Cassazione Civile, Sez. Lav., 04 luglio 2019, n. 18001 - Domanda di risarcimento del danno per la responsabilità di FS per inadeguata sorveglianza sanitaria. Non esiste prova di un aggravamento del tasso di rischio insito nell'attività lavorativa


Non è stato dedotto e provato, secondo quanto correttamente evidenziato dalla Corte territoriale, che il comportamento dell'imprenditore, in relazione ad attività che comportavano per loro natura dei rischi per la salute del lavoratore, fosse stato caratterizzato da condotte specifiche ed anomale idonee a determinare un aggravamento del tasso di rischio e di pericolosità ricollegato indefettibilmente alla natura dell'attività svolta


 

Presidente: NOBILE VITTORIO Relatore: ARIENZO ROSA Data pubblicazione: 04/07/2019

 

 

Rilevato che:
1. con sentenza del 16.1.2015, la Corte d'appello di Bari respingeva il gravame proposto da S.A. avverso la pronuncia del Tribunale della stessa città, che aveva rigettato la domanda proposta dal predetto, intesa ad ottenere la declaratoria di responsabilità della società Ferrovie dello Stato per inadeguata o assente tutela e sorveglianza sanitaria, per mancata assegnazione a mansioni confacenti allo stato di salute, e la conseguente condanna della società al risarcimento del danno biologico quantificato in € 62.989,74 e del danno morale da liquidarsi in misura pari al 50% di quello biologico.
2. la Corte rilevava: che dalla documentazione esibita dall'appellante era emerso che lo stesso, in data 28 settembre 1995, aveva proposto ricorso giudiziario per il riconoscimento come tecnopatia della malattia da strumenti vibranti da cui era affetto e che, con sentenza del 12.6.1997, il Pretore del lavoro aveva rigettato la domanda sul rilevo che la patologia denunziata, pur di origine professionale, aveva determinato postumi del 7%, inferiori al minimo indennizzabile; che, in data 9.6.1998 il lavoratore aveva chiesto la liquidazione del danno biologico in relazione alla predetta patologia, ma che non vi era la prova documentale che il S.A. avesse mai denunciato l'incompatibilità delle mansioni svolte con il proprio stato di salute e/o fatto istanza di assegnazione ad altre mansioni, né aveva provato o chiesto di provare in altro modo di avere presentato denunzie o istanze siffatte (i capitoli di prova avevano ad oggetto il tipo di mansioni svolte e le modalità delle prestazioni dell'attività lavorativa, i danni alla vita di relazione, la conoscenza del datore del suo stato di salute);
3. il giudice del gravame osservava ancora: che la documentazione prodotta dalla società attestava lo stato di idoneità fisica del lavoratore; che, in particolare, dal libretto sanitario dello stesso, ove erano riportati gli esiti delle varie visite mediche, emergeva la idoneità alle mansioni svolte, ancorché nella visita medica del 7.3.1990 fossero stati riscontrati per la prima volta segni di artrosi cervicale e lombare; che, in base a ciò, doveva ritenersi provato che l'azienda aveva controllato nel corso degli anni lo stato di salute del proprio dipendente e l'idoneità fisica del predetto all'espletamento delle mansioni affidategli, senza che venissero riscontrate patologie che apparissero incompatibili con le mansioni o che lasciassero ritenere come probabili aggravamenti delle malattie da cui lo stesso era risultato affetto; veniva rilevato che il lavoratore non aveva mai contestato le risultanze dei controlli medici e non aveva mai lamentato di essere stato addetto a compiti nocivi per il suo stato di salute;
4. era evidenziato come determinati lavori comportavano per loro natura rischi per la salute del lavoratore (ricollegati alle intemperie, umidità etc. dell'ambiente) ineliminabili dal datore di lavoro e che, rispetto ad essi, non era configurabile una responsabilità del datore ex art. 2087 c.c.; si aggiungeva che il S.A. non aveva denunciato alcun comportamento anomalo della società e che la sua richiesta era collegata unicamente alla circostanza di essere affetto da patologie di natura professionale, manifestatesi peraltro solo dopo la cessazione del rapporto. In base alla natura della responsabilità di cui all'art. 2087 c.c. occorreva pur sempre l'elemento della colpa, ossia la violazione di una disposizione di legge o di un contratto, o di una regola di esperienza, che nella specie non era stata dedotta, avendo la società rispettato le prescrizioni del DPR 547/55 e del DPR 302/56 riguardo alle visite mediche ed ai controlli sulla situazione fisica del lavoratore e non avendo violato alcuna regola di esperienza, per essersi sempre rivolta a medici la cui capacità professionale non era stata messa in discussione;
5. di tale decisione ha domandato la cassazione il S.A., affidando l'impugnazione a tre motivi, cui ha resistito, con controricorso, la società;
6. entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell'art. 380 bis.1 c.p.c.
 

 

 

 

Considerato che:
1. con il primo motivo, il S.A. denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 32 e 38 della Cost., nonché degli artt. 2086 e 2087 c.c., dell'art. 3, lett. M, del d. lgs. 19.9.1994 n. 626, osservando che grava sull'imprenditore l'obbligo di adottare misure a salvaguardia dell'Integrità fisica e della personalità morale del lavoratore e di disporne l'allontanamento all'esposizione a rischio per motivi inerenti la sua persona, sicché questi non aveva alcuna facoltà di chiedere di essere assegnato a mansioni diverse per ragioni di salute e la Corte del merito avrebbe dovuto orientare la sua indagine verso la valutazione dei comportamenti datoriali anche sul piano della prevenzione, esigendo la prova rigorosa di avere adottato le misure imposte dalla legge a salvaguardia della salute dei lavoratori;
2. con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 32 e 38 della Carta Costituzionale, degli artt. 2086 e 2087 c.c., nonché del D.P.R. 303/1956, art 4 lett. B, e dell'art. 33, e del d. lgs. 19.9.1994 n 626, artt. 1, 3, 4, 16, 17 e 21, adducendo che era mancato nella specie qualunque accertamento atto a verificare, in sede di controlli medici annuali, la presenza di rischi connessi alle mansioni svolte o di patologie collegate con il rischio di vibrazioni presente nel lavoro espletato, e che il lavoratore non era stato mai reso edotto dei rischi insiti nell'attività assegnatagli;
3. con il terzo motivo, il S.A. si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 2087 e 2697, 2° co., c.c., sostenendo che competa alla società l'onere di dimostrare l'adozione delle tutele eventuali sul piano preventivo per scongiurare l'insorgenza di patologie derivanti dal lavoro svolto, ma anche delle tutele successive a tale evento, e che sul lavoratore incomba la prova sia dell'esistenza della patologia, sia del nesso causale intercorrente tra la stessa ed il lavoro svolto.
4. con riferimento ai primi due motivi - che vanno trattati congiuntamente in ragione della connessione delle questioni che ne costituiscono l'oggetto - le censure fanno riferimento ad una serie di previsioni normative che impongono l'adozione da parte del datore di lavoro di misure generali di cautela ed obblighi di individuazione di misure di protezione e prevenzione dei rischi anche specifici, nonché di sorveglianza sanitaria, ma, al di là di proposizioni generiche sulle modalità con cui era stata condotta l'indagine relativa al comportamento datoriale sul piano della prevenzione e sull'assolvimento dei doveri di accertamento della condizione fisica del dipendente in sede di controlli medici annuali, le stesse non sono idonee ad individuare una violazione, da parte della Corte del merito, dei principi affermati in tema di responsabilità del datore ai sensi dell'art. 2087 c.c., che configura una responsabilità contrattuale, ancorata a criteri probabilistici e non solo possibilistici (cfr. Cass. 12725/2013);
5. è stato evidenziato da questa Corte come l'art. 2087 cod. civ. non contempla un'ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento. Ne consegue che incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'uno e l'altro e, solo se il lavoratore abbia fornito la prova di tali circostanze, sussiste per il datore di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi. Né la riconosciuta dipendenza delle malattie da una "causa di servizio" implica necessariamente, o può far presumere, che gli eventi dannosi siano derivati dalle condizioni di insicurezza dell'ambiente di lavoro, potendo essi dipendere piuttosto dalla qualità intrinsecamente usurante della ordinaria prestazione lavorativa e dal logoramento dell'organismo del dipendente esposto ad un lavoro impegnativo per un lasso di tempo più o meno lungo, restandosi così fuori dall'ambito dell'art. 2087 cod. civ., che riguarda una responsabilità contrattuale ancorata a criteri probabilistici e non solo possibilistici (cfr. Cass. 29.1.2013 n. 2038 e, successivamente, in termini analoghi, Cass. 24.10.2017 n. 25151);
6. posto che il nesso causale attiene alla riconducibilità del danno all' inadempimento del datore e non genericamente al lavoro svolto, non rileva in termini di decisività ai fini considerati neanche la riscontrata tecnopatia in misura peraltro inferiore alla soglia indennizzabile, essendo evidente che, al di là della possibilità che si realizzi una vasta area di coincidenza del nesso causale della patologia con l'attività lavorativa, sia ai fini dell'equo indennizzo che della malattia professionale, che impone al giudice del merito di considerare le circostanze di fatto accertate ai fini di detti benefici, occorre comunque avere riguardo ai principi della responsabilità in tema di art. 2087 c.c.;
7. l'accertamento di circostanze rilevanti per i benefici de quibus prescinde, invero, dall'individuazione di eventuali inadempimenti imputabili al datore di lavoro ex art. 2087 c.c., norma che richiede l'accertamento di specifica e concreta violazione, da parte dello stesso, delle misure necessarie a prevenire l'evento dannoso, al riguardo diversamente atteggiandosi il contenuto dei rispettivi oneri probatori del lavoratore e del datore di lavoro, a seconda che le misure di sicurezza siano "nominate" ovvero 'innominate";
8. nel primo caso - riferibile alle misure di sicurezza cosiddette 'nominate' - il lavoratore ha l'onere di provare soltanto la fattispecie costitutiva prevista dalla fonte impositiva della misura stessa - ovvero il rischio specifico che si intende prevenire o contenere nonché, ovviamente, il nesso di causalità materiale tra l'inosservanza della misura ed il danno subito e la prova liberatoria incombente sul datore di lavoro si esaurisce nella negazione degli stessi fatti provati dal lavoratore, ossia nel riscontro dell'insussistenza dell'inadempimento e del nesso eziologico tra quest'ultimo e il danno; nel secondo caso valendo, invece, la regola che la prova liberatoria a carico del datore di lavoro (fermo restando l'onere probatorio spettante al lavoratore) debba essere correlata alla quantificazione della misura della diligenza ritenuta esigibile, nella predisposizione delle indicate misure di sicurezza, imponendosi, di norma, al datore dì lavoro l'onere di provare l'adozione di comportamenti specifici che, ancorché non risultino dettati dalla legge (o altra fonte equiparata), siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, dagli 'standards' di sicurezza normalmente osservati o trovino riferimento in altre fonti analoghe (v. da ultimo Cass. 26.3.2019 n. 8911, con richiamo a Cass. 25 maggio 2006, n. 12445; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3033; Cass. 2 luglio 2014, n. 15082; Cass. 26 aprile 2017, n. 10319; Cass. 20 febbraio 2018, n. 4084; Cass. 31 ottobre 2018, n. 27964);
9. tanto premesso, nel caso di specie, avuto riguardo ai principi richiamati, non è stato dedotto e provato, secondo quanto correttamente evidenziato dalla Corte territoriale, che il comportamento dell'imprenditore, in relazione ad attività che comportavano per loro natura dei rischi per la salute del lavoratore, fosse stato caratterizzato da condotte specifiche ed anomale idonee a determinare un aggravamento del tasso di rischio e di pericolosità ricollegato indefettibilmente alla natura dell'attività svolta (cfr. Cass. 30.8.2000 n. 11427);
10. diversamente da quanto assume il ricorrente, che ha fatto riferimento ad obblighi datoriali di allontanamento del lavoratore dall'esposizione a rischio per motivi sanitari inerenti la sua persona, ad obblighi di valutazione dei rischi per la salute e sicurezza sul luogo di lavoro, al contenuto degli obblighi di sorveglianza ed all'adempimento anche di obblighi informativi nei confronti dei lavoratori, consacrati nelle norme di cui al DPR 626/1994 e nel DPR 303/56, è stato evidenziato come, nel corso dell'attività lavorativa del S.A., la società abbia sempre controllato il suo stato di salute e la sua idoneità fisica all'espletamento delle mansioni affidategli, senza che venissero riscontrate patologie che risultassero incompatibili con le mansioni svolte o che lasciassero ritenere come probabili un aggravamento delle malattie da cui il lavoratore era affetto;
11. il nucleo della decisione va ravvisato, dunque, nell'esclusione di ogni denunzia da parte del lavoratore di un comportamento anomalo delle Ferrovie, e nella mancata contestazione da parte dello stesso delle risultanze dei controlli medici eseguiti o della adibizione a compiti nocivi ed incompatibili per il suo stato di salute, ciò che avrebbe integrato un inadempimento datoriale - invece escluso anche alla stregua della inconcludenza delle prove articolate al riguardo - cui fosse causalmente collegato il danno biologico richiesto, e rispetto alla cui dimostrazione il datore avrebbe dovuto dimostrare di essersi invece attivato, in conformità alle prescrizioni dei doveri su di esso ricadenti;
12. in ogni caso, anche avendo riguardo agli accertamenti di patologie professionali da cui il S.A. era risultato affetto, e ritenendo che, in virtù di tale emergenza, gli oneri probatori ricadessero prevalentemente sul datore, con un alleggerimento della prova per il lavoratore, l'accertamento della Corte territoriale, non sindacabile in questa sede quanto alla valutazione di merito, ha consentito di ritenere che fossero state adottate tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno (cfr., da ultimo, Cass. 19.10.2018 n, 26495, Cass. civ. n. 10319/2017);
13. in particolare, è stato conferito risalto ai detti fini alla esistenza di certificato d'idoneità fisica del S.A., al possesso, da parte dello stesso, dei requisiti psico attitudinali richiesti, all'esistenza di libretto sanitario dei lavoratore, riportante gli esiti delle varie visite mediche eseguite nel corso degli anni in cui si era svolta l'attività lavorativa, senza che fossero state riscontrate patologie che apparissero incompatbili con le mansioni svolte o che lasciassero ritenere come probabili un aggravamento delle malattie da cui era risultato affetto;
14. sotto questo profilo si rivelano, pertanto, infondati i rilievi diretti a far valere una sovrapponibilità della fattispecie a quella scrutinata da questa Corte nella sentenza n. 27964/2018, di accoglimento del ricorso del lavoratore, posto che in quest'ultima era stato evidenziato come la Corte del merito, a fronte del pregresso accertamento di una patologia dipendente da causa di servizio, non avesse proceduto ad un conseguente e severo controllo sulle mansioni successivamente attribuite, ed anzi conservate, al lavoratore, laddove nell'ipotesi qui esaminata detti controlli risultano, come sopra indicato, essere stati adeguatamente effettuati;
15. anche il terzo motivo di ricorso deve essere disatteso in conformità a motivazioni già rese da questa Corte in relazione a fattispecie analoga, in relazione alla quale, pur evidenziandosi diversi profili di inammissbilità per novità delle relative deduzioni, è stato ribadito come "alla stregua dei costanti arresti giurisprudenziali di questa Suprema Corte, il lavoratore che deduca di avere subito un danno alla salute in conseguenza dell'attività lavorativa svolta ha l'onere di provare il fatto che costituisce l'inadempimento ed il nesso di causalità materiale tra tale inadempimento ed il danno" e che la motivazione della Corte di Appello è del tutto in linea con l'indirizzo giurisprudenziale testé citato, "in relazione alla valutazione compiuta circa l'esito giudiziale dell'accertamento della malattia professionale del ricorrente ed alla sua inutilizzabilità", anche avuto riguardo ai principi stabiliti nella pronuncia di questa Corte 17017/2007, ai fini del diverso risarcimento ai sensi dell'art. 2087 c.c. (cfr., in tali termini Cass. 8.2.2017 n. 3366 e Cass. 19.5.2017 n. 12713);.
16. alla stregua delle svolte argomentazioni, il ricorso deve essere respinto;
17. le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.
18. sussistono le condizioni di cui all'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 115 del 2002.
 

 

P.Q.M.
 

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 4000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell'art.13, comma 1 bis, del citato D.P.R..
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 11 aprile 2019