Cassazione Civile, Sez. 6, 02 agosto 2019, n. 20827 - Divieto di cumulo tra due prestazioni: il presupposto è il medesimo evento invalidante


 

Presidente: DORONZO ADRIANA Relatore: DORONZO ADRIANA Data pubblicazione: 02/08/2019

 

 

Rilevato che:
la Corte d'appello di Bari ha confermato la sentenza resa dal Tribunale di Bari che aveva riconosciuto a D.A. l’assegno ordinario di invalidità con decorrenza dal 20/10/2008 e condannato l'Inps alla relativa erogazione.
Il giudice di secondo grado, nel respingere l’appello dell’Inps, ha affermato che le malattie da cui era affetto il ricorrente e per le quali era stata richiesta la prestazione («disturbo depressivo con iniziale deterioramento cognitivo in soggetto con esiti di pregresso ematoma subdurale post-traumatico operato. Pregresso TNP spontaneo. Poliartrosi», che secondo il consulente avevano ridotto a meno di 1/3 la capacità di lavoro del lavoratore) erano del tutto diverse rispetto a quelle conseguenti ad un infortunio sul lavoro occorso al lavoratore in data 1/6/2004 e per le quali questo aveva ottenuto dall’INAIL una rendita con decorrenza dal gennaio 2005, pari al 22%; ha pertanto ritenuto non operante il divieto di cumulo tra le due prestazioni ai sensi dell'art. 1 comma 43 L. n. 335 del 1995.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’inps, deducendo due motivi, cui ha resistito con controricorso il lavoratore.
La proposta del relatore sensi dell’articolo 380 bis, comma 2°, cod.proc.civ., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata.
 

 

Considerato che: 
l’Inps denuncia la violazione e falsa applicazione della L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 1, comma 43, e della L. 12 giugno 1984, n. 222, art. 1, nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione per le parti: il ricorrente deduce che, per la medesima patologia invalidante, il titolare della rendita INAIL non può percepire la prestazione di invalidità erogata dall'lNPS, conseguendo una duplicazione del trattamento economico per lo stesso evento riduttivo della capacità di lavoro, e ciò in forza del principio del divieto di cumulo stabilito dall’art. 1, comma 43, L. n. 335/1995.
Al riguardo osserva che il consulente tecnico d’ufficio aveva ritenuto che il complesso invalidante indicato derivasse per la gran parte dai postumi dell’infortunio sul lavoro, in conseguenza del grave trauma cranico encefalico subito e che lo stesso consulente aveva escluso la cumulabilità tra le due prestazioni. Sotto tale riguardo, la Corte aveva omesso l’esame di un fatto decisivo, costituito dalle conclusioni del CTU.
I motivi, che si affrontano congiuntamente, sono inammissibili.
La non cumulabilità delle pensioni di inabilità, di reversibilità o dell'assegno ordinario di invalidità a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, liquidati in conseguenza di infortunio sul lavoro o malattia professionale, è prevista dalla disposizione sopra richiamata, con la rendita INAIL che sia liquidata "per lo stesso evento invalidante".
In numerose decisioni (fra le tante, Cass. 21663/2008, oltre alle sentenze n. 5494/2006 e 24199/2004, citate nella sentenza impugnata) questa Corte ha chiarito che il presupposto del medesimo evento invalidante posto a base del divieto di cumulo in questione si verifica in situazioni di invalidità connotate da completa sovrapponibilità, allorché la prestazione a carico dell'INAIL e quella per l'inabilità pensionabile o per l'assegno di invalidità a carico dell'lNPS siano fondate sul medesimo quadro morboso, solo con riferimento a queste situazioni potendosi ipotizzare quella duplicazione di tutele con la quale si giustifica la scelta legislativa dell'approntamento di un unico intervento del complessivo sistema di sicurezza sociale (cfr. Cass. 21663/2008 e i precedenti ivi richiamati, in particolare Cass. 9 luglio 2003 n. 10810; da ultimo, Cass. 22/03/2016, n. 5636, e Cass. 3/5/2016, n. 8748).
Nei precedenti citati si sottolinea la «completa sovrapponibilità delle patologie»: in particolare, Cass. n. 2494/2006 (che rinvia a Cass. 9 luglio 2003 n. 10810) precisa che «La non cumulabilità delle pensioni di inabilità, di reversibilità o dell'assegno ordinario di invalidità a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, liquidati in conseguenza di infortunio sul lavoro o malattia professionale, è prevista dalla disposizione sopra richiamata con la rendita INAIL che sia liquidata "per lo stesso evento invalidante". E la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che tanto si verifica in situazioni di invalidità, connotate da completa sovrapponibilità, allorché la prestazione a carico dell'INAIL e quella per l'inabilità pensionabile o per l'assegno di invalidità a carico dell'lNPS siano fondate sul medesimo presupposto».
L’assunto dell’Inps muove invece dal diverso presupposto che, ai fini dell’operatività del divieto, non occorra una perfetta coincidenza di eventi invalidanti ma sia sufficiente una derivazione causale delle malattie poste a fondamento dell’assegno di invalidità rispetto a quelle per le quali è stata riconosciuta la diversa prestazione assicurativa: ma tale assunto contrasta con il tenore letterale della norma, nell’interpretazione consolidata di questa Corte secondo cui «perché operi il divieto di cumulo in esame, occorre che ci sia lo "stesso evento invalidante" quale cerniera tra le due prestazioni previdenziali, occorre cioè che l'inabilità conseguente a infortunio o malattia professionale, rilevante al fine di far insorgere il diritto alla rendita INAIL sia la stessa che abbia comportato la liquidazione di (analoga) prestazione previdenziale a carico dell'INPS: non esistendo una simile coincidenza di evento causale, il divieto di cumulo non può operare» (Cass. 9/7/2003, n. 10810).
A tali principi si è attenuto giudice del merito al quale non può essere mossa neppure la critica di omesso esame della consulenza tecnica d’ufficio, invece correttamente posta a base della sua decisione, dal momento che è lo stesso consulente tecnico d’ufficio a sottolineare come vi sia solo una parziale coincidenza tra le malattie, con ciò escludendosi la totale e completa sovrapponibilità dei due quadri morbosi.
Quanto ora rilevato esclude la sussistenza del denunziato vizio motivazionale, peraltro non idoneo a determinare la cassazione della decisione alla luce della attuale configurazione dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., applicabile ratione temporis in ragione della data di pubblicazione della sentenza di secondo grado, che richiede l'omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione.
La decisione impugnata, in quanto coerente con l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, deve essere confermata.
Consegue l'inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 360 bis cod.proc.civ. avendo il provvedimento impugnato deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della corte e l’esame dei motivi non offre elementi per mutare l’orientamento della stessa.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, disponendone la distrazione in favore dell’avvocato Francesco M. in virtù della dichiarazione resa ex art. 93 cod.proc.civ.
Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell’art. 13, comma 1, del d.p.r. 115/2002.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna l’Inps al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi € 2000,00 per compensi professionali e € 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario del 15% delle spese generali e agli altri accessori di legge, disponendone la distrazione in favore dell’avvocato Francesco M., anticipatario.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1, quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 16/4/2019