Cassazione Penale, Sez. 4, 18 luglio 2019, n. 31863 - Infortunio in quota durante il posizionamento di cartelli con l'utilizzo di un carrello elevatore. Responsabilità dei preposti per omessa sorveglianza sulle attività


Presidente: PICCIALLI PATRIZIA Relatore: BRUNO MARIAROSARIA Data Udienza: 10/04/2019

 

 

 

Fatto

 

 

 

1. Con sentenza emessa in data 30/5/2018, la Corte di appello di Milano ha confermato la pronuncia del Tribunale di Milano nei confronti di A.A. e P.F., di condanna alla pena di mesi 1 di reclusione per il reato di lesioni colpose in danno di EB.E., dipendente della Soc. "Mauser Italia" s.p.a..
La vicenda attiene ad un infortunio avvenuto in data 11 ottobre 2011. Agli imputati era contestato di avere, in cooperazione colposa fra loro, A.A., in qualità di preposto e responsabile progetti della soc. Mauser Italia s.p.a.; P.F. in qualità di preposto e responsabile produzione della soc. Mauser Italia s.p.a., cagionato al predetto dipendente lesioni personali gravi (ferita lacero contusa sede temporo-basale laterale sinistra, falda extra assiale frontale sinistra senza shift). La persona offesa, nel piazzale dell'opificio industriale della società, provvedeva ad installare alcuni cartelli di segnalazione, attività che comportava una lavorazione in quota. Per compiere tale operazione, prendeva posto su un carrello elevatore, condotto da un collega di lavoro e, mentre stazionava su tale carrello, perdeva l'equilibrio, cadendo e riportando lesioni alla testa. Sulla base delle emergenze processuali indicate nelle due sentenze conformi, i giudici di merito hanno individuato profili di responsabilità a carico degli odierni ricorrenti riconducibili al mancato esercizio della dovuta sorveglianza sulle modalità di svolgimento dell'attività lavorativa del dipendente infortunato, in violazione dell'art. 19 d.lgs. 81/2008. In particolare, si addebita ai ricorrenti di non avere accertato che EB.E. operasse nel rispetto della normativa antinfortunistica e che utilizzasse gli strumenti posti a sua disposizione dall'azienda.
2. Avverso la pronuncia della Corte di appello hanno proposto ricorso per Cassazione gli imputati a mezzo del comune difensore, articolando due motivi di ricorso.
Con il primo motivo la difesa denuncia vizio di motivazione e travisamento della prova con particolare riferimento alla posizione di garanzia rivestita dai ricorrenti. Sostiene la difesa che la motivazione espressa dai Giudici di appello sia carente, contraddittoria e palesemente illogica perché fondata su un evidente travisamento del contenuto delle prove raccolte. In proposito osserva: la posizione di garanzia assunta da un dipendente nel contesto aziendale, in conseguenza dell'assunzione della qualifica di preposto, è circoscritta alle funzioni che gli sono state assegnate dal datore di lavoro. Tale qualifica pertanto non opererebbe in rapporto a tutti i lavoratori che si trovano alle dipendenze dell'azienda ma solo nei confronti di coloro rispetto ai quali il preposto sia stato investito di poteri di sovraordinazione e controllo.
Conseguentemente i Giudici di merito avrebbero dovuto interrogarsi sulla ricorrenza della posizione di garanzia in capo agli imputati nei confronti della parte lesa, in rapporto all'attività che quest'ultima era stata chiamata a svolgere, consistente nella manutenzione della cartellonistica dell'azienda, al di fuori del reparto di produzione a cui il lavoratore era assegnato.
Il P.F. rivestiva, all'epoca dei fatti, il ruolo di responsabile di funzione nel reparto produzione e possedeva la qualifica di preposto nell'ambito dello stesso reparto, unitamente ad altri sette dipendenti. L'Ing. A.A. svolgeva il ruolo di responsabile di funzione in qualità di project manager, occupandosi di investimenti materiali e non materiali, certificazioni ambientali, energetiche e della sicurezza, predisponendo specifiche istruzioni operative e svolgendo in azienda, nella sua qualità di ingegnere, alcuni tra i corsi a favore dei dipendenti, in qualità di formatore. Ulteriori figure presenti nell'organigramma dell'azienda acquisito in atti, sono rappresetante da L.L., direttore di stabilimento e responsabile della produzione e dal sig. P. responsabile di funzione nel settore manutenzione.
EB.E., come riferito dalla teste L.L., responsabile di stabilimento, era prevalentemente addetto alla produzione, avendo il compito di servire i reparti, portando negli stessi i componenti necessari alla produzione. Oltre alle mansioni svolte nel reparto di produzione (nell'ambito del quale il P.F. rivestiva, unitamente ad altri dipendenti, il ruolo di preposto, in qualità di responsabile di funzione), EB.E. svolgeva, al di fuori del reparto di produzione, piccoli lavori di manutenzione nello stabilimento. La teste L.L. ha riferito (pag. 19 del verbale senotipico relativo all'udienza 21/10/2015) che la persona offesa era stata da lei stessa autorizzata a svolgere tale attività in autonomia, poiché aveva un livello retributivo e contrattuale per il quale poteva eseguire piccoli lavori di manutenzione in limitata autonomia, (indicazione che è stata dimostrata con la produzione in atti della comunicazione Mauser datata 25.3.2011 attestante l'attribuzione alla persona offesa di un livello contrattuale con mansioni che consentivano allo stesso un grado di autonomia nello svolgimento dei propri compiti). Sulla base di tali evidenze il Giudice di appello avrebbe dovuto giungere a conclusioni diverse da quelle a cui è pervenuto, rilevando l'assenza della affermata posizione di garanzia in capo ad entrambe gli imputati, con esclusione della penale responsabilità per le lesioni patite dalla parte offesa. Ciò in quanto lo svolgimento delle attività di piccola manutenzione in regime di limitata autonomia, al di fuori del reparto di appartenenza, era risultato essere frutto di precise disposizioni impartite dalla direzione di stabilimento (direttamente confermate dalla direttrice di stabilimento).
Con riferimento all'analisi delle singole posizioni soggettive, l'illogicità della sentenza sarebbe ancora più evidente. La posizione di garanzia attribuita al P.F. In qualità di preposto, gli imponeva di attuare gli obblighi previsti dall'art 19 del T.U, sulla sicurezza, esclusivamente sui dipendenti che operavano nell'ambito del suo reparto.
L'attività di vigilanza era evidentemente limitata alle sole attività svolte nel suddetto reparto ed era incompatibile con ogni altra attività svolta dai dipendenti al di fuori di esso, specie con riferimento agli interventi di piccola manutenzione che nulla avevano a che fare con il processo di produzione.
Su tali aspetti non si pronunciano le sentenze di merito, mancando di chiarire le ragioni per le quali siano state attribuite al P.F., unico tra gli otto preposti del reparto di produzione esistenti nell'organigramma, il ruolo di garanzia e l'obbligo di vigilanza.
Tali considerazioni dovrebbero valere anche per A.A. il quale, nell'organigramma, risultava svolgere il ruolo di responsabile di funzione, non rivestendo alcuna posizione di garanzia nei confronti del dipendente infortunato, nemmeno di fatto. Il suo coinvolgimento nel procedimento non sarebbe derivato da una posizione di garanzia desumiile dall'organigramma della sicurezza di Mauser Italia S.r.l., ma da accuse provenienti dalla parte offesa relative a disposizioni che gli sarebbero state impartite dall'A.A. e che lo avrebbero indotto a violare le norme antinfortunistiche e ad omettere l'impiego delle dotazioni di sicurezza presenti in azienda (nel caso di specie una cesta posta persone che, ove utilizzata avrebbe impedito la caduta dell'opeario). La fondatezza di tali accuse è stata correttamente esclusa sia dal giudice di primo grado che da quello di appello. Tuttavia, è stato attribuito ad A.A. il medesimo titolo di responsabilità posto a fondamento delle contestazioni mosse al P.F. (la violazione del dovere di vigilanza sull'operato della persona offesa nella sua asserita qualità di preposto).
Pure a fronte delle contrarie evidenze probatorie, la sentenza impugnata ometterebbe di motivare in ordine alle ragioni in fatto e diritto che hanno giustificato il ruolo di garanzia attrubuito ad A.A., che costituisce il presupposto necessario di attribuzione dell'obbligo di vigilanza che si afferma violato.
L'organigramma sicurezza prodotto in atti evidenzia che gli imputati svolgevano la propria attività all'interno della azienda in ambiti diversi. La sentenza della Corte territoriale non chiarisce le ragioni per le quali i due imputati, addetti a settori differenti e con mansioni del tutto diverse, abbiano assunto contestualmente e congiuntamente un obbligo di vigilanza nei confronti della parte offesa.
In ordine alla ricostruzione delle modalità dell’incidente ed alla valutazione delle prove raccolte, la Corte di appello, nella sentenza impugnata, si sarebbe limitata ad affermare la insussistenza dell'autonomia del lavoratore nel settore delle piccole manutenzioni, in evidente contrasto con quanto affermato dal direttore di stabilimento.
Secondo motivo: erronea applicazione dell'art. 590 cod. pen. in relazione all’art. art. 41, comma 3, cod. pen. e 19 d.lgs. 81/08.
La difesa lamenta che l'esclusiva causa di produzione dell'evento debba essere individuata nella condotta abnorme ed imprevedibile posta in essere dalla parte offesa nello svolgimento dell'attività di manutenzione a cui era stato adibito. La motivazione della sentenza impugnata trascurerebbe gli elementi probatori evidenziati nei motivi di appello in cui si evidenzia la imprevedibilità ed abnormità della condotta serbata dalla parte lesa. Nulla sarebbe stato detto in sentenza circa la formazione ricevuta dal lavoratore nel corso tenuto dall'A.A., sull’uso della cesta porta persone per gli interventi in quota. In occasione di tale corso di formazione venne fornita alla parte offesa specifica documentazione illustrativa per l’utilizzo del cestello per l'esecuzione dei lavori in quota (nel quale si evidenzia l’espresso divieto di farsi sollevare con il muletto per eseguire tali lavori).
Una serie di altri elementi sarebbero stati ignorati dalla Corte d'appello in ordine alla formazione ricevuta dal lavoratore ed alla esistenza di tutto il materiale di sicurezza disponibile in azienda. Pertanto, non si sarebbe fatto buon governo dell'art. 41 comma 2 cod. pen.
3. La difesa della parte civile costituita, EB.E. depositava in cancelleria memoria difensiva in replica ai ricorsi proposti in cui, ripercorrendo la vicenda in esame, concludeva per la inammissibilità o il rigetto del ricorso.
 

 

Diritto

 


1. I motivi di doglianza proposti dalla difesa sono infondati, pertanto, i ricorsi devono essere rigettati.
2. In linea generale, i ricorrenti, non senza evocare in larga misura censure che attengono al fatto, hanno sostanzialmente ripercorso le medesime argomentazioni che avevano dedotto innanzi al Giudice di appello.
Ebbene, diversamente da quanto si sostiene negli atti di impugnazione, deve ritenersi che i giudici di merito abbiano risposto adeguatamente a tutte le censure difensive, principalmente incentrate sull'assenza della posizione di garanzia in capo ai ricorrenti e sulla pretesa abnormità del comportamento serbato dal lavoratore.
Prima di andare oltre nella disamina dei motivi di doglianza occorre puntualizzare come l'argomentazione riguardante l'asserita autonomia dell'operaio nel rapporto di lavoro che lo legava alla Soc. Mauser Italia sia del tutto inconferente. La Corte di merito ha correttamente evidenziato che si tratta di una suggestione che non può valere ad escludere la responsabilità degli imputati, dovendosi attribuire prevalenza di significato alla situazione di fatto esistente nell'azienda, in rapporto alla quale, la persona offesa rivestiva senza dubbio alcuno la qualifica di lavoratore dipendente. Pertanto, lo svolgimento in "autonomia" di piccoli lavori di manutenzione, non era suscettibile di determinare alcun esonero di responsabilità in capo a coloro che rivestivano una posizione di garanzia rispetto al dipendente.
In proposito, la Corte dì legittimità ha più volte ricordato in diverse pronunce, come l'individuazione del rapporto di lavoro dipendente o subordinato prescinda da aspetti formali legati al contenuto del contratto, essendo necessario verificare in concreto le sue caratteristiche e gli elementi che ne connotano lo svolgimento, alle dipendenze e su richiesta di un datore di lavoro [cfr. Sez. 3, n. 18396 del 15/03/2017, Rv. 269637 - 01, così massimata: «La definizione di "lavoratore", di cui all’art. 2, comma primo, lett. a), D.Lgs. n. 81 del 2008, fa leva sullo svolgimento dell’attività lavorativa nell'ambito dell'organizzazione del datore di lavoro indipendentemente dalla tipologia contrattuale, ed è definizione più ampia di quelle previste dalla normativa pregressa, che si riferivano invece al "lavoratore subordinato" (art. 3, d.P.R. n. 547 del 1955) e alla "persona che presta il proprio lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro" (art. 2, comma primo, lett. a, D.Lgs. n. 626 del 1994); ne consegue che, ai fini dell'applicazione delle norme incriminatrici previste nel decreto citato, rileva l'oggettivo espletamento di mansioni tipiche dell'impresa (anche eventualmente a titolo di favore) nel luogo deputato e su richiesta dell'imprenditore, a prescindere dal fatto che il "lavoratore" possa o meno essere titolare di impresa artigiana ovvero lavoratore autonomo. (Fattispecie di impiego di lavoratori che, pur formalmente titolari di ditte artigianali, prestavano in assenza di autonomia la propria attività alle dipendenze di soggetto imprenditore privo di propri dipendenti)»; nello stesso senso, Sez. 4, n. 12348 del 29/01/2008 Ud. (dep. 20/03/2008 ) Rv. 239251 - 01: «Ai fini dell'art. 3 d.P.R. n. 547 del 1955 un rapporto di lavoro subordinato deve essere considerato tale in riferimento all'assenza di autonomia del lavoratore nella prestazione dell'attività lavorativa e non già in relazione alla qualifica formale assunta dal medesimo. (Fattispecie in cui è stato ritenuto subordinato e non autonomo il lavoratore che, pur formalmente titolare di una ditta artigiana, prestava in assenza di autonomia la propria attività, ricevendo ordini dal datore di lavoro, del quale utilizzava le attrezzature, il mezzo di trasporto ed il materiale)»].
Peraltro, il primo Giudice, onde fugare ogni dubbio su tale circostanza, ha evidenziato il significato che doveva attribuirsi all'autonomia di cui godeva il lavoratore, richiamando il contenuto di una missiva che era stata indirizzata alla parte lesa dalla Mauser, in cui si precisa, sulla base dell'inquadramento risultante dal contratto collettivo di categoria, che i lavoratori del livello a cui apparteneva la persona offesa "operano in condizioni di autonomia parzialmente vincolata, eseguendo compiti seguendo istruzioni specifiche, nell'ambito di procedure e di processi standardizzati; ricevono una supervisione sul modo di operare ed un controllo sul risultato delle attività". Dal che si desume che la persona offesa operava quale dipendente della società, svolgendo compiti che gli erano stati assegnati sulla base dì direttive impartite dal datore di lavoro e sotto la sua sorveglianza.
3. Con riferimento al primo motivo di ricorso, le conclusioni prospettate dalla difesa, frutto di un ragionamento che si discosta dalla corretta ricostruzione offerta dalla Corte di appello, non sono condivisibili.
I Giudici di merito hanno evidenziato che i ricorrenti rivestivano entrambi la qualifica di preposti. Si precisa nelle sentenze di merito che il dato si desume dall'organigramma della sicurezza Mauser prodotto dalla stessa difesa, in cui risultano indicati, per il reparto produzione a cui era addetta la persona offesa, quali responsabili della funzione, i nominativi di P.F. ed A.A.. I giudici hanno altresì precisato correttamente che la qualifica di preposto non necessita di essere dimostrata attraverso prove documentali attestanti la formale investitura, ben potendo essere desunta da circostanze di fatto (ex multis Sez. 4, n. 34299 del 04/06/2015, Rv. 264410 - 01 così massimata: "La prova dell'assunzione del ruolo di preposto non richiede un elemento probatorio documentale o formale, potendo il giudice del merito fondare il convincimento anche su testimonianze od altri accertamenti fattuali").
La difesa, che non contesta che il P.F. fosse investito della qualifica di preposto nel settore produzione - come risulta peraltro dalla esplicita indicazione contenuta nell'organigramma - ritiene tuttavia che le mansioni svolte dal lavoratore all'atto dell'Infortunio, fuori dal ristretto ambito del reparto di produzione, costituissero ragione di esonero dai compiti di controllo e vigilanza cui era tenuto l'imputato. La censura non coglie nel segno. Il preposto ha la funzione di verificare e garantire il rispetto delle regole di cautela nell'esecuzione delle prestazioni lavorative e la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità e, comunque, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile (ex multis Sez. 4, n. 37986 del 27/6/2012, Battafarano, Rv. 254365; conforme Sez. 4, n. 3787 del 17/10/2014 dep. il 2015, Bonelli, Rv. 261946).
Pertanto il limite esogeno delle responsabilità collegate all'esercizio della funzione di preposto deve essere individuato nella abnormità ed eccezionalità della condotta del lavoratore, non essendo ipotizzabile una dismissione della posizione di garanzia in rapporto ad un'attività che è stata comunque svolta dal lavoratore nell'ambito dell'azienda sulla base di direttive impartire dal datore di lavoro o da chi abbia assunto di fatto tale veste.
4. I giudici di merito hanno riconosciuto la qualifica di preposto anche in capo all'imputato A.A. desumendo tale posizione dall'esercizio di fatto di funzioni tipiche. La difesa contesta tale qualifica, affermando che non rientrava nelle competenze dell'imputato la vigilanza sull'attività di EB.E. La negazione ha carattere assertivo: i giudici di merito hanno evidenziato le ragioni per le quali hanno ritenuto di attribuire al ricorrente la suddetta qualifica, rilevando che l'A.A. era responsabile della funzione nel reparto produzione a cui era addetto il lavoratore e che aveva provveduto a realizzare corsi di formazione nell'ambito del reparto, riguardanti l'uso della cesta per le lavorazioni in quota. A ciò deve aggiungersi che si desume dalie stesse affermazioni dell'imputato che il lavoro di sostituzione della cartellonistica fu da lui commissionato al dipendente, sia pure in una forma implicita. A tale proposito, a pagina 6 della sentenza di primo grado, sono riportate le dichiarazioni dell'A.A. il quale ha affermato che i cartelli da installare erano stati da lui ordinati in copisteria e lasciati sulla scrivania del suo ufficio affinché la persona offesa li prendesse.
Deriva da tali elementi la conseguente posizione di garanzia individuata dai Giudici di merito che può essere accertata anche sulla base di circostanze di fatto, in ossequio al principio dell'effettività (ex multis Sez. 4, Sentenza n. 22246 del 28/02/2014, Rv. 259224 - 01, così massimata: "In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in base al principio di effettività, assume la posizione di garante colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto, il che non vale, tuttavia, a rendere efficace una delega priva dei requisiti di legge").
5. Da tutto quanto precede, come risulta acclarato nelle sentenze di merito, gli imputati avevano il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici, vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dallo stesso lavoratore l'osservanza delle regole di cautela, sicché la loro responsabilità può essere esclusa solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e, comunque, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive organizzative ricevute.
Come sostenuto dai giudici di merito, il comportamento del lavoratore era del tutto scevro dai connotati dell'abnormità e della esorbitanza.
L'assunto è corretto e conforme ai principi più volte affermati dalla Corte di legittimità in proposito, ampiamente richiamati nella sentenza impugnata. E' orientamento costante, in materia di infortuni sul lavoro, quello in base al quale la condotta colposa del lavoratore infortunato non possa assurgere a causa sopravvenuta, da sola sufficiente a produrre l’evento, quando sia comunque riconducibile all'area di rischio propria della lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore presenti i caratteri dell'eccezionaiità, dell'abnormità e dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute (così ex multis, Sez. 4, n. 21587 del 23/03/2007, Rv. 236721).
Pertanto, può definirsi abnorme soltanto la condotta del lavoratore che si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione della misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro e sia assolutamente estranea al processo produttivo o alle mansioni che gli siano state affidate (così, Sez. 4, n. 38850 del 23/06/2005, Rv. 232420).
A ciò deve aggiungersi che la condotta imprudente o negligente del lavoratore, in presenza di evidenti criticità del sistema di sicurezza approntato dal datore di lavoro, non potrà mai spiegare alcuna efficacia esimente in favore dei soggetti destinatari degli obblighi di sicurezza. Ciò in quanto, tali disposizioni, secondo orientamento conforme della giurisprudenza di questa Corte, sono dirette a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua colpa, essendo tenuti, il datore di lavoro e coloro che rivestono una posizione di garanzia, a prevedere ed evitare prassi di lavoro non corrette e foriere di eventuali pericoli (così, ex multis Sez. 4, n. 10265 del 17/01/2017, Rv. 269255; Sez. 4 n. 22813 del 21/4/2015 Rv. 263497; Sez. 4, n. 38877 del 29/09/2005, Rv. 232421 ).
Orbene, risulta evidente dai principi richiamati, come non sia possibile inquadrare nell'ambito delle condotte connotate da abnormità ed esorbitanza il comportamento serbato dal lavoratore infortunato, non essendosi realizzato, il suo comportamento, in un ambito avulso dal procedimento lavorativo a cui era stato addetto e non potendosi sostenere che si trattasse di una condotta assolutamente eccentrica ed imprevedibile, come evidenziato in maniera appropriata dalla Corte territoriale.
6. Al rigetto dei ricorsi segue, per legge, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile per il giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.
 

 

P.Q.M.
 

 

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile El Tohuami EB.E. in questo giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 10 aprile 2019