Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 25 settembre 2019, n. 39252 - Amputazione di un dito durante le operazioni di manutenzione di una piscina. Responsabilità del datore di lavoro che non fornisce attrezzature conformi


Presidente: MONTAGNI ANDREA Relatore: ESPOSITO ALDO Data Udienza: 29/03/2019

 

Fatto

 


1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Brescia del 15 giugno 2017, ha rideterminato in euro trecento di multa la pena inflitta a M.C. in relazione al reato previsto dall'art. 590, commi primo e terzo, cod. pen., con revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena (perché, in qualità di Presidente del consiglio di amministrazione della società L'Albereta s.r.l., con delega specifica per gli aspetti di sicurezza sul lavoro dell'azienda, nonché di datore di lavoro dell'Infortunato, cagionava a P.N. lesioni personali gravissime consistite nell'amputazione del pollice sinistro, giudicate guaribili in giorni quaranta, in quanto, mentre il predetto lavoratore era intento ad eseguire la manutenzione della piscina, in particolare la sostituzione di una lampadina della cascata, in costume da bagno e a piedi nudi, servendosi di una scala posizionata in acqua ed appoggiata alla parete della cascata medesima, egli perdeva l'equilibrio o scivolando, rimanendo col dito incastrato nella scala e riportando così le sopra descritte conseguenze lesive - colpa generica e specifica per inosservanza delle norme preposte alla prevenzione degli infortuni sul lavoro e, in particolare: a. dell'art. 71, comma 2, D. Lgs. n. 81 del 2008, in quanto il datore di lavoro, nella scelta dell'attrezzatura impiegata per le operazioni di manutenzione della piscina, per la sostituzione della lampadina e per la manutenzione in generale, non considerava le condizioni e le caratteristiche specifiche delle operazioni da compiere, i rischi derivanti dall'uso della scala portatile nelle particolari condizioni di utilizzo connesse ai rischi presenti nell'ambiente di lavoro; b. 28, comma 2, lett. b, e 55, comma 3, D. Lgs. n. 81 del 2008, in quanto il DVR non comprende l'individuazione di procedure finalizzate a definire le modalità di intervento, le attrezzature da utilizzare, l'individuazione dei soggetti che devono essere adibiti, a seguito di specifica formazione, agli interventi di manutenzione).
1.1. Nella sentenza di primo grado, è stato premesso che presente vicenda processuale traeva origine da un infortunio occorso presso una struttura relax con annessa piscina di proprietà della società Albereta s.r.l..
P.N., lavoratore presso detta struttura, era incaricato di sostituire dal capo manutentore M.G. alcune lampadine presso il locale piscina.
Secondo una prassi invalsa presso la struttura, la sostituzione delle lampadine non funzionanti avveniva mediante l'uso di una comune scala a pioli, posta in verticale con la base sul fondo della vasca piena d'acqua e l'altra estremità appoggiata alla parete di contenimento, dove si trovava la serie di luci interessata dall'intervento. L'istruttoria consentiva di accertare che l'intervento era stato effettuato a piedi nudi.
Dopo aver sostituito le lampadine fulminate, nello scendere dalla scala, il lavoratore scivolava, così perdendo l'equilibrio e cadendo in acqua; nel frangente, il pollice della mano sinistra restava incastrato nella forcella a "V" sita nella parte superiore della scala, con conseguente strappo ed amputazione del medesimo; lo scivolamento dai pioli di una scala ben poteva provocare un disequilibrio del corpo tale da rendere arduo l'arresto della caduta.
L'entrata in una piscina piena d'acqua su una scala parzialmente immersa presentava un minimo di coefficiente di rischio legato alla possibilità di una disattenzione di colui il quale l'avesse impegnata in discesa o in salita. P.N. entrava in acqua coi piedi scalzi e bagnati.
M.C., in qualità di titolare della posizione di garanzia connessa all'obbligo di cui all'art. 2087 cod. civ., violava l'obbligo di dotare i lavoratori di un'attrezzatura conforme ai requisiti di sicurezza e adeguata al lavoro da svolgere.
Non ricorrevano gli estremi del caso fortuito di cui all'art. 45 cod. pen., connotato dai profili di imprevedibilità e di imponderabilità.
1.2. Nella sentenza della Corte di appello è stata illustrata in dettaglio la dichiarazione resa da P.N.. Questi spiegava che dopo aver cambiato la lampadina, nello scendere, era scivolato perdendo l'equilibrio. Il dito del pollice sinistro gli era rimasto incastrato in una biforcazione situata al termine della scala e lo tirava.
Doveva essere oggetto di valutazione non l'incastramento del dito nella forcella, bensì l'eventualità di una caduta di P.N. dalla scala. Le norme di sicurezza erano dirette proprio ad evitare tale accadimento.
2. M.C., a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo tre motivi di impugnazione.
2.1. Vizio di motivazione.
Si deduce che la medesima persona offesa, nel descrivere la dinamica degli eventi, aveva spiegato che tirando il dito nel tentativo di disincastrarlo era caduto, contra-riamente al rilievo della Corte di appello, secondo la quale lo strappo del dito era avvenuto a seguito della caduta senza soluzioni di continuità. La vicenda doveva essere distinta in due fasi: lo scivolamento della persona offesa e il tentativo di estrazione del dito, che comportava la caduta e il conseguente strappo.
2.2. Violazione degli artt. 40 e 41 cod. pen..
Si rileva che le lesioni non erano state cagionate dalla caduta, bensì in occasione della caduta. La Corte non ha verificato se fosse ravvisabile una condotta eziologicamente collegata all'evento lesivo, sulla scorta della descritta dinamica dell'infortunio (strappo del dito non derivante dalla caduta senza soluzione di continuità, bensì dall'azione del lavoratore volta a disincastrare il dito una volta avvedutosi della sua posizione a seguito del terminato scivolamento)
2.3. Violazione di legge e mancanza di motivazione in riferimento all'art. 45 cod. pen.. 
Si osserva che l'eccezionalità della vicenda doveva essere valutata in relazione alle modalità dell'infortunio. Alle assai remote probabilità che un dito di una persona finisca esattamente in quella posizione, doveva aggiungersi l'eccezionalità del comportamento del lavoratore che, con reazione al di fuori di ogni prevedibilità, tirava a tal punto il dito incastrato sino a sbilanciarsi per poi cadere e, per effetto di ciò lo strappava, al contrario di quanto gli consigliavano le regole di logica e di prudenza.
L'impiego di calzature di protezione non poteva far fronte a tale situazione.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso è infondato.
In ordine al primo e al secondo motivo di ricorso, da trattare congiuntamente, va premesso che la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell'evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione - da parte del garante - di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso (Sez. 4, n. 32216 del 20/06/2018, Capobianco, Rv. 273568; Sez. 4, n. 5404 del 08/01/2015, Corso, Rv. 262033).
Ciò posto, i giudici di merito hanno evidenziato che M.C., Presidente del consiglio di amministrazione della società "L'Albereta s.r.l.", con delega specifica per gli aspetti di sicurezza sul lavoro dell'azienda nonché di datore di lavoro dell'infortunato, titolare della posizione di garanzia connessa all'obbligo di cui all'art. 2087 cod. civ., aveva violato l'obbligo di dotare il lavoratore di un'attrezzatura conforme ai requisiti di sicurezza e adeguata al lavoro da svolgere, in quanto non gli aveva fornito adeguati dispositivi di protezione in grado di prevenire sdrucciolamenti e cadute a causa di superfici sommerse o bagnate.
La Corte territoriale, quindi, ha chiarito che le regole cautelari violate dall'imputata erario specificamente rivolte a scongiurare il pericolo di scivolamento poi concretizzatosi e che il fatto rientrava nella tipologia di incidenti astrattamente prospettabili quali conseguenze dell'utilizzo di un attrezzo mobile di risalita parzialmente immerso in acqua da parte di un operatore privo dei necessari dispositivi di protezione. Contrariamente alla tesi sostenuta dalla ricorrente, quindi, la Corte di merito ha escluso la possibilità di scindere l'incidente in due fasi (caduta e successiva condotta della persona offesa volta a disincastrare il dito).
Tali motivi di ricorso, pertanto, sono infondati. 
2. E' altresì infondato il terzo motivo di ricorso.
Relativamente alle censure riguardanti il comportamento asseritamente abnorme ed esorbitante del dipendente, la Corte territoriale ha rilevato, con motivazione lineare e coerente, che il lavoratore stava espletando un normale compito di cambio di lampadina, sia pur senza adottare le dovute cautele, per cui tale condotta non poteva essere da sola idonea ad interrompere il nesso causale con l'evento verificatosi.
L'assunto del giudice d'appello è corretto e conforme al principio più volte affermato dalla Corte di legittimità in materia di infortuni sul lavoro, secondo cui il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222); nello stesso senso, si è affermato che, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa, Rv. 269603).
Pertanto, in tema di causalità, la colpa del lavoratore, concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica ascritta al datore di lavoro ovvero al destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, esime questi ultimi dalle loro re-sponsabilità solo allorquando il comportamento anomalo del primo sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore (Sez. 4, n. 16397 del 05/03/2015, Guida, Rv. 263386).
A ciò deve aggiungersi che la condotta imprudente o negligente del lavoratore, in presenza di evidenti criticità del sistema di tutela approntato dal datore di lavoro, non potrà mai spiegare alcuna efficacia esimente in favore dei soggetti destinatari degli obblighi di sicurezza. Tali disposizioni, infatti, sono dirette a difendere il lavoratore anche da incidenti che possano derivare da sua colpa, dovendo, il datore di lavoro, prevedere ed evitare prassi di lavoro non corrette e foriere di eventuali pericoli (Sez. 4, n. 10265 del 17/01/2017, Meda, Rv. 269255; Sez. 4 n. 22813 del 21/4/2015, Palazzolo, Rv. 263497). 
Orbene, risulta evidente, dai principi richiamati, non è possibile inquadrare nell'ambito delle condotte connotate da abnormità ed esorbitanza, il comportamento tenuto dal lavoratore infortunato, non essendosi realizzato in un ambito avulso dal procedimento lavorativo a cui era stato addetto, come evidenziato in maniera appropriata dalla Corte territoriale.
In ordine alla prevedibilità delle circostanze che hanno determinato l'evento lesivo del lavoratore, i giudici di merito, affermando la non eccentricità e la non imprevedibilità del comportamento del lavoratore, hanno evidenziato come l'operazione intrapresa dall'infortunato costituisse un ordinario intervento di manutenzione di un apparato elettrico.
La Corte d'appello ha logicamente escluso ogni carattere di anomalia del presunto tentativo del lavoratore di disincastrare il dito dalla scala, attribuendo rilievo decisivo alla circostanza del compimento delle operazioni di sostituzione della lampadina a vasca piena. Non sono riconducibili a caso fortuito, infatti, gli incidenti sul lavoro determinati da colpa del lavoratore, poiché le prescrizioni poste a tutela dei lavoratori mirano a garantire l’incolumità degli stessi anche nell'ipotesi in cui, per stanchezza, imprudenza, inosservanza di istruzioni, malore od altro, essi si siano venuti a trovare in situazione di particolare pericolo (Sez. 4, n. 4917 del 01/12/2009, dep. 2010, Filiasi, Rv. 246643).
3. Per le ragioni che precedono, il ricorso va rigettato.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali (art. 616 cod. proc. pen.).
 

 

P. Q. M.

 


Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 29 marzo 2019.