Cassazione Penale, Sez. 4, 22 luglio 2019, n. 32474 - Operaio precipita nel vuoto da un edificio in costruzione. Ruolo del datore di lavoro dell'impresa "capo-fila" e del direttore dei lavori
Presidente: FUMU GIACOMO Relatore: CENCI DANIELE Data Udienza: 14/02/2019
Fatto
1. - Sentenza impugnata. - La Corte di appello di Messina il 17 novembre 2017, in parziale riforma della sentenza emessa il 7 maggio 2014 all'esito del dibattimento dal Tribunale di Messina, appellata dagli imputati, sentenza con cui C.B., B.P. e F.S., nella qualità di cui si dirà, sono stati riconosciuti responsabili dell'omicidio colposo dell'operaio G.O., con violazione della disciplina antinfortunistica, fatto commesso il 18 novembre 2008, e, in conseguenza, condannati alla pena di giustizia, oltre al risarcimento dei danni alla parti civili, ha assolto B.P. e F.S., per non avere commesso il fatto, confermando, invece, la condanna nei confronti di C.B..
2. - Svolgimento dei fatti. - In sintesi, i fatti, come ricostruiti dai Giudici di merito.
Nel primo pomeriggio del 18 novembre 2008 l'operaio G.O., che si trovava sul terrazzo del terzo piano di un edificio in costruzione, è precipitato nel vuoto dall'altezza di undici metri riportando gravissime lesioni che lo hanno condotto a morte. L'operaio è risultato non essere provvisto al momento dell'incidente né del caschetto né di sistemi di trattenuta individuali (imbracatura, fune etc.). Quanto ai sistemi di protezione collettivi (impalcati, reti etc.), l'istruttoria ha dimostrato che sul terrazzo, ove era in corso la posa del cordolo di cemento, in prossimità del punto di caduta era presente, quale protezione dalle cadute, soltanto una comune asse di legno lunga quattro metri, larga dieci centimetri e profonda due centimetri, posizionata obliquamente rispetto al piano di calpestio sul parapetto del solaio del terzo livello e fissata in modo precario, cioè da un lato fissata ad un montante in ferro e dall'altro lato soltanto appoggiata al pavimento; in altri punti del terrazzo il parapetto era presente, sia pure di precaria consistenza.
La mattina del 18 novembre gli operai (cinque dipendenti della ditta "C.B. costruzioni" ed uno, G.O., della ditta "Edil Staff") avevano lavorato all'interno dell'edificio poiché la pioggia non aveva consentito di lavorare all'esterno; smesso di piovere, era giunto in cantiere il direttore dei lavori, architetto B.P., il quale aveva dato indicazioni a V.O. (fratello di G.O.), che di fatto svolgeva le mansioni di capo-cantiere, di continuare i lavori all'esterno e, in particolare, sul terrazzo. Così, dopo la pausa pranzo, verso le 13.00 circa, gli operai avevano ripreso i lavori all'esterno e G.O. era andato sul terrazzo per proseguire il lavoro iniziato nei giorni precedenti, cioè la posa di un cordolo perimetrale di mattoni, insieme con il fratello V.O., che alle 13.45 si era dovuto allontanare. Alle 14.45 G.O. precipitava.
La vittima era operaio dipendente della s.r.l. Edil Staff, di cui era responsabile F.S., che aveva costituito un'associazione temporanea di imprese (acronimo: a.t.i.) con la s.r.l. C.B. Costruzioni di C.B., quest'ultima società capogruppo, con C.B. in posizione di amministratore e direttore tecnico dei lavori, a.t.i. che si era aggiudicata l'appalto comunale per la costruzione dell'edificio da adibire a scuola di antichi mestieri e di tradizioni popolari. B.P. e C.F.O. erano i direttori dei lavori. F.M. era il coordinatore per la sicurezza in fase esecutiva.
3. - Decisione di primo grado. - All'esito del processo di primo grado, C.F.O. e F.M. erano stati assolti, per non avere commesso il fatto (quanto al primo, direttore dei lavori, perché era risultato, a differenza dell'architetto B.P., che non avesse avuto concreta ingerenza nella organizzazione e nella esecuzione dei lavori; quanto a F.M., poiché, essendosi recato nel cantiere qualche giorno prima nell'attuazione di mansioni "di alta vigilanza", non essendo tenuto, "per statuto professionale", ad una presenza costante e continua, aveva constatato che la recinzione perimetrale del solaio era, in quel momento, corretta), mentre C.B., F.S. e B.P. erano stati riconosciuti colpevoli, per non avere adottato, nelle qualità di cui si è detto (C.B. e F.S., di datore di lavoro; B.P., di direttore dei lavori ingerente negli stessi), le cautele previste per i lavori in quota dal d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (artt. 111, 115, 122 e 146), a garanzia della sicurezza degli operai e, in particolare, per non avere predisposto o, comunque, per non avere vigilato sull'adozione di dispositivi collettivi ed individuali di protezione dalle cadute quali l'installazione di parapetti e tavole fermapiede o dispositivi equivalenti, né sistemi individuali di ancoraggio, così dunque cagionando la caduta e la morte dell'operaio G.O..
4. - Sentenza della Corte di appello. - La Corte di appello, come si è anticipato, in riforma parziale della decisione di primo grado, ha confermato la condanna di C.B., mentre ha ritenuto di dovere mandare assolti F.S. e B.P..
4.1. Quanto a F.S., perché (p. 9 della sentenza impugnata), sebbene "formalmente" datore di lavoro di G.O., era C.B. il responsabile dell'impresa "capo-fila", presso il quale la vittima era, di fatto "distaccata", C.B. che era, nel contempo, direttore tecnico dei lavori e sostanzialmente dominus della conduzione in concreto del cantiere. A testuale avviso della Corte territoriale, dunque, «Di una responsabilità dello F.S. si sarebbe certamente potuto discutere se il lavoratore fosse stato "ceduto" o comunque messo a disposizione dell'Impresa del C.B. in condizioni che manifestamente deponevano per una irregolarità nelle procedure antinfortunistiche. E' emerso Invece - e l'assoluzione di F.M. vale a confermarlo - che la conduzione del cantiere era stata impostata nel suo complesso fino a quel momento in termini di normale regolarità e la stessa situazione del terrazzo nei giorni precedenti al sinistro non presentava evidenze manifeste di rischio [... F.S., dunque,] poteva legittimamente fare affidamento sulla presenza pressoché continua (perché comunque caratterizzata anche in sua assenza da un costante contatto ed indirizzo con l'G.O. caposquadra) in cantiere del C.B. quale formale direttore tecnico e del F.M. quale garante della sicurezza. La responsabilità penale si collocherebbe in caso contrario in termini di sostanziale responsabilità oggettiva per il mero fatto che l'G.O. lavorava alle dipendenze della F.S. senza considerare il contesto dell'inserimento del lavoratore in un quadro di garanzie diverse ed ulteriori».
4.2. Quanto a B.P., perché - si è ritenuto (alle pp. 7-8 della sentenza impugnata) - che il direttore dei lavori, recatosi sul cantiere il 18 novembre 2008, non avrebbe "ordinato" ma soltanto "invitato" ovvero "sollecitato" la ripresa dei lavori, essendo terminata la pioggia, tramite il capo-cantiere V.O., senza avere però, ad avviso della Corte di merito, indicato né cosa fare né come farlo, cioè senza svolgere, in realtà, una "ingerenza" nella organizzazione dei lavori. Ciò, inoltre, nella non conoscenza della condizione delle opere, non essendo salito a verificare le protezioni del terrazzo, essendo, quindi, inconsapevole dei fattori di rischio in quel momento esistenti. Né è emerso dalle indagini che l'infortunio sia stato collegato causalmente alla ipotetica scivolosità del piano di calpestio o, comunque, a problematiche legate alle piogge che erano cadute il mattino.
5. - Impugnazioni. - Tanto premesso, ricorrono per la cassazione della sentenza l'imputato C.B. (con l'avv. Gianluca A., del Foro di Caltanissetta), le parti civili OMISSIS (tramite l'avvocato Ettore C., del Foro di Messina) ed il Procuratore generale territoriale, su sollecitazione della tre richiamate pp.cc.; intervengono con memoria le ulteriori pp.cc. OMISSIS (con l'avv. Concetta C., del Foro di Messina).
6. - Ricorso dell'imputato C.B..
L'imputato, tramite difensore (avv. Gianluca A.), si affida ad un unico motivo, con il quale denunzia promiscuamente violazione di legge (artt. 27 Cost., 40, 41 e 589 cod. pen.) e difetto di motivazione, per illogicità e mancanza dell'apparato giustificativo della decisione.
La condanna di C.B. si baserebbe su di un mero criterio di responsabilità oggettiva, per essere, cioè, il titolare della impresa C.B. costruzioni s.r.l., senza individuare, però, quale sia l'azione, l'omissione o la violazione effettiva messa in atto dall'Imputato e senza tenere conto - si assume - né delle emergenze dibattimentali né dell'atto di appello.
La decisione imporrebbe una onnipresenza del datore di lavoro ed un controllo di tipo assillante sul rispetto delle procedure di sicurezza pur nella emersa compresenza di altre figure di garanti, quali l'altro datore di lavoro (F.S.), il capo cantiere (V.O. G.O.), il coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione (F.M.) ed il direttore dei lavoro nonché direttore tecnico di fatto (B.P.), in definitiva la decisione impugnata collidendo con il principio di personalità della responsabilità penale posto dall'art. 27 Cost.
Dai dati emersi dall'istruttoria e confluiti nelle sentenze di merito emergerebbe che quel giorno C.B., tramite V.O., aveva impartito la direttiva di lavorare al coperto, a causa della pioggia, direttiva trasformata dall'architetto B.P., che, avendo smesso di piovere, aveva ordinato ("ordine" che sarebbe stato arbitrariamente trasformato dalla Corte di appello, alla p. 7, in un mero "invito", privo di sostanziale rilevanza) di riprendere i lavori.
Ebbene, proprio alla luce della motivazione assolutoria dell'architetto B.P., C.B. avrebbe dovuto essere assolto, perché l'ordine dallo stesso impartito era stato, a sua totale insaputa, modificato. Con la conseguenza che l'imputato, non avendo doti sovrannaturali, non avrebbe potuto certo prevedere che B.P., pur non autorizzato a ciò, avrebbe vanificato il suo ordine e che il lavoratore dipendente avrebbe adempiuto - così ponendo in essere un comportamento abnorme ed imprevedibile - ad un ordine impartito da un soggetto certamente non autorizzato. Si richiama giurisprudenza di legittimità stimata pertinente.
Ulteriore illogicità della sentenza si desume dal non avere i giudici di merito tratto le necessarie conseguenze dalla assoluzione di F.M., pronunziata per essere emerso che fino a pochi giorni prima, quando cioè F.M. si recò sul cantiere, tutto era a posto dal punto di vista della sicurezza; e, addirittura, secondo il teste S. (uno stralcio della cui deposizione è allegato al ricorso), i presidi di sicurezza erano esistenti sul terrazzo il giorno prima dell'evento.
In conseguenza - si ritiene - nulla dal punto di vista della sicurezza poteva essere contestato a C.B. fino al giorni prima dell'evento mortale. Né risulta che il coordinatore della sicurezza abbia mai segnalato alcunché al datore di lavoro.
Non si comprenderebbe come la Corte di appello abbia ritenuto (alla p. 6 della decisione) che nella disposizione del datore di lavoro al capo cantiere G.O. di sospendere per la pioggia non vi fosse preclusione a riprendere i lavori a pioggia terminata, ciò che sarebbe una mera congetture dei decidenti.
I Giudici di merito (alla p. 6 della sentenza di appello ed alla p. 9 di quella di primo grado) hanno concordemente riconosciuto che sino a qualche giorno prima dell'Infortunio tutto era in regola dal punto di vista della sicurezza: da ciò non avrebbero tratto, però, le doverose conseguenze, in quanto, se la situazione del terrazzo non presentava rischio per quanto riguarda la posizione del garante della sicurezza, non si comprende come la stessa potesse presentare situazione di rischio, invece, per il datore di lavoro, in quanto «se il terrazzo era sicuro, lo era per tutti i soggetti con posizione di garanzia» (così alla p. 7 del ricorso).
Si sottolinea che C.B. avesse, comunicando via telefono con V.O., vietato i lavori sul terrazzo, in applicazione dell'art. 111 del d. lgs. n. 81 del 2008, manifestando sensibilità ed attenzione per l'osservanza delle norme antinfortunistiche.
Il sistema di protezione del terrazzo era stato - si afferma - arbitrariamente rimosso da qualcuno, forse da G.O., senza che ciò si possa addebitare a C.B., che, essendo assente il giorno dell'infortunio, non poteva essersi avveduto di ciò che era accaduto.
In conseguenza, sarebbe venuto meno il nesso di causa tra la condotta addebitata all'imputato e l'evento.
L'assoluzione di F.M. comporterebbe anche la necessità di assoluzione di C.B.: oppure si sarebbe dovuto - logicamente - assolvere entrambi.
L'infortunato, inoltre, avrebbe violato l'obbligo di collaborazione alla sicurezza, che incombe anche sul dipendente.
La Corte di appello avrebbe, poi, trascurato la circostanza, emersa attraverso la testimonianza del fratello e l'esame autoptico, che l'infortunato aveva ingerito alcool a pranzo, poco prima dell'infortunio, violando una precisa prescrizione e ponendosi in condizione di pericolo.
In conseguenza, la rimozione del parapetto in precedenza esistente, forse ad opera della stessa vittima, senza il consenso di coloro che si trovavano in posizione di garanzia, e l'ingestione di alcool da parte del dipendente sono elementi imprevedibili, abnormi ed esorbitanti (si richiama la relativa nozione fornita dalla giurisprudenza di legittimità).
Inoltre, non si è adeguatamente approfondito il tema del malore del lavoratore, che sarebbe suffragato sia dalla caduta silenziosa ("a tonfo") sia dalla - certa - ingestione di alcool sia dalla constatata - in sede autoptica - cardiopatia della vittima.
Gli elementi riferiti dimostrerebbero la interruzione del nesso di causalità.
Ulteriore illogicità e contraddittorietà si rinverrebbe nella sentenza impugnata, allorché afferma (alla p. 8), per assolvere B.P., che era il capocantiere G.O. a dover valutare l'opportunità di dare corso alla prosecuzione dei lavori sul terrazzo o meno, affermazione che comporterebbe l'esonero da responsabilità di C.B..
7. Ricorso delle parti civili Omissis -
Le pp.cc. Omissis (con l'avv. Ettore C.) censurano l'intervenuta assoluzione di B.P. e di F.S., chiedendo la riforma delle decisione ai fini civili.
7.1. Quanto alla posizione di B.P., lamentano manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, in quanto la mera, inefficiente ed ininfluente, "sollecitazione" del direttore dei lavori (di cui si è detto al punto n. 4 del "ritenuto in fatto") sarebbe in netta contraddizione con la deposizione del teste DF. (sia in sede dibattimentale che sentito a s.i.t., documento acquisito al processo, contributi conoscitivi che si richiamano e che si allegano), il quale ha parlato espressamente di "ordini" dell'architetto, oltre che con le parole dell'Imputato C.B. e con il contenuto delle note difensive dell'lng. M..
La sentenza di appello avrebbe, poi, superato in maniera illogica la ricostruzione svolta in primo grado (pp. 24-25), in cui si è evidenziata la concreta ingerenza dell'architetto B.P. nell'avere impartito l'ordine di riprendere i lavori una volta cessata la pioggia, cosi partecipando alle scelte organizzative, ciò che comporta - necessariamente - l'assunzione della relativa responsabilità.
7.2. Quanto all'assoluzione di F.S., la sentenza avrebbe violato, ad avviso delle ricorrenti pp.cc., plurimi parametri normativi (artt. 113 e 589 cod. pen., 2087 cod. civ., 2, 115, 122 e 146 del d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, modificato dal d. lgs. n. 81 del 2008) e, nel contempo, vizio motivazionale.
La motivazione a supporto (che si è sintetizzata al punto n. 4 del "ritenuto in fatto") ha platealmente trascurato che gli ispettori del lavoro G. e DS. ed il Luogotenente dei Carabinieri Ar. (le cui dichiarazioni si riferiscono e si allegano), intervenuti nell'immediatezza, hanno accertato che le procedure antinfortunistiche in quel cantiere non venivano rispettate, che gli operai lavoravano in condizioni di grave rischio, che mancavano misure protettive dalle cadute sia di tipo individuale che collettivo, che l'asse di legno messa di traverso non poteva costituire valido presidio. Né ha tenuto conto che anche F.S., in quanto datore di lavoro, nei cui confronti la A.S.L., infatti, ha elevato due contravvenzioni per violazione della disciplina antinfortunistica, i cui verbali sono stati acquisiti al processo (e si allegano), aveva il preciso compito di far rispettare tutte le misure a tutela della salute dei lavoratori.
8. - Ricorso del Procuratore generale. - Il P.G., sollecitato per iscritto ai sensi dell'art. 572 cod. proc. pen. dalla pp.cc. Omissis, ha allegato e fatto proprio l'atto di parte privata, insistendo, in poche righe, per la riforma della sentenza della sentenza assolutoria nei confronti del solo F.S. : ha evidenziato che è emerso dall'istruttoria che nel cantiere si operava in situazione di chiaro rischio, che il terrazzo al terzo piano era sprovvisto di parapetti e comunque di misure di protezione, che l'imputato, titolare di autonoma posizione di garanzia, avrebbe dovuto attivarsi per garantire la salute e l'incolumità del proprio dipendente.
9. - Memoria delle parti civili Omissis.
Con memoria pervenuta in Cancelleria il 29 gennaio 2019 le parti civili Antonina G.O., Rita G.O. e V.O. G.O. (con l'avv. avv. Concetta Crupi) hanno fatto proprie le censure mosse dalle altre parti civili e dal Procuratore generale, chiedendo l'annullamento della sentenza nella parte relativa all'assoluzione di F.S. e la conferma nel resto.
Diritto
1. Ricorso dell'imputato C.B.. - Appare opportuno, per comodità espositiva, prendere le mosse dal ricorso dell'imputato C.B..
Esso è infondato: in parte è meramente assertivo ed argomentato solo suggestivamente (la asserita patologia cardiaca della vittima; l'ingestione di alcool, aspetto esaminato e stimato irrilevante dai Giudici di merito); in altra parte è costruito in fatto; in larga parte è, comunque, reiterativo delle medesime questioni già adeguatamente affrontate e risolte nella - ampia ed approfondita - motivazione della sentenza di primo grado. L'argomento tranciante nel senso della reiezione dell'impugnazione consiste in ciò: l'istruttoria, secondo le informazioni concordemente fornite dai Giudici di merito, intangibili per la Corte di legittimità, ha dimostrato che nel cantiere in questione si lavorava in quota, al terzo piano, a ben undici metri di altezza, senza alcun dispositivo di sicurezza individuale né collettivo, tale non essendo un'asse precariamente fissata e messa di traverso: situazione che i Giudici di merito considerano - logicamente - conosciuta dal datore di lavoro (partecipante all'associazione temporanea di imprese, amministratore della società e direttore tecnico dei lavori). Donde il rigetto del ricorso di C.B..
2. Ricorso delle parti civili Omissis. -
Si passi, poi, ad esaminare il ricorso delle parti civili Omissis con oggetto l'assoluzione di B.P. e di F.S..
Esso è, in parte, fondato.
2.1. L'assoluzione di F.S. muove dal presupposto del ribaltamento della valutazione, che era stata operata in primo grado (nei termini che si rinvengono alle pp. 17-21) della responsabilità del datore di lavoro - diretto - della vittima, che non ha tenuto conto, secondo il Tribunale, del pericolo di precipitazione e della mancanza di presidi, sia individuali che collettivi. Rispetto a tale scenario, però, la Corte di appello ha osservato (alla p. 9) che il dipendente G.O. era stato "messo a disposizione" dell'impresa di C.B. in condizioni che non lasciavano presagire condizioni di rischio. Si tratta di motivazione non incongrua né illogica, comunque immune da vizi rilevabili in sede di legittimità.
2.2. Diverso il discorso quanto all'assoluzione, pronunziata in appello, dell'architetto B.P..
La valutazione svolta nella sentenza della Corte territoriale (alle pp. 7-8) sminuisce, come in effetti sottolineato dai ricorrenti, il significato della disposizione impartita agli operai, disposizione che non viene dai Giudici di appello esclusa nella sua verificazione fenomenica ma che è relegata a mero suggerimento, ad invito non vincolante.
La motivazione della Corte di merito sul punto si contrappone, in maniera tuttavia non persuasiva, a quella di primo grado, che, invece (alle pp. 6 e 24¬25), ha descritto l'agire dell'architetto come manifestazione effettivamente posta in essere, nonostante la negatoria di B.P., che non viene creduto dal Tribunale, e che è stata percepita come ordine dai destinatari, che vi hanno ottemperato, a partire dall'uomo di fiducia dell'imprenditore, V.O., concludendo che essa, siccome inseritasi nel processo causale, connota come concreta accertata "ingerenza" il suo intervento.
Occorre a questo punto richiamare il noto principio, secondo il quale «In tema di prevenzione degli infortuni, il direttore dei lavori nominato dal committente svolge normalmente una attività limitata alla sorveglianza tecnica attinente all'esecuzione del progetto nell'interesse di questi, con la conseguenza che risponde dell'infortunio subito dal lavoratore solo se è accertata una sua Ingerenza nell'organizzazione del cantiere» (Sez. 3, n. 1471 del 14/11/2013, dep. 2014, Gebbia e altro, Rv. 257922-01; in conformità, Sez. 4, n. 49462 del 26/03/2003, Vlscovo, Rv. 227070-01; Sez. 4, n. 3948 del 19/02/1998, Soressi L., Rv. 210640; Sez. 3, n. 11593 del 01/10/1993, Telesca, Rv. 196929-01).
Con tale - condivisibile - principio di diritto la Corte di appello, in realtà, non si misura, attribuendo alla incontestata manifestazione vocale dell'imputato che esortò alla ripresa dei lavori terminata la pioggia, un significato differente da quello che vi attribuisce il Tribunale, senza avere, però, previamente approfondito, anche eventualmente mediante rinnovazione dell'istruttoria testimoniale, cosa in effetti si verificò, se vi fu ingerenza concreta o meno e se l'architetto, nella sua qualità di direttore dei lavori, sapesse o meno delle condizioni di pericolo del cantiere quanto ai piani rialzati, che erano privi, secondo quanto accertato dai Giudici di merito, di sistemi di protezione collettivi, con particolare riferimento al terzo piano, collocato a ben undici metri di altezza: si impone, dunque, l'annullamento della sentenza impugnata, limitatamente alla posizione di B.P., con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello (essendo ricorrenti quanto alla specifica posizione le sole pp.cc., mentre il P.G. ha impugnato la sentenza assolutoria limitatamente all'assoluzione di F.S.). Il Giudice del rinvio, nella sua autonomia decisoria, ben potrà giungere all'una o all'altra soluzione (conferma ovvero esclusione della corresponsabilità di B.P. con C.B., per il decesso dell'operaio G.O.), fornendo, naturalmente, adeguata e logica motivazione.
3. Ricorso del Procuratore generale. -
Passando, infine, alla impugnazione del P.G., che, come si è visto, sollecitato ex art. 572 cod. proc. pen., ripete pedissequamente gli argomenti delle parti civili, essendo essa protesa solo alla riforma dell'assoluzione di F.S. pronunciata in appello, va, per le stessa ragioni già esposte in precedenza (sub n. 2.1. del "considerato in diritto"), rigettata.
4. Conclusioni. -
"Tirando le fila" del ragionamento sinora svolto, si impone, dunque, in parziale accoglimento del ricorso delle parti civili (OMISSIS), l'annullamento della sentenza impugnata, limitatamente alla posizione di B.P. , con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, al quale si demanda il regolamento delle spese processuali: con rigetto, nel resto, del ricorso delle parti civili.
Va, poi, rigettato il ricorso del Procuratore generale e quello dell'Imputato C.B., il quale va condannato al pagamento delle spese processuali nonché alle rifusione delle spese sostenute nel giudizio di legittimità dalle parti civili Omissis che, viste le notule prodotte ed alla stregua delle tariffe forensi vigenti, si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla posizione di B.P. con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello al quale demanda il regolamento delle spese processuali.
Rigetta nel resto il ricorso delle parti civili.
Rigetta il ricorso del Procuratore generale e dell'imputato C.B. , che condanna al pagamento delle spese processuali nonché alle rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili Omissis che liquida in complessivi euro 3.500,00 oltre spese generali al 15%, CPA e IVA.
Così deciso il 14/02/2019.