Cassazione Penale, Sez. 4, 02 luglio 2019, n. 28770 - Omissione di cautele dirette ad evitare la caduta di lavoratori nell'apertura presente nel sottotetto. Responsabilità del datore di lavoro e del committente


 

 

Presidente: FUMU GIACOMO Relatore: TORNESI DANIELA RITA Data Udienza: 27/02/2019

 

 

 

 

 

Fatto

 

1. Con sentenza emessa in data 28 maggio 2015 il Tribunale di Padova dichiarava F.R. e F.S. responsabili del reato di cui all'art. 590 cod. pen. commesso in violazione della normativa antinfortunistica e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, li condannava alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi due di reclusione.
1.1. In particolare a F.R., nella qualità di amministratore della società F. Costruzioni Edili s.n.c. di F.R. e C., impresa sub - affidataria dei lavori di costruzione di un edificio quadrifamiliare in Torreglia, e a F.S., amministratore della società Edil F. s.a.s., impresa committente e affidataria dei lavori nonché proprietaria dell'area, veniva contestato di avere cagionato, per colpa generica e per colpa specifica, consistita nella violazione dell'art. 146 d.lgs. n. 81/2008, lesioni personali a G.C., operaio dipendente della società di F.R. da cui derivava una malattia guarita in gg. 273.
1.2. Secondo la ricostruzione del giudice di primo grado F.R. incaricava il lavoratore G.C. di installare i pali di supporto - antenna in corrispondenza del colmo delle due falde del tetto dell'edificio in costruzione e, al contempo, F.S. (padre di F.R.) affidava al dipendente P.L. il compito di collaborare nello svolgimento delle medesime attività.
Il G.C. e il P.L. provvedevano così al taglio della guaina sul foro del tetto. Durante tali lavorazioni il P.L. chiedeva al G.C. di porgergli un accendino per accendere il cannello da utilizzare per scaldare la guaina che era stesa sopra un foro del tetto; quest'ultimo, nell'avvicinarsi al P.L. per consegnare quanto richiesto, precipitava sul pavimento del primo piano a causa della mancata predisposizione di idonei piani di copertura delle aperture presenti sia sul tetto che sul solaio del sottotetto.
Sotto il foro del tetto vi era infatti una ulteriore apertura (lucernario per il bagno progettato al piano inferiore) in corrispondenza della quale erano state appoggiate due tavole che non reggevano alla caduta del G.C..
Al momento dell'accaduto erano presenti F.R. ed alcuni operai dipendenti di entrambe le società.
1.3. Il Tribunale di Padova, dopo aver premesso che dalle risultanze processuali emergeva che gli imputati erano soliti impartire ordini indifferentemente ai dipendenti di entrambe le imprese addebitava ad entrambi la violazione dell'art. 146 d.lgs.n. 81/2008. Veniva precisato che, pur essendo condivisibile l’argomento difensivo secondo cui il foro sul tetto, nel momento di applicazione della guaina, non poteva essere fisiologicamente schermato o protetto, sicuramente la protezione del foro del sottotetto, ovvero del lucernaio del primo piano, doveva essere effettuata con mezzi adeguati.
Quanto al c.d. giudizio controfattuale, si osservava che, ove F.R. e F.S. avessero provveduto ad attrezzare un'adeguata difesa di tale seconda apertura, pur essendo anch'essa oggetto di lavorazione, la caduta del G.C. avrebbe avuto un impatto molto più limitato e, conseguentemente, i danni personali riportati dalla persona offesa sarebbero stati di gran lunga ridimensionati.
2. La Corte di appello di Venezia, con sentenza emessa in data 20 aprile 2017, confermava la predetta pronuncia.
3. F.R. e F.S., con separati ricorsi personali depositati in data 12 giugno 2017, elevano i seguenti motivi.
3.1. Con il primo motivo deducono l'inosservanza ed erronea applicazione di legge con riferimento agli arti. 40 e 43 cod. pen. e il vizio motivazionale sostenendo che la sentenza impugnata attribuisce loro una responsabilità colposa presuntiva ed oggettiva mentre risulta indimostrata l’effettiva efficacia causale tra le concrete condotte tenute e l’evento occorso in danno della persona offesa. Inoltre difetta una concreta indagine relativa alla specifica concretizzazione del rischio a contenuto antinfortunistico.
Evidenziano che la sentenza d’appello, senza operare alcuna differenziazione delle rispettive posizioni processuali, li ha ritenuti responsabili per il solo fatto di avere messo a disposizione, pur se a diverso titolo, alcuni operai per la realizzazione di opere sul medesimo edificio.
Contestano l’addebito di responsabilità fondato sull'art. 146 d.lgs. n. 81/2008 sostenendo che l’eventuale schermatura del sotto - tetto non avrebbe certamente escluso l’evento dannoso subito da G.C. Claudio in quanto la caduta in quanto tale, seppur da un'altezza inferiore ma pur sempre rilevante (di circa un metro e mezzo), non sarebbe stata di per sé idonea ad escludere con ragionevole probabilità, prossima alla certezza, che da tale caduta il G.C. non avrebbe riportato lesioni personali gravi. Sostengono che non è stato provato che la gravità delle lesioni subite dalla persona offesa sia dipesa dalia distanza percorsa nel vuoto quanto piuttosto dalla posizione assunta all'esito della caduta.
F.S. sottolinea, inoltre, che non era nemmeno presente al momento dei fatti sul luogo di lavoro.
3.2. Con il secondo motivo denunciano il vizio motivazionale in quanto l'immobile risultava dotato di ponteggi esterni che avrebbero condotto agevolmente l’operaio a terra a fine lavoro.
Inoltre evidenziano che il G.C. era un muratore esperto, qualificato e consapevole del rischio assunto con la prestazione di lavoro e aveva dimostrato una piena consapevolezza circa l'esistenza delle due aperture esistenti sul tetto e sul solaio mentre non era imputabile al datore di lavoro alcun difetto di formazione.
3.3. Concludono chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata con le conseguenze di legge.
 

 

Diritto

 


1. I ricorsi sono inammissibili sia per genericità e per manifesta infondatezza.
2. Giova rammentare che, secondo i principi consolidati della giurisprudenza di legittimità, i motivi di ricorso per cassazione possono riprodurre totalmente o parzialmente quelli di appello ma solo entro i limiti in cui ciò serva a documentare il vizio enunciato e dedotto, con autonoma, specifica ed esaustiva argomentazione (Sez. 6, n. 34521 del 27/06/2013, Rv.256133).
In linea generale si osserva che la funzione tipica dell'impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce che si realizza attraverso la presentazione di motivi i quali, a pena di inammissibilità debbono indicare specificatamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
Contenuto essenziale dell'atto di impugnazione è, pertanto, indefettibilmente il confronto puntuale con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta.
Il motivo di ricorso in cassazione, poi, è caratterizzato da una duplice specificità. Esso, oltre ad essere conforme all’art. 581 lett. c) cod. proc. pen., quando «attacca» le ragioni che sorreggono la decisione deve, altresì, contemporaneamente enucleare in modo specifico il vizio denunciato, in modo che sia chiaramente sussumibile fra i tre, soli, previsti dall'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., deducendo poi, altrettanto specificamente, le ragioni della sua decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice del merito per giungere alla deliberazione impugnata, sì da condurre a una decisione differente (Sez. 6, n. 8700 del 21 gennaio 2013, Rv. 254585).
3. Orbene, nel caso in esame i motivi di ricorso, già proposti con l'atto di appello sono stati riprodotti pedissequamente in questa sede, in assenza di una censura argomentata alle ragioni contenute nella decisione impugnata.
4. Inoltre i predetti motivi poggiano su considerazioni di mero merito, non scrutinabili in sede di legittimità, a fronte della completezza e della tenuta logica - giuridica dell'apparato argomentativo posto a supporto della sentenza impugnata.
Va rammentato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovo e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 4, n. 31224  del 16/06/2016).
Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l’illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le incongruenze logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché - come nel caso in esame - siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento (per tutte, Sez. Un. n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
Più in particolare è stato sottolineato come, ai sensi di quanto disposto dall’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., il controllo di legittimità sulla motivazione è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 2, n. 21644 del 13/02/2013, Rv. 255542).
Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto, risultando preclusa la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa.
Queste operazioni impedirebbero alla Suprema Corte di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei giudici di merito a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza rispettino uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l'iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.
5. Ciò premesso, si procede alla disamina congiunta dei motivi proposti da F.R. e da F.S. in quanto strettamente connessi.
6. Dalla sentenza impugnata risulta che F.R., nella qualità di amministratore della società F. Costruzioni Edili s.n.c. di F.R. e C., impresa sub - affidataria dei lavori di costruzione di un edificio quadrifamiliare in Torreglia, aveva incaricato il suo dipendente G.C. di effettuare un'attività di lavoro in quota consistente nel posizionamento delle antenne sul tetto e che la società committente Edil F. s.a.s., di cui è titolare F.S., si era ingerita concretamente nei lavori della ditta appaltatrice.
I giudici di merito pervenivano al convincimento, con argomentazioni logiche e congrue, che nel caso de quo il controllo e la predisposizione di misure di sicurezza incombesse sia su F.R., datore di lavoro di G.C., che su F.R., titolare della società committente, riconoscendo ad entrambi la titolarità della posizione di garanzia.
Le emergenze processuali dimostravano infatti che vi era totale promiscuità tra le due imprese operanti nel sito edile e che le circostanze concrete dimostravano la collaborazione costante dei lavoratori da esse dipendenti nella realizzazione dell'immobile.
6.1.Tale decisione risulta in linea con i principi di diritto della giurisprudenza di legittimità (Sez. 4, n. 44131 del 15/07/2015, Rv. 26497; Sez. 4, n. 3563 del 18/01/2012, Rv. 252672) che ha, tra l'altro, stabilito che la posizione del committente, quale soggetto su cui incombe il governo del rischio, deriva dal dovere di sicurezza in relazione all'incidenza che la sua condotta assume, oltre che nell'opzione di individuare un contraente inadeguato, nell'essersi eventualmente ingerito nell'esecuzione del contratto ed implica, in tale caso, la verifica, in concreto, della effettiva incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità delle opere da eseguire. 
6.2. Inoltre, nel contesto probatorio acquisito da cui emergeva la presenza regolare di F.S. al cantiere, veniva correttamente ritenuto irrilevante il fatto che il predetto non fosse presente il giorno del fatto sul luogo di lavoro.
6.3. Risulta altresì appropriata l'attribuzione, in capo agli imputati, della violazione dell'art. 146 d.lgs. n. 81/2008 risultando loro ascritta la totale omissione di cautele ed accorgimenti diretti ad evitare la caduta di lavoratori in presenza dell'apertura presente nel sottotetto. Tale disposizione prevede infatti espressamente che "Le aperture lasciate nei solai o nelle piattaforme di lavoro devono essere circondate da normale parapetto e da tavola fermapiede oppure devono essere coperte con tavolato solidamente fissato e di resistenza non inferiore a quella del piano di calpestio dei ponti di servizio".
7. I giudici di merito hanno inoltre correttamente osservato che la condotta del G.C. che, per mera distrazione, si era avvicinato al foro del tetto senza avvedersi del pericolo, anche per la presenza di una guaina di copertura che ne celava l'apertura, non poteva considerarsi abnorme ed idonea ad interrompere il nesso di causalità tra le condotte colpose degli imputati e l'evento lesivo.
7.1. Al riguardo è sufficiente rammentare che, secondo il costante dictum della Suprema Corte (Sez. 4 n. 3787 del 17/10/2014 - dep. 2015 - Rv. 261946), il titolare di una posizione di garanzia in ordine all'incolumità fisica dei lavoratori ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori il rispetto delle regole di cautele, sicché la sua responsabilità può essere esclusa per causa sopravvenuta solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e, comunque, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle precise direttive organizzative ricevute connotandosi come del tutto inopinabile.
7.2. Risulta altresì ineccepibile, anche sul piano logico, il giudizio controfattuale operato dai giudici di merito.
8. L’inammissibilità dei ricorsi comporta la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro duemila ciascuno a favore della cassa delle ammende.

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila ciascuno a favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 27/02/2019