Cassazione Penale, Sez. 4, 04 settembre 2019, n. 36999 - Frana mortale durante i lavori di disarmo. Splateamento e sbancamento


 

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA Relatore: CENCI DANIELE Data Udienza: 10/04/2019

 

Fatto

 

 

 

l. La Corte di appello di Firenze il 14 dicembre 2017 ha integralmente confermato la sentenza emessa il 9 novembre 2016, all'esito del dibattimento, dal Tribunale di Pistoia, appellata dall'imputato, sentenza con cui A.G. è stato ritenuto responsabile del reato di omicidio colposo, con violazione della disciplina antinfortunistica, fatto commesso il 6 agosto 2009, e condannato alla pena di giustizia, oltre al risarcimento dei danni, in forma generica, a favore della parte civile I.N.A.I.L., con assegnazione di provvisionale.
2.1 I fatti, in estrema sintesi, come ricostruiti dai Giudici di merito.
2.1. F.L., lavoratore dipendente con mansioni di operaio della ditta "Fi.Fedi" s.r.l., il 6 agosto 2009 stava provvedendo, insieme al collega A.C., al "disarmo", cioè allo smontaggio di armature provvisorie - tavole di legno, di un muro in cemento armato alto 3,40 realizzato nell'ambito dei lavori di costruzione di un'abitazione bifamiliare: per fare ciò, i due erano scesi insieme nella "trincea" larga 120 centimetri compresa tra il muro in questione e l'opposto ciglio dello scavo che era stato effettuato dalla ditta "A.G." e che era privo di qualsiasi protezione ma, improvvisamente, una gran massa di terreno si è staccata dal fronte di scavo e la conseguente frana ha investito i due lavoratori, causando la morte di F.L. per trauma cranico da schiacciamento. Il collega A.C. si è invece salvato.
2.2. A.G. è stato riconosciuto responsabile del reato di omicidio colposo, in qualità di legale rappresentante della ditta "A.G. & C. s.n.c. di A.G. ", ditta che aveva realizzato lo scavo di sbancamento.
Essendo contestata un'ipotesi di cooperazione colposa ex art. 113 cod. pen., nei confronti dei coimputati D.C., datore di lavoro del deceduto e legale rappresentante della s.r.l. "Fi.Fedi" s.r.l., ditta appaltatrice delle opere di carpenteria, e architetto F.C., cooordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, si è proceduto separatamente.
I profili di colpa riconosciuti sussistenti in capo ad A.G. sono i seguenti:
non avere provveduto all'armatura ed al consolidamento del terreno sul fronte dello scavo di sbancamento, la cui altezza, che raggiungeva in alcuni punti quasi i sei metri, la natura del terreno, argilloso, e la presenza di infiltrazioni di acqua facevano temere frane o cedimenti in zone in cui era prevista la presenza, anche successiva, di lavoratori anche di altre ditte (art. 118 del d. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81);
non avere attuato quanto previsto nel piano di sicurezza e di coordinamento (acronimo: P.S.C.) e nella relativa "tavola degli scavi" (p. 27-28) dello stesso, avendo realizzato uno scavo di quasi sei metri, anziché tre metri e cinquanta centimetri, come previsto, e con una pendenza molto prossima ai novanta gradi, anziché tra i dieci ed in quaranta gradi previsti, cioè quasi verticale, e per non avere installato la c.d. sbadacchiatura, cioè un'armatura provvisoria a sostegno della parete di terra (art. 100, comma 3, del d. Lgs. n. 81 del 2008).
3. Ricorre per la cassazione della sentenza l'imputato, tramite difensori di fiducia, affidandosi a sei motivi, con i quali denunzia violazione di legge (il primo, il secondo, il terzo ed il quinto motivo) e difetto motivazionale (il secondo ed il quarto motivo), anche sotto il profilo della omissione di pronunzia.
3.1. In particolare, con il primo motivo censura inosservanza dell'art. 40, comma 1, cod. pen. in tema di nesso di causalità, per non avere operato la Corte di appello un adeguato giudizio controfattuale.
Il ricorrente rammenta, infatti, di avere la difesa sostenuto già nell'impugnazione di merito la inutilità e la inidoneità del comportamento alternativo che si richiede all'imputato, cioè la costruzione di "sbadacchiature" in legname, richiamando al riguardo la valutazione (svolta all'udienza del 13 ottobre 2015, il cui verbale si allega) del geologo consulente tecnico dell'imputato, dr. Pierpaolo B., secondo cui la sbadacchiatura, cioè la costruzione della struttura di assi di legno e di puntelli a sostegno della parte di terra, avrebbe comportato la realizzazione di un manufatto a forma triangolare, il cui angolo di ingombro a terra avrebbe reso praticamente impossibile, per la impenetrabilità dei corpi, realizzare il muro in cemento armato di fronte e la relativa protezione, in quanto sarebbe stato necessario previamente smontare la sbadacchiatura, ed anche che il geologo consulente della parte civile I.N.A.I.L., dr. Luca Ga. (sentito all'udienza del 7 luglio 2015 ed il cui verbale si allega), ha sostenuto che la migliore opera approntabile sarebbe stata una palificazione sui tutto il fronte, palificazione che era stata ordinata a ditta specializzata (di Loriano R.) ma solo per una parte limitata del fronte.
La Corte di appello alla p. 17 avrebbe liquidato con un insoddisfacente giudizio di "irrilevanza" il ragionamento svolto dalla difesa e che si è riferito.
3.2. Con il secondo motivo lamenta erronea applicazione dell'art. 118 del d. lgs. n. 81 del 2008, norma che - assume il ricorrente - disciplinerebbe, come già affermato nel terzo motivo di appello, «le sole operazioni di scavo, per il solo tempo in cui esso ha luogo [...] Ne discende che anche il comma 2 [dell'art. 118 del d. lgs. n. 81 del 2008...] va interpretato, coerentemente con le altre disposizioni, nel senso che le cautele ivi prescrìtte sono volte a tutelare esclusivamente i lavoratori addetti allo scavo e comunque presenti nei cantiere durante lo scavo. La disciplina delle eventuali interferenze con attività lavorative successive non potrà che essere demandata a chi è investito di una posizione di garanzia di livello superiore (id est il coordinatore per la sicurezza e il direttore dei lavori). Una diversa interpretazione violerebbe il principio di tassatività e il divieto di analogia in ambito penale. La sentenza impugnata, al contrario, fa leva, genericamente, su una "prioritaria ottica di tutela della sicurezza di chiunque ed immediatamente dopo, come avvenuto nel caso in esame, sarebbe andato ad operare nel cantiere" (pag. 17 [...]» (così alle pp. 5-6 del ricorso).
Si segnala al riguardo che la fase del getto di calcestruzzo per costruire il muro non si svolse subito dopo ma circa due settimane più tardi e che la riferita motivazione sarebbe insufficiente, superficiale e darebbe per scontato ciò che scontato, invece, non è, estendendo erroneamente ed illegittimamente la portata dell'art. 118 del d. lgs. n. 81 del 2008 a fasi lavorative del tutto distinte da quelle dello scavo e sottratte all'ingerenze, al controllo e, quindi, alla posizione di garanzia, dell'impresa di A.G., che era stata incaricata dello scavo.
3.3. Mediante il terzo motivo A.G. si duole della ritenuta erronea applicazione dell'art. 100, comma 3, del d. lgs. n. 81 del 2008.
Ad avviso del ricorrente, infatti, la lettura complessiva del documento "piano di sicurezza e di coordinamento" «fa intendere chiaramente che tutte le prescrizioni contenute alle pp. 27-28 del PSC si riferiscono necessariamente alla tutela dei soli dipendenti dell'impresa incaricata degli scavi» (così alla p. 8 del ricorso), circostanza già sottolineata nel quarto motivo di appello e disattesa con motivazione (contenuta alla p. 17) che si stima inadeguata ed insoddisfacente.
3.4. Il quarto motivo è incentrato sulla ritenuta illogicità della motivazione che deriverebbe da un travisamento della prova documentale costituita dal piano operativo di sicurezza (acronimo: P.O.S.) dell'impresa A.G., prodotto agli atti, se rapportata al contenuto della perizia geologica.
Poiché dall'istruttoria testimoniale e consulenziale sarebbe emersa la inconsapevolezza da parte dell'Imputato che proprio di fronte allo scavo sarebbe stata realizzata una trincea larga 120 centimetri, risulterebbe travisata la prova documentale costituita dal contenuto del piano operativo di sicurezza, che prevedeva, al fine di prevenire il rischio seppellimento e soffocamento, l'applicazione in aderenza alla terra scavata di armature di sostegno ma soltanto per la durata dei lavori di scavo della ditta A.G. e solo nel caso che la consistenza del terreno non desse garanzie. Si ribadisce quanto sostenuto con il primo motivo di ricorso, cioè che l'eventuale sbadacchiatura avrebbe dovuto essere eliminata per consentire la realizzazione di fronte del muro di cemento.
3.5. Con il quinto motivo si denunzia inosservanza degli artt. 40, comma 1, e 41, comma 2, cod. pen.
Si assume che la sentenza di appello «non ha tenuto conto dell'esistenza di molteplici fattori sopravvenuti tali da aver comportato una interruzione del nesso di causalità. Infatti, la Corte si sofferma esclusivamente sul mancato utilizzo del casco protettivo da parte del lavoratore, sostenendo che esso ('rectius: il suo utilizzo) "non era idoneo a prevenire la morte del dipendente F.L. che, come emerge dalle fotografie in atti, si sarebbe comunque verificate per sommersione e soffocamento" (pag. 18 della sentenza). L'argomento, che è di decisiva rilevanza, viene affrontato in modo superficiale e porta a conclusioni manifestamente erronee. In particolare, è del tutto illogico desumere dalle fotografie in atti (non è dato sapere quali) che il decesso si sarebbe comunque verificato per sommersione e soffocamento. E' vero, al contrario, che A.C., l'altro lavoratore che si trovava all'interno della trincea al momento del sinistro è stato sommerso dalla terra fino alle spalle, ma, come egli stesso ha dichiarato, non ha riportato alcune lesione» (così pp. 12-13 del ricorso).
3.6. Infine, con l'ultimo motivo censura la ritenuta mancanza di motivazione in riferimento alla interruzione del nesso causale ai sensi dell'art. 41, comma 2, cod. pen., anche in relazione alla condotta del lavoratore deceduto.
Con il quinto motivo di appello si era evidenziato che la p.o. non indossava il casco e che trasportava in modo non corretto, cioè non conforme all'ordine di servizio del 30 luglio, i pannelli di legno che stava "disarmando", tanto da essere stata trovata con il capo schiacciato tra i tavoloni ed il muro in cemento.
Si tratterebbe di circostanza fattuale determinante ma erroneamente trascurata dalla Corte di appello, perché il lavoratore non è morto per soffocamento o per seppellimento, cioè per i rischi tipici dell'attività lavorativa dentro le trincee, ma per un'altra causa, cioè per lo schiacciamento del cranio, collegato ad una condotta ritenuta esorbitante del lavoratore, che, senza indossare il casco, portava in verticale, anziché in orizzontale, come prescritto, i pannelli di legno. «Tale ragionamento assume maggior vigore in considerazione del fatto che l'odierno ricorrente non era il datore di lavoro del deceduto e che aveva esaurito la propria fase lavorativa (realizzazione dello scavo) circa 15 giorni prima risultando pacificamente impossibilitato a controllare ed adeguare l'eventuale condotta imprevedibile di un lavoratore, dipendente di altra impresa, impegnato in una fase successiva di lavorazione» (così alla p. 15 del ricorso).
4. Con memoria depositata il 28 marzo 2019 il difensore della parte civile I.N.A.I.L., richiamati i principi di diritto ritenuti applicabili al caso di specie, domanda il rigetto del ricorso.
 

 

Diritto

 


l. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
1.1. Il primo motivo si concentra sulla - ritenuta - inutilità in concreto della sbadacchiatura, ma trascura che tra i profili di colpa ritenuti sussistenti (v. p. 3 della sentenza di primo grado e p. 15 di quella della Corte di merito) vi è quello di avere realizzato uno scavo assai più profondo (5 metri anziché 3,50) e molto più "angolato" (quasi 90° anziché minimo 10° - massimo 40°), quindi molto meno stabile e, correlativamente, molto più pericoloso, di quello previsto nel progetto e che, invece, ove realizzato conformemente alla previsione, proprio in ragione del declivio molto più dolce, non avrebbe contribuito a provocare la frana. Né si avvede il ricorrente che non può farsi un giudizio contro-fattuale soltanto parziale, come invece auspicato nell'impugnazione.
1.2. Quanto al secondo motivo di ricorso, alle osservazioni testé svolte deve aggiungersi che, ragionando nei concreti termini in cui ragiona il ricorrente e portando il discorso alle estreme conseguenze, occorrerebbe concludere che A.G., dopo avere realizzato, come si è visto, uno scavo assai più profondo (6 metri anziché 3,50) e molto più "angolato" (quasi 90° anziché minimo 10° - massimo 40°) rispetto a quello previsto nel progetto, e, quindi, più pericoloso, senza apporre i necessari strumenti di contenimento (sbadacchiature), avrebbe potuto legittimamente consentire, senza alcuna sua responsabilità, che in siffatta trincea, non provvista di alcuna impalcatura di sicurezza, accedessero gli operai di altre ditte. Il che è, ovviamente, inaccettabile, tutelando le norme di sicurezza non soltanto i dipendenti di chi agisce ma anche i dipendenti di altri soggetti e, più in generale, tutti i consociati che possano, per così dire, "fisiologicamente", entrare in contatto con la fonte di pericolo. E' diffuso al riguardo l'esempio del datore di lavoro, la cui posizione di garanzia è costituita rispetto al rischio lavorativo ma non già contro l'evento-infortunio di colui che si sia introdotto abusivamente di notte nel cantiere edile, purché, però, idonee siano le cautele approntate per evitare l'introduzione di un estraneo in un'area oggettivamente pericolosa come un cantiere (infatti: «La condotta di chi, sia pure abusivamente, si introduce in un fondo altrui, lasciato colposamente accessibile a chiunque, e riceve un danno dallo stato dei luoghi o dalle cose ivi esistenti non è qualificabile come causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento di cui all'art. 41, comma 2, cod. pen.»: Sez. 4, n. 6506 del 03/02/2000, P.G. e P.V. in proc. Tentindo, Rv. 216601); e «Per escludere il nesso di causalità nei reati colposi non è sufficiente che sia intervenuta nella produzione dell'evento un fatto illecito altrui, ma occorre che il fatto stesso abbia i caratteri di causa eccezionale, atipica, non prevista ne' prevedibile, che sia stata da sola sufficiente a produrre l'evento. Ne consegue che l'introduzione di notte in una zona privata delimitata da recinzione e con cartelli di divieto rappresenta un fatto illecito non imputabile se non al comportamento di colui che lo pone in essere e, quindi, eccezionale ed imprevedibile configurabile come causa idonea ad interrompere il nesso di causalità. (Fattispecie in tema di omicidio colposo)»-. Sez. 4, n. 113111 del 07/05/1985, Bernardi, Rv.171215).
1.3. In relazione al terzo motivo di ricorso, strettamente collegato al precedente, si osserva come sia adeguata, per quanto sintetica, la risposta fornita dalla Corte di merito alla p. 17 della sentenza impugnata: anche volendo aderire alla lettura dell'art. 100 del d. lgs. n. 81 del 2008 che propone la difesa, allora, in conseguenza, occorrerebbe ritenere - hanno efficacemente osservato i Giudici di merito - che, «terminata l'opera di scavo, non poteva il cantiere essere lasciato in condizioni di assoluta insicurezza per coloro che, subito dopo, sarebbero andati ad operarci»; il che, come si è visto, non è e non può essere.
Trascura, in ogni caso, il ricorrente il grave errore di partenza dell'imputato, accertato dai Giudici di merito: avere realizzato uno scavo assai più profondo e più pendente, quindi molto più pericoloso, di quello previsto nel progetto, in ultima analisi avere scavato e non messo in sicurezza una buca senza sostegni.
1.4. Quanto al quarto motivo di ricorso, il Collegio osserva come alle pp. 15¬16 della sentenza impugnata, per quanto sinteticamente, si interpretano i grafici allegati al progetto come chiaramente riferiti alla preservazione della stabilità del fabbricato a stretto confine: ne discende che l'imputato non può sostenere di non avere saputo che sarebbe stato costruito un muro di fronte allo scavo.
Si tratta di valutazione, congrua e logica, dei Giudici di merito relativa a dati documentali, rispetto alla quale l'affermazione difensiva si presenta come meramente antitetica ed antagonista.
In ogni caso, in presenza di "doppia conforme", sussistono i noti limiti alla ravvisabilità del vizio di travisamento della prova che sono stati segnalati dalla parte civile alle pp. 7-8 della sua memoria. Infatti, è appena il caso di rammentare che dinanzi ad doppia pronuncia di eguale segno, c.d. "doppia conforme", come nel caso di specie, il vizio di travisamento della prova (nell'accezione di vizio di tale gravità e centralità da scardinare il ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale / probatorio non considerato ovvero alterato quanto alla sua portata informativa, secondo la nozione pacificamente accolta nella giurisprudenza di legittimità: v., ex plurimis, Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio e altri, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009, Buraschi, Rv. 243636; Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, Musumeci, Rv. 237207) può essere rilevato in sede di legittimità soltanto nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che l'argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado.
Invero, sebbene in tema di giudizio di cassazione, in forza della novella dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. ad opera della legge 20 febbraio 2006, n. 46, risulti sindacabile il vizio di travisamento della prova (che sia desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti specificamente indicati dal ricorrente), travisamento che si ha quando nella motivazione si fa uso di un'informazione rilevante che non esiste nel processo o si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può essere fatto valere nell'ipotesi in cui l'impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c.d. doppia conforme, superarsi il limite del devolutum con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il Giudice d'appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (cfr., tra le tante, Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, dep. 2014, Capuzzi e altro, Rv. 258438; Sez. 4, n. 5615 del 13/11/2013, dep. 2014, Nicoli, Rv. 258432; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; oltre alle già citate Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio e altri, Rv. 258774; Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009, Buraschi, Rv. 243636; Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, Musumeci, Rv. 237207).
Operata tale premessa, si prende atto che nel caso di specie i Giudici di appello hanno, in realtà, riesaminato lo stesso identico materiale probatorio già sottoposto al Tribunale, senza operare richiami a dati probatori non esaminati dal primo Giudice né introdurne di nuovi, e, dopo aver preso atto delle censure degli appellanti, sono giunti alla medesima conclusione della sussistenza di penale responsabilità di tutti gli imputati.
Deve, quindi, ritenersi che la sentenza impugnata non contenga alcun travisamento della prova o dei fatti e che, sotto il profilo del denunziato difetto motivazionale, regga al vaglio di legittimità, non palesandosi assenza, contraddittorietà od illogicità della motivazione.
1.5. Gli ultimi due motivi, costruiti peraltro in fatto, sono entrambi basati su di un equivoco. In realtà, secondo le informazioni che si traggono dalla sentenze di merito, il lavoratore è morto per "schiacciamento" derivante da "sommersione" conseguente a frana, quindi proprio per un rischio del tipo di quello che la norma violata mira a prevenire-evitare. 
Né possono trarsi conclusioni diverse per essersi salvato il collega di lavoro, la cui posizione dentro la trincea al momento della frana non è nota.
In ogni caso, si tratta di mera reiterazione dei motivi di appello, cui si è fornita sufficiente risposta alle pp. 17-18 della sentenza impugnata.
Il ricorrente, comunque, trascura le prescrizioni di cui ai commi 1 e 2 dell'art. 100 (ndr. 118) del d. lgs. n. 81 del 2008 (intitolato: "Splateamento e sbancamento"), secondo cui, rispettivamente: «Nei lavori di splateamento o sbancamento, se previsto l'accesso di lavoratori, le pareti delle fronti di attacco devono avere una inclinazione o un tracciato tali, in relazione alla natura del terreno, da impedire franamenti. Quando la parete del fronte di attacco supera l'altezza di m 1,50, è vietato il sistema di scavo manuale per scalzamento alla base e conseguente franamento della parete»; e «Quando per la particolare natura del terreno o per causa di piogge, di infiltrazione, di gelo o disgelo, o per altri motivi, siano da temere frane o scoscendimenti, deve essere provveduto all'armatura o al consolidamento del terreno».
Va, infine, osservato che correttamente è stata esclusa dai Giudici di merito la esorbitanza della condotta del lavoratore deceduto, il quale stava, appunto, eseguendo i compiti che gli erano stati affidati dal datore di lavoro.
2.Consegue il rigetto del ricorso e la condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione della spese sostenute dalla parte civile - Inail per il giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
 

 

P.Q.M.
 

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione della spese sostenute dalla parte civile - Inail in questo giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso il 10.4.2019