Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 22 luglio 2019, n. 32490 - Operazioni di manutenzione della carreggiata senza segnaletica: addetto comunale investito da un autocarro. Responsabilità di un preposto


 

Presidente: MENICHETTI CARLA Relatore: DI SALVO EMANUELE Data Udienza: 27/03/2019

 

Fatto

 


1.  R.F. ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale è stata confermata la pronuncia di condanna emessa in primo grado, in ordine al reato di cui all'art. 589 cod. pen. perché, per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e in violazione delle norme in materia di infortuni sul lavoro, permettendo che si svolgessero le operazioni di manutenzione della carreggiata senza prima posizionare la necessaria cartellonistica di cantiere, così come previsto nel documento di valutazione dei rischi, cagionava la morte di C.L., addetto comunale che stava effettuando al margine destro della strada operazioni di ripristino di talune anomalie del manto stradale e che veniva investito da un autocarro.
2. Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla qualifica di preposto che, secondo il giudice a quo, avrebbe assunto il ricorrente, stante l'inesistenza di uno specifico riferimento normativo attributivo della indicata qualifica, non rivestita dal R.F., neanche in via di fatto, poiché egli era stato assunto, nel 2003, soltanto quale tecnico di gestione dei cantieri, figura che nessun referente normativo autorizza a ritenere equiparata a quella del preposto. Neanche nel provvedimento dirigenziale n. 1665 in data 29 giugno 2012 viene indicato il profilo professionale e categoriale che il ricorrente avrebbe dovuto, in concreto, assumere all'interno dell'organigramma della pubblica amministrazione. Questo provvedimento è illegittimo perché, mentre ai dirigenti nominati vengono assegnati specifici ruoli e responsabilità, nessun ruolo viene attribuito ad alcun lavoratore né all'interno del processo sono transitati atti e documenti in tal senso. Nemmeno possono trarsi indicazioni valide, che possano dimostrare il ruolo di preposto in capo al R.F., dalla contraddittoria deposizione del dirigente comunale, architetto S.. Il ruolo ricoperto dal ricorrente era infatti limitato ai profili tecnici e non si estendeva a quelli afferenti alla sicurezza, come risulta anche dalle dichiarazioni dei testi OMISSIS e dell'operatore della ASL, secondo cui il R.F. assegnava i lavori e dava indicazioni su come svolgerli, sostituendo il responsabile quando questi era assente, come il giorno dell'infortunio: tutte funzioni inerenti alla mera realizzazione tecnica degli interventi. E infatti tutti gli operai lo hanno sempre indicato come assistente.
2.l. Il R.F. non ha neanche ricevuto un'adeguata formazione, avendo egli seguito dei corsi soltanto informativi ma non formativi e assolutamente generici e non calibrati sulle specifiche mansioni da espletarsi, tanto più che egli si era occupato per molti anni di verde pubblico e solo da sei mesi era stato trasferito al settore che si occupava di manutenzione delle strade. Anche la lezione tenuta dall'ing. B. era di mera informazione e non di formazione.
2.2. Manca poi il nesso causale tra l'omessa predisposizione della cartellonistica di cantiere e l'evento, in considerazione della velocità del mezzo investitore e del tempo psico-tecnico di reazione, che avrebbe reso inutili i cartelli. Ingiustificatamente la Corte d'appello ha respinto la richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale per l'espletamento di perizia al riguardo. Né potevano essere posizionati i coni a 40 metri di distanza, in considerazione delle dimensioni della carreggiata, che non consentivano ciò. Dunque l'Impatto si sarebbe verificato lo stesso.
2.3. Con memoria pervenuta in data 11 marzo 2019, la difesa ha prodotto le dichiarazioni attestative della Intervenuta definizione risarcitoria.
SI chiede pertanto annullamento della sentenza Impugnata.
 

 

Diritto

 


1. Il primo motivo di ricorso è infondato. A norma dell'art. 2, lett. e), d. P. R. 9 - 4-2008, n. 81, il preposto è un soggetto che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, sovrintende all'attività lavorativa e garantisce l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa. Il preposto è, dunque, titolare di una posizione di garanzia a tutela dell'incolumità dei lavoratori e risponde degli infortuni loro occorsi a causa della violazione degli obblighi derivanti da detta posizione di garanzia, purché sia titolare del poteri necessari per impedire l'evento lesivo in concreto verificatosi (Cass., Sez. 4, n. 12251 del 19/06/2014, Rv. 263004). Si tratta, infatti, di un soggetto la cui sfera di responsabilità è modellata sui poteri di gestione e di controllo di cui concretamente dispone (Sez. U., 24-4-2014, Espenhahn), atteso che, al sensi dell'art. 299 d. lg. n. 81 del 2008, la posizione di garanzia grava anche su colui che, non essendone formalmente Investito, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti al datore di lavoro e ad altri garanti ivi indicati, sicché l'individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensì sulle funzioni in concreto esercitate e sui poteri di cui si dispone, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto, ossia alla sua funzione formale (Cass., Sez. 4, n. 18090 del 12/01/2017, Rv. 269803). 
1.1. Nel caso in esame, il giudice a quo ha evidenziato che dalle testimonianze di cinque dipendenti comunali, con il ruolo di operai, è emerso che il R.F. era colui che assegnava i lavori e dava le indicazioni su come svolgerli, sostituendo il responsabile quando questi era assente, come nel giorno dell'infortunio. Il responsabile ha confermato che il R.F. formava le squadre degli operai e assegnava loro i lavori da eseguire giornalmente, in base a schede preparate da lui o dal R.F. stesso. Il dirigente comunale ha inoltre dichiarato che il R.F. era inquadrato come assistente tecnico, con mansioni di coordinamento della gestione dei cantieri, anche quanto alla loro sicurezza, e che il preposto era colui che aveva la responsabilità del cantiere stesso, ragion per cui gli assistenti, che gestivano questo tipo di attività, avevano la funzione di preposto. L'operatore della ASL aveva poi specificato che il R.F. era stato designato come preposto nel DVR (con il termine "assistente"), aveva una qualifica superiore a quella degli operai e nel 2010 aveva sostenuto un apposito corso di formazione come preposto. Di qui la conclusione, cui è pervenuto il giudice a quo, circa l'attribuzione della qualifica di preposto al ricorrente non solo di fatto ma anche documentalmente, in base sia al regolamento comunale sia al DVR, che gli attribuiva il compito di "coordinamento e controllo della squadra operativa". Trattasi di motivazione congrua, esauriente, saldamente agganciata a precise risultanze processuali e perciò del tutto immeritevole di censura, essendo corretta anche l'affermazione secondo cui il capo-cantiere ha una funzione assimilabile a quella del preposto, poiché assume la qualità di garante dell’obbligo di assicurare la sicurezza sul lavoro ( Cass., Sez. 4, n. 4340 del 24/11/2015, Rv. 265977), in cui rientra il dovere di segnalare situazioni di pericolo per l'incolumità dei lavoratori e di impedire prassi lavorative contra legem ( Cass., Sez. 4, n 9491 del 10-1-2013, Rv. 254403; n. 39606 del 2007, Rv. 237879; n. 12673 del 2009, Rv. 243216; n. 46849 del 2011, Rv. 252149).
2. Anche il secondo motivo di ricorso è privo di fondamento. Si è già posto in rilievo, al paragrafo precedente, come il giudice a quo abbia evidenziato che dalla deposizione del dirigente comunale era emerso che nel 2010 il R.F. aveva sostenuto un apposito corso di formazione come preposto. Nel 2012 - aggiunge la Corte territoriale - era stata tenuta una lezione, sia pure soltanto di un'ora, sia agli operai che agli assistenti, ribadendo loro la necessità di apporre sia i cartelli che i coni previsti, prima di iniziare qualunque intervento su strada. Del resto, anche nell'ambito dell'espletamento delle funzioni precedentemente esplicate, il ricorrente svolgeva la medesima attività di controllo e direzione degli operai, ragion per cui era irrilevante che il R.F. fosse stato trasferito all'Ufficio Strade da poco tempo, anche perché in ogni caso egli vi operava già da circa sei mesi. Trattasi di apparato argomentativo da ritenersi senz'altro adeguato, in quanto basato su una ricostruzione dei fatti precisa e circostanziata, fondata su una disamina completa ed approfondita delle risultanze processuali, in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e su apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede.
3. Non può essere accolto neanche l'ultimo motivo di ricorso. Secondo la giurisprudenza assolutamente dominante, infatti, è "causa" di un evento quell'antecedente senza il quale l'evento stesso non si sarebbe verificato: un comportamento umano è dunque causa di un evento solo se, senza di esso, l'evento non si sarebbe verificato (formula positiva); non lo è se anche in mancanza di tale comportamento l'evento si sarebbe verificato egualmente (formula negativa). Da questo concetto nasce la nozione di giudizio controfattuale ( "contro i fatti"), che è l’operazione intellettuale mediante la quale, pensando assente una determinata condizione (la condotta antigiuridica tenuta dell'Imputato), ci si chiede se, nella situazione così mutata, si sarebbe verificata, oppure no, la medesima conseguenza: se dovesse giungersi a conclusioni positive, risulterebbe, infatti, evidente che la condotta dell'imputato non costituisce causa dell'evento. Il giudizio controfattuale costituisce, pertanto, il fondamento della teoria della causalità accolta dal nostro codice e cioè della teoria condizionalistica. Naturalmente, il giudizio controfattuale, imponendo di accertare se la condotta doverosa omessa, qualora eseguita, avrebbe potuto evitare l'evento, richiede preliminarmente l'accertamento di ciò che è effettivamente accaduto e cioè la formulazione del c.d. giudizio esplicativo (Cass., Sez. 4, n. 23339 del 31-1-2013, Rv. 256941). L'importanza della ricostruzione degli anelli determinanti della sequenza eziologica è stata sottolineata, in giurisprudenza, laddove si è affermato che, al fine di stabilire se sussista o meno il nesso di condizionamento tra la condotta e l'evento, non si può prescindere dall'individuazione di tutti gli elementi rilevanti in ordine alla "causa" dell'evento stesso, giacché solo conoscendo in tutti i suoi aspetti fattuali e scientifici la scaturigine e il decorso della sequenza eziologica è possibile analizzare la condotta colposa ed effettuare il giudizio controfattuale, avvalendosi delle leggi scientifiche e/o delle massime di esperienza che si attaglino al caso concreto ( Cass., Sez. 4, 25.5.2005, Lucarelli). Per effettuare il giudizio contrattuale, è quindi necessario ricostruire, con precisione, la sequenza fattuale che ha condotto all'evento, chiedendosi poi se, ipotizzando come realizzata la condotta dovuta dall'agente, l'evento tipico sarebbe stato o meno evitato o posticipato o si sarebbe verificato con una minore lesività (Cass., Sez. 4, n. 43459 del 4-10-2012, Rv. 255008).
3.1.Nel caso in esame, il giudice a quo ha posto in rilievo che le risultanze acquisite dimostrano, senza alcuna necessità dell'espletamento di una perizia, che, se il cantiere fosse stato allestito con le modalità prescritte dalla normativa di settore, l'incidente non si sarebbe verificato. Il D. M. 10-7-2002 impone, infatti, non solo di apporre dei cartelli di "lavori in corso", "limite di velocità" e "strettoia" ma anche di collocare dei coni sulla carreggiata, a partire da 40 metri prima del veicolo in sosta, sul lato di essa. Il conducente dell'autocarro investitore, che sicuramente viaggiava senza porre la necessaria attenzione al percorso e alla presenza di eventuali ostacoli sulla strada, avrebbe potuto non vedere i cartelli, perché posti a lato della carreggiata ed esterni ad essa, ma avrebbe sicuramente colpito i coni, posti nel mezzo della strada che stava percorrendo, e la sua attenzione sarebbe stata richiamata dal suono e dalle modalità dell'impatto, sin dal primo cono che egli avesse urtato. Il consulente del pubblico ministero ha ricostruito - precisa la Corte territoriale - la condotta di guida dell'autista dell'autocarro, stabilendo che quest'ultimo viaggiava a circa 66 km/h e quindi percorreva circa 18 metri al secondo: il conducente aveva quindi oltre due secondi di tempo per frenare o compiere manovre di emergenza prima dell'impatto con il camion comunale e con l'operaio che vi stava lavorando accanto. Dunque, detratto l'Intervallo psico-tecnico di reazione, indicato abitualmente in un secondo, l'autista avrebbe avuto comunque un tempo sufficiente per compiere manovre di brusca frenata e di deviazione. In tal modo egli avrebbe, molto probabilmente, evitato l'impatto, essendo a tal fine sufficiente una sterzata verso sinistra, o quantomeno avrebbe colpito il corpo dell'operaio con una velocità molto minore, evitandone così la morte. Dunque il rispetto delle norme In materia di installazione del cantiere avrebbe, con una probabilità molto elevata, prossima alla certezza, impedito la morte del C.L.. Trattasi, dunque, di una motivazione precisa, fondata su specifiche risultanze processuali e del tutto idonea a illustrare l'Itinerario concettuale esperito dal giudice di merito, anche in merito al diniego di espletamento di perizia. Quest'ultimo, infatti, rientra in una valutazione insindacabile nel giudizio di legittimità, senza che sussista vizio di motivazione ove il giudice di merito esprima una valutazione di completezza del materiale probatorio disponibile e giustifichi adeguatamente, come nel caso di specie, sia il rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale sia la decidibilità della regiudicanda allo stato degli atti (Cass., Sez. 4, n. 23293 del 28-4-2011). D'altronde, il vizio di manifesta illogicità che, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., legittima il ricorso per cassazione implica che il ricorrente dimostri che l'iter argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente sul plano logico e, per altro verso, che questa dimostrazione non ha nulla a che fare con la prospettazione di un'altra interpretazione o di un altro iter, in tesi egualmente corretti sul terreno della razionalità. Ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, in merito alla ricostruzione della sequenza eziologica sfociata nell'evento, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di logicità ( Sez. U.. 27-9-1995, Mannino, Rv. 202903). La verifica che la Corte di cassazione è abilitata a compiere sulla completezza e correttezza della motivazione di una sentenza non può Infatti essere confusa con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella fornita dal giudice di merito. Né la Corte suprema può esprimere alcun giudizio sulla rilevanza e sull'attendibilità delle fonti di prova, giacché esso è attribuito al giudice di merito, con la conseguenza che le scelte da quest'ultimo compiute, se coerenti, sul piano logico, con una esauriente analisi delle risultanze probatorie acquisite, si sottraggono al sindacato di legittimità, una volta accertato che, come nel caso In disamina, il processo formativo del libero convincimento del giudice non abbia subito il condizionamento derivante da una riduttiva indagine conoscitiva o gli effetti altrettanto negativi di un'imprecisa ricostruzione del contenuto di una prova ( Sez. U., Rv. 203767 del 25-11-1995, Facchini ). Dedurre infatti vizio di motivazione della sentenza significa dimostrare che essa è manifestamente carente di logica e non già opporre alla ponderata ed argomentata valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto ragionevole ( Sez. U.r 19-6-1996, DI Francesco, Rv 205621).
4. Il ricorso va dunque rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 

 

P.Q.M.
 

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 27-3-2019.