;
la Corte, in particolare, ha ritenuto che la quantificazione del danno non patrimoniale subito dai danti causa tra la diagnosi della malattia ed il loro decesso, così come stimata dal primo giudice, risultasse equitativamente adeguata: ha specificato che "il danno è stato liquidato prendendo come base di calcolo quanto previsto dalla tabella in uso presso il Tribunale di Venezia per la liquidazione della invalidità permanente temporanea, moltiplicandola per i giorni dalla diagnosi alla morte, con un incremento valutato per ognuno dei lavoratori in relazione alla evoluzione della patologia ed al grado di sofferenza patito";
4. per la cassazione di tale sentenza propone ricorso principale l'Autorità Portuale di Venezia con unico articolato motivo; resistono gli eredi dei lavoratori deceduti con unico controricorso, contenente ricorso incidentale affidato a 3 motivi; resiste con controricorso anche l'inai ; l'APV e gli eredi hanno comunicato memorie; .


Considerato che


1. con l'unico motivo di ricorso principale l'APV denuncia "violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 20 legge 28 gennaio 1984, n. 84, in relazione all'art. 360, I comma, n. 3), c.p.c.", sostenendo con varie argomentazioni che le disposizioni citate avrebbero dovuto indurre la Corte territoriale ad accogliere "l'eccezione di difetto di legittimazione passiva dell'odierna ricorrente";
2. il motivo, oltre il profilo di inammissibilità derivante dal carattere di novità della questione sollevata (atteso che il motivo di appello dell'ente sul difetto di legittimazione passiva riguardava tutt'altro aspetto), di certo implicante accertamenti di fatto in ordine all'individuazione del soggetto responsabile, non può trovare accoglimento sulla scorta dei precedenti di questa Corte che hanno disatteso analoghe censure sollevate dalla medesima Autorità Portuale (Cass. n. 49 del 2017; Cass. n. 3333 del 2018; Cass. n. 30624 del 2018; Cass. n. 1555 del 2019; Cass. n. 4501 del 2019);
in particolare si è data specifica continuità al principio, già affermato da questa Corte (v. Cass. n. 5352 del 2004; conf. Cass. n. 10977 del 2005), in base al quale: "A seguito della istituzione delle Autorità portuali, che succedono alle preesistenti organizzazioni portuali secondo la disciplina dettata dalla legge 28 gennaio 1994 n. 84, il personale già dipendente da tali organizzazioni è trasferito ex lege ai nuovi organismi, con la conseguenza che questi ultimi devono ritenersi inderogabilmente gli esclusivi titolari dei relativi rapporti di lavoro, a prescindere dalla ricorrenza degli elementi tipici di meccanismi negoziali quali la cessione del contratto e il trasferimento d'azienda";
nelle pronunce citate si rammenta che la legge 28 gennaio 1994 n. 84, in tema di riordino della legislazione in materia portuale, ha istituito con effetto dal 1° gennaio 1995 le Autorità portuali, prevedendo la dismissione delle attività operative delle organizzazioni portuali mediante trasformazione delle stesse in società (art. 20, comma 3, nel testo originario) ovvero, anche congiuntamente, mediante il rilascio di concessioni ad imprese che presentino un programma di utilizzazione del personale e dei beni e delle infrastrutture delle organizzazioni portuali per l'esercizio, in condizioni di concorrenza, di attività di impresa nei settori delle operazioni portuali, della manutenzione e dei servizi, dei servizi portuali nonché in altri settori del trasporto o industriali (art. 20, comma 2, nel testo introdotto dall'art. 2, comma 19, del decreto legge 21 ottobre 1996 n. 535, convertito in legge 23 dicembre 1996 n. 647); le Autorità portuali, non appena costituite, subentrano alle organizzazioni portuali nella titolarità dei beni e nella totalità dei rapporti attivi e passivi (art. 20, comma 6, del testo originario) e "il personale delle organizzazioni portuali è trasferito alle dipendenze delle autorità portuali, in continuità di rapporto di lavoro e conservando il trattamento previdenziale e pensionistico in essere alla data del trasferimento nonché, ad personam, il trattamento retributivo, mantenendo l'eventuale importo differenziale fino a riassorbimento" (art. 23, comma 2, della stessa legge); pertanto si configura il trasferimento ex lege alle autorità portuali dell'intero personale dipendente delle organizzazioni portuali, con l'ulteriore previsione che l'eventuale personale in esubero è posto in soprannumero e impiegato in regime di mobilità temporanea, di comando o di distacco presso le società di cui all'art. 20, comma 3, della stessa legge, con oneri retributivi e previdenziali gravanti sull'Autorità portuale, la quale è altresì onerata della gestione e della mobilità del personale in esubero (v. art. 23, commi 2 e 3, l. n. 84 del 1994);
in definitiva, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la legge in esame, regolando il fenomeno successorio nel complesso dei rapporti giuridici e non trovando applicazione i limiti di responsabilità propri della cessione del contratto o del trasferimento aziendale, chiama l'Autorità Portuale a dover rispondere delle obbligazioni, anche di garanzia ex art. 2087 c.c. (v. amplius Cass. nn. 17092, 17172 e 17334 del 2012 con la stessa Autorità Portuale di Venezia) nascenti dal rapporto di lavoro, pure per il periodo antecedente al formale trasferimento;
3. con il primo motivo i ricorrenti in via incidentale denunciano "violazione artt. 1223, 1226, 2043, 2056, 2087 c.c., in relazione ai criteri di liquidazione del danno non patrimoniale", senza considerazione della componente morale e esistenziale, con forfetizzazione priva di adeguata personalizzazione riguardo particolari e specifiche sofferenze subite da ognuno dei congiunti danti causa;
con il secondo motivo si denuncia "violazione degli artt. 1226, 2056, 2087 c.c., in relazione ai criteri di quantificazione del danno non patrimoniale per omesso utilizzo delle tabelle di Milano", esplicitamente richieste con la memoria in appello contenente impugnazione incidentale, in violazione dell'indirizzo giurisprudenziale di legittimità che le indica come attendibile riferimento parametrico nazionale; si invocano le tabelle del 2013 che "prevedono un complessivo criterio di liquidazione del danno da invalidità permanente superiore a quello previsto dalle tabelle di Venezia" nonché "per ogni giorno di inabilità temporanea totale la somma di euro 94,00 (con aumento personalizzato sino a 144,00 euro)";
4. i motivi, congiuntamente esaminabili per connessione, non meritano accoglimento;
con essi, nonostante la formale denuncia di violazioni di legge avuto riguardo alla liquidazione equitativa operata dalla Corte territoriale circa il danno non patrimoniale subito dai lavoratori tra il momento della diagnosi della malattia ed il decesso, lamentando "circostanze di fatto ignorate dalla Corte di Appello e/o le risultanze istruttorie non sufficientemente valorizzate dalla stessa" nella sostanza invocano una rivalutazione delle conseguenze dannose derivanti dalla malattia per ciascuno dei lavoratori deceduti, le quali appartengono all'accertamento dei fatti e sono precluse al sindacato in sede di legittimità;
specificamente, circa la prima censura, i giudici del merito hanno utilizzato nella specie un criterio equitativo basato sul valore tabellare giornaliero della totale inabilità temporanea, incrementato di 3 o 4 volte per la personalizzazione dovuta alle circostanze del caso concreto, in coerenza con la giurisprudenza di legittimità che avalla tecniche di liquidazione del danno biologico commisurate alle tabelle che stimano l'inabilità temporanea assoluta con opportuni "fattori di personalizzazione" che tengano conto dell'entità e dell'intensità delle conseguenze derivanti dalla lesione della salute in vista del prevedibile exitus (Cass. n. 15491 del 2014; Cass. n. 23053 del 2009; Cass n. 3549 del 2004);
invero, esclusa da Cass. SS.UU. n. 15350 del 2015 la risarcibilità iure hereditatis di un danno da perdita della vita, questa Corte ha ritenuto configurabile e trasmissibile il danno subito dalla vittima nell'ipotesi in cui la morte sopravvenga dopo apprezzabile lasso di tempo dall'evento lesivo nella duplice componente di danno biologico "terminale", cioè di danno biologico da invalidità temporanea assoluta (Cass. n. 26727 del 2018; Cass. n. 21060 del 2016; Cass. n. 23183 del 2014; Cass. n. 22218 del 2014), e di danno morale consistente nella sofferenza patita dalla vittima che lucidamente e coscientemente assiste allo spegnersi della propria vita (Cass. n. 13537 del 2014; Cass. n. 7126 del 2013; Cass. n. 2564 del 2012);
erra pertanto parte ricorrente allorquando lamenta che i giudici del merito avrebbero parametrato la liquidazione del danno all'Intervallo temporale tra la manifestazione della malattia e la morte nonché trascurato la componente morale; infatti la decisione da un lato è conforme all'indirizzo di questa Corte che commisura la componente del danno biologico "terminale" all'indennizzo da invalidità temporanea assoluta e, dall'altro, ha provveduto a valutare la componente morale del danno non patrimoniale mediante una personalizzazione che ha espressamente tenuto conto per ciascuno dei lavoratori della "evoluzione della patologia e (del) grado di sofferenza patita", quindi scevra da automatismi e correlata alle circostanze del caso concreto, con criterio equitativo ragionevole la cui misura non è suscettibile di sindacato ad opera di questa Corte senza sconfinare in una sostituzione nell'apprezzamento riservato ai giudici del merito;
quanto all'omesso utilizzo delle tabelle milanesi, che si assumono essere state prodotte in grado d'appello ma non se ne riportano i contenuti rilevanti onde verificare se ed in quale parte siano state violate, opportuno evidenziare che le stesse vengono richiamate deducendo che andrebbero utilizzate - secondo parte ricorrente - avuto riguardo ai valori "per il danno biologico permanente" (pag. 28 ricorso incid.), ad un criterio, cioè, diverso e alternativo rispetto a quello sinora avallato da questa Corte di legittimità che, ancora da ultimo (Cass. n. 8292 del 2019), ha cassato la decisione dei giudici del merito che aveva liquidato il danno iure hereditatis rapportandolo non alla menomazione temporanea dell'integrità psico-fisica patita dai lavoratori deceduti, bensì alla invalidità permanente totale dei medesimi, come se questi fossero sopravvissuti alla malattia per il tempo corrispondente alla loro ordinaria speranza di vita;
in ogni caso il valore delle "tabelle milanesi" come criterio guida per la liquidazione del danno alla persona (e riconosciuto dalla sentenza n. 12408 del 2011 come valido criterio sub-normativo per guidare la discrezionalità del giudice) non può avallare l'idea che le tabelle e i loro adeguamenti siano divenute esse stesse una normativa di diritto, che occorrerebbe necessariamente qualificare all'interno della categoria delle fonti per come regolata dall'art. 1 preleggi, bensì nel senso che esse integrano i parametri di individuazione di un corretto esercizio del potere di liquidazione del danno non patrimoniale con la valutazione equitativa normativamente prevista dall'art. 1226 c.c. (da ultimo v. Cass. n. 1553 del 2019; conf. Cass. n. 4470 del 2014); in particolare non comporta violazione dei parametri di valutazione equitativa ex art. 1226 c.c. la liquidazione del danno non patrimoniale operata con riferimento a tabelle diverse da quelle elaborate dal Tribunale di Milano, qualora al danneggiato sia riconosciuto un importo corrispondente a quello risultante da queste ultime, restando irrilevante la mancanza di una loro diretta e formale applicazione (Cass. n. 913 del 2018); sicché incombe su chi ricorre in cassazione dedurre e provare che la liquidazione operata secondo una diversa tabella in uso in altro distretto giudiziario conduca ad una quantificazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella cui l'adozione dei parametri esibiti dalle dette Tabelle di Milano consenta di pervenire (cfr. Cass. n. 14402 del 2011; Cass. n. 16992 del 2015; Cass. n. 21059 del 2016; Cass. n. 17018 del 2018);
nella specie è appena il caso di rilevare che il valore riconosciuto dai giudici del merito per la singola giornata di inabilità temporanea assoluta è stato incrementato e personalizzato in modo tale da risultare superiore al livello più alto di incremento previsto per ogni giorno di inabilità temporanea totale dalla tabella milanese invocata dai ricorrenti;
5. il terzo motivo del ricorso incidentale denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 92 c.p.c., per illegittima ed immotivata compensazione parziale nella misura del 50% delle spese di giudizio di I^ grado;
risulta fermo il principio in tema di liquidazione delle spese giudiziali ad opera del giudice di merito che vi è violazione di legge soltanto quando esse siano state poste, totalmente o parzialmente, a carico della parte totalmente vittoriosa, mentre la valutazione circa l'opportunità della compensazione, totale o parziale, costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo ove la motivazione posta a fondamento della statuizione di compensazione risulti palesemente illogica e contraddittoria e tale da inficiare, per la sua inconsistenza o evidente erroneità, il processo decisionale del giudice (v. Cass. SS. UU. n. 20598 del 2008; Cass. n. 24221 del 2014; Cass. n. 17128 del 2014; Cass. n. 8421 del 2017; Cass. n. 24502 del 2017);
nella specie la Corte territoriale ha plausibilmente giustificato la compensazione parziale con "l'accoglimento solo parziale delle domande, in misura sensibilmente inferiore a quanto richiesto dai ricorrenti" con apprezzamento non sindacabile in questa sede di legittimità;
6. conclusivamente entrambi i ricorsi vanno respinti, con compensazione delle spese tra dette parti per reciproca soccombenza; l'APV va condannata al pagamento delle spese sostenute dalla controricorrente Inail liquidate come da dispositivo;
occorre dare atto, inoltre, della sussistenza per entrambe le parti ricorrenti dei presupposti di cui all'art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall'art. 1, co. 17, l. n. 228 del 2012;
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta entrambi i ricorsi e compensa le spese; condanna l'Autorità Portuale di Venezia al pagamento delle spese liquidate in euro 4.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese, in favore dell'Inail.
Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale ed incidentale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.