Cassazione Penale, Sez. 3, 9 luglio 2019, n. 29968 - Deflagrazione di vapori infiammabili contenuti nel serbatoio di olio di sansa grezza. Ricorsi del presidente del CDA della società esercente attività di raffinazione di oli vegetali


Presidente: SARNO GIULIO Relatore: ACETO ALDO Data Udienza: 22/02/2019

 

Fatto

 


1. Il sig. G.DP., con due distinti ricorsi, impugna la sentenza del 21/09/2017 della Corte di appello di Firenze che, decidendo in sede rescissoria, ha rideterminato la pena principale per il residuo reato di cui all'art. 589, secondo e quarto comma, cod. pen., commesso il 25/11/2006, nella misura di quattro anni, nove mesi e quindici giorni di reclusione, ha sostituto la pena accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici con quella temporanea della durata di cinque anni, confermando nel resto le sentenze del 13/12/2011 del Tribunale di Spoleto e del 08/11/2013 della Corte di appello di Perugia.
2. Il ricorso a firma dell'Avv. Giuseppe LS., propone dieci motivi.
2.1. Con il primo, deducendo la mancata valutazione della gravità e percentuale di responsabilità a lui attribuita, eccepisce, ai sensi dell'art. 606, lett. b), cod. proc. pen., l'erronea applicazione degli artt. 624 cod. proc. pen., 132 e 133 cod. pen.
2.2. Con il secondo motivo, che riprende gli argomenti trattati con il primo, deducendo la mancata valutazione della memoria difensiva dep. il 21/09/2016, eccepisce, ai sensi dell'art. 606, lett. c), cod. proc. pen., l'erronea applicazione degli artt. 121, 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.
2.3. Con il terzo motivo, deducendo il malgoverno della discrezionalità del giudice nella applicazione della pena, eccepisce, ai sensi dell'art. 606, lett. c) e b), cod. proc. pen., l'erronea applicazione degli artt. 125 cod. proc. pen., e 132 cod. pen.
2.4. Con il quarto motivo, che riprende quelli esposti con il terzo, eccepisce, ai sensi dell'art. 606, lett. c) e/o e), cod. proc. pen., l'erronea applicazione dell'art. 133 cod. pen. per omesso esame e difetto di motivazione sui criteri soggettivi previsti dalla suddetta norma ai fini della determinazione della pena.
2.5. Con il quinto motivo, deducendo l'eccessiva severità del trattamento sanzionatolo avuto riguardo alla previgente formulazione della norma incriminatrice, eccepisce, ai sensi dell'art. 606, lett. e), cod. proc. pen., la motivazione illogica e non coerente in punto di determinazione della pena per il reato di cui all'art. 589 cod. pen.
2.6. Con il sesto motivo, ribadendo che la pena applicata si discosta molto dal minimo edittale, eccepisce, ai sensi dell'art. 606, lett. e), cod. proc. pen., il vizio di motivazione carente e illogica in punto di graduazione della colpa.
2.7. Con il settimo motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606, lett. c) ed e), cod. proc. pen., l'omesso esame dei criteri soggettivi di cui aH'art. 133, comma secondo, cod. pen. e conseguente difetto assoluto di motivazione sul punto.
2.8. Con l'ottavo motivo, deducendo la natura autonoma del reato di cui al terzo (oggi quarto) comma dell'art. 589 cod. pen., che non può essere oggetto di bilanciamento con altre circostanze, eccepisce, ai sensi dell'art. 606, lett. b), cod. proc. pen., l'erronea applicazione dell'art. 589, commi primo, secondo e terzo, cod. pen., e dell'art. 69 cod. pen.
2.9. Con il nono motivo, deducendo l'eccessivo aumento della pena a titolo di concorso formale con il delitto di cui all'ultimo comma dell'art. 589 cod. pen., eccepisce, ai sensi dell'art. 606, lett. e), cod. proc. pen., il vizio di motivazione carente e/o illogica in punto di determinazione della pena in violazione dell'art. 589, commi primo, secondo e terzo, cod. pen., e dell'art. 133 cod. pen.
2.10. Con il decimo motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606, lett. e), cod. proc. pen., l'illogicità della motivazione nella parte in cui mentre, da un lato, ai fini della "gravità del reato" tiene conto dell'incendio, dall'altro, nella determinazione della pena, ed in particolare dell'aumento di due anni e tre mesi, tiene conto del solo reato di lesioni, estinto per prescrizione e non anche del reato di incendio colposo aggravato, anch'esso estinto per prescrizione.
3. Il ricorso a firma dell'avv. Giuseppe V. propone cinque motivi.
3.1. Con il primo, analogo per contenuto al quinto e al nono del ricorso a firma dell'Avv. LS., eccepisce l'erronea applicazione dell'art. 589 cod. pen., nella formulazione conseguente alla riforma operata dalla legge n. 125 del 2008, promulgata in epoca successiva al fatto, nonché contraddittorietà ed illogicità della motivazione.
3.2. Con il secondo motivo, analogo per contenuto all'ottavo motivo del ricorso a firma dell'Avv. LS., eccepisce l'erronea applicazione degli artt. 589 e 69 cod. pen. e vizio di motivazione contraddittoria ed illogica.
3.3. Con il terzo motivo, analogo per contenuto ai primi due del ricorso a firma dell'avv. LS., eccepisce l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'art. 624 cod. proc. pen., e degli artt. 125 e 132 cod. pen., nonché vizio di contraddittorietà e illogicità della motivazione.
3.4. Con il quarto motivo, analogo per contenuto ai motivi dei ricorso dell'Avv. LS. relativi alla determinazione del trattamento sanzionatorio, eccepisce l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'art. 133 cod. pen., e vizio di contraddittorietà e illogicità della motivazione.
3.5. Con il quinto motivo eccepisce l'illogicità e la contraddittorietà della motivazione in relazione alla negativa valutazione del mancato raggiungimento di un accordo tra le parti per il risarcimento del danno.
4.Con memorie tempestivamente depositate, le parti civili, Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, e INAIL, hanno chiesto il rigetto dei ricorsi.
 

 

Diritto

 


5. I ricorsi sono inammissibili per le ragioni di seguito indicate.
6. E' opportuno riportare, ai fini della migliore comprensione della vicenda, stralcio della motivazione della sentenza rescindente pronunciata dalla Quarta Sezione Penale all'udienza pubblica del 03/06/2015 (n. 36024 del 2015): «Con sentenza resa in data 13/12/2011, il tribunale di Spoleto ha condannato G.DP. alla pena di sette anni e sei mesi di reclusione, nonché, in solido con la responsabile civile Gestoil s.r.l. (già Umbria Olii s.p.a.), al risarcimento dei danni in favore delle diverse parti civili costituite, in relazione alla commissione dei reati di omicidio colposo plurimo e lesioni colpose, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, incendio colposo e getto pericoloso di cose, tutti commessi in Campello sul Clitunno, il 25/11/2006. In estrema sintesi, al G.DP. - nella qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Umbria Olii S.p.A., società esercente attività di raffinazione di oli vegetali - era stata ascritta la causazione del decesso di G.C., M.M., T.M. e V.T., nonché delle lesioni personali a carico di K.D., avvenuti in conseguenza di una deflagrazione di vapori infiammabili contenuti nel serbatoio di olio di sansa grezza n. 95, posto nell'area di stoccaggio dell'impianto della Umbria Olii s.p.a. in Campello sul Clitunno; serbatoio in corrispondenza del quale le vittime stavano realizzando, mediante saldatura sul relativo tetto, un sistema di passerelle in esecuzione di un appalto conferito dalla Umbria Olii alla ditta individuale di M.M.. Secondo il tribunale spoletino, il G.DP. doveva ritenersi altresì responsabile dell'omessa dotazione dell'area di stoccaggio degli olii vegetali (tra i quali l'olio di sansa grezza) di un adeguato impianto antincendio, nonché dell'omessa dotazione, dei serbatoi contenenti i prodotti, di un sistema di sicurezza per l'inertizzazione e il controllo delle atmosfere esplosive, nonché di un sistema dì rilevazione della presenza di vapori infiammabili e di altre misure idonee a evitare i pericoli di esplosione all'interno dei serbatoi e nelle altre aree a rischio di spandimenti; fatti commessi con l'aggravante di aver cagionato il descritto infortunio mortale plurimo, oltre a un incendio secondario alla descritta esplosione (anch'esso imputato al G.DP. a titolo di colpa), determinatosi a seguito della fuoriuscita dell'olio contenuto nel serbatoio n. 95, seguito dall'esplosione dei serbatoi n. 94 e n. 93, dai quali era fuoriuscito ulteriore olio, con successiva recrudescenza dell'incendio, domato solamente dopo tredici ore con l'impiego di numerosi vigili del fuoco e di notevoli quantità di mezzi di spegnimento. Da ultimo, all'imputato era stato attribuito lo sversamento, penalmente rilevante ai sensi dell'art. 674 c.p., di notevoli quantità di oli vegetali, compresi gli oli di sansa grezza con presenza di residui di solventi, che dallo stabilimento industriale si erano riversati a valle sulla S.S. Flaminia e nel fiume Clitunno. Con sentenza resa in data 8/11/2013, la corte d'appello di Perugia, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dopo aver assolto l'imputato dal reato di omessa adozione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, perché il fatto non costituisce reato, e aver dichiarato non doversi procedere in relazione al reato di cui all'art. 674 c.p., in ragione dell'intervenuta prescrizione, ha rideterminato la pena nei confronti dell'imputato (anche a seguito di una rivalutazione delle circostanze), in relazione alle residue imputazioni di omicidio colposo plurimo, lesioni colpose e di incendio colposo, stabilendola definitivamente nella misura di cinque anni e quattro mesi di reclusione. La stessa corte, riconosciuto il concorso di colpa di M.M., nella misura di un terzo, in relazione alla causazione dei reati di omicidio colposo plurimo, lesioni colpose e di incendio colposo, ha ridotto le somme già liquidate, in favore delle parti civili costituite quali congiunti del M.M., a titolo di provvisionale e di risarcimento del danno».
6.1. Ritenuta l'infondatezza dei ricorsi dell'imputato, la Corte ha preso atto della sopravvenuta prescrizione dei reati di incendio doloso e di lesioni colpose ed, esclusa la possibilità di un proscioglimento nel merito, ha ravvisato la «necessità di procedere alla rideterminazione della pena a carico dell'imputato (attesa la formulazione onnicomprensiva della motivazione dell'aumento di pena disposto ex art. 589 c.p. dalla corte territoriale: cfr. pagg. 179-180 della sentenza a quo), con il conseguente annullamento sul punto della sentenza Impugnata (e l'assorbimento di ogni connessa questione relativa al trattamento sanzionatorio dedotta con i motivi di ricorso), con rinvio alla Corte d'appello di Firenze affinché provveda al riguardo».
6.2. La Corte di appello di Firenze ha rideterminato la pena principale nella misura di quattro anni, nove mesi e quindici giorni di reclusione.
6.3. La Corte territoriale ha innanzitutto ritenuto irrevocabile l'accertamento del reato, «anche con riferimento alla sua valutazione di gravità e alla responsabilità attribuita al G.DP. dalle precedenti sentenze di merito, confermate in tali punti dalla Corte di Cassazione». Ha perciò disatteso gli argomenti di segno contrario contenuti nella memoria difensiva depositata il 03/10/2016, valutando ulteriormente irrilevanti le deduzioni difensive circa la ricostruzione della dinamica dell'incidente, delle sue cause, della minima responsabilità dell'imputato a fronte di quella ben maggiore del defunto M.M.. 
6.4. Quindi, ha tenuto conto della gravità dell'incidente già riconosciuta dai precedenti giudici di merito, resa evidente dal numero dei lavoratori deceduti, dalle modalità dell'incendio sviluppatosi, dalla sua vastità e dalle sue conseguenze; ha tenuto altresì conto del grado della colpa attribuita all'imputato e del concorso di colpa del M.M., irrevocabilmente accertata nella misura non superiore ad un terzo, ed ha valutato negativamente il comportamento tenuto successivamente dall'imputato stesso che, nonostante il tempo trascorso, non aveva ancora raggiunto un accordo con le parti civili per il risarcimento del danno.
6.5. I Giudici territoriali hanno perciò ritenuto di tener ferma la pena base di due anni, sei mesi e quindici giorni di reclusione indicata dalla Corte di appello di Perugia, previa applicazione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza con le contestate circostanze aggravanti. Tale pena, sostengono, ancorché di poco superiore alla metà del massimo edittale previsto dall'art. 589, comma primo, cod. pen. (nella versione vigente all'epoca del fatto), è adeguata alla gravità del reato e alla personalità del suo autore, tenuto conto delle considerazioni sopra illustrate. La pena è stata aumentata di nove mesi per ciascuno degli altri tre lavoratori deceduti (per un totale di due anni e tre mesi di reclusione) giungendo al risultato finale di quattro anni, nove mesi e quindici giorni di reclusione.
7. Tanto premesso, osserva in primo luogo il Collegio che, in sede di ricorso avverso la sentenza della Corte di appello di Perugia, il G.DP. aveva devoluto la questione relativa al trattamento sanzionatorio deducendo che «la corte territoriale [era] pervenuta alla determinazione del trattamento sanzionatorio inflitto a carico dell'imputato (pari a cinque anni e quattro mesi di reclusione) sulla base di un grave travisamento degli elementi di prova acquisiti in relazione al minimo (se non nullo) contributo causale alla produzione dell'evento, nonché in relazione al carattere sostanzialmente trascurabile, sul piano eziologico, dei pretesi profili di colpa dell'imputato, con la conseguente illogica applicazione dei parametri legislativi di commisurazione della pena, tanto con riguardo alla determinazione della pena-base (erroneamente riferita al quarto comma, come novellato, dell'art. 589 c.p., anziché al terzo comma dello stesso articolo, ratione temporis), quanto in relazione al giudizio di bilanciamento delle circostanze attenuanti generiche, ingiustificatamente ritenute equivalenti alle contestate aggravanti».
7.1.Orbene, il grado della colpa dell'imputato costituisce argomento ampiamente scrutinato in sede rescindente insieme con quello del concorso di colpa del M.M., irrevocabilmente attestato nella misura di un terzo, un concorso che tuttavia non elide il giudizio di gravità della condotta inadempiente ascritta al G.DP. stigmatizzata da questa Corte in più passaggi della sentenza di annullamento con rinvio.
7.2. Ne consegue la manifesta infondatezza dei primi due motivi di ricorso a firma dell'avv. LS. e del terzo motivo di ricorso a firma dell'avv. V., sia perché la Corte di appello dà atto della memoria difensiva del 21/09/2016, sia perché correttamente esclude di poter recuperare l'argomento relativo alla quantificazione della gravità della colpa anche solo sotto il profilo della determinazione della pena.
8. Quanto ai motivi inerenti la determinazione concreta della pena, ricorda il Collegio che:
8.1. gli indici di commisurazione della pena di cui all'art. 133, cod. pen., forniscono al giudice l'armamentario per forgiare la condanna sulla persona dell'imputato in considerazione della finalità rieducativa della pena stessa;
8.2.la centralità e l'importanza della sua quantificazione è stata più volte sottolineata dal Giudice delle leggi che ha ribadito che «il potere discrezionale del giudice nella determinazione della pena forma oggetto, nell'ambito del sistema penale, di un principio di livello costituzionale» rimarcando che la finalità rieducativa della pena stessa non è limitata alla sola fase dell'esecuzione, ma costituisce «una delle qualità essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico, e l'accompagnano da quando nasce, nell'astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue» (sentenza n. 313 del 1990; si vedano anche le sentenze n. 129 del 2008, n. 257 del 2006, n. 341 del 1994)» (sentenza n. 183 del 10/06/2011);
8.3.la quantificazione della pena, dunque, non può essere frutto di scelte immotivate né arbitrarie, ma nemmeno di valutazioni esasperatamente analitiche;
8.4. quel che conta, in ultima analisi, è che dell'uso del potere discrezionale il giudice dia conto rendendo noti gli elementi che lo giustificano (art. 132, cod. pen.);
8.5. a tal fine risulta insuperato l'insegnamento di Sez. U, n. 5519 del 21/04/1979, Pelosi, Rv. 142252, secondo cui è da ritenere adempiuto l'obbligo della motivazione in ordine alla misura della pena allorché sia indicato l'elemento, tra quelli di cui all'art 133 cod. pen., ritenuto prevalente e di dominante rilievo, non essendo tenuto ad una analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi (così, in motivazione, anche Sez. 3, n. 19639 del 27/01/2012, Gallo; si veda anche Sez. 5, n. 7562 del 17/01/2013, La Selva);
8.6. quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente quali, tra i criteri, oggettivi o soggettivi, enunciati dall'art. 133 c.p., siano stati ritenuti rilevanti ai fini di tale giudizio, dovendosi perciò escludere che sia sufficiente il ricorso a mere clausole di stile, quali il generico richiamo alla "entità del fatto" e alla "personalità dell'imputato (così, in motivazione, Sez. 6, n. 35346 del 12/06/2008, Bonarrigo; cfr. anche Sez. 1, n. 2413 del 13/03/2013, Pachiarotti; Sez. 6, n. 2925 del 18/11/1999, Baragiani);
8.7. è consentito far ricorso esclusivo a tali clausole, così come a espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa", "congruo aumento", solo quando il giudice non si discosti molto dai minimi edittali (Sez. 3, n. 28852 del 08/05/2013, Taurasi, Rv. 256464; Sez. 1, n. 1059 dei 14/02/1997, Gagliano; Sez. 3, n. 33773 del 29/05/2007, Ruggieri) oppure quando, in caso di pene alternative, applichi la sanzione pecuniaria, ancorché nel suo massimo edittale (Sez. 1, n. 40176 del 01/10/2009, Russo; Sez. 1, n. 3632 del 17/01/1995, Capelluto);
8.8. è stato anzi precisato che nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243; Sez. 5, n. 46412 dei 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197; Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 245596);
8.9. al di fuori di questi casi, la determinazione della pena tra il minimo e il massimo edittale non può insomma essere affidata alla intuizione del giudice, con riferimento a generiche formule di stile o sommari richiami al parametro contenuto nell'art. 133 cod. pen. se è pur vero che non è richiesto l'analitico esame in rapporto a ogni elemento del complesso parametro richiamato, resta tuttavia la doverosità della specifica individuazione delle ragioni determinanti la misura della pena, al fine di dar conto dello uso corretto del potere discrezionale che al giudice di merito è affidato, e di garantire l'imputato della congruità della pena inflitta (Sez. 1, n. 12364 del 02/07/1990, Italiano, Rv. 185320; cfr. anche Sez. 1, n. 5210 del 14/01/1987, Cardile, Rv. 175802, che ha ricordato come nell'irrogazione di una pena, relativa ad un reato circostanziato, analogamente a quanto previsto per un reato semplice, il giudice adempie all'obbligo di motivazione solo allorché indica in modo specifico i motivi che giustificano l'uso del suo potere discrezionale al riguardo e non già adoperando delle formule stereotipate. Infatti, l'obbligo della motivazione, predisposto dalla legge, è generale, in quanto vale per tutti i provvedimenti per i quali la legge lo prescrive;
indisponibile perché deve essere adempiuto unicamente dall'autore del provvedimento; destinato ad essere pubblicizzato e completo, nel senso che deve essere quantitativamente correlato al dispositivo, con l'effetto che in assenza di queste caratteristiche non può dirsi compiutamente adempiuto);
8.10. in sede di appello è inoltre necessario che il giudice si confronti anche con gli argomenti devoluti a sostegno del più mite trattamento sanzionatorio rivendicato dall'imputato purché tali argomenti siano connotati dal requisito della specificità (Sez. 1, n. 707 del 13/11/1997, Ingardia, Rv. 209443; Sez. 1, n. 8677 del 06/12/2000, Gasparro, Rv. 218140; Sez. 4, n. 110 del 05/12/1989, Buccilli, Rv. 182965).
9.Orbene, la Corte di appello ha applicato una pena base che, diversamente da quanto affermato dalla stessa Corte, è inferiore alla media edittale dell'Ipotesi di reato non aggravata prevista dall'art. 589, comma primo, cod. pen. che, nella versione vigente all'epoca del fatto, puniva il fatto con la pena della reclusione da uno a cinque anni.
9.1. La media edittale non deve essere calcolata dimezzando il massimo edittale previsto per il reato applicato, bensì dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale (la forbice edittale) ed aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo. Nel caso di specie, la forbice edittale è di quattro anni e sei mesi; la metà, pari a due anni e tre mesi, deve essere aggiunta al minimo edittale, ottenendo il risultato di due anni e nove mesi di reclusione, pena inferiore alla pena base applicata in sede rescissoria.
9.2. Ciò nondimeno, la Corte di appello ha ampiamente spiegato le ragioni della determinazione del trattamento sanzionatorio avuto riguardo alla gravità del danno, al grado della colpa, al comportamento successivamente tenuto dall'imputato.
9.3.Si tratta, pertanto, di giudizio insindacabile in questa sede di legittimità.
9.4. Ne consegue che sono manifestamente infondati (quanto al dedotto vizio di mancanza di motivazione) e proposti al di fuori dei casi consentiti dalla legge (quanto al sindacato dell'uso dei criteri di commisurazione della pena di cui all'art. 133 cod. pen.) il terzo, il quarto, il sesto ed il settimo motivo del ricorso a firma dell'Avv. LS. ed il quarto e quinto motivo del ricorso a firma dell'Avv. V..
9.5. Non si comprende, peraltro, perché la Corte di appello di Firenze avrebbe tenuto in conto l'attuale massimo edittale di sette anni di reclusione posto che, se così fosse, la affermazione contenuta nella sentenza impugnata che la pena base di due anni, sei mesi e quindici giorni è di poco superiore alla media edittale sarebbe logicamente incomprensibile. Ed infatti l'affermazione della Corte di appello secondo cui «la pena è (...) di poco superiore alla metà del massimo edittale previsto, oggi come allora, dall'art. 589 c.l c.p. applicabile dopo il bilanciamento dell'aggravante» è del tutto corretta perché il primo comma dell'art. 589 cod. pen. è rimasto invariato fino ad oggi. .
9.6. Ne deriva la manifesta infondatezza anche del quinto motivo del ricorso a firma dell'Avv. LS. e del primo motivo dei ricorso a firma dell'Avv. V..
10. Sono manifestamente infondati anche l'ottavo ed il nono motivo di ricorso a firma Avv. LS. ed il secondo motivo del ricorso a firma Avv. V..
10.1. La Corte di appello, infatti, non ha effettuato il bilanciamento delle circostanze attenuanti generiche con i concorrenti reati di cui al terzo (oggi quarto) comma dell'art. 589, bensì con la circostanza aggravante di cui al secondo comma del medesimo articolo (Sez. 4, n. 3871 del 08/02/1990, Buffon, Rv. 183752, secondo cui il secondo comma dell'art. 589 cod. pen. non integra un reato autonomo, bensì un'aggravante speciale che impone il giudizio di comparazione ai sensi dell'art. 69 cod. pen.).
10.2. Gli aumenti della pena applicata per gli ulteriori lavoratori deceduti sono stati correttamente (ed insindacabilmente) effettuati ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 589 cod. pen. avendo la Corte di appello applicato una pena decisamente inferiore al triplo della pena base e persino al massimo edittale previsto dal primo comma per la morte di un solo lavoratore.
11. E' manifestamente infondato anche l'ultimo motivo di ricorso a firma dell'Avv. LS. posto che la Corte di appello ha calcolato la pena esclusivamente con riguardo al reato di cui all'art. 589 cod. pen., senza alcun aumento a titolo di continuazione o concorso formale con i reati prescritti. Il fatto che la Corte di appello di Perugia avesse applicato un aumento di tre mesi per il reato di lesioni personali colpose costituisce un mero postulato visto che anche la Corte di appello di Firenze si limita sul punto a fare solo un'ipotesi, atteso che il giudice rescisso aveva effettuato un calcolo onnicomprensivo della pena, sì da non rendere intellegibile quanta parte fosse ascritta al reato di incendio colposo e quanta al reato di lesioni colpose. Quel che rileva, in questa sede, è che l'aumento applicato per i decessi ulteriori rispetto al primo non è superiore a quello applicato dal giudice rescisso che aveva condannato l'imputato ad una pena superiore di sei mesi e quindici giorni, ben superiore all'aumento di tre mesi per le lesioni colpose ipotizzato dal Giudice del rinvio.
12. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 2.000,00.
12.1. Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna al pagamento delle spese sostenute nel grado dall'INAIL che, pur assente, ha depositato una memoria difensiva con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso e il pagamento delle spese, allegando la relativa nota. La modestia dell'impegno difensivo giustifica la somma indicata nel dispositivo. Nulla per il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare che non ha presentato nemmeno la nota spese.
 

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Condanna altresì il ricorrente al pagamento delle spese sostenute dall'INAIL che liquida in euro cinquecento oltre spese generali e accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 22.2.2019