Cassazione Penale, Sez. 4, 12 settembre 2019, n. 37761 - Incarico di esecuzione di lavori di riparazione di un immobile senza verifica dell'idoneità tecnico professionale del lavoratore autonomo. Carenza motivazionale


Presidente: MENICHETTI CARLA Relatore: ESPOSITO ALDO Data Udienza: 20/03/2019

 

Fatto

 


1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza del G.U.P. del Tribunale di Livorno del 27 aprile 2016, emessa all'esito di giudizio abbreviato, con cui A.A. era stato condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di anni uno di reclusione per il reato di cui all'art. 589, comma secondo, cod. pen., perché nella sua qualità di legale rappresentante della società Industria Commercio del Legato s.r.l. per colpa generica e per inosservanza di leggi e regolamenti in violazione delle norme antifortunistiche e, in particolare, in violazione degli artt. 90, comma 9, lett. A), e 93 D.lvo n. 81 del 2008, affidava alla ditta individuale C.R. (lavoratore autonomo) l'Incarico per l'esecuzione dei lavori di riparazione dell'immobile suindicato, senza verificare l'idoneità tecnico professionale del lavoratore autonomo ed il rispetto delle norme di sicurezza in materia di caduta dall'alto, cagionando in tal modo lesioni gravissime (stato di coma e poli-trauma) in capo al predetto C.R., il quale stava effettuando lavori sulla copertura del fabbricato senza l'uso di dispositivi di protezione individuale, lesioni determinate dallo sfondamento di una lastra in fibrocemento della copertura del fabbricato con conseguente caduta dall'alto di C.R., lesioni che provocavano il decesso della persona offesa il 1° giugno 2013.
1.1. In ordine alla ricostruzione della vicenda, il 14 novembre 2008 C.R., titolare dell'omonima ditta individuale, stava effettuando alcune riparazioni in un fondo commerciale di proprietà della Industria e Commercio del Legno s.r.l., avendo ricevuto oralmente da A.A., all'epoca legale rappresentante di tale società, l'Incarico di provvedere alla sostituzione dello scaldabagno elettrico, all'installazione di un impianto di climatizzazione e all'eliminazione di alcune Infiltrazioni d'acqua, come previsto al punto 7 del contratto di locazione stipulato con la J.M. s.n.c..
C.R. doveva applicare con l'aiuto di un altro imprenditore della carta catramata sulle lastre di fibrocemento poste a copertura del fabbricato in questione, usando una bombola di gas propano liquido. C.R. saliva con la piattaforma di un carro - ponte noleggiato allo scopo fin sopra il tetto dell'Immobile e, camminando lungo il perimetro dello stesso, raggiungeva il punto esatto del luogo dove doveva essere eseguita la riparazione, ma improvvisamente perdeva l'equilibrio, cadeva sulla copertura, sfondava le lastre e parte della controsoffittatura e atterrava malamente sulla scala interna sottostante. Ricoverato immediatamente al Pronto Soccorso, dove gli era diagnosticato uno stato di coma in politrauma, dopo un lungo periodo di permanenza in stato di incoscienza, decedeva dopo quattro anni e mezzo.
Dalla consulenza espletata dal pubblico ministero emergeva che C.R., in violazione dell'art. 21 D. Lvo n. 81 del 2008, ometteva di usare idonei dispositivi di protezione delle cadute dall'alto, quali la cintura di sicurezza, che non veniva trovata addosso al lavoratore, sul luogo di lavoro e, in particolare, nel cestello della piattaforma. Peraltro, non erano stati neanche approntati ponteggi sottostanti alla copertura ovvero altre misure di prevenzione, come invece sarebbe stato necessario.
Risultava violato l'art. 90, comma 9, lett. a), D. Lvo n. 81 del 2008, per la mancata verifica dell'idoneità tecnico - professionale delle Imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi in relazione alle funzioni o ai lavori da affidare. Non essendo stato nominato un responsabile del lavori, l'imputato, quale committente delle opere, era l'unico responsabile della corretta esecuzione e della sicurezza dei lavori. A.A. aveva omesso di verificare l'idoneità professionale di C.R., non avvedendosi del mancato possesso da parte del medesimo di idonei presidi di protezione dalle cadute dall'alto. La condotta di C.R. non costituiva un fattore idoneo ad interrompere il nesso eziologico, in quanto egli non si sganciava dalle protezioni, ma ne era totalmente sprovvisto.
Non era stato leso il diritto di difesa, in quanto la relazione di consulenza medica era confluita nel fascicolo del pubblico ministero, noto all'imputato, che non aveva chiesto una perizia né aveva fatto espletare una consulenza tecnica.
1.2. Non poteva essere negata la qualità di committente dell'imputato, alla luce del punto 7 del contratto di locazione concluso tra la Industria e Commercio del Legno s.r.l., In persona di A.A., e la J.M. s.n.c., ove si precisava che spettavano alla società proprietaria locatrice i lavori strutturali necessari per risolvere il problema delle infiltrazioni d'acqua. Non era un caso, quindi, che A.A. avesse contattato C.R. per eseguire tali lavori, restando del tutto estraneo all'esecuzione dei lavori interni. La mera deduzione dell'Imputato di essersi limitato a porre in contatto l'impresa appaltatrice con la conduttrice dell'immoblle appariva priva di fondamento.
La ditta individuale di C.R., regolarmente iscritta come impresa edile esercente attività di piccole riparazioni edili e lavori di restauro, doveva essere inclusa nella categoria delle imprese esecutrici dell'appalto, assoggettate all'obbligo di verifica dell'idoneità tecnico - professionale, ai sensi dell'art. 90, comma 9, lett. a), D. Igs. n. 81 del 2008.
Il proprietario committente, avendo affidato i lavori edili ad un lavoratore autonomo in assenza di qualsiasi apprestamento di presidi anticaduta, doveva ritenersi titolare di una posizione di garanzia nei confronti del lavoratore; non si versava in ipotesi di esonero del committente dagli obblighi in materia antinfortunistica, perché le precauzioni non richiedevano una specifica competenza tecnica o specialistica nelle procedure da adottare o nelle lavorazioni da espletare. Il lavoro era affidato ad un'impresa individuale del tutto priva di mezzi, di dipendenti e di attrezzature per lavori ad alta quota e carente nei meccanismi di protezione, che a sua volta si era avvalsa dell'ausilio di un soggetto esterno.
Dalla relazione medico legale del dr. M., emergeva come il lavoratore, caduto in coma per la caduta, era stato ricoverato in rianimazione, restando in stato vegetativo, con quadro neurologico stazionario, finché intervenivano complicanze cardio-polmonari, tipiche di quel quadro patologico, dalle quali derivava la morte. L'imputato non prospettava che l'evento letale fosse stato determinato da un'autonoma serie causale, non contestava la veridicità dei dati della relazione medica e non si attivava per acquisire documentazione sanitaria.
2. A.A., a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo due motivi di impugnazione.
2.1. Violazione di legge in relazione ai doveri del committente.
Si deduce che, anche a volerlo ritenere committente, A.A. non avrebbe dovuto verificare l'idoneità tecnico professionale di C.R., perché quest'ultimo non aveva la qualifica di imprenditore individuale bensì quella di lavoratore autonomo specializzato in lavori edili. C.R. era stato chiamato esclusivamente per controllare gli interventi da effettuare sul tetto del capannone, al fine di eliminare delle infiltrazioni di acqua nei locali sottostanti. Nella fattispecie, non v'erano interferenze tra l'attività di A.A. e quella del singolo lavoratore autonomo, per cui non occorreva coordinare nessuna informazione, ai sensi dell'art. 26, comma 3, D. lgs. n. 81 del 2008. Il pericolo di caduta doveva essere collocato tra i rischi specifici delle attività edili, per cui ad A.A. non poteva essere ascritta nessuna omissione dettata da una sua presunta posizione di garanzia. L'attività di C.R. consisteva nel posizionare le lastre catramate con la fiaccola anche sui tetti, per cui doveva conoscere i rischi di caduta dall'alto.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione nella parte in cui la qualifica di committente di A.A. è ricavata unicamente da una pattuizione del contratto di locazione tra la Industria e Commercio del legno s.r.l., proprietaria dell'Immobile, di cui l'imputato era rappresentante legale all'epoca dei fatti e la JM s.n.c. conduttrice.
Si rileva che appariva manifestamente illogico ritenere che la proprietà avesse eseguito solo i lavori volti a eliminare le infiltrazioni d'acqua. La proprietà non disponeva più dell'immobile dall'agosto 2008. L'utilizzazione da parte di C.R. della piattaforma mobile come mezzo per accedere al tetto privo di ponteggi e non correttamente come mezzo dal quale eseguire il lavoro di riparazione, costituiva un elemento del tutto imprevedibile, idoneo ad interrompere il nesso di causalità. La presenza o meno della cintura di sicurezza sulla piattaforma non rilevava, perché C.R. non cadeva per essersi sporto dalla piattaforma, bensì per il non contemplato sbarco sul tetto. 
Non sussisteva il nesso causale tra la condotta colposa dell'imputato e la morte del lavoratore (avvenuta quattro anni e mezzo dopo l'incidente), in quanto il fascicolo non conteneva una certificazione medica attestante l'entità e la tipologia delle lesioni. A differenza di quanto riportato in sentenza, non esistevano dati clinici obiettivi né essi erano ricavabili dalla relazione del dr. M., medico specialista in medicina del lavoro e non medico - legale.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso è fondato.
Con la sentenza impugnata A.A. è stato condannato per omicidio colposo per aver cagionato la morte di C.R., lavoratore autonomo titolare di ditta individuale, caduto dall'alto senza protezioni nel corso dell'esecuzione dei lavori commissionati di riparazione di un immobile. C.R. doveva applicare della carta catramata sulle lastre di fibrocemento poste a copertura del fabbricato in questione; saliva con la piattaforma di un carro - ponte noleggiato allo scopo fin sopra il tetto dell'immobile e, camminando lungo il perimetro dello stesso, raggiungeva il punto esatto del luogo dove doveva essere eseguita la riparazione, ma improvvisamente perdeva l'equilibrio, cadeva sulla copertura, sfondava le lastre e parte della controsoffittatura e atterrava malamente sulla scala Interna sottostante.
Ad A.A. è imputata la responsabilità a titolo colposo per imprudenza, negligenza, imperizia e inosservanza di leggi e regolamenti in violazione delle norme antifortunistiche e, in particolare, delle due seguenti disposizioni:
- art. 90, comma 9, lett. A), D.lgs n. 81 del 2008, che prevede «Il committente o il responsabile del lavori, anche nel caso di affidamento dei lavori ad un lavoratore autonomo: a) verifica l'idoneità tecnico-professionale delle imprese affidatarie, delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi in relazione alle funzioni o al lavori da affidare, con le modalità di cui all'allegato XVII. Nel cantieri la cui entità presunta è inferiore a 200 uomini-giorno e i cui lavori non comportano rischi particolari di cui all'allegato XI, il requisito di cui al periodo che precede si considera soddisfatto mediante presentazione da parte delle Imprese e dei lavoratori autonomi del certificato di iscrizione alla Camera di commercio, industria e artigianato e del documento unico di regolarità contributiva, corredato da autocertificazione in ordine al possesso degli altri requisiti previsti dall'allegato XVII; [...]»;
- art. 93 D.lgs n. 81 del 2008, che stabilisce «1. Il committente è esonerato dalle responsabilità connesse all'adempimento degli obblighi limitatamente all'incarico conferito al responsabile dei lavori. 2. La designazione del coordinatore per la progettazione e del coordinatore per l'esecuzione dei lavori, non esonera il committente o il responsabile dei lavori dalle responsabilità connesse alla verifica dell'adempimento degli obblighi di cui agli articoli 91, comma 1, e 92, comma 1, lettere a), b), c) d) ed e)».
2. In via preliminare, va esaminato il primo motivo di ricorso con cui A.A. sostiene la tesi dell'assenza di un proprio obbligo di verifica dell'idoneità tecnico professionale di C.R., in quanto quest'ultimo era privo della qualifica di imprenditore individuale, trattandosi di lavoratore autonomo specializzato in lavori edili.
L'affermazione del ricorrente circa l'inesistenza del suindicato obbligo di verifica va disattesa. Al riguardo, questa Corte ha altresì affermato il principio secondo cui la definizione di "lavoratore", di cui all'art. 2, comma primo, lett. a), D.Lgs. n. 81 del 2008, fa leva sullo svolgimento dell'attività lavorativa nell'ambito dell'organizzazione del datore di lavoro indipendentemente dalla tipologia contrattuale, ed è definizione più ampia di quelle previste dalla normativa pregressa, che si riferivano invece al "lavoratore subordinato" (art. 3, d.P.R. n. 547 del 1955) e alla "persona che presta il proprio lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro" (art. 2, comma primo, lett. a, D.Lgs. n. 626 del 1994); ne consegue che, ai fini dell'applicazione delle norme incriminatrici previste nel decreto citato, rileva l'oggettivo espletamento di mansioni tipiche dell'impresa (anche eventualmente a titolo di favore) nel luogo deputato e su richiesta dell'imprenditore, a prescindere dal fatto che il "lavoratore" possa o meno essere titolare di impresa artigiana ovvero lavoratore autonomo (Sez. 3, n. 18396 del 15/03/2017, Cojocaru, Rv. 269637).
In ordine agli ulteriori profili di censura, va premesso che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in materia di infortuni sul lavoro, il committente ha l'obbligo di verificare l'idoneità tecnico-professionale dell'Impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione anche alla pericolosità dei lavori affidati (Sez. 3, n. 35185 del 26/04/2016, Marangio, Rv. 267744, in fattispecie analoga relativa alla morte di un lavoratore edile precipitato al suolo dall'alto della copertura di un fabbricato, nella quale è stata ritenuta la responsabilità per il reato di omicidio colposo del committenti, che, pur in presenza di una situazione oggettivamente pericolosa, si erano rivolti ad un artigiano, ben sapendo che questi non era dotato di una struttura organizzativa di impresa, che gli consentisse di lavorare in sicurezza).
In base all'attuale quadro normativo, la responsabilità del committente è stata configurata per la violazione di alcuni obblighi specifici, quali l’informazione sui rischi dell'ambiente di lavoro e la cooperazione nell'apprestamento delle misure di protezione e prevenzione, ritenendosi che resti ferma la responsabilità dell'appaltatore per l'inosservanza degli obblighi prevenzionali su di lui gravanti (Sez. 3, n. 6884 del 18/11/2008, dep. 2009, Rappa, Rv. 242735). Il dovere di sicurezza, con riguardo ai lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto o di prestazione d'opera, sussiste tanto in capo al datore di lavoro (di regola l'appaltatore, destinatario delle disposizioni antinfortunistiche) che del committente, pur richiamandosi l'esigenza di non applicare tale principio in via automatica, "non potendo esigersi dal committente un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori". Ai fini della configurazione della responsabilità del committente, pertanto, "occorre verificare in concreto l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo" (Sez. 4, n. 3563 del 18/01/2012 cit.).
Ciò posto sui principi operanti in materia, deve osservarsi che, nella fattispecie in esame, il difetto di diligenza nella scelta dell'impresa cui affidare i lavori costituisce sostanzialmente l'unico profilo di addebito ad A.A. formulato nel capo di imputazione.
La culpa in eligendo è stata ricavata essenzialmente dalle modalità del sinistro e dalla mancata adozione delle opportune precauzioni atte ad impedire la caduta del lavoratore. Tale affermazione, tuttavia, è priva di qualsivoglia giustificazione; l'inidoneità dell'impresa non può essere valutata ex post solo in base alla dinamica dell'incidente.
Al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte ha statuito che, in materia di infortuni sul lavoro, in caso di lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto o di prestazione di opera, il committente, anche quando non si ingerisce nella loro esecuzione, rimane comunque obbligato a verificare l'idoneità tecnico - professionale dell'impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione ai lavori affidati, dovendosi, peraltro, escludere che la non idoneità possa essere ritenuta per il solo fatto dell'avvenuto infortunio, in quanto il difetto di diligenza nella scelta dell'impresa esecutrice deve formare oggetto di specifica motivazione da parte del giudice (Sez. 4, n. 44131 del 15/07/2015, Heqimi, Rv. 264975). Questa Corte ha altresì affermato che l'idoneità tecnico-professionale dell'impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione ai lavori affidati, può essere verificata anche attraverso l'iscrizione alla camera di commercio, industria e artigianato ma non esclusivamente in tal modo (Sez. 4, n. 8589 del 14/01/2008, Speckenhauser, Rv. 238965).
Occorre quindi che l'affermazione di una scelta non diligente della impresa esecutrice sia motivata, mentre nel caso che occupa manca del tutto l'apparato argomentativo sul punto in questione.
La necessità di tale accertamento deriva anche dalla circostanza che nella stessa sentenza impugnata (pag. 6) è precisato che la ditta individuale di C.R. era regolarmente iscritta come impresa edile esercitante «attività di piccole riparazioni edili e lavori di restauro», aspetto che lascia presupporre che il soggetto incaricato all'esecuzione dei lavori risultasse almeno formalmente in regola coi requisiti richiesti.
La suddetta carenza motivazionale impone l'annullamento della sentenza impugnata.
Resta assorbito l'ulteriore motivo di ricorso.
3. Per tali ragioni, la sentenza impugnata va annullata con rinvio alla Corte di appello di Firenze per nuovo giudizio.
 

 

P.Q.M.

 


Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Firenze.
Così deciso in Roma il 20 marzo 2019.