Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 18 settembre 2019, n. 23288 - Computo delle assenze dovute ad infortunio e licenziamento


 

Presidente: NOBILE VITTORIO Relatore: NEGRI DELLA TORRE PAOLO Data pubblicazione: 18/09/2019

 

Fatto

 


1. Con sentenza n. 8823/2017, pubblicata il 28 dicembre 2017, la Corte di appello di Napoli, in riforma della decisione di primo grado, ha dichiarato illegittimo, con le pronunce conseguenti, il licenziamento intimato, con lettera del 16 luglio 2012, dalla E.P. S.p.A. ad A.I. per superamento del periodo di comporto.
2. La Corte ha osservato a sostegno della propria decisione come nel relativo computo non dovesse tenersi conto delle assenze dovute ad un infortunio occorso il 30 maggio 2012, allorquando la lavoratrice, nel riporre una pesante teglia, era caduta a terra, sul pavimento bagnato, nella sala lavaggio della mensa cui era addetta, riportando un trauma contusivo alla spalla destra e alla caviglia sinistra con slogatura: caduta che nella ricostruzione della sentenza, fondata sulle testimonianze di alcune colleghe e sul ricorso a presunzioni, era da ricollegarsi all'assenza delle scarpe antinfortunistiche; né - rilevava la Corte - il datore di lavoro, pur avendone l'onere, aveva provato di avere adottato tutte le misure di sicurezza idonee ad evitare il verificarsi dell'infortunio e che lo stesso era da ascriversi sul piano causale ad una condotta abnorme o esorbitante del lavoratore o ad un evento (caso fortuito o forza maggiore) non imputabile.
3. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la società con tre motivi, cui ha resistito la lavoratrice con controricorso.
 

 

Diritto

 


1. Con il primo motivo viene denunciata dalla ricorrente ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ., in riferimento all'art. III, comma sesto, Cost. e all'art. 132 n. 4 cod. proc. civ., la natura apparente della motivazione resa dalla Corte di appello nella sentenza impugnata.
2. Con il secondo motivo viene dedotto il vizio di cui all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., in riferimento agli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e agli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ., nonché il vizio di cui all'art. 360 n. 5 per contraddittorietà della motivazione, avendo la Corte fondato il proprio ragionamento presuntivo su indizi privi di gravità, precisione e concordanza e avendo altresì omesso di esaminare, o avendolo fatto con superficialità, le dichiarazioni della lavoratrice, che aveva riferito di non essere scivolata ma di essere caduta a seguito del cedimento della spalla destra dopo avere preso in mano una teglia.
3. Con il terzo motivo viene dedotta la violazione o falsa applicazione ex art. 360 n. 3 degli artt. 2697, 1218 e 2087 cod. civ., avendo la Corte di appello qualificato l'evento come infortunio sul lavoro addebitabile alla società datrice nonostante il difetto di prova relativamente alla correlazione causale tra l'inadempimento di quest'ultima ai propri obblighi di tutela e il danno subito dalla dipendente.
4. Il primo motivo è infondato.
5. La motivazione può invero definirsi "solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture" (Sez. U n. 22232/2016).
6. Nella specie, la Corte di appello ha esaminato le risultanze probatorie, ricostruito sulla base di esse la dinamica dell'evento lesivo e infine richiamato la giurisprudenza in tema di responsabilità del datore di lavoro per violazione delle norme antinfortunistiche, sicché appare del tutto chiaro quale sia stato il ragionamento che l'ha condotta ad accogliere il reclamo.
7. Il secondo motivo è inammissibile.
8. Al riguardo deve confermarsi il principio, secondo il quale "la violazione del precetto di cui all'art. 2697 cod. civ., censurabile per cassazione ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., è configurabile soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest'ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del "nuovo" art. 360 n. 5 cod. proc. civ.).
9. Deve altresì confermarsi il principio, per il quale in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., opera interamente sul piano dell'apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto o di norme processuali "bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., come riformulato dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito in legge n. 134 del 2012" (Cass. n. 23940/2017).
10. Quanto alla dedotta falsa applicazione dell'art. 2729 cod. civ., è stato precisato, con orientamento cui si ritiene di dover dare continuità, che "in tema di prova presuntiva, è incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, rimanendo il sindacato del giudice di legittimità circoscritto alla verifica della tenuta della relativa motivazione, nei limiti segnati dall'alt. 360 n. 5 cod. proc. civ." (Cass. n. 1234/2019).
11. Il motivo in esame risulta inammissibile anche nella parte in cui denuncia la sentenza impugnata per vizio di motivazione.
12. Esso, infatti, non si conforma, dolendosi la ricorrente di una motivazione carente del giudice di merito, in quanto contraddittoria e non approfondita nell'esame di parte del materiale di prova in atti, al modello normativo del nuovo vizio "motivazionale", quale risultante a seguito delle modifiche introdotte con il decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni nella I. 7 agosto 2012, n. 134, pur a fronte di sentenza pubblicata il 28 dicembre 2017 e, pertanto, in epoca successiva all'entrata in vigore (11 settembre 2012) della novella legislativa.
13. Al riguardo, le Sezioni Unite di questa Corte, con le sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014, seguite da numerose conformi, hanno precisato che l'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., come riformulato a seguito dei recenti interventi, "introduce nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia)"; con la conseguenza che "nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6 e 369, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie".
14. Parimenti Inammissibile risulta il terzo motivo, il quale, dietro lo schermo della violazione e falsa applicazione di norme di diritto (per l'art. 2697 cod. civ. si richiama comunque quanto già rilevato sub 8), implica un diverso apprezzamento di fatto, come tale estraneo ai compiti assegnati dall'ordinamento alla Corte di legittimità.
15. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
16. Deve peraltro essere disattesa l'istanza di applicazione di sanzione per giudizio temerario, stante il totale difetto di allegazioni concernenti la sussistenza di un danno subito dalla lavoratrice in conseguenza della proposizione del ricorso nonché la ricorrenza nella condotta della controparte di dolo o colpa grave (Cass. n. 6637/1992 e successive conformi).
 

 

P.q.m.
 

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 18 aprile 2019.