Corte dei Conti, Sez. Giur. Reg. Emilia-Romagna, 22 novembre 2018, n. 267 - Danno erariale indiretto causato dal direttore di un comune che cagiona la condanna dell'ente al risarcimento da mobbing


 

Impiegato dello stato e pubblico in genere — Mobbing — Molestia morale — Danno erariale indiretto - Responsabilità in capo al dirigente autore delle condonne illecite — Sussistenza.
Risponde di danno erariale il direttore di un comune che, con azioni reiterate nei confronti di una dipendente, intese a relegarla in un ruolo marginale nell'attività della struttura amministrativa diretta dallo stesso, abbia cagionato la condanna dell'ente di appartenenza nel giudizio civile instaurato dalla dipendente per il risarcimento del danno da mobbing.



 

 

Fatto

 

1. Con atto di citazione regolarmente notificato la Procura Regionale cita in giudizio M. G., Direttore del Settore Patrimonio del Comune di Parma, per sentirlo condannare al risarcimento del danno erariale quantificato in euro 38.295,04, oltre a rivalutazione monetaria e interessi, e alle spese di giudizio.
La Procura espone che con delibera del Consiglio Comunale di Parma n.17/2015 del 31.03.2015 si dava esecuzione alla sentenza n. 479/2014 del Tribunale Civile di Parma, Sezione Lavoro, che aveva condannato il predetto ente locale al risarcimento del danno in favore della dipendente B.S. in conseguenza dell'accertamento di gravi condotte di mobbing e bullyng attuate dal Dirigente del Settore Patrimonio Ing. M. G., diretto superiore gerarchico della dipendente.
La decisione veniva confermata dalla sentenza n. 584/2016 della Corte d'Appello di Bologna e diveniva irrevocabile a causa del mancato ricorso per Cassazione.
1.1. Dall'esame della vicenda processuale emergerebbero gravi comportamenti tenuti dal convenuto M. in danno della dipendente B.S., i quali avrebbero determinato l'insorgenza di uno stato di malattia della ricorrente, ampiamente acclarato e motivato dalla relazione tecnica d'ufficio espletata nel corso del giudizio civile.
In particolare, i testimoni sentiti nel corso dell'istruttoria del procedimento civile avrebbero confermato che M. G. aveva tenuto in modo prolungato e con particolare accanimento nei confronti della B.S. atteggiamenti offensivi e vessatori e che più volte egli aveva immotivatamente negato dei permessi, costringendo la dipendente a reiterare le richieste di autorizzazione. Inoltre, egli avrebbe invitato il resto del personale a non intrattenersi con la medesima B.S., la cui postazione lavorativa venne addirittura, per un certo periodo, rivolta verso il muro.
1.2. Per questa vicenda il Comune di Parma è stato condannato al risarcimento del danno in favore di B.S. per la somma di euro 22.738,44, cui vanno sommate le spese per la CTU (euro 1.354,20), per CTP (euro 206,60 ed euro 45,45), le spese legali della ricorrente in primo grado (euro 7.486,75), le spese legali del Comune di Parma in primo grado (euro 4.404,20), le spese della ricorrente in secondo grado (euro 2.932,00) e le spese legali dell'ente in secondo grado (euro 2.030,08), per un totale complessivo di euro 38.295,04, somma complessiva contestata al convenuto M. G. a titolo di danno erariale indiretto, in quanto ritenuto responsabile, con la sua condotta illecita connotata da dolo, di aver posto in essere i presupposti e le condizioni per la menzionata richiesta di risarcimento.
1.3. Secondo la Procura, anche alla luce delle deduzioni difensive presentate dal M. nel corso della fase istruttoria, la contestazione che viene mossa al medesimo avrebbe ad oggetto il rapporto instaurato con la dipendente B.S. e le modalità con le quali il M. si relazionò con la dipendente, che hanno integrato una fattispecie di mobbing.
La Procura riferisce che nelle deduzioni difensive il M. ammette di aver più volte "ripreso" la sig.ra B.S., in quanto, a suo dire, si intratteneva anche fuori dalla sua postazione di lavoro a chiacchierare con altri dipendenti o con visitatori esterni. In ogni caso, il convenuto attribuisce il malcontento generale degli impiegati appartenenti all'ufficio sottoposto alla sua direzione a scelte organizzative non sempre gradite, quale, ad esempio, la sistemazione logistica delle postazioni di lavoro secondo un criterio di open space, che avrebbe consentito di verificare costantemente la situazione all'interno dell'ufficio.
1.4. La Procura attrice sostiene che la specifica contestazione al M. sia fondata sulla diretta acquisizione di quanto direttamente riferito dai testimoni sentiti nel corso del procedimento civile, sulla documentazione allegata al processo avanti al Giudice Ordinario e sulle difese presentate dall'amministrazione comunale.
Dalle prove testimoniali emergerebbe, infatti, che M. G. aveva tenuto atteggiamenti vessatori nei confronti della sig.ra B.S., concretizzati nell'immotivata negazione di permessi, concessi solo dopo reiterate richieste; inviti ad altri colleghi a "non perdere tempo" con la dipendente; telefonate di lavoro interrotte bruscamente; richieste di cambio di mansioni rifiutate con la giustificazione che la sig.ra B.S., a suo insindacabile giudizio, non sarebbe stata in grado di svolgerle.
La Procura attrice afferma che tale situazione di fatto emergerebbe non solo dalle sentenze del Giudice del Lavoro di primo e secondo grado, ma soprattutto dalle testimonianze di soggetti appartenenti al personale del Settore dei Lavori Pubblici, sentiti avanti al Tribunale di Parma. Tra queste, la Procura pone l'accento sulle deposizioni di Omissis, colleghe di lavoro della B.S., che avrebbero riferito come il M. utilizzasse nei confronti della dipendente "mobbizzata" atteggiamenti offensivi ed aggressivi, che si concretizzavano non solo nelle già riferite condotte, ma che trascendevano ben oltre la normale critica consentita ad un dirigente di settore.
1.5. La Procura osserva, altresì, che vi fu uno scambio di documentazione tra il M. e il Comune di Parma in occasione del giudizio civile incardinato avanti al Giudice del Lavoro, con ciò rendendo priva di rilevanza la lamentela del convenuto di non essersi potuto difendere in quella sede, pur non essendo stato parte tecnica.
2. Si costituisce in giudizio M. G. rappresentato e difeso dall'Avv. E. P. del Foro di Parma.
2.1. Nella comparsa di costituzione il convenuto ripercorre dettagliatamente la vicenda e gli eventi interni al Settore dei Lavori Pubblici dalla sua nomina in avanti, nonché dei problemi legati al trasferimento dei locali alla nuova sede. Ricorda, infatti, che la sistemazione open space non riscosse il gradimento di molti dipendenti per il fatto che in questo modo potevano essere controllati dal loro capo ufficio. A suo dire, il personale si intratteneva a chiacchierare invece che a prestare la dovuta attività lavorativa, tanto che si è visto costretto a spostare "alcune impiegate" per impedire questa deriva.
Riferisce che l'aumento di lavoro lo avrebbe costretto a "riprendere" tutti gli impiegati che si distraevano a conversare anziché sbrigare le incombenze che venivano loro affidate e a verificare gli orari d'ingresso dei dipendenti.
2.2. Per quanto attiene ai rapporti con B.S., la difesa del convenuto sottolinea che questa persona era stata assunta in quanto affetta da invalidità e che aveva difficoltà a rispettare l'orario di lavoro stante la sua necessità di accompagnare i figli a scuola. Inoltre, nonostante tutte le agevolazioni concesse alla predetta dipendente, la stessa continuava imperterrita ad arrivare in ritardo e a conversare con le colleghe del posto di lavoro.
Afferma inoltre che il trasferimento della Sig.ra B.S. è avvenuto nel 2007 in occasione di una ristrutturazione del servizio.
2.3. A seguito dell'instaurazione del giudizio civile per mobbing, M. G. presentò una querela contro la Sig.ra B.S. presso la Procura della Repubblica di Parma sentendosi gravemente offeso e diffamato dalle dichiarazioni rese dalla dipendente in una perizia di parte. La querela venne poi archiviata ex art. 589 c.p., essendo dette espressioni contenute in un atto prodotto nell'ambito di un tentativo di conciliazione.
2.4. Il M. lamenta l'inadeguatezza della difesa del Comune di Parma avanti al Giudice del Lavoro, alle cui deficienze non sarebbe stato possibile porre rimedio neppure avanti la Corte d'Appello di Bologna. Ritiene che un errore di strategia del difensore del Comune sia stato quello di non consentire al M. di deporre quale testimone nella predetta causa civile, nonché di non aver contestato il fatto che la prova documentale, prodotta dalla difesa della sig.ra B.S. per dimostrare che i vertici comunali già conoscevano le azioni di mobbing del convenuto, non era protocollata né sottoscritta per ricevuta, e quindi poteva esser stata "confezionata ad hoc poco prima della produzione".
Contesta la mancanza del nesso causale, in virtù dei riferiti errori difensivi che si sarebbero consumati nel corso del giudizio civile.
2.5. M. G. ritiene che non vi siano i presupposti per dichiarare l'antigiuridicità della sua condotta, posto che la ricostruzione dei fatti operata dal Giudice del Lavoro di Parma nella sentenza n. 479/2014 non sia vincolante per il Giudice Contabile, sulla base del principio dell'indipendenza dei giudizi. In tal senso, rileva come l'esame delle testimonianze sia stata limitata a sole quattro deposizioni su dieci e che le altre avrebbero confermato solo in parte gli atteggiamenti del convenuto interpretabili come mobbing.
Sostiene che, a causa della patologia che la affligge, come esito del trauma cranico subito in età preadolescenziale, la sig.ra B.S. avrebbe ingigantito e travisato alcuni fatti e ne avrebbe immaginati altri. Peraltro, riconosce di aver "ripreso" in modo diretto (che a qualcuno poteva anche apparire brusco e sgarbato) tutti i dipendenti che perdevano tempo, non sbrigavano le incombenze che erano state loro assegnate o arrivavano in ritardo. In tal senso, la sig.ra B.S. è stata "ripresa" né più e né meno degli altri dipendenti e mai senza motivo.
2.6. Nell'atto difensivo M. G. ripercorre alcune testimonianze rese nel giudizio civile per dimostrare che, in realtà, non vi fu alcun atteggiamento persecutorio.
Ritiene che il Giudice del Lavoro avrebbe potuto rilevare che la perizia del CTU conteneva, a suo dire, gravi errori di valutazione, in quanto emergevano in modo evidente elementi da cui dedurre che la sig.ra B.S., a causa del grave incidente occorsole e del coma prolungato che ne era seguito, era portatrice di una invalidità non solo fisica, ma anche psichica che la portava ad avere una percezione alterata della realtà.
Secondo la difesa del M., dalla stessa documentazione prodotta dalla ricorrente nel giudizio innanzi al Giudice del Lavoro emergerebbe un quadro di forte aggressività della dipendente che ha beneficiato del risarcimento, oltre ad una sua tendenza a comportamenti egocentrici e a percepire come persecutorie condotte in realtà privi di alcuna caratteristica in tal senso.
Riporta alcune circostanze che avrebbero dovuto indurre il Giudice civile a non ritenere sussistente il mobbing, tra cui la perizia di parte dei medici Dott. F. e Dott. B., nella quale il M. verrebbe descritto dalla vittima come un soggetto che era arrivato al ruolo che ricopre in modo irregolare e che pretendeva di esercitare un potere di cui non era stato investito. Si tratterebbe, a giudizio del convenuto, della conseguenza di uno stato psichico, esito del grave trauma cranico, a menomare la capacità di giudizio della B.S., ed a farle vivere come persecutorio il rapporto col superiore gerarchico, che pretendeva da lei il rispetto delle minime regole che devono disciplinare il rapporto di lavoro. Ciò sarebbe confermato dagli stralci di perizia prodotti, sempre dalla stessa ricorrente, nel giudizio innanzi al Giudice del Lavoro, da cui si evince che la patologia le procurava "disabilità neurologiche e visive" con una riduzione permanente della capacità lavorativa nella misura del 50%.
La difesa del M. sottolinea che, dalle consulenze rese in sede civile, emergerebbero altri motivi che avrebbero potuto indurre i disturbi della sig.ra B.S., come i problemi comportamentali del figlio ed i problemi col marito, il quale, "probabilmente consapevole delle tendenze paranoidi della moglie (p. 53 della comparsa di costituzione) non ha creduto alle persecuzioni che la sig.ra B.S. dichiarava di subire".
Ritiene, quindi, il convenuto che i modi diretti e poco cerimoniosi adottati da lui adottati quale dirigente di Settore rientrino nelle prerogative del datore di lavoro e nulla più.
2.7. Sull'elemento soggettivo, respinge la contestazione della natura dolosa della condotta posta in essere non per perseguitare la dipendente, ma per ottenere che il Settore da lui diretto lavorasse in modo efficace ed efficiente. Il M. ritiene che l'inserimento di persone svantaggiate può creare problemi di gestione che non sono facili da sciogliere, da parte di chi non abbia una preparazione psicologica specifica. In questo senso, non ci si poteva aspettare dal convenuto, laureato in ingegneria, alcun approccio psicologicamente orientato, e ciò nonostante avrebbe cercato di gestire la situazione non facile in cui si è trovato con tutto il suo buonsenso e il suo senso pratico.
Conclude chiedendo l'assoluzione o, in subordine, l'applicazione del potere riduttivo dell'addebito.
3. All'udienza del 24.10.2018 le parti hanno confermato le rispettive richieste contenute negli atti di causa.
4. La domanda della Procura Regionale è fondata e merita accoglimento.
4.1. La fattispecie per la quale è tratto a giudizio il convenuto consiste in un asserito danno indiretto conseguente alla condanna del Comune di Parma, ente locale nel quale M. G. prestava servizio in qualità di Direttore del Servizio Lavori Pubblici, al pagamento, in favore della dipendente amministrativa B.S., della somma di euro 22.703,60 a titolo di risarcimento danni, oltre spese di patrocinio e consulenze che hanno determinato un complessivo esborso di euro 38.295,04.
4.2. Con la predetta sentenza, divenuta irrevocabile, il Giudice del Lavoro di Parma ha accertato numerosi comportamenti, reiterarti nel tempo, nell'ambito dell'ambiente di lavoro della ricorrente, che sono stati inquadrati nel fenomeno c.d. di "mobbing".
Con questa espressione di origine anglosassone (derivante dal verbo "to mob", assalire, aggredire in gruppo), nata in etologia per indicare l'atteggiamento aggressivo attuato per escludere un membro da un gruppo di appartenenza, si vuole indicare una condotta generalizzata che si manifesta in ambienti ristretti (famiglia, lavoro, squadre sportive, collegi, scuole, carceri ecc ...) e che si concretizza in una serie di comportamenti illeciti, o talora anche formalmente leciti (sia dal punto di vista civile, penale e disciplinare), indirizzati verso un determinato soggetto da parte di uno o più appartenenti al medesimo gruppo aventi lo scopo di indebolire l'equilibrio psico-fisico della vittima e di emarginarla.
Il mobbing può avere una connotazione "orizzontale" se attuato da pari grado o pari livello nell'ambiente lavorativo, o "verticale" discendente, se posto in essere da superiori gerarchici (e in questo caso può essere definito con il termine "bullyng"), verticale ascendente se attuato nei confronti di questi ultimi.
Si tratta di un fenomeno che trova una certa diffusione nel mondo del lavoro, ma che solo recentemente è stato oggetto di attenzione da parte della giurisprudenza di merito e di legittimità.
Una definizione generale nel diritto italiano di mobbing può risalire alla sentenza della Corte Costituzionale n. 359/2003, in base alla quale con questa espressione si indicano "... atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all'obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo". Questa dinamica presuppone l'esistenza di uno o più soggetti attivi e di un soggetto passivo destinatario e vittima di tali comportamenti. Le condotte "... possono essere commissive o omissive e possono estrinsecarsi sia in atti giuridici veri e propri sia in semplici comportamenti materiali aventi in ogni caso, gli uni e gli altri, la duplice peculiarità di poter essere, se esaminati singolarmente, anche leciti, legittimi o irrilevanti ... e tuttavia di acquisire comunque rilievo quali elementi della complessiva condotta caratterizzata nel suo insieme dall'effetto e talvolta, secondo alcuni, dallo scopo di persecuzione e di emarginazione", mentre la vittima può subire conseguenze psicologiche quali sindrome da stress postraumatico, oppure può adottare comportamenti che incidono sul rapporto di lavoro tali da determinarne la cessazione (dimissioni, allontanamento di fatto dal posto di lavoro o licenziamento). Secondo la Corte Costituzionale il mobbing può anche portare la vittima a realizzare condotte giuridicamente illecite quali reazioni alla persecuzione e all'emarginazione.
Ai fini dell'accertamento positivo della situazione ambientale da cui si può dedurre l'esistenza di mobbing a danno di un lavoratore (e per legittimare la conseguente richiesta di risarcimento danni avanzata dal medesimo) la Corte di Cassazione ha enucleato gli elementi caratterizzanti tale condizione (Cass. Civ, Sez. Lav., 17.02.2009, n. 3785; Cass. Civ., Sez. Lav., 5.11.2012, n. 18927). Essi sono : a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti e/o leciti se considerati singolarmente, che, con intento vessatorio, siano posti in essere in modo sistematico e prolungato contro il dipendente da parte del datore di lavoro o di altri dipendenti, sottoposti al suo potere direttivo; b) l'evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente;
il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella sua integrità psico-fisica e/o nella propria dignità; d) l'intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi. La Suprema Corte ha rafforzato tale orientamento (Sez. Lav., n. 10037/2015) individuando sette parametri costitutivi e tassativi per il riconoscimento del mobbing, che sono "... l'ambiente, la durata, la frequenza, il tipo di azioni ostili, il dislivello tra gli antagonisti, l'andamento secondo fasi successive, l'intento persecutorio". Non rientrano in detta casistica i normali screzi o episodici conflitti personali e professionali tra colleghi, non connotati da volontà persecutoria.
4.3. La responsabilità del datore di lavoro trova fondamento nell'art. 2087 c.c. che impone allo stesso di adottare le misure per la tutela del lavoratore nella sua integrità psico-fisica e nella sua personalità morale nel rispetto dei principi costituzionali enunciati dagli artt. 2, 3 e 32 Cost..
Il datore di lavoro è sempre responsabile qualora i fatti integranti la condotta di mobbing siano attuati da un dipendente posto in posizione di supremazia gerarchica rispetto alla vittima, perché su di lui incombono i doveri enunciati dall'art. 2049 c.c., e non può invocare a proprio favore l'alterità dei comportamenti illeciti se sia rimasto colpevolmente inerte nella rimozione del fatto lesivo (Cass. Civ., Sez. Lav., 9 settembre 2008, n. 22858).
4.4. Anche la giurisprudenza della Corte dei conti si è confrontata numerose volte con il fenomeno del mobbing sotto il profilo del danno indiretto che scaturisce dalla condotta dei dipendenti pubblici nell'ambito dei rapporti di lavoro (Sez. F.V.G. n. 56/2013; Sez. Veneto n. 214/2015).
Nel caso di specie il danno patrimoniale dedotto in citazione consegue ad un giudizio civile celebrato avanti al Tribunale di Parma, Sezione Lavoro, che ha condannato il Comune di Parma per condotte "mobbizzanti" nei confronti della ricorrente B.S. all'interno del Settore Lavori Pubblici del predetto ente locale.
Sono emerse, in sede processuale, condotte estremamente lesive della dignità e dell'onore della ricorrente ad opera del dirigente di settore M. G., concretizzatesi, nella maggior parte dei casi, in accesi rimproveri, avanti agli altri colleghi della B..
La Sezione osserva che, ad un attento esame delle sentenze di primo e secondo grado che hanno sancito la condanna dell'ente locale, si deve ritenere provata la responsabilità di M. G., a titolo di dolo, per il danno erariale indiretto cagionato a causa della sua condotta.
5. Va preliminarmente affermata la piena autonomia tra il giudizio civile e quello contabile, in particolare tra l'azione di responsabilità amministrativa, nei casi di danno indiretto, rispetto al giudizio civile di danno. Difatti il giudizio civile è finalizzato alla reintegrazione del patrimonio del privato leso o, nel caso della responsabilità per fatto illecito, al risarcimento del danno, mentre l'azione del Pubblico Ministero contabile si ricollega al rapporto di natura pubblicistica tra l'amministrazione ed il dipendente che ha direttamente od indirettamente causato danno all'erario (Corte dei conti, Sez. II App., sentenza n. 319/1999; Sez. Lombardia, n. 137/1995).
Ne consegue la necessità di una nuova valutazione del fatto illecito, nel presente giudizio di responsabilità per danno erariale, non solo sotto il profilo della violazione del diritto del terzo, ma anche per la verifica degli elementi costitutivi della responsabilità amministrativa, sia di carattere oggettivo (condotta, danno e causalità) che soggettivo (dolo o colpa grave).
Per un condivisibile orientamento giurisprudenziale, la Corte dei conti, pur potendo trarre dal giudizio civile elementi utili di cognizione ai fini dell'accertamento della responsabilità amministrativa, non è da esso vincolato nella decisione di merito. In conseguenza di ciò, l'intervenuta pronuncia del Giudice Civile sui medesimi fatti dai quali è scaturito il danno indiretto non impedisce che il Giudice Contabile possa apprezzarli e valutarli in maniera diversa (C. conti, Sez. III^ sent. n. 468 del 15.07.2005; id. Sez. II, n. 361 del 20.09.2010).
Inoltre, nel giudizio per il danno erariale la Corte dei conti può fondare il proprio libero convincimento (principio enunciato dall'art. 116 c.p.c., cui l'art. 7, II comma, c.g.c. fa rinvio) anche sulle prove acquisite nel giudizio civile, se queste sono state versate in atti almeno da una delle parti del giudizio contabile, trattandosi di narrazioni di fatti provenienti da soggetti terzi non interessati, assunte con le garanzie del contraddittorio.
5.1. Non ha pertanto rilievo la mancata partecipazione al processo civile del convenuto nel giudizio di responsabilità amministrativa, non rimanendo compresso il diritto di difesa ed il contraddittorio sui fatti all'origine del danno nel successivo giudizio di responsabilità (C. conti, Sez. I, n. 71 del 28.03.1994; id., Sez. Emilia- Romagna n. 1207 del 27.09.2005; id., Sez. II n. 1 del 09.01.2008). In questo senso, l'eccezione sollevata dal M. in ordine alla sua mancata partecipazione al giudizio civile non ha alcuna rilevanza, posto che il convenuto può recuperare le prerogative difensive in questa sede processuale sui fatti circostanziati che costituiscono il presupposto o l'antecedente logico-giuridico del danno erariale fornendone la sua versione (Sez. Emilia-Romagna, sent. n. 1207/2005; Sez. II App., sent. n. 1/2008). Va, tuttavia, rilevato che al M. vennero richieste fin dal trasferimento della B.S. ad altro settore precise spiegazioni della sua condotta da parte del Settore Personale (come emerge dalla nota prot. 50396 del 17.03.2008 a firma del convenuto, con la quale si è dovuto giustificare dei comportamenti posti in essere nei confronti di B.S.), nonché che lo stesso venne inizialmente chiamato in giudizio a titolo personale avanti al Giudice del Lavoro di Parma da parte della sig.ra B.S. (processo poi estinto per rinuncia agli atti) con scambio d'informazioni tra il M. e l'amministrazione comunale a fini difensivi.
6. Dall'esame delle risultanze istruttorie assunte nel corso del giudizio civile il Collegio ritiene di poter trarre ragionevole convincimento che si siano effettivamente verificati episodi d'intolleranza, sino agli estremi di un quadro di mobbing, ai danni di B.S. mediante immotivati e plateali rimproveri coram populo, arbitrarie negazioni di permessi legittimamente fruibili dalla dipendente, derisioni dell'operato della B.S. al limite dell'ingiuria nonché evidenti condotte escludenti dal resto della compagine lavorativa, poste in essere dal M. almeno fino al 2007, anno del trasferimento della dipendente ad altro settore amministrativo.
6.1. Le prove testimoniali acquisite nel processo civile avanti al Tribunale di Parma, Sezione Lavoro (concluso con sentenza n. 479/14 del 5.12.2014), di colleghi del settore diretto dal M., confermano le predette condotte odiose e reiterate attuate dal convenuto.
Omissis ha riferito che frequentemente il M. criticava aspramente la sig.ra B.S., giungendo a rivolgerle pubblicamente espressioni quali "non capisci niente" o "svegliati", e negandole senza motivo permessi per assentarsi dal luogo di lavoro. La teste Omissis ha riferito altresì che questi atteggiamenti sono stati costanti e prolungati nel tempo e che il M. teneva questa condotta nei confronti di molte dipendenti donne, infierendo particolarmente e con particolare asprezza verso la sig.ra B.S..
Omissis ha narrato che il convenuto abitualmente invitava "in malo modo" la sig.ra B.S. a tornare a suo posto, negandole il cambio di mansioni con il pretesto che non sarebbe stata in grado di realizzarle. Ha raccontato che il convenuto era solito strappare la cornetta di mano alla B.S. durante le telefonate di lavoro, e che aveva creato un "clima di isolamento" attorno alla dipendente. Omissis ha persino affermato, in occasione della testimonianza avanti al Giudice Ordinario, che il M. non è "stato mai carino con le impiegate di sesso femminile", e che con la B.S. è stato particolarmente duro, giungendo ad affermare che "la ricorrente (B.S.) ha sofferto le pene dell'inferno".
L'estrema tensione in ufficio creata dal M. è stata confermata dalla teste Omissis, che ha riportato episodi in cui il convenuto diceva pubblicamente alla B.S. di non stare al telefono o di andare alla postazione di lavoro.
Omissis, ha riferito, invece, di rimproveri frequenti alla dipendente risarcita, e che in un'occasione M. G. disse testualmente "non so perché perdo tempo a parlare con certa gente" riferendosi a B.S., tanto da indurre la dichiarante a limitare gli incontri con la stessa, quasi temendo reazioni negative a suo danno da parte del dirigente di settore. Le altre testimonianze assunte nel corso del giudizio civile non sembrano rilevanti per l'accertamento dei fatti, trattandosi di dichiarazione di soggetti non sempre presenti sul posto di lavoro con la dovuta continuità per poter riferire con sufficiente precisione sui fatti di causa.
6.2. L'esistenza di un atteggiamento persecutorio e di costante e palese emarginazione ed umiliazione della dipendente B.S. da parte del convenuto trovano ulteriore conferma dalla consulenza tecnica d'ufficio redatta dal Dott. Giovanni M., e depositata avanti al Tribunale di Parma il 16.07.2014. Tale parere medico-legale conferma la dipendenza della "sindrome da stress cronico severo attribuibili ad una sistematica azione combinata di bullyng e mobbing verticale" (lamentata dalla sig.ra B.S. nel ricorso introduttivo avverso il Comune di Parma) dalle condotte vessatorie perpetrate dal M.. Il consulente d'ufficio ha rilevato nella B. una serie di disagi collegati al vissuto all'interno del luogo di lavoro che sono sfociati in un quadro clinico severo (disturbo dell'adattamento con ansia e umore depresso) tra il 2006 e il 2007, al culmine del deterioramento dei rapporti con il suo superiore amministrativo, tanto da far riconoscere alla vittima un'inabilità temporanea biologica nella misura del 15% circa, con cronicizzazione ed attenuazione nel tempo che ha determinato un danno biologico permanente nella misura del 4-5%. Dall'accurata indagine peritale si apprende che la vita relazionale e lavorativa della B.S. era stata normale e priva di eventi traumatici prima dell'insorgenza della patologia, sia pure in un soggetto con lieve invalidità per esiti da trauma cranico in età giovanile.
6.3. Va certamente, sotto questo profilo, respinta l'osservazione della difesa di M. G. in base alla quale vi sarebbero altri motivi che avrebbero potuto indurre i "disturbi" riscontrati sulla sig.ra B.S.. Infatti, gli asseriti problemi comportamentali del figlio e i problemi con il marito (che, sempre secondo il patrocinio di parte convenuta, non avrebbe creduto alle persecuzioni che la moglie dichiarava di subire sul posto di lavoro "probabilmente consapevole delle tendenze paranoidi" della predetta) non hanno trovato alcun riscontro probatorio né in sede civile, né nel presente processo contabile, rimanendo mere dichiarazioni totalmente prive di fondamento.
7. Alla luce di quanto sin qui esposto il Collegio ritiene quindi che il generale atteggiamento escludente posto in essere da M. G. attraverso la sistematica opera di derisione, dileggio, umiliazione della dipendente B.S. vada inquadrato, stante la pervicace reiterazione e sistematicità, in un quadro di mobbing che contiene in sé tutti gli elementi caratterizzanti (ambiente di lavoro, durata, frequenza, tipologia di azioni ostili, dislivello tra gli antagonisti, crescendo fattuale per fasi successive, intento apertamente persecutorio) riconosciuti dalla giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione (Cass. Sez. Lavoro, n. 10037/2015).
7.1. Va altresì rilevato che non si può muovere, in questa sede, alcun rilievo all'amministrazione comunale per la scelta di non ricorrere per vizi di legittimità avverso la sentenza della Corte d'Appello di Bologna, n. 584/2016, confermativa della condanna al risarcimento in favore della ricorrente B.S. e a carico del Comune di Parma.
Trattasi infatti di scelta discrezionale, nel caso di specie ben supportata dagli esiti dei giudizi di primo e secondo grado particolarmente negativi per il Comune anche in termini di evidenze probatorie (Sez. F.V.G., n. 56/2013).
8. In conclusione, si ritiene che la condotta reiterata nel tempo posta in essere dal M. nei confronti della dipendente B.S. sia da configurarsi come mobbing verticale discendente (ovvero esercitato da un superiore nei confronti di un sottoposto), aggravata dal fatto che il convenuto, nella sua autorevole posizione di dirigente di riferimento, avrebbe dovuto nell'evidenza della situazione di disagio e prostrazione della dipendente, cercare di risolvere i conflitti interni e contribuire a rasserenare l'ambiente di lavoro impedendo l'emarginazione e la segregazione della sottoposta, agevolandone l'inserimento in progetti ed attività lavorative consone alla sua qualifica e alla sua preparazione professionale.
8.1. Dagli atti del processo civile non risulta nessuno sforzo né tentativo da parte del convenuto per ovviare ad una situazione intollerabile sotto il profilo umano, prima ancora che lavorativo.
In questo atteggiamento del M., in spregio delle elementari regole organizzative, si ravvisa l'elemento soggettivo del dolo, essendo indubbio che le menzionate e comprovate condotte da lui tenute nei confronti della dipendente B.S. siano state cagionate volontariamente e strutturate, come detto, in un disegno denigratorio della vittima.
9. Va quindi disposta la condanna di M. G. al pagamento, in favore del Comune di Parma, del danno erariale quantificato nella misura degli esborsi in concreto effettuati dall'ente locale rimasto soccombente, pari a complessivi euro 38.295,04, oltre rivalutazione monetaria dall'effettivo esborso al deposito della sentenza, ed interessi legali dal deposito all'effettivo soddisfo.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vengono poste a carico del convenuto M. G. nella misura liquidata in dispositivo.
 

 

P.Q.M.
 

 

La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna, definitivamente pronunciando, accoglie la domanda attorea come da motivazione e conseguentemente condanna M. G. al pagamento di euro 38.295,04 in favore del Comune di Parma, oltre rivalutazione monetaria secondo gli indici FOI/ISTAT dal- l'esborso al deposito della presente sentenza, oltre interessi legali dal deposito della sentenza al soddisfo.
Condanna M. G. al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano in euro 228,67 (duecentoventotto/67).
Il Collegio, considerata la normativa vigente in materia di protezione di dati personali e ravvisati gli estremi per l'applicazione dell'art. 52 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, avente ad oggetto "Codice in materia di protezione di dati personali", dispone che, a cura della segreteria, venga apposta l'annotazione di omissione delle generalità e degli altri elementi identificativi, anche indiretti, del convenuto, dei terzi e, se esistenti, dei danti causa e degli aventi causa.