Cassazione Penale, Sez. 4, 24 luglio 2019, n. 33239 - Caduta dall'alto: omessa formazione del lavoratore dipendente dell'impresa subappaltatrice da parte del titolare dell'impresa affidataria dei lavori. Mancata verifica del POS


 

 

... Si è inteso attribuire all'imputato un apporto cooperativo al verificarsi dell'evento, giacché la adibizione al lavoro del lavoratore deceduto in assenza della previa formazione ed informazione - che avrebbero dovuto essere somministrate dal S.M. quale datore di lavoro del medesimo - era stata resa possibile dalle sue omissioni. Ed invero, non è dubbio che l'imputato avesse l'obbligo di comunicare di aver disposto il subappalto al coordinatore per l'esecuzione; e di richiedere il POS della ditta subappaltatrice per poi trasmetterlo al coordinatore.
L'art. 97 del d.lgs. n. 81/2008 (la cui violazione è stata esplicitamente contestata all'imputato) dispone che il datore di lavoro dell'impresa affidataria verifica le condizioni di sicurezza dei lavori affidati e l'applicazione delle disposizioni e delle prescrizioni del piano di sicurezza e coordinamento. Prevede, altresì, che gli obblighi derivanti dall'articolo 26, fatte salve le disposizioni di cui all'articolo 96, comma 2, sono riferiti anche al datore di lavoro dell'impresa affidataria e che il datore di lavoro dell'impresa affidataria deve, inoltre:
a) coordinare gli interventi di cui agli articoli 95 e 96;
b) verificare la congruenza dei piani operativi di sicurezza (POS) delle imprese esecutrici rispetto al proprio, prima della trasmissione dei suddetti piani operativi di sicurezza al coordinatore per l'esecuzione.
E' pur vero che questi obblighi sono posti in funzione della gestione del rischio interferenziale; ma nel caso che occupa la loro osservanza avrebbe palesato la assoluta inadeguatezza della ditta subappaltatrice e determinato l'intervento del coordinatore per l'esecuzione dei lavori.


Presidente: IZZO FAUSTO Relatore: DOVERE SALVATORE Data Udienza: 17/04/2019

 

 

 

Fatto

 


1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Milano ha parzialmente riformato la pronuncia emessa dal Tribunale di Milano con la quale S.M., C.O. e G.O. erano stati ritenuti responsabili delle lesioni personali (art. 590 cod. pen.) patite da R.K. e condannati alla pena per ciascuno ritenuta equa nonché al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, mentre B.G. e B.L.P. erano stati assolti dalla medesima imputazione per non aver commesso il fatto.
La Corte di Appello, infatti, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati condannati perché il reato è estinto per prescrizione; nel contempo ha confermato le statuizioni civili rese dal primo giudice.
2. La vicenda che ha dato luogo alle decisioni appena menzionate può essere cosi riassunta.
Nell'ambito del cantiere edile sito in San Giuliano Milanese, alla via Brianza, l'impresa Imbo s.p.a. aveva affidato alla impresa C.O. Coperture s.r.l. i lavori di rimozione delle lastre in amianto-cemento costituenti la copertura di un capannone; l'impresa appaltatrice aveva subappaltato i lavori di pulizia a terra e rimozione dei rifiuti alla ditta Rama società cooperativa. Il giorno 16.7.2010 il dipendente di quest'ultima ditta, R.K., era salito sul tetto del capannone ed era precipitato al suolo cadendo da un lucernaio la cui copertura era costituita da un foglio in materiale plastico; nell'occorso egli aveva riportato lesioni personali che avevano determinato una malattia durata un tempo superiore a quaranta giorni ed una invalidità permanente del 100%.
Al S.M., quale datore di lavoro dell'infortunato, al C.O., quale titolare della ditta C.O. coperture s.r.l., al G.O., quale preposto per conto di tale impresa, al B.L.P. quale coordinatore per l'esecuzione nominato dalla società committente e al B.G. quale legale rappresentante di quest'ultima era stato contestato di aver, con le rispettive condotte colpose, concorso a cagionare le lesioni subite dal lavoratore.
Il Tribunale ha ritenuto di dover addebitare il fatto esclusivamente ai primi tre imputati rimproverando in particolare al C.O. di non aver somministrato al R.K. la necessaria formazione ed informazione - compito che doveva essere assolto in primo luogo dal datore di lavoro S.M. ma che era "in parte addebitabile a C.O., quanto meno sotto il profilo del mancato coordinamento degli interventi con la ditta subappaltatrice Rama" - ed inoltre per essere incorso in culpa in eligendo nella scelta e nel controllo della cooperativa quale affidataria del subappalto.
La Corte di Appello, dal canto suo, ha ribadito che la responsabilità penale degli imputati deriva dalla complessiva disorganizzazione del cantiere e dalla colposa e grave disattenzione, in ragione delle quali era stato possibile che un lavoratore addetto ai lavori di pulizia a terra salisse sul tetto e senza alcun dispositivo di protezione individuale.
3. A mezzo dei difensori di fiducia C.O. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Corte di Appello, lamentando il vizio della motivazione. Ha premesso di aver ben chiaro che in presenza di una declaratoria di estinzione del reato per prescrizione una eventuale assoluzione dell'imputato può essere pronunciata solo a condizione che ricorra l'evidenza della innocenza del medesimo, secondo la previsione dell'art. 129 cod. proc. pen. E conseguentemente ha sostenuto che nel caso di specie emerge l'evidenza della prova di innocenza, facendo seguire a tale affermazione il richiamo alle fonti di prova e alle circostanze sulle quali fonderebbe quel giudizio.
In primo luogo, l'impresa del C.O. aveva approntato tutte le cautele necessarie ai fini della sicurezza dei propri dipendenti; era munita di Piano operativo di sicurezza, il quale contemplava le cautele per il rischio di caduta dall'alto; i relativi presidi erano stati messi in atto (teste K.O.); la metodologia di lavoro era informata alla massima prudenza; le verifiche ispettive condotte prima dell'Infortunio avevano constatato la assenza di criticità sul versante della sicurezza del lavoro.
Inoltre la cooperativa Rama non aveva altro compito che occuparsi delle pulizie a terra e del trasporto in discarica del materiale rimosso; il lavoratore infortunatosi era stato da pochi giorni assunto dalla Rama e aveva compiuto, salendo sul tetto, un'iniziativa del tutto personale; tutti i lavoratori ivi presenti si erano accorti del R.K. solo una volta che questi era caduto all'interno del capannone; nessuno gli aveva impartito l'ordine di operare sul tetto.
Contesta, il ricorrente, la fondatezza dei profili di colpa individuati dal Tribunale, rappresentando che il S.M. era del tutto consapevole dei compiti assegnatigli e rimarcando che il coordinamento tra le due imprese non avrebbe mai potuto contemplare comportamenti sul tetto del capannone perché era previsto che i dipendenti della ditta subappaltatrice non effettuassero lavori sullo stesso. Inoltre, la scelta della Rama quale impresa subappaltatrice era adeguata in relazione alla tipologia di lavori da compiere.
Neppure sussistono le condotte specifiche dalle quali si è tratta la convinzione di una mancanza di organizzazione del cantiere: il coordinatore dei lavori era stato informato della presenza del subappalto. 
La motivazione resa dalla Corte di Appello è quindi apodittica e sostanzialmente mancante.
 

 

Diritto

 


4. Il ricorso è infondato.
4.1. Il ricorrente ritiene che sia evidente la prova della sua innocenza, tale che la Corte di Appello avrebbe dovuto mandarlo assolto per non aver commesso il fatto.
Giova rammentare, quindi, che quando l'imputato, senza aver rinunciato alla prescrizione, proponga ricorso per cassazione avverso la sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, è tenuto, a pena di inammissibilità, a dedurre specifici motivi a sostegno della ravvisabilità in atti, in modo evidente e non contestabile, di elementi idonei ad escludere la sussistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte sua e la configurabilità dell'elemento soggettivo del reato, affinché possa immediatamente pronunciarsi sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen., ponendosi cosi rimedio all'errore circa il mancato riconoscimento di tale ipotesi in cui sia incorso il giudice della sentenza impugnata (Sez. 4, n. 8135 del 31/01/2019 - dep. 25/02/2019, Pintile, Rv. 27521901). Deve tuttavia trattarsi pur sempre di elementi emergenti dalla sentenza impugnata, poiché alla Corte di cassazione è precluso l'accertamento del merito (cfr., in motivazione, Sez. 3, n. 394 del 25/09/2018 - dep. 08/01/2019, Gilardi, Rv. 274567).
Nel caso che occupa il ricorrente non ha indicato i dati espressi dalla sentenza di secondo grado (oppure quelli, concordanti, rinvenibili nella prima decisione) che rendono evidente la sua innocenza; piuttosto, come si deduce agevolmente dalla esposizione fatta nella superiore parte narrativa, ha formulato una sequenza di affermazioni attinenti ai fatti, sostanzialmente contrastanti con quanto ritenuto dai giudici di merito. Pertanto la censura non può trovare accoglimento in questa sede.
4.2. La sola doglianza che non si sostanzia in una non consentita rivisitazione dei fatti è quella che censura la Corte di Appello per aver mancato di motivare in ordine alla responsabilità del C.O., atteso che la motivazione si compendierebbe nel rimproverare al medesimo di aver voluto prospettare che il giorno del sinistro il lavoratore era giunto in cantiere e aveva assunto l'iniziativa di portarsi sul tetto senza che nessuno lo sapesse. Essa va esaminata con piena cognizione, valendo come denuncia della omessa motivazione in ordine alla responsabilità dell'imputato ai fini delle statuizioni civili e non potendosi trovare conferma della condanna al risarcimento del danno dalla mancanza di prova della innocenza degli imputati, secondo quanto previsto dall'art. 129, co. 2 cod. proc. pen.
4.3. Al fine di prendere in considerazione il rilievo va ribadito l'insegnamento impartito da questa Corte per il quale ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013 - dep. 04/11/2013, Argentieri, Rv. 257595). Tale principio deve essere applicato nella consapevolezza che l'integrazione delle motivazioni delle conformi sentenze di primo e di secondo grado trova limite nella formulazione di censure o contestazioni specifiche, introduttive di rilievi non sviluppati nel giudizio anteriore o contenenti argomenti che pongano in discussione le valutazioni in esso compiute; in tal caso la decisione di appello non può limitarsi a respingere con formule di stile o in base ad assunti meramente assertivi o distonici dalle risultanze istruttorie le deduzioni proposte (cfr. Sez. 6, n. 28411 del 13/11/2012 - dep. 01/07/2013, Santapaola e altri, Rv. 256435).
Orbene, rammentato che l'impresa del C.O. era rimasta affidataria dei lavori commissionati dalla Imbo .s.p.a., all'odierno ricorrente in realtà è stato ascritto di aver scelto (con il subappalto) una ditta che non garantiva in alcun modo il rispetto delle prescrizioni prevenzionistiche e di aver omesso l'opera di coordinamento, non comunicando alla committenza e al coordinatore per l'esecuzione dei lavori il coinvolgimento nel cantiere degli operai della società cooperativa Rama. Con tali rilievi si è inteso attribuire al C.O. un apporto cooperativo al verificarsi dell'evento, giacché la adibizione al lavoro del lavoratore deceduto in assenza della previa formazione ed informazione - che avrebbero dovuto essere somministrate dal S.M. quale datore di lavoro del medesimo - era stata resa possibile dalle sue omissioni. Ed invero, non è dubbio che il C.O. avesse l'obbligo di comunicare di aver disposto il subappalto al coordinatore per l'esecuzione; e di richiedere il POS della ditta S.M. per poi trasmetterlo al coordinatore.
L'art. 97 del d.lgs. n. 81/2008 (la cui violazione è stata esplicitamente contestata al C.O.) dispone che il datore di lavoro dell'impresa affidataria verifica le condizioni di sicurezza dei lavori affidati e l'applicazione delle disposizioni e delle prescrizioni del piano di sicurezza e coordinamento. Prevede, altresì, che gli obblighi derivanti dall'articolo 26, fatte salve le disposizioni di cui all'articolo 96, comma 2, sono riferiti anche al datore di lavoro dell'impresa affidataria e che il datore di lavoro dell'impresa affidataria deve, inoltre:
a) coordinare gli interventi di cui agli articoli 95 e 96;
b) verificare la congruenza dei piani operativi di sicurezza (POS) delle imprese esecutrici rispetto al proprio, prima della trasmissione dei suddetti piani operativi di sicurezza al coordinatore per l'esecuzione.
E' pur vero che questi obblighi sono posti in funzione della gestione del rischio interferenziale; ma nel caso che occupa la loro osservanza avrebbe palesato la assoluta inadeguatezza della ditta S.M. e determinato l'intervento del coordinatore per l'esecuzione dei lavori. Il quale, tra i suoi obblighi, ha anche quello di segnalare al committente le inosservanze alle disposizioni degli articoli 94, 95, 96 (e pertanto anche la omessa redazione del POS da parte delle imprese esecutrici) e 97, comma 1 e alle prescrizioni del piano di cui all'articolo 100 ove previsto, con il potere di proporre la sospensione dei lavori, l'allontanamento delle imprese o dei lavoratori autonomi dal cantiere, o la risoluzione del contratto. Con la possibile, ulteriore evenienza che, ove il committente non adotti alcun provvedimento in merito alla segnalazione, senza fornire idonea motivazione, il coordinatore per l'esecuzione dia comunicazione dell'inadempienza alla azienda unità sanitaria locale e alla direzione provinciale del lavoro territorialmente competenti (art. 92 d.lgs. n. 81/2008). Sicché non coglie il nucleo dell'addebito mosso al C.O. la considerazione svolta dall'esponente, secondo la quale il coordinamento tra le due imprese non avrebbe evitato il sinistro perché quello non avrebbe potuto estendersi alle condotte che i lavoratori della cooperativa avrebbero dovuto avere per i lavori sul tetto, in quanto non competevano a quest'ultimi.
La motivazione resa dai giudici di merito fa quindi corretta applicazione delle previsioni normative che si indirizzano all'impresa affidataria nell'ambito dei cantieri temporanei o mobili e, lungi dal risultare carente, espone compiutamente e senza alcuna manifesta illogicità le ragioni per le quali anche al C.O. va ricondotto l'evento illecito.
La censura è infondata e il ricorso deve essere rigettato.
5. Segue al rigetto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 

 

P.Q.M.
 

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio del 17/4/2019.