Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 22 luglio 2019, n. 32494 - Caduta dall'alto e mancanza di dispositivi di protezione. Responsabilità del direttore di cantiere preposto


Presidente: MENICHETTI CARLA Relatore: DAWAN DANIELA Data Udienza: 27/03/2019

 

 

 

Fatto

 

 

 

1. La Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale di Cassino, ha ridotto la pena (sospesa) inflitta a G.V. a mesi uno di reclusione, confermando nel resto.
2. A G.V. è ascritto il reato di cui all'art. 590, commi 1,2,3, 583, comma 1, nn. 1,2 e 113 cod. pen., perché quale direttore di cantiere preposto, per colpa generica e specifica, cagionava all'operaio R.M. lesioni personali comportanti un'inabilità ad attendere alle normali attività per un totale di giorni 527 e postumi invalidanti pari a 61% con menomazione accertata in "paraparesi da trauma midollare con disabilità deambulatoria; esiti di frattura bacino a destra; esiti di frattura intra-articolare del polso destro con limitazione articolare; esiti di pneumotorace". Al G.V. era in particolare contestata la violazione dell'alt. 19, comma 1, lett. a), d. lgs. n. 81/2008, per non avere, in qualità di direttore di cantiere preposto, provveduto a sovrintendere e vigilare sull'osservanza da parte del predetto lavoratore dei suoi obblighi di legge nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro, di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuali messi a sua disposizione (cintura di sicurezza); nella fattispecie, non ha vigilato sull'osservanza del piano operativo di sicurezza riferito ai lavoratori in esecuzione sul cantiere FENICE all'interno dello stabilimento FIAT GROUP AUTOMOBILES s.p.a Cassino Plant di Piedimonte S. Germano. L'anzidetta condotta colposa cagionava la caduta di R.M. dal camminamento del pipe rack che costeggia il fabbricato n. 14, posto ad un'altezza di oltre sei metri, comportando le descritte lesioni. Fatto accaduto in Piedimonte S. Germano il 09/02/2009.
3. I fatti, come ricostruiti dalla Corte territoriale. R.M. era stato assunto, in qualità di operaio generico, dalla SMIV s.r.l., ditta subappaltatrice della CMS Costruzioni Montaggi e Servizi e responsabile dell'esecuzione delle opere meccaniche e di carpenteria presso il cantiere nel quale era in corso la realizzazione di un nuovo tratto di pipe rack, oltre all'adeguamento di quello già esistente, all'interno dell'anzidetto stabilimento FIAT. G.V. ricopriva la qualifica di direttore del cantiere e, rivestiva, nei fatti, anche il ruolo di capo-cantiere, in quanto, presente quotidianamente sul luogo dei lavori, indicava ai dipendenti le mansioni da svolgere giornalmente, vigilando sull'esecuzione dei lavori. Il giorno dell'Infortunio, il R.M. doveva affiancare il collega P., assunto qualità di saldatore ed al suo primo giorno di lavoro presso il cantiere. Mentre si trovava sul tratto di pipe rack in costruzione, sito ad un'altezza di circa 6 metri, il R.M. perdeva l'equilibrio e precipitava nel vuoto, impattando con il suolo e riportando le gravi lesioni descritte nel capo di imputazione.
3. Avverso la prefata sentenza di appello, il difensore dell'imputato interpone ricorso articolando due motivi. Con il primo, deduce inosservanza dell'alt. 546 cod. proc. pen. per la mancata enunciazione delle ragioni per le quali la Corte territoriale ha ritenuto non attendibili le prove contrarie. La sentenza impugnata reputa fondata la ricostruzione dei fatti operata dal R.M. che contrasta con quanto indicato nel verbale della riunione per il coordinamento e la sicurezza della ditta SMIV s.r.l. del 10/02/2000, allegato all'informativa dell'Ispettorato della ASL acquisita agli atti del dibattimento. In questa, un operatore del cantiere riferisce che il R.M. tentò di saltare dal pipe rack esistente a quello in costruzione e, nel compiere tale tentativo, sarebbe rovinosamente caduto a terra. La sentenza di appello non spiega per quale ragione detto verbale, peraltro acquisito agli atti, non possa assumere alcuna valenza probatoria.
Con il secondo motivo, eccepisce erronea applicazione della legge e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla omessa valutazione e alla mancata motivazione sulle circostanze indicate nell'atto di appello. L'avversata sentenza ritiene fondata la ricostruzione del R.M.: salito sul pipe rack per affiancare P., su richiesta di questi che gli chiedeva di recuperare una tavola che si trovava sul tratto del pipe rack in costruzione alle loro spalle e notata la presenza di cavi penzolanti (atteso che il personale incaricato della sicurezza aveva dato l'indicazione di non lasciarli in tale stato per evitare che qualcuno potesse inciamparvi) aveva deciso di tirarli via. In tale manovra, egli perdeva l'equilibrio e cadeva all'indietro, precipitando in uno spazio vuoto. Questo comportamento, a detta della Corte di appello, non esorbitava dalle mansioni del lavoratore né dai processi produttivi con conseguente inapplicabilità dell'alt. 41, comma 2, cod. pen. Eppure il R.M. era stato assunto con la qualifica di saldatore e, dunque, nelle sue mansioni non vi era certamente quella di preoccuparsi di cavi penzolanti a circa sei mesi dal suolo. La contraddittorietà della pronuncia sta proprio nel non aver, questa, ritenuto la condotta del R.M. abnorme ma rilevante ai soli fini della determinazione del grado di colpa dell'imputato. Il comportamento del lavoratore era del tutto imprevedibile, ove si consideri che egli, salito di sua spontanea volontà a sei metri di altezza, ha tirato i cavi penzolanti addirittura camminando all'indietro.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso è inammissibile.
2. Deve premettersi che in giurisprudenza è consolidato il principio per il quale il giudice di merito, per giustificare la decisione, non deve prendere in esame tutte le tematiche prospettate e le argomentazioni formulate dalle parti ma solo quelle ritenute essenziali per la formazione del suo convincimento, dovendosi considerare implicitamente disattese, alla stregua della struttura argomentativa della sentenza, le prospettazioni di parte non menzionate. In sede di legittimità, quindi, non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione formulata con il gravame allorché la stessa debba considerarsi disattesa sulla base della motivazione della sentenza, complessivamente considerata. Per la validità della decisione, pertanto, non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente, per escludere il ricorrere del vizio, che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca implicitamente alla reiezione della deduzione difensiva. Sicché, ove il provvedimento indichi, con adeguatezza e logicità, come nel caso in disamina, quali circostanze ed emergenze processuali si siano rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice, sì da consentire l'individuazione dell'iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata, non vi è luogo per la prospettabilità del vizio di preterizione [ex multis, Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013 (dep. 15/01/2014), Cento e altri, Rv. 259643; Sez. 5, n. 607 del 14/11/2013 (dep. 09/01/2014), Maravalli, Rv. 258679].
3. Quanto al primo motivo e in ordine alla ritenuta, da parte del Giudice a quo, attendibilità delle dichiarazioni della parte civile. Da queste risultava che, la mattina del 09/02/2009, l'imputato, che era solito impartire al R.M. le istruzioni sul lavoro da eseguire giornalmente, lo aveva incaricato di affiancare il P., su proposta di quest'ultimo, nello svolgimento delle sue mansioni, al fine di mostrargli il cantiere che quegli ancora non conosceva e, allo stesso tempo, di apprendere le tecniche di lavoro. Il R.M. dichiarava che, salito con il P. sulla gru per compiere operazioni di saldatura delle tubature del pipe rack, quest'ultimo gli aveva chiesto di prendere una tavola che si trovava sul tetto del pipe rack in costruzione alle loro spalle, ove lo aveva pertanto accompagnato con il cestello. Salito sul pipe rack, tramite il cestello guidato dal P., il R.M., notata la presenza di cavi penzolanti, si era accinto a tirarli via quando perdeva l'equilibrio e cadeva all'indietro, precipitando in uno spazio vuoto. Aveva precisato che, quel giorno, indossava il casco di protezione e le scarpe antinfortunistiche, ma non la cintura di sicurezza e che quella non era la prima volta che saliva pipe rack, avendo ricevuto al riguardo una specifica formazione.
Ciò detto, la sentenza impugnata afferma, da un lato, che le dichiarazioni della persona offesa, precise e coerenti, devono ritenersi intrinsecamente attendibili, «non risultando il suo interesse nella causa motivo sufficiente per inficiarne la credibilità (a conferma della credibilità delle dichiarazioni del R.M. si consideri anche che le stesse hanno condotto all'assoluzione del coimputato G.S.)...», e, dall'altro, elenca le ragioni per le quali gli elementi di segno contrario invocato dalle difese non sono convincenti.
Evidenzia, infatti, come tra le conclusioni degli accertamenti eseguiti dall'Ispettore del lavoro M. e la ricostruzione della persona offesa non vi sia l'asserita contraddizione perché «le dichiarazioni rese in primo grado dal M.... hanno ben altro contenuto rispetto a quello attribuitogli nell'atto di impugnazione, avendo detto ispettore escluso che il R.M. avesse potuto scavalcare le protezioni del pipe-rack». 
Diversamente da quanto assunto dal ricorrente, poi, la sentenza di appello spiega, inoltre, la ragione per la quale l'informativa dell'Ispettorato della ASL acquisita in atti - in cui si fa un generico riferimento alle dichiarazioni di un operatore del cantiere che avrebbe visto il R.M. tentare di saltare dal pipe-rake esistente a quello in costruzione - non possa assumere alcuna valenza probatoria: il lavoratore in questione, infatti, non era stato identificato, nonostante la specifica richiesta dell'ispettore del lavoro di sentirlo.
4. In realtà, dietro l'invocata inosservanza dell'art. 546 cod. proc. pen., il ricorrente propugna una diversa ricostruzione della vicenda, del tutto preclusa al vaglio di questa Corte di legittimità alla quale è inibita la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti.
Per le considerazioni dianzi esposte, il primo motivo è inammissibile.
5. Alla medesima conclusione deve pervenirsi quanto alla seconda doglianza. Richiamate le considerazioni più sopra espresse in ordine alla motivazione cosiddetta implicita e richiamata, altresi, l'accertata dinamica dei fatti - l'imputato era stato informato ed aveva acconsentito a che il R.M. lavorasse con il P. sul pipe rack, sul quale era peraltro salito altre volte, ricevendone specifica formazione - il Collegio osserva che correttamente la sentenza impugnata afferma che il prevenuto, in quanto capo cantiere per la ditta SMIV s.r.l., era sicuramente il principale destinatario degli obblighi antinfortunistici. Val la pena ricordare come questa Sezione abbia già avuto modo di chiarire che il capo cantiere, la cui posizione è assimilabile a quella del preposto, assume la qualità di garante dell'obbligo di assicurare la sicurezza del lavoro, in quanto sovraintende alle attività, impartisce istruzioni, dirige gli operai, attua le direttive ricevute e ne controlla l'esecuzione sicché egli risponde delle lesioni occorse ai dipendenti [Sez. 4, n. 4340 del 24/11/2015 (dep. 02/02/2016), Zelanda e altri, Rv. 265977; Sez. 4, n. 9491 del 10/01/2013, dep. 27/02/2013, Rv. n. 254403].
Radicalmente destituita di fondamento appare poi la pretesa di connotare la condotta lavorativa dell'infortunato di caratteri di imprevedibilità e di abnormità. Deve escludersi, secondo la logica comune, la sussistenza di una condotta avulsa dallo svolgimento della mansione, abnorme e, pertanto, imprevedibile da parte del soggetto protetto dalla garanzia. Esattamente al contrario dell’assunto difensivo, trattasi di un drammatico evento occorso nell’esercizio e a causa dello svolgimento d’una attività integrata puntualmente nel contesto lavorativo, come tale del tutto prevedibile e prevenibile dal garante.
L'accento posto dal ricorrente sulla imprevedibilità del comportamento dei lavoratore infortunato non considera che il comportamento del dipendente è imprevedibile quando non è preventivamente immaginabile, e non già quando l'irrazionalità della condotta del dipendente sia controllabile, pensabile in anticipo, risolvendosi nel fare l'esatto contrario di quel che si dovrebbe fare per non incorrere in infortuni [ex multis, Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016 (dep. 27/03/2017), Gerosa e altri, Rv. 269603; Sez. 4, n. 36339 del 07/06/2005, Pistoiesi, Rv. 232227; Sez. 4, n. 37001 del 07/07/2003, Masotti, Rv. 225957]. Orbene, se è vero che sul lavoratore medesimo incombe l'obbligo di osservare le prescrizioni cautelari che a lui si indirizzano, va però puntualizzato che il piano della rimproverabilità del lavoratore per la violazione commessa e quello della causalità (tra la condotta trasgressiva del datore di lavoro e le lesioni subite dal quel lavoratore) non coincidono, come dimostra il semplice rilievo che la violazione prevenzionistica del lavoratore, osservata sotto la diversa prospettiva, può risultare esito proprio di quella imprudenza, negligenza o imperizia che il sistema di tutela prevenzionistica incorpora come un "ordinario" fattore di rischio da considerare, valutare e neutralizzare o attenuare. Ma, soprattutto, va osservato come la più recente giurisprudenza suggerisca di abbandonare il criterio della imprevedibilità del comportamento del lavoratore nella verifica della relazione causale tra condotta del reo ed evento, perché ciò che davvero rileva è che tale comportamento attivi un rischio eccentrico o, se si vuole, esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto al quale viene attribuito l’evento (per tutte si veda, Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 261106, in motivazione). Nel caso che occupa non vi è alcun dubbio che il R.M. accompagnò il collega P. dietro preciso incarico dell'odierno ricorrente, che sovrintendeva quotidianamente alle attività del cantiere.
L'istruttoria processuale impone, per le ragioni più sopra illustrate ed adeguatamente riportate nella sentenza impugnata, giungersi a conclusione del tutto opposta rispetto a quella propugnata dal ricorrente.
6. In conclusione, nel caso in esame, l'impianto argomentativo a sostegno della decisione è puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal Giudice e, perciò, a superare lo scrutinio di legittimità, avendo i Giudici di secondo grado preso in esame tutte le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in alcun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede.
7. Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 27 marzo 2019