Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 29 luglio 2019, n. 34399 - Cedimento della struttura di protezione a delimitazione del solaio e caduta mortale del lavoratore. Responsabilità del titolare delle ditta edile


Presidente: MENICHETTI CARLA Relatore: TORNESI DANIELA RITA Data Udienza: 05/04/2019

 

 

 

Fatto

 


1. Con sentenza del 7 ottobre 2014 il Tribunale di Brindisi dichiarava T.A. responsabile del reato ascritto e, concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, lo condannava alla pena, condizionalmente sospesa, di anni due di reclusione oltre al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili costituite P.O., P. F., P. G., P. G. e P.L., da liquidare in separata sede civile e a ciascuna di esse riconosceva una provvisionale della somma di euro 40.000.
1.1. Al predetto imputato è addebitato il reato di cui agli artt. 113, 589, commi 1 e 2, cod. pen. perché, quale titolare della omonima ditta edile sub - appaltatrice dei lavori e responsabile del servizio di prevenzione e protezione, cagionava per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia nonché nella violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (in particolare degli artt. 112, 36, comma 2, e 18, comma 1, lett. a) dlgs. n. 81/2008) la morte del dipendente P. V., per non avere allestito idonee opere provvisionali atte a prevenire la caduta nel vuoto del lavoratore; per non avere adeguatamente informato il lavoratore sui rischi specifici cui era esposto in relazione all'attività svolta e in genere sulle misure prevenzione e protezione adottate e da adottare; per non aver sottoposto il lavoratore a sorveglianza sanitaria, essendo sprovvisto del giudizio di idoneità sanitaria.
Fatto commesso in San Vito dei Normanni il 9 agosto 2011 (decesso avvenuto il 29 settembre 2011).
1.2.Secondo la ricostruzione dei fatti operata dal giudice di primo grado P. V., al momento dell'infortunio, era intento ad eseguire al primo piano lavori di posa in opera dei cassieri in legno per la realizzazione dei pilastri destinati a sostenere i solai necessari per la sopraelevazione, munito di elmetto privo di sottogola e senza cinture di sicurezza; in particolare stava completando un impalco con l'assemblaggio di alcune assi di legno con chiodi e martello; il collega di lavoro S.D. che si trovava sul luogo di lavoro, voltato di spalle, constatava il cedimento della struttura di protezione posta a delimitazione del solaio. La vittima precipitava al suolo da un'altezza di circa 4,00 metri, riportando "politrauma a prevalenza cranico" con immediato ricovero in prognosi riservata presso l'Ospedale Perrino di Brindisi, dove decedeva in data 29 settembre 2011 per insufficienza cardiorespiratoria determinata dai politraumi subiti a seguito della caduta.
2. Con sentenza del 30 aprile 2018 la Corte di Appello di Lecce, in riforma della pronuncia di primo grado, ha ridotto la pena inflitta al T.A. ad anni uno e mesi sei di reclusione.
3. Avverso la predetta sentenza propone ricorso per cassazione T.A., per mezzo del difensore, deducerido cinque motivi.
3.1. Con il primo motivo lamenta il vizio motivazionale ed il travisamento della prova relative ai risultati dei rilievi eseguiti dal personale SPESAL.
3.2. Con il secondo motivo lamenta il vizio motivazionale e il travisamento della prova in ordine alla mancata considerazione della concreta possibilità del verificarsi delle circostanze imprevedibili indicate nel gravame e, quindi, idonee a costituire causa sopravvenuta idonea ad escludere il necessario nesso di condizionamento tra la condotta e l'evento.
3.3. Con il terzo motivo deduce il vizio motivazionale e il travisamento della prova in relazione all'inesistenza di continuità fenomenica tra l'infortunio ed il decesso dell'Infortunato in ragione delle complicanze sorte in occasione del ricovero ospedaliero.
3.4. Con il quarto motivo denuncia il vizio motivazionale e il travisamento della prova con riferimento al mancato riconoscimento del giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulla contestata aggravante.
3.5. Con il quinto motivo lamenta il vizio motivazionale e il travisamento della prova in ordine alle statuizioni civili. In particolare, la Corte d'Appello si sarebbe limitata a ritenere la provvisionale proporzionata al danno subito dalle parti civili, senza considerare che le censure della difesa dell'imputato non si riferivano al danno, da determinarsi in separata sede, bensì alla sola provvisionale, il cui importo, a fronte di una decisione non definitiva in ordine alla penale responsabilità, minava la sopravvivenza dell'impresa facente capo al T.A..
3.6. Conclude chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata; in subordine chiede che il reato venga dichiarato prescritto e che siano in ogni caso revocate le statuizioni in favore della parte civile.
 

 

Diritto

 


1.Il ricorso è inammissibile sia per genericità che per manifesta infondatezza.
2. Giova rammentare che, secondo i principi consolidati della giurisprudenza di legittimità, i motivi di ricorso per cassazione possono riprodurre totalmente o parzialmente quelli di appello ma solo entro i limiti in cui ciò serva a documentare il vizio enunciato e dedotto, con autonoma, specifica ed esaustiva argomentazione (Sez. 6, n. 34521 del 27/06/2013, Rv.256133).
In linea generale si osserva che la funzione tipica dell'impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce che si realizza attraverso la presentazione di motivi i quali, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.) debbono indicare specificatamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
Contenuto essenziale dell'atto di impugnazione è, pertanto, indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con la specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta.
Il motivo di ricorso in cassazione, poi, è caratterizzato da una duplice specificità. Esso, oltre ad essere conforme all'art. 581 lett. c) cod. proc. pen., quando «attacca» le ragioni che sorreggono la decisione deve, altresì, contemporaneamente enucleare in modo specifico il vizio denunciato, in modo che sia chiaramente sussumibile fra i tre, soli, previsti dall'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., deducendo poi, altrettanto specificamente, le ragioni della sua decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice del merito per giungere alla deliberazione impugnata, sì da condurre a una decisione differente (Sez. 6, n. 8700 del 21 gennaio 2013, Rv. 254585).
3. Orbene, nel caso in esame i motivi di ricorso sono già proposti con l'atto di appello e riprodotti pedissequamente in questa sede, in assenza di una censura argomentata alle ragioni contenute nella decisione impugnata.
4. Inoltre i predetti motivi poggiano su considerazioni di mero merito, non scrutinabili in sede di legittimità, a fronte della completezza e della tenuta logica - giuridica dell'apparato argomentativo posto a supporto della sentenza impugnata.
Va rammentato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 4, n. 31224 del 16/06/2016).
Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l'illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le incongruenze logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché - come nel caso in esame - siano spiegate, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento (per tutte, Sez. Un. n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
5. Ciò premesso, i primi tre motivi vengono esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi.
6. Osserva il Collegio che la Corte distrettuale ha evidenziato, con argomentazioni logiche e coerenti, che il cedimento della struttura di protezione che non ha quantomeno impedito la rovinosa caduta al suolo del lavoratore P. V., è conseguenza diretta ed immediata della oggettiva assenza delle necessarie caratteristiche di solidità e di robustezza.
E' stato infatti precisato che, in occasione del sopralluogo eseguito dal personale specializzato dello Spesai, le cui valutazioni sono state ritenute ineccepibili anche perché oggettivamente riscontrate dai reperti fotografici in atti, è emerso che la predetta struttura, costituita da un parapetto a protezione del bordo esterno del solaio, risultava realizzata con travi di legno appoggiate longitudinalmente su alcuni pilastrini metallici posti tra loro ad una distanza di oltre tre metri, superiore a quella massima prescritta di m. 1,8 sì da ridurre sensibilmente la solidità e resistenza in caso di impatto. Inoltre le travi non erano adeguate, presentando numerosi punti di fragilità con crepe che ne riducevano fortemente la solidità e tenuta complessiva.
Si è così correttamente riscontrata a carico di T.A. la violazione, tra l'altro, delle regole cautelari di cui agli artt. 112, 148 e 159 del d.lgs.vo n. 81 del 2008 che impongono sia l'allestimento di tutte le opere provvisionali con "buon materiale e a regola d'arte" al fine di prevenire le possibili cadute accidentali al suolo dei lavoratori che l'obbligo di verifica della staticità di esse. Ed ancora, è stata fondatamente esclusa, con ampie e logiche argomentazioni, la sussistenza di cause sopravvenute idonei ad escludere il nesso causale tra la condotta tenuta dal T.A. e l'evento lesivo, risultando peraltro indimostrati sia l'asserito malessere del P., avviato al lavoro senza il giudizio di idoneità sanitaria, che il dedotto comportamento imprudente addebitato al predetto.
Si rammenta, in proposito, che le cause sopravvenute idonee ad escludere il rapporto di causalità a norma dell'art. 41, comma 2, cod.pen., sono solo quelle che innescano un processo causale completamente autonomo rispetto a quello determinato dalla condotta dell’agente o quelle che, pur inserite nel processo causale ricollegato a tale condotta, si connotano per l’assoluta anomalia ed eccezionalità, collocandosi al di fuori della normale, ragionevole probabilità (Sez. 4, n. 53541 del 26/10/2017, Rv. 271846). È dunque necessario, per interrompere il nesso causale, che esse siano caratterizzate da un percorso causale completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale, ossia di un evento che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta (Sez. 2, n. 17804 del 18/03/2015, Rv. 263581; Sez. 4, n. 43168 del 21/06/2013, Rv. 258085; Sez. 4, n. 10626 del 19/02/2013, Rv. 256391).
Inoltre gli esiti degli accertamenti medici - legali hanno chiarito l'ininterrotta continuità fenomenica tra l'evento traumatico costituito dall'infortunio sul lavoro e le lesioni verificatesi nonché tra queste e le complicanze settiche frequenti nei soggetti politraumatizzati e a lungo ospedalizzati nei reparti di terapia intensiva e l'exitus.
7. Con riguardo al quarto motivo, si osserva che la Corte distrettuale ha ridotto la pena inflitta in primo grado al T.A. al fine di adeguarla all'effettivo disvalore del fatto, ritenendo, con argomentazioni congrue, insussistenti i presupposti per pervenire ad un giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulla aggravante contestata.
8. Ed ancora, quanto al quinto motivo, la Corte distrettuale ha congruamente motivato in ordine alla determinazione del quantum della provvisionale.
9. Per completezza si evidenzia, infine, che, secondo la giurisprudenza di legittimità (Sez. 4, n. 54991 del 24/10/2017) il vizio di travisamento della prova nel caso, come quello in esame, in cui i giudici delle fasi di merito siano pervenuti a decisioni conformi, può essere dedotto solo nel caso in cui la Corte distrettuale, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia, il che non è stato neppure prospettato dalla parte ricorrente.
10. L'inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende nonché alla rifusione delle spese in favore delle costituite parti civili, che liquida in complessivi euro 3.000,00, oltre accessori di legge.
 

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese in favore delle costituite parti civili, che liquida in complessivi euro 3.000,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 05/04/2019