Cassazione Penale, Sez. 4, 12 settembre 2019, n. 37765 - Crollo durante il disarmo della bocca di lupo. Una prassi scorretta e una presunta ebbrezza della vittima costituiscono causa eccezionale ed imprevedibile?
Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: ESPOSITO ALDO Data Udienza: 04/04/2019
Fatto
1. Con sentenza in epigrafe la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Varese del 4 marzo 2015, ha rideterminato in anni uno di reclusione la pena inflitta a P.M. e in mesi undici e giorni quindici quella inflitta a P.G.S. in relazione al reato di cui agli artt. 113 e 589 cod. pen. (perché, in cooperazione colposa tra loro, il P.G.S. quale Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante dell'Impresa esecutrice dei lavori "C.L.V. società cooperativa sociale" e il P.M. quale direttore dei lavori e coordinatore per la sicurezza, in violazione della normativa antifortunistica, cagionavano la morte di F.M., dipendente della C.L.V.. La Corte di appello ha altresì riconosciuto il concorso colposo della vittima nella misura del 50%, rideterminando l'entità del risarcimento del danno riconosciuto in favore delle parti civili.
In ordine alla ricostruzione della vicenda, all'interno del cantiere edile situato in Gavirate, viale Ticino 10, una c.d. "bocca di lupo", gettata in opera il giorno precedente, crollava, mentre il F.M. era impegnato ad eseguire lavori di disarmo del manufatto, così schiacciandolo e determinando la morte sul colpo.
Le violazioni alla normativa antinfortunistica (sanzionate con reati contravvenzionali poi prescritti in grado di appello) erano le seguenti per il P.G.S.:
1) reato di cui al capo C) (art. 96, comma 1, lett. g, D. Lgs. n. 81 del 2008, per avere il P.G.S. redatto un POS carente nella parte riguardante le attività e le lavorazioni di disarmo, non individuando misure preventive e protettive in relazione ai rischi connessi a tali lavorazioni, non essendo precisati tempi e modi di realizzazione del manufatto, dell'esecuzione del disarmo, dei pilastri di sostegno della bocca di lupo nonché il numero e l'esatta ubicazione dei pilastri;
2) reato di cui al capo E) (art. 142, comma 1, D. Lgs. n. 81 del 2008), per omessa vigilanza sulle modalità di costruzione delle armature provvisorie e del loro disarmo;
3) reato di cui al capo G) (art. 37, comma 7, D. Lgs. n. 81 del 2008), per non aver fornito una specifica informazione e formazione a F.M. dei compiti del capo cantiere e del lavorante in genere in materia di salute e di sicurezza sul lavoro.
Il P.M., invece, è stato assolto in appello perché il fatto non sussiste da tutti i reati contravvenzionali per violazioni al D. Lgs. n. 81 del 2008 a lui ascritti. Il P.M. rivestiva le cariche di Coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la progettazione dell'opera, Coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la realizzazione dell'opera ed era il Direttore Tecnico dei Lavori. Il P.G.S. era il committente.
Le indagini consentivano di accertare la mancanza nel piano di sicurezza e di coor-dinamento e nel piano operativo di sicurezza di una specifica previsione delle attività di disarmo delle bocche di lupo site nei locali delle autorimesse e di una dettagliata spiegazione e determinazione delle attività da porre in essere sotto il punto di vista costruttivo ed antinfortunistico. Qualora il lavoro da svolgere fosse stato correttamente previsto e pianificato, il F.M. avrebbe saputo dove e come operare e l'evento letale non si sarebbe verificato.
La Corte territoriale ha escluso che nella fattispecie ricorresse un'ipotesi di abnormità, di eccezionalità o di esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo.
Tenuto conto dell'esperienza nel settore del F.M., capo cantiere, della capacità di valutare la pericolosità della rimozione degli stocchetti e della consapevolezza del mancato ancoraggio al muro del manufatto in sospensione, la Corte territoriale ha configurato un suo concorso di colpa al 50%. Il F.M. procedeva mediante le medesime modalità adoperate per le bocche di lupo più piccole, ma la sua valutazione si rivelava imprudente.
2. Il P.M. e il P.G.S., a mezzo dei rispettivi difensori, ricorrono per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello.
3. P.M. - quattro motivi di ricorso.
3.1. Violazione di legge, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione.
Si deduce che la sentenza di appello ha richiamato integralmente e ha fatto proprie le argomentazioni sviluppate nella sentenza di primo grado, senza esaminare puntualmente le specifiche censure formulate dalla difesa. Appariva contraddittoria la condivisione totale dell'apparato motivazionale della sentenza di primo grado, nonostante la Corte territoriale avesse riformato la sentenza di primo grado, riconoscendo il contributo al 50% del medesimo F.M. alla produzione dell'evento letale.
3.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento agli artt. 15 L. n. 125 del 2001 e 6 CEDU per omessa assunzione di prova decisiva.
Si rileva che, tenuto conto del tasso alcolemico di 0,5 mg/l. del F.M. riscontrato in sede di esame autoptico dal consulente del pubblico ministero dr. M., sarebbe stato necessario l'espletamento di una perizia. Il tasso alcolemico doveva necessariamente essere più alto al momento dell'ingresso nel cantiere, in quanto, per legge scientifica, l'assorbimento è mediamente di 0,05 mg/l. ogni dieci o quindici minuti. Inoltre, nei cantieri sussiste il divieto di assunzione di alcolici. Il diniego di perizia era stato immotivatamente disatteso, essendosi basato esclusivamente sul presunto carattere congetturale dell'ipotesi di assunzione di una maggiore quantità di alcool.
3.3. Violazione dell'art. 142 D. Lgs. n. 81 del 2008 e vizio di motivazione sul punto.
Si osserva che erroneamente il comportamento del F.M. era stato ritenuto prevedibile.
Il giorno della vicenda, infatti, il Direttore dei Lavori non era presente; il programma di lavoro contemplava il tracciamento di una scala e non il disarmo di una bocca di lupo, in quanto non ancora ultimata. Non si poteva prevedere ed impedire che un capocantiere esperto come il F.M. disattendesse le istruzioni ricevute il 12 marzo 2012 - e cioè di aspettare ventotto giorni prima di eseguire il compito del tracciamento della scala affidatogli per quella giornata - e disarmasse un manufatto ancora in fase di ultimazione, attività rivelatasi fatale. Tra l'altro, il F.M. aveva eseguito tale manufatto il giorno precedente, disattendendo le istruzioni circa l'utilizzo di ferri del 14 e di collante chimico.
3.4. Violazione dell'art. 541 cod. proc. pen. e omesso esame del motivo di appello sulle statuizioni civili e sulle spese del giudizio di appello.
Si sostiene che, tenuto conto del confuso quadro familiare del F.M. e del riconoscimento del suo concorso di colpa al 50%, l'entità del risarcimento doveva essere ulteriormente diminuita e le spese del primo e del secondo grado di giudizio dovevano essere compensate.
4. P.G.S. - quattro motivi di ricorso
4.1. Vizio di motivazione manifestamente illogica, contraddittoria e apparente.
Si rileva che nella sentenza impugnata non sono state esaminate le censure formulate con l'atto di appello.
La Corte territoriale ha collegato la condanna per il delitto ex art. 589 cod. pen. a colpe specifiche e ha dichiarato prescritti i reati contravvenzionali. Avendo escluso la sussistenza di ipotesi di colpa generica configurata nel reato di cui al capo A), la Corte di merito non avrebbe potuto motivare per relationem, in quanto la dichiarazione di prescrizione dei reati contravvenzionali aveva comportato il mutamento dei presupposti del giudizio di appello.
La causa dell'infortunio doveva ascriversi esclusivamente alla condotta del F.M. che, all'insaputa di ogni soggetto garante, operava dopo aver assunto alcolici, in violazione del divieto assoluto prescrittogli dalla legge ed esponendosi a pericoli derivanti dal non essere compos sui nell'attività svolta in cantiere.
La vittima aveva realizzato il disarmo delle sole pannellature verticali interno al getto e aveva rimosso i vincoli laterali, tentando di creare un varco di accesso sotto l'armatura per giungere a costruire un paio di pilastrini in muratura che, all'esito del disarmo, da effettuare dopo circa venti giorni, avrebbe assicurato uno stabile sostegno alla bocca di lupo, consentendo l'ultimazione delle opere di riempimento e di vincolo. Si trattava di un comportamento imprudente.
Il Tribunale individuava un profilo di colpa specifica nella mancata costruzione della parte di appoggio del lato corto del manufatto, così da scongiurare ogni possibile sollecitazione del getto idonea a causarne il crollo. Tale assunto contraddiceva le in-dicazioni dei tecnici, secondo cui il crollo era dovuto alla carente carpenteria dei vincoli verticali che, ove adeguati, avrebbero validamente sorretto il getto.
La Corte territoriale non ha valorizzato le evidenze processuali costituite dalle relazioni tecniche, dalle fotografie del campo dell'infortunio acquisite dagli organi di P.G. e dalle deposizioni dei testimoni compagni di lavoro della vittima.
I tecnici coinvolti nella ricerca delle cause del crollo non avevano considerato la ricostruzione dei fatti fornita dagli operai L.N. e C.Z., i quali avevano dato conto dell'esistenza di un secondo vincolo apprestato dall'esperto carpentiere F.M.: a contenimento del muro del getto, aveva collocato vari puntelli metallici sul lato opposto, fissandoli sulla pannellatura verticale perimetrale, rimossa il giorno successivo al getto. Evidentemente, la rimozione dei pannelli verticali era stata preceduta dalla rimozione dei puntelli metallici sovrapposti, che avevano unito la struttura del secondo vincolo idoneo ad impedire il lavamento del getto in direzione ortogonale al muro perimetrale che costituiva il primo vincolo.
Non si comprendeva quale maggiore ruolo risolutivo avrebbe potuto rivestire il P.G.S., dovendosi dare atto dell'allestimento a regola d'arte delle opere di carpenteria del getto, dell'affidamento riscosso dal F.M. con molta esperienza in opere di carpenteria, del ruolo di capo cantiere ricoperto da quest'ultimo, così da non dover essere sottoposto a particolare vigilanza e controllo.
L'operato abnorme del F.M., cagionato dalla sua preesistente subdola condizione patologica, esponeva la struttura a pericolo di dissesto, avendo dimenticato per svista e sottovalutazione del pericolo, di riposizionare i vincoli laterali del getto.
Il P.G.S., intento a tracciare la scala al centro dell'edificio, non poteva avvistare o sentire il F.M., che, munito di mazza, era tornato in prossimità della bocca di lupo, rimanendovi sepolto a seguito del crollo.
4.2. Violazione di legge per l'ingiustificato rigetto della richiesta di perizia tossicologica.
Si deduce che solo una perizia tossicologica avrebbe potuto fornire una risposta precisa sul tasso alcolemico riscontrato al momento del fatto e sugli effetti provocati sulla vittima. Tenuto conto dei notori effetti delle varie percentuali di alcolemia sul comportamento dell'assuntore, la perizia avrebbe consentito di stabilire se tale condizione avesse costituito il fattore esclusivo che aveva indotto il F.M. al compimento degli atti sconsiderati ed abnormi del tipo descritto.
4.3. Violazione dell'art. 192 cod. proc. pen. per carenza di motivazione in ordine alla mancata attribuzione della responsabilità al F.M. in via esclusiva.
Si sostiene che l'evento mortale doveva ascriversi integralmente alla responsabilità del medesimo F.M., volontariamente postosi in stato di disinibizione alcolica.
4.4. Violazione dell'art. 69 cod. pen. per mancata rideterminazione della pena inflitta, nonostante il riconoscimento della responsabilità di F.M. al 50% e dell'esclusione della contestata aggravante, ritenuta in primo grado equivalente alle circostanze attenuanti generiche.
Diritto
1. I ricorsi sono infondati.
La doglianza, indicata all'interno delle plurime censure riportate all'interno del primo motivo di ricorso, con cui il P.M. e il P.G.S. contestano le modalità di redazione della sentenza della Corte di appello, che conterrebbe un mero richiamo a quella di primo grado, è manifestamente infondata.
La Corte territoriale, invece, dopo un'iniziale premessa con cui ha condiviso il percorso argomentativo della sentenza di primo grado, mostra un sviluppo argomentativo autonomo e risponde a tutte le censure formulate con l'atto d'appello; ha ampiamente dimostrato di aver preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento, di averle meditate e di averle ritenute coerenti con la sua decisione.
I giudici di appello hanno esposto i motivi di gravame prospettati dai ricorrenti e hanno fornito una risposta autonoma ed originale ai medesimi; hanno seguito, quindi, il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui la motivazione per relationem è legittima quando: 1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l’atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell'organo della valutazione o dell'impugnazione (Sez. 2, n. 55199 del 29/05/2018, Salcini, Rv. 274252; Sez. 6, n. 53420 del 04/11/2014, Mairajane, Rv. 261839).
I fattori di novità emersi in sede di gravame, consistenti nel riconoscimento della responsabilità al 50% del F.M. e della declaratoria di prescrizione dei reati contravvenzionali, non impedivano di richiamare per relationem le parti della sentenza di primo grado ritenute condivisibili, tanto più alla luce del rilievo che il Tribunale aveva fornito dettagliata risposta alle medesime censure formulate dai ricorrenti.
E' legittima, infatti, la motivazione per relationem della sentenza di secondo grado, che recepisce in modo critico e valutativo quella impugnata, limitandosi a ripercorrere e ad approfondire alcuni aspetti del complesso probatorio oggetto di contestazione da parte della difesa, ed omettendo di esaminare quelle doglianze dell’atto di appello, che avevano già trovato risposta esaustiva nella sentenza del primo giudice, o relative a questioni generiche, superflue o palesemente inconsistenti (Sez. 2, n. 19619 del 13/02/2014, Bruno, Rv. 259929; Sez. 5, n. 3751 del 15/02/2000, Re Carlo, Rv. 215722).
2. Sono infondati il secondo e il terzo motivo di ricorso, comuni ai ricorrenti, con cui essi deducono che il comportamento del F.M. aveva costituito una causa eccezionale, idonea di per sé ad interrompere il nesso eziologico, consistente nella sua imprevedibile scelta di riposizionare i vincoli laterali del getto (ricorso del P.G.S.) o nell'essersi posto in condizione di incapacità di lavorare correttamente a causa dell'eccessiva assunzione di alcolici (ricorso del P.M.). I ricorrenti, peraltro, sottolineano che la perdità di lucidità determinata dall'uso di alcool doveva essere approfondita mediante apposita perizia tossicologica.
2.1. In ordine alla prevedibilità delle circostanze che hanno determinato l'evento lesivo del lavoratore, i giudici di merito hanno affermato la non eccentricità e la non imprevedibilità del comportamento del lavoratore ed hanno evidenziato come la negligenza della vittima costituisse un ordinario accadimento fortuito, preventivamente controllabile e intuibile in anticipo.
L'assunto del giudice d'appello è corretto e conforme al principio più volte affermato dalla Corte di legittimità in materia di infortuni sul lavoro, secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, la condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore, idonea ad escludere il nesso causale, non è solo quella che esorbita dalle mansioni affidate al lavoratore, ma anche quella che, nell'ambito delle stesse, attiva un rischio eccentrico od esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, Musso, Rv. 275017); nello stesso senso, si è affermato che, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa, Rv. 269603).
Pertanto, in tema di causalità, la colpa del lavoratore, concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica ascritta al datore di lavoro ovvero al destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, esime questi ultimi dalle loro responsabilità solo allorquando il comportamento anomalo del primo sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un compor-tamento del tutto esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore (Sez. 4, n. 16397 del 05/03/2015, Guida, Rv. 263386).
A dò deve aggiungersi che la condotta imprudente o negligente del lavoratore, in presenza di evidenti criticità del sistema di tutela approntato dal datore di lavoro, non potrà mai spiegare alcuna efficacia esimente in favore dei soggetti destinatari degli obblighi di sicurezza. Tali disposizioni, infatti, sono dirette a difendere il lavoratore anche da incidenti che possano derivare da sua colpa, dovendo, il datore di lavoro, prevedere ed evitare prassi di lavoro non corrette e foriere di eventuali pericoli (Sez. 4, n. 10265 del 17/01/2017, Meda, Rv. 269255; Sez. 4 n. 22813 del 21/4/2015, Palazzolo, Rv. 263497).
Orbene, in base ai principi richiamati, come evidenziato in maniera appropriata dalla Corte territoriale, non è possibile inquadrare nell'ambito delle condotte connotate da esorbitanza, il comportamento tenuto dal lavoratore, non essendosi realizzato in un ambito avulso dal procedimento lavorativo a cui era stato addetto. Egli, infatti, aveva eseguito un intervento sui paletti in legno posti a sostegno del manufatto in calcestruzzo ben prima dei ventotto giorni di previsione generale per la maturazione del calcestruzzo, osservando la non corretta prassi già utilizzata per le altre "bocche di lupo" mediante. Il P.G.S. - molto spesso presente in cantiere - e il P.M. non avevano mai contrastato tale prassi.
I ricorrenti non svolgono deduzioni critiche con riguardo ai punti, che hanno segnato lo sviluppo decisionale, sottraendosi ad uno specifico confronto con le considerazioni attinenti alla pericolosi prassi seguita dal lavoratore in precedenti occasioni e alla tolleranza della medesima da parte degli imputati.
Essi, peraltro, prospettano una ricostruzione alternativa degli eventi sulla base di atti processuali e delle dichiarazioni di alcuni testimoni, senza allegare la documentazione richiamata e i verbali delle deposizioni, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso.
In ogni caso, con motivazione lineare e coerente non specificamente confutata dai ricorrenti, la Corte territoriale ha osservato che il piano di sicurezza e di coordinamento e il piano operativo di sicurezza non contenevano una specifica previsione delle attività di disarmo delle bocche di lupo site nei locali delle autorimesse né una dettagliata spiegazione e determinazione delle opere da porre in essere sotto il punto di vista costruttivo ed antinfortunistico e che la pianificazione del lavoro da svolgere, invece, avrebbe consentito al F.M. di apprendere le modalità e il luogo di intervento e avrebbe impedito il verificarsi dell'evento letale, determinato altresì dall'assenza totale o parziale dei presidi antifortunistici.
2.2. Sono altresì infondate le doglianze inerenti alla mancata valutazione del presunto elevato tasso alcolemico del F.M., formulate sotto i profili dell'esigenza di procedere a perizia tossicologica e del carattere eccezionale ed imprevedibile di tale status, avente efficacia idonea ad interrompere il nesso causale.
Nella sentenza impugnata si è osservato che gli altri lavoratori non avevano notato la presenza del dedotto stato di ebbrezza e che comunque esso non era stato dimostrato, emergendo dalla perizia autoptica solo un modesto tasso alcolemico di 0,5 m/l.
Tale motivazione appare logica ed esaustiva, in quanto il giudizio sulla sussistenza di un'eventuale alterazione delle capacità psichiche della vittima e, specularmente, di superfluità della perizia diretta ad appurarne l'integrità, è strettamente correlato alla prospettazione difensiva di elementi specifici e di segno contrario (vedi Sez. 2, n. 50196 del 26/10/2018, Montuori, Rv. 274684, in tema di capacità di intendere e di volere dell'imputato). Il potere di disporre un accertamento di tale tipo ha natura discrezionale ed è esercitabile solo qualora emergano concreti elementi, che consentano di dubitare delle capacità intellettive del soggetto.
3. Il quarto motivo di ricorso, con cui il P.G.S. si duole della mancata riduzione della pena comminata con la sentenza di primo grado, nonostante il riconoscimento della responsabilità del F.M. al 50% e l'esclusione della contestata aggravante ritenuta in primo grado equivalente alle circostanze attenuanti generiche, è manifestamente infondato.
Con la sentenza di primo grado era stata inflitta al P.G.S. la pena di anni uno e mesi undici di reclusione per il reato di omicidio colposo, ridotta dalla Corte di appello a mesi undici e giorni quindici di reclusione.
Ebbene, in ordine al trattamento sanzionatorio, va rilevato che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell'ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato intuitivamente e globalmente gli elementi indicati nell'art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 8085 del 15/11/2013, Masciarelli, non massimata; Sez. 4, n. 41702 del 20/09/2004, Nuciforo, Rv. 230278).
Il sindacato di legittimità sussiste solo quando la quantificazione costituisca il frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico. Tale ipotesi non ricorre nella fattispecie, laddove la Corte territoriale ha operato una sensibile rivisitazione del trattamento sanzionatorio. Non occorre, infatti, che la riduzione debba essere strettamente proporzionale in ragione di ognuno degli elementi rivalutati in senso favorevole per l'imputato in sede di gravame.
4. Il quarto motivo di ricorso, con cui il P.M. sostiene che, alla luce dell'affermazione di corresponsabilità del F.M. al 50%, l'entità del risarcimento doveva essere ulteriormente diminuita e che le spese del primo e del secondo grado di giudizio dovevano essere compensate, è manifestamente infondato.
Deve rilevarsi, infatti, che la Corte di appello ha dimezzato l'entità del risarcimento del danno nei confronti delle parti civili, proprio in ragione dell'affermazione di corresponsabilità del F.M.. Non ricorre un'ipotesi di assenza di motivazione in ordine alla mancata compensazione delle spese processuali, perché proprio in conseguenza della sensibile riduzione del risarcimento del danno la Corte di merito ha dimostrato di aver considerato l'incidenza di tale profilo.
Le richieste del ricorrente di diminuzione degli importi delle spese processuali, peraltro, erano formulate sulla base di censure in fatto, non deducibili in sede di legittimità.
5. Per le ragioni che precedono, i ricorsi vanno rigettati.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali (art. 616 cod. proc. pen.).
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 4 aprile 2019.