Cassazione Penale, Sez. 4, 31 luglio 2019, n. 34888 - Caduta di un cancello carrabile sulla gamba del soggetto non autorizzato in cantiere. Responsabilità del CSE


 

Presidente: IZZO FAUSTO Relatore: PEZZELLA VINCENZO Data Udienza: 29/05/2019

 

Fatto

 

1. La Corte di Appello di Lecce sezione distaccata di Taranto, pronunciando nei confronti dell'odierno ricorrente M.A., con sentenza del 24/10/2018, confermava la sentenza, appellata dall'imputato, emessa in data 17/1/2017 dal Tribunale di Teramo che lo aveva condannato, riconosciute le attenuanti generiche, alla pena di 300 euro di multa, con il beneficio della non menzione, con condanna al risarcimento del danno, in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separata sede, nonché al rimborso delle spese di parte civile, per il reato di cui reato di cui agli artt. 40 e 590, comma 3, cod. pen. perché, quale coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione, in relazione agli interventi edilizi di ristrutturazione e completamento di un immobile per civile abitazione di proprietà di F.G., cagionava per colpa le lesioni personali conseguenti all'infortunio occorso a B.L., specificamente la frattura della gamba sinistra con prognosi di giorni quaranta. In particolare, l'infortunio al B.L. si verificava a seguito della caduta di un cancello scorrevole montato sul suindicato cantiere e l'M.A., nella sopraindicata qualità di coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione, ometteva di verificare lo stato di avanzamento dei lavori all'interno del cantiere e l'applicazione da parte delle imprese esecutrici delle disposizioni loro pertinenti, omettendo di verificare la presenza tra le ditte in cantiere New Color di B.L., determinando così la presenza in cantiere di soggetti, quali il B.L., non autorizzati. Condotta questa violativa dell'art. 92, comma 1, lett. a) e b) D.Lgs. 81/2008, in quanto il piano di sicurezza e coordinamento predisposto non riportava i contenuti minimi previsti nell'allegato XV e lo stesso non era adeguato all'evoluzione dei lavori. In Martina Franca, l'11/9/2012.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, M.A., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
Con un primo motivo deduce vizio motivazionale assumendosi che il sinistro veniva causato da un'azione sabotativa di sconosciuti che dissaldavano le piastrine di sicurezza, apposte per bloccare i cancelli ai binari.
Il ricorrente ritiene che in dibattimento sia stata provata la circostanza che i cancelli fossero bloccati ai binari. Pertanto la caduta del cancello - si sostiene- venne causata dall'opera di terzi estranei e non dall'omessa vigilanza del cantiere.
La motivazione resa sul nesso causale sarebbe contraddittoria in quanto riconduce l'evento, in rapporto di causa-effetto, con l'inadempimento amministrativo.
Si lamenta la carenza del rapporto di casualità tra l'adeguamento del piano di sicurezza e l'infortunio realizzatosi.
Si censura, poi, per inconferenza, la motivazione dell'impugnata sentenza, laddove nel ragionamento sul nesso causale per giustificare il ricondursi dell'incidente all'omissione contenuta nel piano di sicurezza fa riferimento al caso di un incidente stradale causato dal mancato rispetto di un segnale di stop
Con un secondo motivo si deduce violazione di legge in relazione all'articolo 40 cpv. cod. pen. con riferimento agli art. 42 e 43 cod. pen. 92 co. 1 lett. A) e b) D.Lgs. 81/2008, e si sostiene l'insussistenza della posizione di garanzia in capo al coordinatore della sicurezza in fase esecutiva.
La corte di appello - è la tesi proposta- avrebbe confuso la posizione di garanzia del coordinatore della sicurezza in fase esecutiva con quella del datore di lavoro e dei suoi preposti ai controlli.
Nel corso dei giudizi di merito sarebbe emerso, secondo la tesi difensiva, che l'M.A. assolse diligentemente le proprie funzioni e, pertanto, allo stesso non sarebbe imputabile una condotta omissiva colposa.
Vengono richiamati i principi affermati da questa Corte di legittimità, nonché alcune decisioni di merito in relazione alla responsabilità del coordinatore la cui funzione sarebbe quella di coadiuvare le attività delle singole ditte per evitare rischi interferenziali. Si aggiunge che, ove vi fosse, per lo stesso, un dovere di continua vigilanza sulla regolarità di attrezzature e impianti, nonché sulla corretta conduzione delle lavorazioni e sull'utilizzo dei dispositivi salvavita, non si comprenderebbe perché la sua figura sia prevista solo in caso di presenza di più imprese nel cantiere.
La corte di appello avrebbe erroneamente valutato la diligenza dell'odierno ricorrente nell'attuazione dei suoi compiti e, quindi, il numero di sopralluoghi effettuati durante le lavorazioni critiche.
Vengono descritti i compiti di alta vigilanza spettanti al coordinatore della si-curezza, evidenziando che il rispetto delle previsioni del piano di sicurezza va svolto in concreto, come sarebbe avvenuto nel caso che ci occupa, da parte dell'M.A. che, al momento della installazione dei cancelli, si assicurava che gli stessi fossero in sicurezza.
Si evidenzia poi l'imprudenza del lavoratore che pur avvedendosi che il cancello non era più in sicurezza omise di avvisare il CSE e il committente senza allontanarsi nonostante il pericolo percepito e toccando incautamente il cancello, lo stesso gli cadde addosso.
L'imprudenza avrebbe interrotto il nesso di causalità tra la condotta omissiva contestata all'imputato e l'evento verificatosi.
Il comportamento del lavoratore viene definito anomalo e imprevedibile perché assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite.
Sarebbe, infatti, assolutamente eccezionale e imprevedibile che un appaltatore, non autorizzato dal CSE a lavorare nel cantiere, non avverta il committente, l'appaltante, il CSE o le autorità dell'imminente pericolo riscontrato sul luogo di lavoro.
Con un terzo motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione nella valutazione della deposizione di T.F..
Il ricorrente si duole dell'errata e carente valutazione dell'attendibilità del teste.
Lo stesso teste avrebbe affermato che i cancelli nell'ultimo periodo di lavoro erano sempre aperti, senza precisare da quale giorno e fino a quando, pur risultando che lo stesso testimone non si recò mai nel cantiere in quanto titolare dell'impresa appaltatrice dell'impianto ascensori e, quindi, non presente in cantiere.
A sostegno del giudizio di inattendibilità sarebbe stata rilevata, già nell'atto di appello, l'inspiegabilità dell'omessa denuncia, da parte del teste, alla committenza o al CSE che i cancelli erano aperti e instabili.
Si sarebbe inoltre evidenziato l'interesse del teste T.F. a scaricare la re-sponsabilità dell'apertura non autorizzata dei cancelli sul CSE.
Con un quarto motivo di ricorso si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'alt. 131 bis cod. pen.
Ci si duole della mancata esclusione di punibilità per particolare tenuità del fatto.
Ricordati i criteri cui la giurisprudenza di questa Corte di legittimità ancora il riconoscimento della causa di non punibilità ex art. 131bis cod. pen., il ricorrente deduce che la Corte territoriale non ne avrebbe fatto buon governo.
La particolare tenuità dell'offesa - secondo la tesi proposta in ricorso- sarebbe desumibile da elementi oggettivi e soggettivi come: le modalità, il luogo, il tempo e la natura dell'azione, sulla quale non vi è alcuna traccia di motivazione, l'esiguità del danno e l'intensità del dolo o il grado della colpa che sarebbe minimo se non addirittura insussistente.
Inoltre anche la concessione delle attenuanti generiche in primo grado dimo-strerebbe la tenuità dell'offesa e l'esiguità dei danni.
Tra l'altro, continua il ricorrente, il tribunale applicava la pena pecuniaria, ir-rogando una multa modesta proporzionata alla lieve offesa e negando la provvisionale alla parte civile.
Con un quinto motivo di ricorso si chiede la sospensione della provvisoria ese-cuzione della condanna civile ex art. 612 cod. proc. pen. 
Il ricorrente chiede la sospensione dell'esecuzione della condanna al risarcimento del danno da quantificarsi in sede civile e al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile perché eccessive, sproporzionate e non provate.
Si assume che dall'esecuzione l'M.A. riporterebbe un danno grave ed irreparabile.
Si evidenzia la necessità di accertare l'eventuale responsabilità civile nel corso di un giudizio civile.
Chiede, pertanto, l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, con i provvedimenti consequenziali e la sospensione dell'esecuzione della condanna civile in pendenza del presente ricorso.
 

 

Diritto

 


1. I motivi sopra illustrati appaiono manifestamente infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato o inammissibile. Ed invero, il ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, si è nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata che in questa sede non viene in alcun modo sottoposta ad autonoma ed argomentata confutazione. Ed è ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell'art. 591 comma 1, lett. c) cod. proc. pen., alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso Sez. 2, n. 29108 del 15/7/2011, Cannavacciuolo non mass.; conf. Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 3/7/2007, Scicchitano, Rv. 236945; sez. 1, n. 39598 del 30/9/2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, Palma, Rv. 221693). E ancora di recente, questa Corte di legittimità ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (^7 n. 44882 del 18/7/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608). 
2. Il ricorrente, dunque, ripropone tout court gli stessi motivi di appello sui quali la corte di appello ha fornito esaustiva motivazione, senza confrontarsi criticamente con il percorso motivazionale del provvedimento impugnato, che appare privo di aporie logiche e corretto in punto di diritto.
I fatti sono stati ricostruiti in sentenza dal giudice di primo grado. E peraltro non sono contestati.
L'attività istruttoria espletata ha consentito di accertare, alla luce degli accertamenti degli ispettori del dipartimento di prevenzione degli infortuni, della deposizione della parte civile e di quella di L.F., intervenuto sul posto subito dopo l'infortunio, che, in data 11.9.2012, a Martina Franca, presso il cantiere di Via Pietro del Tocco 45, B.L. è stato vittima di un infortunio sul lavoro. Mentre usciva dal cantiere, ha tentato di aprire un cancello carrabile ma questo gli è caduto addosso, provocandogli la frattura della gamba sinistra.
Ciò è accaduto in quanto il cancello carrabile era privo di motore.
Il motore, secondo quanto accertato dagli ispettori dello Spesai e secondo quanto riferito dall'installatore, blocca il cancello, il quale, per l'effetto, non può fuoriuscire dai binari di scorrimento. In mancanza di motore, il cancello è instabile e quindi soggetto a cadere, fuoriuscendo dai binari. Per evitare tale evento, l'installatore, C.A., aveva saldato delle piastrine che tenevano bloccato il cancello. Il cancello, in tal modo, era in assoluta sicurezza.
Naturalmente, in questa situazione, privo di motore, il cancello era inutilizzabile, non potendo muoversi sui binari e non potendo, quindi, essere aperto. L'11.9.2012 qualcuno, allora, senza alcuna autorizzazione, ha dissaldato le piastrine alfine di poter aprire il cancello; il cancello è infatti stato aperto e gli operai hanno utilizzato quell'accesso carrabile per entrare e uscire dal cantiere. Lo stesso B.L. ha dichiarato di avere trovato il cancello aperto, sia alle ore 8.00, che alle ore 14.00. È accaduto che, nel primo pomeriggio di quella giornata, è sopraggiunta la pioggia: pertanto tutti gli operai che stavano lavorando all'esterno sono andati via; qualcuno ha quindi socchiuso il cancello, senza metterlo in sicurezza, posto che le piastrine erano state dissaldate.
In cantiere sono rimasti solo pochi operai che lavoravano al chiuso ed ai quali la pioggia non arrecava alcun disturbo. Tra questi vi era il B.L., il quale, intorno alle 15.00, ha deciso di uscire dal cantiere. Ha trovato il cancello carrabile socchiuso ed ha provato ad aprilo, finendo con l'essere schiacciato dallo stesso.
3. L'odierno ricorrente M.A. era il coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione. Anche tale circostanza - come ricordano i giudici di merito- non è controversa in quanto accertata dagli ispettori e non disconosciuto stesso imputato. Del resto M.A., in tale veste, ha sottoscritto il piano di sicurezza e coordinamento e ne ha curato i successivi aggiornamenti: ai sensi, infatti, dell'art. 91, comma 1, lett. a), D. Lgs. 81/08, il coordinatore per la progettazione redige il piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'articolo 100, comma 1.
All'odierno ricorrente, in particolare, è contestata la violazione dell’art. 92, comma 1, lett. a) e b) del D.Lgs. 81/08, per il quale "durante la realizzazione dell'opera, il coordinatore per l'esecuzione dei lavori: a) verifica, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l'applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'articolo 100 ove previsto e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro; b) verifica l'idoneità del piano operativo di sicurezza, da considerare come piano complementare di dettaglio del piano di sicurezza e coordinamento di cui all'articolo 100, assicurandone la coerenza con quest'ultimo, ove previsto, adegua il piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'articolo 100 ove previsto, e il fascicolo di cui all'articolo 91, comma 1, lettera b), in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, valutando le proposte delle imprese esecutrici dirette a migliorare la sicurezza in cantiere, verifica che le imprese esecutrici adeguino, se necessario, i rispettivi piani operativi di sicurezza".
I giudici di merito hanno convenuto sul fatto che il piano di sicurezza redatto da M.A. non fosse idoneo a prevenire o ridurre i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, come previsto dall'art. 100 D.Lgs. 81/08.
Il piano di sicurezza originario, infatti, non prevedeva alcuna specificazione in ordine al funzionamento dei cancelli carrabili ed ai rischi inerenti agli stessi. Il che era anche giustificato posto che, al momento della redazione del piano, i cancelli carrabili, all'evidenza, non erano stati ancora installati.
Il piano di sicurezza è tuttavia diventato inidoneo allo scopo nel momento della installazione di tali cancelli. L'apposizione della mera struttura metallica, in assenza dei motori che ancoravano definitivamente i cancelli ai binari, aveva cagionato il rischio assai concreto di caduta del cancello e perciò il piano di sicurezza avrebbe dovuto rappresentare tale rischio e prevedere misure di precauzione volte a prevenirlo.
Non a caso, come si legge nella sentenza di primo grado, dopo l'incidente e a seguito delle prescrizioni impartite dagli ispettori del lavoro, M.A. ha provveduto ad aggiornare il piano di sicurezza. E nella relazione è stato espressamente previsto che i cancelli carrabili dovessero essere tenuti permanentemente chiusi con staffe di ritegno saldate ai binari di scorrimento sino alla completa esecuzione e posa in opera alla regola dell'arte e collaudo degli stessi, completi di automatismi e meccanismi di sicurezza come previsto dalla normativa in materia. Ed è stato ulteriormente precisato che tali aree dovevano essere segnalate e recintate quale misura preventiva atta ad evitare eventuali manomissioni ed intrusioni da parte di non autorizzati.
M.A., quindi, solo dopo il sinistro, ha avuto cura di prevedere l'espresso divieto di utilizzo del cancello carrabile fino al collaudo dello stesso, ossia fino al completamento dell'opera mediante l'apposizione del motore.
Dal momento dell'Installazione dei cancelli carrabili (senza motore) al momento dell'incidente occorso a B.L. tale prescrizione non c'era. Questa è stata, secondo la concorde valutazione dei giudici di merito - le cui sentenze, trattandosi di doppia conforme affermazione di responsabilità, vanno a saldarsi in un tutt'uno- l’omissione in cui è incorso l'odierno ricorrente.
La Corte tarantina ha precisato che l'avvenuta rimozione delle piastre che bloccavano i cancelli, ad opera di chi era sul cantiere, è stata determinata proprio dall'erroneo convincimento che potessero essere rimosse senza rischio, dal momento che il piano coordinato della sicurezza in fase di esecuzione non ne vietava la rimozione.
4. L'M.A., secondo le conclusioni cui sono pervenuti i giudici di merito, è poi incorso nell'ulteriore omissione contestatagli, secondo cui egli avrebbe omesso di accertare la corretta applicazione del piano di sicurezza e coordinamento da parte delle ditte presenti in cantiere.
Premesso che il piano, di per sé, come ricordato, era inidoneo a prevenire i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, l'eventuale condotta di controllo della corretta applicazione da parte delle ditte presenti sul cantiere avrebbe comunque potuto ridurre tali rischi, facendo rispettare la prescrizione di non rimuovere le piastre dai cancelli, anche se non era stata formalizzata nel piano di sicurezza.
Ed invece, neppure tale attività di vigilanza c'è stata.
Sul punto, già il giudice di primo grado aveva evidenziato l'inattendibilità di quanto dichiarato da M.A. nel corso del suo esame, secondo cui egli, in sostanza, non avrebbe potuto accertare che le ditte presenti in cantiere applicassero correttamente il piano di sicurezza poiché neppure era stato informato della presenza sui luoghi di lavoro della ditta TECTORIUM di P.B. e della NEW COLOR dell'infortunato B.L.. Tale affermazione, infatti, come ricorda il giudice di primo grado, è stata sconfessata da Francesco T.F., titolare della ditta GT Ascensori, il quale ha dichiarato che aveva informato l'odierno ricorrente della presenza in cantiere della ditta TECTORIUM di P.B., cui aveva subappaltato l'attività di tinteggiatura dei vani ascensori. Il T.F., inoltre, ha dichiarato che, negli ultimi giorni, più volte aveva visto che i cancelli carrabili erano aperti.
La deposizione di T.F., secondo il coerente argomentare dei giudici di merito, è stata ritenuta certamente attendibile. Ciò sul rilievo che si tratta innanzitutto di un teste a discarico, quindi il cui ascolto è stato invocato dallo stesso imputato. Ma, soprattutto, perchè la sua deposizione è stata lineare, né egli aveva interessi di sorta a fornire ricostruzioni dei fatti differenti da quelle reali.
Il fatto che, in più occasioni, i cancelli carrabili siano stati aperti denota per i giudici di merito che M.A. non ha neppure controllato che le ditte presenti in cantiere evitassero di "sabotare" la messa in sicurezza dei cancelli posta in essere da parte dell'C.A..
5. La pronuncia impugnata fa buon governo della giurisprudenza di questa Corte di legittimità circa il ruolo, i compiti e le responsabilità del coordinatore per l'esecuzione dei lavori, di recente compendiati nell'arresto costituito da Sez. 4, n. 27165 del 24/5/2016, Battisti, Rv. 267735.
Questa Corte di legittimità, con una serie di sentenze concordanti (17631/2009, 38002/2008, 24010/2004, 39869/2004) ha stabilito una responsabilità del coordinatore per l'esecuzione in quanto garante della sicurezza dei lavoratori nel cantiere ed ha specificato che si tratta di una posizione di garanzia che si affianca, in modo autonomo e indipendente, a quella del datore di lavoro e del committente. Anche se - è stato ulteriormente precisato- il coordinatore per l'esecuzione non è il controllore del datore di lavoro, ma il gestore del rischio interferenziale.
In tema di infortuni sul lavoro, il coordinatore per l'esecuzione dei lavori - è stato più volte precisato- oltre ai compiti che gli sono affidati dall'art. 5 del D.Lgs. n. 494 del 1996, ha una autonoma funzione di alta vigilanza circa la generale configurazione delle lavorazioni che comportino rischio interferenziale, ma non è tenuto anche ad un puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, che è invece demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto), salvo l'obbligo, previsto dall'art. 92, lett. f), del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, di adeguare il piano di sicurezza in relazione alla evoluzione dei lavori e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate.
6. Va evidenziato che, nel caso che ci occupa, già il giudice di primo grado si era correttamente preoccupato di verificare se le disposizioni rimaste inosservate fossero state previste dal legislatore al fine di prevenire infortuni quali quello occorso al B.L.; e poi, da ultimo e in ogni caso, se l'omissione contestata fosse stata causa dell'evento o se vi fossero state cause sopravvenute da sole sufficienti a causare l’evento, interrompendo il nesso di causalità fra le supposte omissioni dell'M.A. e l'infortunio al B.L..
Ciò nel solco della consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo cui può essere ascritto all'autore a titolo di colpa non qualsiasi evento riconducibile causalmente alla condotta trasgressiva ma solo quello evitabile con la condotta non trasgressiva. Si tratta, in altri termini, di accertare il rapporto di causalità tra la condotta colposa e l'evento, verificando la sussumibiità dell'evento determinato dalla condotta trasgressiva di una regola cautelare nel novero di quegli eventi che la stessa norma mirava a scongiurare.
Si tratta del principio della c.d. causalità della colpa, come ricordano i giudici di merito, più volte spiegato da Corte di legittimità nel senso che: "il rimprovero colposo deve riguardare la realizzazione di un fatto di reato che poteva essere evitato mediante l'esigibile osservanza delle norme cautelari violate. Dal che si profila il versante più oggettivo della colpa, nel senso che, per potere affermare una responsabilità colposa, non è sufficiente che il risultato offensivo tipico si sia prodotto come conseguenza di una condotta inosservante di una determinata regola cautelare ... ma occorre che il risultato offensivo corrisponda proprio a quel pericolo che la regola cautelare violata intendeva fronteggiare. Occorre, cioè, che il risultato offensivo sia la concretizzazione dei pericolo preso in considerazione dalla norma cautelare; ovvero, in altri termini, che l'evento lesivo rientri nella classe di eventi alla cui prevenzione era destinata la norma cautelare. Si evidenzia così la cd. causalità della colpa e cioè il principio secondo cui il mancato rispetto della regola cautelare di comportamento da parte di uno dei soggetti coinvolti in una fattispecie colposa non è di per sé sufficiente per affermare la responsabilità di questo per l'evento dannoso verificatosi, se non si dimostri l'esistenza in concreto del nesso causale tra la condotta violatrice e l'evento" (così, ex multis, questa Sez. 4, n. 38786 del 22/9/2011, Michelini, non mass.).
Nel caso in esame, la risposta per i giudici di merito è certamente positiva poiché l'obbligo di curare la redazione del piano di sicurezza e l'aggiornamento dello stesso in relazione all'avanzamento dei lavori ha proprio il fine di preservare la sicurezza dei luoghi di lavoro.
L'omissione dell'aggiornamento alla luce della sopravvenienza di nuove fonti di pericolo incrementa in maniera esponenziale il rischio di infortuni, posto che i lavoratori non sono messi nelle condizioni di conoscere i pericoli derivanti dalla propria attività e dalle fonti di pericolo presenti in cantiere.
In altri termini, se M.A. avesse curato per tempo l'aggiornamento del piano di sicurezza e coordinamento con la prescrizione di tenere i cancelli carrabili permanentemente chiusi con staffe di ritegno saldate ai binari di scorrimento sino alla completa esecuzione e posa in opera alla regola dell'arte e collaudo degli stessi e con l'ulteriore prescrizione di tenere tali aree segnalate e recintate quale misura preventiva atta ad evitare eventuali manomissioni ed intrusioni da parte di non autorizzati, nessuno avrebbe potuto rimuovere i fermi dal cancello, se non con la consapevolezza di violare le prescrizioni del piano di coordinamento e sicurezza. Del pari, la previsione legislativa che impone al coordinatore per la sicurezza di controllare il rispetto delle norme di sicurezza e, quindi, l'applicazione delle misure di prevenzione previste (o che dovevano essere previste) nel piano di sicurezza e coordinamento ha lo scopo di prevenire gli infortuni dipendenti dalla violazione di tali previsioni di sicurezza.
La causalità tra colpa ed evento, quindi, sussiste.
7. Anche sotto il profilo dell'accertamento del nesso di causalità di cui all'art. 40 cpv. cod. pen. che, va ricordato, si somma, rimanendone distinto, a quello della causalità della colpa di cui ci si è appena occupati, la verifica operata dai giudici di merito appare correttamente compiuta.
Tale nesso causale può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica (universale o statistica), si accerti che, ipotizzandosi come realizzata la condotta doverosa impeditiva dell'evento hic et nunc, questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.
Questa Corte di legittimità ha anche ormai da tempo chiarito che non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell'ipotesi accusatoria sull'esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell'evidenza disponibile, così che, all'esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l'interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica.
L'insufficienza, la contraddittorietà e l'incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base all'evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell'evento lesivo, comportano la neutralizzazione dell'ipotesi prospettata dall'accusa e l'esito assolutorio del giudizio.
Anche la risposta a tale quesito, fornita dai giudici di merito con motivazioni prive di aporie logiche che si integrano perfettamente, è stata positiva, nel senso di dovere ritenere sussistente tale nesso di causalità.
L'M.A., secondo le conclusioni dei giudici pugliesi, non ha vigilato in ordine al rispetto delle norme di sicurezza, posto che, secondo quanto riferito da T.F., i cancelli carrabili negli ultimi giorni prima del sinistro erano aperti.
L'omissione dell'odierno ricorrente, quindi, non è stata occasionale ma reiterata nel periodo indicato da T.F.. E perciò, se egli avesse vigilato, si sarebbe accorto della manomissione dei cancelli (o, per quanto qui rileva, se ne sarebbe dovuto accorgere, alla luce della sua perizia ed esperienza), sarebbe intervenuto e i cancelli carrabili non sarebbero rimasti (per più giorni) aperti in quelle condizioni di assoluta pericolosità. Di conseguenza, con alto o elevato grado di credibilità razionale, il cancello non sarebbe caduto sul B.L..
Per i giudici di merito, peraltro, tali conclusioni non risultano scalfite dalla circostanza per la quale M.A. non fosse stato informato della presenza di B.L. in cantiere e del fatto che gli fosse stato subappaltato il lavoro di tinteggiatura del vano ascensore. Ciò sul corretto presupposto per il quale le norme di prevenzione violate dall'odierno ricorrente sono poste a presidio di chiunque possa incorrere in incidenti in presenza di un cantiere e non soltanto di coloro della cui assunzione sia stata data notizia al responsabile della sicurezza.
Come chiarito dall'art. 1, comma 1, lett. a), il "lavoratore" cui si riferiscono le previsioni di cui al D. Lgs. 81/08 in tema di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro è la "persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un'attività lavorativa nell'ambito dell'organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un'arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari".
Sotto il profilo strettamente formale, quindi, nessuna norma impone che il lavoratore tutelato dal testo unico in commento sia solo quello il cui nominativo sia stato comunicato al responsabile della sicurezza. Sotto il profilo sostanziale, come rilevano i giudici di merito, va aggiunto che la mancata conoscenza dell'M.A. della presenza in cantiere di B.L. non ha in alcun modo influito sulla propria condotta colposa e sul corso degli eventi, posto che quanto accaduto alla persona offesa sarebbe potuto capitare a qualunque dei lavoratori presenti in cantiere. In altri termini, il corso degli eventi non avrebbe avuto modifiche di sorta se pure M.A. fosse stato informato della presenza in cantiere del B.L.. 
Peraltro, come si ricorda nel provvedimento impugnato è stato lo stesso odierno ricorrente ad affermare che i datori di lavoro avrebbero, com'è logico che sia, dovuto attuare le prescrizioni di sicurezza ed antinfortunistiche da lui previste nel piano coordinato della sicurezza in fase di esecuzione e che, tra esse, non vi fosse quella di far permanere il blocco dei cancelli mediante le relative piastre (fintanto che fossero privi di motori).
Orbene, conclusivamente, con motivazione priva di aporie logiche, la Corte tarantina evidenzia che proprio tale carenza, direttamente imputabile al prevenuto, deve ritenersi all'origine dell'accaduto: essendosi evidentemente ritenuto (da parte di chi era sul cantiere) potersi rimuovere dette piastre senza rischio alcuno (proprio perché tanto non. era vietato dal detto piano).
Trattasi di condotta che è stata conseguentemente ritenuta eziologicamente determinante e gravemente colposa, anche a prescindere, poi, dalla circostanza, chiaramente emersa dalla deposizione del predetto T.F. (che, pur asserendo di non esser molto presente in cantiere, ha dichiarato che comunque vi ci si recasse talvolta), che nell'ultimo periodo lavorativo i cancelli, anche quelli carrabili, fossero comunque generalmente aperti (il che non può essere sfuggito, evidentemente, a chi assume esservisi recato sino al giorno prima dell'infortunio, come si dice in appello): che configura ulteriore condotta colposa in capo all'M.A. (a prescindere da quelle concorrenti di altri).
Del tutto infondata appare l'unica concreta censura alla motivazione della sentenza impugnata laddove ricorre all'esempio dell'incidente stradale soltanto per spiegare che l'eventuale sanzione amministrativa per il mancato aggiornamento del piano di sicurezza non esclude la responsabilità penale, ma, anzi, la rafforza.
In relazione alla pretesa inattendibilità del teste T.F., dal momento che lo stesso non lavorava in cantiere, ma nel suo ufficio, la sentenza impugnata evidenzia che lo stesso teste dichiara di essersi recato solo qualche volta e di non essere molto presente in cantiere.
Logica appare anche la motivazione resa sull'esclusione dell'esistenza di una condotta gravemente imprudente del lavoratore, richiamando i principi affermati da questa Corte in materia di comportamento abnorme del lavoratore.
8. Manifestamente infondato, oltre che meramente ripropositivo, è anche il profilo di doglianza che attiene al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'alt. 131bis cod. pen., negata dai giudici del gravame del merito in ragione della considerazione che il fatto non possa considerarsi assolutamente di modesta gravità, sia per le conseguenze effettivamente determinatesi (ovvero la frattura di una gamba con 40 giorni di prognosi), sia per quelle che avrebbero potuto esserci (e, dunque, per l'estrema pericolosità della situazione, che avrebbe potuto comportare conseguenze ben più gravi in capo alla persona offesa e/o ad ulteriori persone), sia, infine, per la molteplicità delle violazioni (a monte, in relazione al piano di sicurezza, e a valle, consentendosi la plurima pericolosa apertura dei cancelli).
La sentenza, dunque, si colloca nell'alveo del dictum delle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo (Sez. Un. n. 13681 del 25/2/2016, Tushaj, Rv. 266590).
9. Va detto che la richiesta di sospensione dell'esecutività delle statuizioni civili avanzata nell'interesse dell'odierno ricorrente è stata valutata in uno con la presente decisione, ed assorbita da questa, dovendosi peraltro rilevare che la richiesta in questione era del tutto generica ed aspecifica.
E' pacifico il dictum di questa Corte secondo cui, ai fini dell’accoglimento da parte della Corte di cassazione della richiesta di sospensione dell'esecuzione della condanna civile (art. 612 cod. proc. pen.), l'istante deve fornire la prova dell'esistenza di un "danno grave ed irreparabile" derivante da tale esecuzione (cfr. la recente Sez. 4, n. 53455 del 15/11/2018, Castellano ed altri, in motivazione, Rv. 274500; conf. Sez. 4, ord. n. 1813 del 4/10/2005, Mastropasqua, Rv. 233180). E che, in particolare, l'accoglimento della richiesta di sospensione dell’esecuzione della condanna civile al pagamento di una somma di denaro postula la prova, ad onere dell’Interessato, dell'assoluta necessità della somma stessa al soddisfacimento di bisogni essenziali non altrimenti fronteggiabili (Sez. 2, n. 4188 del 14/10/2010 dep. il 2011, Manganello, Rv. 249401).
In particolare, ai fini della sospensione dell'esecuzione della condanna civile in pendenza di ricorso per cassazione, il requisito del grave ed irreparabile danno può essere ravvisato anche in riferimento all'esecuzione che ha ad oggetto beni fungibili, in particolare somme di denaro, quando l'importo da pagare è in assoluto tanto elevato da incidere sensibilmente sullo stato economico di qualunque persona, ovvero quando esso risulta elevato se commisurato al patrimonio complessivo dell'obbligato, patrimonio da valutare anche nella prospettiva degli incrementi futuri conseguenti allo svolgimento dell'attività lavorativa o di qualsiasi attività lucrativa (Sez. 4, ord. n. 40075 del 08/05/2015, Montermini ed altri, Rv. 264513). In tali casi, ai fini della prova dell'esistenza di un "danno grave ed irreparabile" è onere dell'istante dimostrare che la somma da versare in esecuzione della condanna abbia un'incidenza rilevante sul proprio patrimonio, non potendosi ritenere grave ed irreparabile il danno solo in base alla effettiva considerazione della elevata entità della somma (Sez. 4, n. 51194 del 24/09/2015, D'amico, Rv. 265411).
L’accoglimento della richiesta di sospensione dell’esecuzione della condanna civile al pagamento di una somma di denaro postula la prova, ad onere dell’interessato, dell’assoluta necessità della somma stessa al soddisfacimento di bisogni essenziali non altrimenti fronteggiabili (Sez. 4, ord. n. 45897 del 15/10/2015, Pautassi ed altri, Rv. 265032).
Va ricordato, conclusivamente sul punto, che costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha anche precisato che, ai fini dell’accoglimento della richiesta di sospensione dell’esecuzione della condanna civile al pagamento di una provvisionale è necessaria la ricorrenza di un pregiudizio eccessivo per il debitore, che può consistere nella distruzione di un bene non reintegrabile ovvero, se si tratta di somme di denaro, nel nocumento derivante dal palese stato di insolvibilità del destinatario della provvisionale, tale da rendere impossibile o altamente difficoltoso il recupero di quanto pagato, nel caso di modifica della condanna (così Sez. 5, n. 19351 del 18/12/2017 dep. il 2018, Zambrelli, Rv. 273202 in relazione ad una fattispecie in cui il ricorrente non aveva esposto, se non genericamente, le ragioni a sostegno della richiesta di sospensione, lamentando l’esistenza di un danno grave ed irreparabile in ragione dell’esiguità della pensione da egli percepita, non adempiendo all’onere probatorio richiesto; conf. Sez. 4, ord. n. 28589 del 2/2/2016, Masini, Rv. 267819).
In altri termini, la irreparabilità del danno per chi è chiamato a corrispondere una provvisionale può derivare o dalla circostanza che la somma di denaro liquidata sia particolarmente elevata in rapporto alla disponibilità dell'obbligato, sì che questi corra il rischio di essere privato di beni necessari per le sue esigenze esistenziali; o dalla circostanza che la futura insolvenza del creditore possa mettere in pericolo la possibilità di recupero della futura somma (vedasi al riguardo l'insegnamento di Sez. 4, ord. n. 40075 del 08/05/2015, Montermini e altri, Rv. 264513; Sez. 2, n. 4188 del 14/2010 dep. 2011, Manganello, Rv. 249401; Sez. 4, ord. n. 1813 del 04/10/2005 dep. 2006, Mastropasqua, Rv. 233180).
Tanto precisato, si osserva che in ordine alle capacità economiche delle parti civili, nulla di specifico veniva detto nell'atto di impugnazione proposto nell'interesse dell'imputato al fine di un giudizio sulla capacità risarcitoria delle stesse ove la condanna civile venisse a cadere.
10. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile B.L. che liquida come in dispositivo..
 

 

P.Q.M.
 

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile B.L. che liquida in complessivi euro 2500,00 oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 29 maggio 2019