Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 27 settembre 2019, n. 39745 - Incendio in azienda: mancanza di misure idonee a prevenire il pericolo


Presidente: FUMU GIACOMO Relatore: PICARDI FRANCESCA Data Udienza: 18/09/2019

 

 

 

Fatto

 

1. La Corte di Appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado con cui V.N. è stato condannato alla pena sospesa di mesi 2 di reclusione, con il beneficio della non menzione, per il reato di cui all'art. 590 cod.pen. (per avere cagionato, in qualità di legale rappresentante della New Car Service s.r.l. e datore di lavoro di A.C.C., lesioni gravi a quest'ultimo, consistenti in ustioni sul volto ed ai polsi, all'esito di un incendio verificatosi per la mancata adozione delle misure idonee a prevenire tale pericolo o, comunque, a mitigarne i rischi, tramite, ad esempio, l'utilizzo di attrezzature idonee - incendio determinato dal contatto tra il gas delle bombole di GPL svuotate dal lavoratore ed un fuoco accesso nelle vicinanze), 11 febbraio 2011.
2. Avverso tale sentenza ha tempestivamente proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del suo difensore, denunciando: 1) l'erronea applicazione della legge penale ed il vizio di motivazione della sentenza, che ha escluso la condotta abnorme del lavoratore, nonostante le fiamme divampate, da cui sono derivate le lesioni della vittima, non sia scaturito dal processo lavorativo, ma dalla condotta assolutamente imprevedibile dello stesso lavoratore, che ha acceso un fuoco sul luogo di lavoro, pur essendo segnalato da numerosi cartelli il rischio di incendio; 2) l'inosservanza dell'art. 299 d.lgs. n. 81 del 2008, in quanto gli è stata attribuita una posizione di garanzia, nonostante la delega di funzioni conferita a G.G., che era l'amministratore di fatto della società.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso non merita accoglimento, in quanto entrambi i motivi proposti sono meramente ripetitivi delle censure di appello e non si confrontano né con le puntuali risposte del giudice dell'impugnazione, oltre a risultare non pertinenti rispetto alla ricostruzione dei fatti effettuata da giudici di merito.
In proposito va ribadito che in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili i motivi che si limitano a riprodurre le censure dedotte in appello, anche se con l’aggiunta di frasi incidentali di critica alla sentenza impugnata meramente assertive ed apodittiche, laddove difettino di una analisi argomentata del provvedimento attaccato e dell’indicazione delle ragioni della loro decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice di merito (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013 ud., dep. 21/02/2013, rv. 254584; v. anche Sez. 4, n. 38202 del 07/07/2016 ud., dep. 14/09/2016, rv. 267611 che precisa che i motivi di ricorso per cassazione possono riprodurre totalmente o parzialmente quelli di appello ma solo entro i limiti in cui ciò serva a documentare il vizio enunciato e dedotto con autonoma, specifica ed esaustiva argomentazione che si riferisca al provvedimento impugnato e si confronti con la sua motivazione).
2. Il primo motivo, con cui il ricorrente ha insistito nell'invocare la condotta abnorme del lavoratore, che avrebbe accesso il fuoco sul luogo di lavoro, nonostante il pericolo di incendio segnalato, non tiene conto del contenuto della sentenza di primo grado, che integra quella impugnata, trattandosi di doppia conforme. Nella pronuncia del Tribunale si legge, difatti, che "deve ritenersi irrilevante da chi sia stato acceso il fuoco, circostanza in effetti non provata attese le contrastanti deposizioni sul punto", sicché la censura in esame si fonda su una ricostruzione dei fatti proposta dalla difesa, che non corrisponde all'accertamento dei giudici di merito. In proposito va sottolineato che il giudice di appello non ha effettuato alcuna istruttoria e, nella ricostruzione dei fatti, si è limitato a richiamare quanto accertato dal giudice di merito, per cui il riferimento al fuoco acceso dal lavoratore risulta improprio, tenuto conto dell'Incertezza probatoria segnalata del giudice di primo grado sul punto.
Occorre, inoltre, sottolineare che, sempre dalla sentenza di primo grado, si evince che "premesso che il rischio incendio è intrinseco nella lavorazione di sostanze infiammabili, è emerso che occasionalmente venivano accesi fuochi all'Interno di quei luoghi sia in base a quanto dichiarato dalla persona offesa sia per il riscontro effettuato da un terzo, il tecnico della Asl, che ha visto un braciere con ceneri e residui delle passate combustioni".
A ciò si aggiunga che la Corte di appello ha osservato che "l'unica misura di prevenzione adottata dall'azienda fu quella di apporre alcuni cartelli che vietavano di accendere fuochi. Ora, se da un lato, è di tutta evidenza l'inidoneità di tale insufficiente misura antinfortunistica, dall'altro, la presenza di quei segnali dimostra inequivocabilmente che il rischio di verificazione dell'evento ... era non solo prevedibile, ma era stato realmente previsto. Di talché l'imputato ... aveva l'obbligo di impedirlo e per neutralizzarlo avrebbe dovuto semplicemente attenersi alle prescrizioni imposte dall'art. 46 del T.U. n. 81 del 2008 e controllare, personalmente o per mezzo di idoneo personale appositamente incaricato, che quel tipo di fochi (utilizzati dai lavoratori anche allo scopo di riscaldarsi nelle gelide giornate invernali) non venissero accesi".
A fronte di tali argomentazioni, il ricorrente si è limitato ad insistere sull'abnormità della condotta del lavoratore e sulla verificazione dell'incendio al di fuori del ciclo lavorativo, mentre, come sottolineato dai giudici di merito, da un lato, la fiamma è divampata durante l'operazione di svuotamento dei serbatoi dal gas propano liquido (operazione sicuramente riconducibile al ciclo produttivo) e, dall'altro, non vi è certezza che il fuoco sia stato accesso dal lavoratore e, comunque, i fuochi venivano occasionalmente accesi sul luogo di lavoro.
Del resto, come si evince dalla sentenza impugnata, l'insicurezza del luogo di lavoro è stata determinata proprio dall'insufficienza di adeguate misure di prevenzione anti-incendio, ridotte ai meri cartelli informativi e prescrittivi, senza alcun presidio di controllo e senza la consegna al lavoratore di attrezzature adeguate alla sua tutela.
Ad ogni modo, secondo gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità, in tema di infortuni sul lavoro, qualora l'evento sia riconducibile alla violazione di una molteplicità di disposizioni in materia di prevenzione e sicurezza del lavoro, il comportamento del lavoratore che abbia disapplicato elementari norme di sicurezza non può considerarsi eccentrico o esorbitante dall'area di rischio propria del titolare della posizione di garanzia in quanto l'inesistenza di qualsiasi forma di tutela determina un ampliamento della stessa sfera di rischio fino a ricomprendervi atti il cui prodursi dipende dall'inerzia del datore di lavoro (Sez. 4, n. 15174 del 13/12/2017 ud. - dep. 05/04/2018, Rv. 273247 - 01); in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016 ud. - dep. 27/03/2017, Rv. 269603 - 01).
3. Per quanto concerne il secondo motivo, nel provvedimento impugnato si legge che "la .. procura institoria notarile in data 16/9/2010, di cui pure si fa menzione nell'atto di appello, non presenta tutti i requisiti tipici della delega di funzioni ex art. 16 del d.lgs. n. 81 del 2008...poiché la stessa non riguardava un ambito ben definito, ma l'intera gestione aziendale". Relativamente a tale motivazione, peraltro conforme all'orientamento della giurisprudenza di legittimità (v. Sez. 4, n. 4350 del 16/12/2015 ud. - dep. 02/02/2016, rv. 265947 - 01, secondo cui, in materia di infortuni sul lavoro, gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro, possono essere trasferiti ad altri soggetti a condizione che il relativo atto di delega, ex art. 16 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, riguardi un ambito ben definito e non l'intera gestione aziendale, sia espresso ed effettivo, non equivoco ed investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa), il ricorrente non ha espresso alcuna critica.
A ciò si aggiunga che, comunque, in tema di infortuni sul lavoro, la delega di funzioni - ora disciplinata precipuamente dall'art. 16 T.U. sulla sicurezza - non esclude l'obbligo di vigilanza del datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite (Sez. 4, n. 22837 del 21/04/2016 ud. - dep. 31/05/2016, Rv. 267319 - 01) - obbligo che pure è stato richiamato e ribadito nella sentenza impugnata.
4. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ragioni di esonero, della sanzione pecuniaria, che si liquida in euro duemila, in favore della Cassa delle ammende.
 

 

P.Q.M.
 

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 18 settembre 2019