Categoria: Giurisprudenza civile di merito
Visite: 5552

Tribunale di Lanciano, 23 settembre 2019, n. 111 - Lesa la dignità del lavoratore se viene negata la pausa per l’utilizzo dei servizi igienici


 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI LANCIANO

Il Tribunale, in composizione monocratica, in funzione di Giudice del Lavoro, in persona del giudice dott.ssa Cristina Di Stefano,
all'udienza del 23.09.2019 ha pronunciato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la seguente
sentenza con motivazione contestuale
nella causa di lavoro iscritta al n° 541/2017 r.g., pendente
tra

 


Omissis, rappresentato e difeso dall’avv. Diego Bracciale, come da procura in atti, ed elettivamente domiciliato nel suo studio;
- ricorrente -
e
SEVEL S.P.A.- Società Europea Veicoli Leggeri s.p.a., in persona del Procuratore prò tempore, elettivamente domiciliata in Lanciano, presso lo studio dell'avv. Antonio
Omissis;
- resistente -
avente ad oggetto: risarcimento danno.
Conclusioni delle parti: come da atti introduttivi del giudizio.
 

 

Fatto

 


Con ricorso depositato il 10.10.2017, Omissis evocato in giudizio la Sevel s.p.a. avanti intestato Tribunale e, premesso di essere dipendente della stessa da oltre dieci anni con contratto di lavoro subordinato a tempo pieno ed indeterminato con la qualifica di operaio inquadrato al 5° gruppo professionale di 2° fascia, addetto ai lavori di produzione (attualmente impiegato alla postazione montaggio cantonale dx e sx), ha esposto che in data 07.02.2017, durante il turno di lavoro 14.15/22.15 e, precisamente, alle ore 16.45 circa, avvertiva il bisogno di recarsi ai servizi igienici per cui azionava il dispositivo di chiamata/emergenza al fine di potersi allontanare dalla postazione di lavoro nel rispetto della procedura, ma che nessun preposto ovvero Team Leader si recava nella sua postazione; che. dunque, azionava anche il dispositivo di chiamata/emergenza della postazione vicina, con esito negativo e chiedeva di essere autorizzato dai Team Leader che si trovavano nei pressi della sua postazione senza ottenere risposta positiva; che resisteva per quanto possibile per non abbandonare la sua postazione senza autorizzazione, ma che giunto allo stremo della resistenza, e non avendo alternativa alcuna, lasciava la postazione e correva verso i servizi igienici, non riuscendo ad evitare di minzionarsi nei pantaloni; che ciononostante riprendeva immediatamente il suo lavoro; che chiedeva di potersi cambiare in infermeria, ma che tale permesso gli veniva negato; che, dunque, poteva cambiarsi solo durante la pausa alle ore 18 circa presso il cd. Box Ute, dunque al cospetto di tutti i lavoratori vicini, donne comprese. Il ricorrente ha, inoltre, lamentato di patire, a seguito dell'occorso, uno stato ansioso e depressivo per il quale è tuttora in cura e che pregiudica notevolmente il suo stile di vita.
Ha, dunque, concluso chiedendo di "accertare la lesione del diritto alla dignità della persona sul luogo di lavoro subita dal Sig. Omissis" e, per l’effetto, condannare la società Sevel S.p.A. al risarcimento del danno subito in conseguenza dell'illegittimo comportamento datoriale in misura pari alla somma di euro . di quella somma maggiore o minore che verrà ritenuta di Giustizia, il tutto con interessi legali, da determinarsi in via equitativa. Con vittoria di spese, competenze ed onorari. Si è costituita in giudizio la Sevel s.p.a. chiedendo il rigetto del ricorso.
Radicatosi il contraddittorio tra le parti, escussi i testi da esse addotti, all'odierna udienza la causa è stata discussa e decisa come da dispositivo con motivazione contestuale di cui è stata data lettura in aula.
 

 

Diritto

 


Il ricorso è fondato e deve trovare accoglimento nei termini di cui in motivazione.
La ricostruzione dei fatti occorsi in data 07.02.2017, per come esposta nel ricorso introduttivo del giudizio, ha trovato conferma nelle dichiarazioni rilasciate dai testi addotti da parte ricorrente, che risultano univoche, concordanti, lineari e coerenti.
Difatti, i testi escussi hanno confermato che in data 07.02.2017, durante il turno di lavoro (14.15/22.15) e. precisamente, alle ore 16.45 circa, il Omissis avvertiva il bisogno di recarsi ai servizi igienici, per cui azionava il dispositivo di chiamata/emergenza al fíne di potersi allontanare dalla postazione di lavoro nel rispetto della procedura, ma che nessun preposto ovvero team leader si recava nella sua postazione e che proprio per tale ragione egli azionava anche il dispositivo di chiamata/emergenza della postazione vicina, pur sempre con esito negativo.
Difatti, il teste escusso in qualità di collega di lavoro collocato nella postazione accanto a quella del ricorrente, ha così dichiarato: "E' vera la circostanza anzi aggiungo che proprio perché non veniva nessuno il ricorrente ha azionata anche i dispositivi di chiamata anche della mia postazione [...] neanche in questa occasione si presentò alcuno ".
Del medesimo tenore risulta la deposizione testimoniale resa dal collega di lavoro, anch’egli collocato nella postazione di lavoro accanto a quella del ricorrente e del collega di lavoro addetto a postazione lavorativa distante circa sette metri da quella del ricorrente, che nel confermare la dinamica dei fatti descritta in ricorso ha precisato che: "la chiamata avvenne prima delle 17.00 intorno alle ore 16.40 circa [...] e che la pausa collettiva è dalle ore 16.15 fino alle 16.25”.
Il teste di parte ricorrente collocato ad una quindicina di metri dalla postazione del ricorrente, pur non essendo in grado di confermare da quale postazione giungessero le chiamate, ha comunque dichiarato di “aver visto una serie di chiamate effettuate dal ricorrente ricordo che ciò avvenne in periodo di particolare intensità lavorativa ”.
E’ risultato, inoltre, pacifico in giudizio che tutti i team leader presenti fossero occupati e, dunque, impossibilitati a sostituire immediatamente il ricorrente presso la sua postazione.
Non ha trovato, invece, riscontro processuale la diversa ricostruzione dei fatti occorsi fornita dalla società resistente, secondo la quale il signor Omissis intorno alle ore 17.15 manifestava la necessità di recarsi ai servizi igienici, per cui doveva attendere solo qualche minuto prima di allontanarsi dalla postazione, dopo averne fatto richiesta.
Invero, i testi addotti da parte resistente hanno confermato la circostanza dell'attivazione da parte del ricorrente della prima chiamata operatore solo alle ore 17.19 non per cognizione diretta, ma sulla base della disamina del documento di parte resistente - n. 1 allegato alla comparsa di costituzione e risposta- mostrato in giudizio ai testi (cfr. testimonianza resa dal teste Omissis: '"Non lo so, dal documento che mi viene mostrato risulta che il ricorrente ha attivato la chiamata alle ore 17.19"; dal teste R.I.: “Non lo so, dal documento che mi viene mostrato risulta che il ricorrente ha attivato la chiamata alle ore 17.19, preciso che il documento che mi viene mostrato è un report storico delle chiamate operatore che vengono effettuate da tutte le postazioni della UTE. Preciso che le prime tre cifre, indicate nella terza colonna da sinistra (denominata postazione), indicate nel documento identificano la postazione del lavoratore da cui è partita la chiamata, nel nostro caso 010": dal teste Omissis:
“Non ero presente. "Lo vidi solo andare in bagno, il documento n. 1 mostratomi elenca due chiamate dalla postazione di una delle ore 17.19 che è stata spenta dopo 3 minuti e 21 secondi e una delle 17.23 che non si capisce quando è stata spenta, non so quale delle due si riferisce all’episodio per cui è causa. Preciso che la chiamata non spegne da sola deve spegnerla il team-leader incaricato, nel caso specifico la chiamata si può spegnere dall'UMAP (una sorta di monitor) presente nella stazione del ricorrente, se vi è un altra possibilità di spegnimento non lo a me non risulta").
D’altra parte i testi di parte ricorrente, entrambi collocati accanto alla postazione del ricorrente e, dunque, in grado di riferire per aver preso cognizione diretta da una distanza ravvicinata di tutti i fatti occorsi, pur quantificando diversamente l’attesa del ricorrente prima di recarsi in bagno, hanno comunque chiarito come non si trattò di pochi o pochissimi minuti come statuito nella memoria di costituzione (cfr. testimonianza A “Mi risulta che dopo i fatti descritti il ricorrente sia rimasto a lavorare sulla sua postazione almeno per altri dieci minuti”: A : "Mi risulta che dopo i fatti descritti il ricorrente sia rimasto a lavorare sulla sua postazione almeno per altri venti minuti forse anche trenta minuti, mi risulta che alla fine dopo aver iniziato a chiamare prima delle cinque andò in bagno verso le 17.30 circa"; ma anche Omissia: “Ricordo che il ricorrente prima di correre in bagno è rimasto sulla postazione di lavoro per più di cinque minuti dopo aver effettuato più di una chiamata e durante l'attesa ricordo che si piegava in avanti cercando di attirare l’attenzione sulla sua necessità di dover andare in bagno ”).
Ciò chiarito in merito all'individuazione dell'esatto orario in cui il lavoratore ha fatto richiesta di recarsi in bagno ed in merito alla relativa quantificazione del tempo di attesa, l’istruttoria svolta ha altresì confermato che il ricorrente ha lasciato la propria postazione correndo verso i servizi igienici, ma che non riusciva ad evitare di minzionarsi nei pantaloni (cfr. testimonianza resa da Omissis “E' vero che quando andò in bagno non riuscì ad arrivarci che urinò nei pantaloni. Ricordo che il ricorrente dopo essere stato in bagno tornò a lavorare con i pantaloni bagnati nella zona dell’inguine”; da Omissis "E’ vero che quando andò in bagno non riuscì ad arrivarci ed al ritorno gli vidi i pantaloni bagnati, preciso che quando andò aveva un andamento sofferente e lento e si teneva la parte bassa della pancia ”; da F. ricordo che al ritorno dal bagno il ricorrente aveva i pantaloni bagnati nella parte anteriore ").
Né tale ricostruzione dei fatti risulta smentita dalle deposizioni rese dai testi addotti da parte resistente che si sono limitati ad asserire di non aver notato che il dipendente avesse i pantaloni bagnati, senza escludere però la circostanza (cfr. deposizioni di ...).
I testi addotti da parte ricorrente hanno, altresì, confermato che il Omissis riprese immediatamente il suo lavoro; che il Team Leader avvisò il Capo Ute il quale si recò presso la postazione del ricorrente; che gli fu fornito un pantalone pulito, ma che gli fu negato di cambiarsi in infermeria come richiesto; che fu autorizzato a cambiarsi in bagno, ma che il dipendente si rifiutò (cfr. dichiarazione del testi "Ho visto ad un certo punto comunque dopo l'accensione degli avvisi di chiamata, recarsi nella postazione del ricorrente"; “Ricordo che quando il ricorrente ha chiesto di andare in infermeria nell’ufficio del capo UTE gli è stato risposto da I. che poteva andare in bagno a cambiarsi fornendogli un pantalone pulito; ricordo che il ricorrente si oppose di andare in bagno in quanto non è praticabile per i cambi e allora I. disse a Omissis che poteva cambiarsi nei pressi dell'ufficio del capo UTE. Preciso che il bagno anche per mia conoscenza diretta è impraticabile per il cambio addirittura anche per l'uso a cui è preposto, dopo la pausa collettiva: ricordo che i pantaloni di Omissis erano evidentemente bagnati nella parte anteriore nonché le dichiarazioni univoche di ... : "Ricordo che il ricorrente dopo essere stato in bagno tornò a lavorare con i pantaloni bagnati nella zona dell'inguine "Ho visto telefonare non so a chi dopo poco è arrivato il supervisore e con viso imbarazzato parlava al ricorrente "; "Non so, ricordo che lavorò fino alle 17.55 orario di pausa sempre con i pantaloni bagnati e ricordo che si lamentò con me perché non gli avevano permesso di andare in infermeria per lavarsi e cambiarsi").
Inoltre, i testi di parte ricorrente hanno confermato che il Omissis si cambiò i pantaloni solo durante la pausa alle ore 18 circa presso il cd. Box Ute (chiuso solo su tre dei quattro lati).
Orbene, com'è noto, nell'ambito del rapporto di lavoro, dalla violazione dell'obbligo dell'imprenditore di tutelare non solo l'integrità fisica, ma anche la personalità morale del lavoratore, ai sensi dell'art. 2087 c.c., vengono in considerazione diritti della persona del lavoratore che, già tutelati dal codice del 1942, sono assurti in virtù della Costituzione, grazie all'art. 32 Cost.. quanto alla tutela dell’integrità tisica, ed agli artt. 1. 2. 4 e 35 quanto alla tutela della dignità personale del lavoratore, a diritti inviolabili, la cui lesione dà luogo a risarcimento dei pregiudizi non patrimoniali, di tipo esistenziale, da inadempimento contrattuale. Si verte, in sostanza, in un'ipotesi di risarcimento dei danni non patrimoniali in ambito contrattuale legislativamente prevista. Sulla base dell'istruttoria svolta è, dunque, possibile concludere nel senso che il datore di lavoro non ha adottato tutte le misure idonee a salvaguardare la personalità morale dei prestatori di lavoro in aperta violazione dell’art. 2087 c.c. e, nel dettaglio, non ha predisposto un sistema organizzativo che consenta, anche nel caso in cui tutti i dipendenti addetti alle sostituzioni di altri lavoratori siano per le più svariate ragioni impossibilitati alla sostituzione, al lavoratore di allontanarsi dalla propria postazione lavorativa per soddisfare un bisogno primario, non controllabile, né preventivabile.
Ciò chiarito in linea generale il ricorrente ha lamentato che, a seguito di quanto accaduto, ha patito uno stato ansioso e depressivo per il quale è tuttora in cura e che gli cagiona uno stile di vita notevolmente pregiudicato. Trattasi di domanda di risarcimento del danno biologico, che non è stato adeguatamente allegato e dimostrato in giudizio dalla parte ricorrente, che si è limitata a darne atto apoditticamente, senza fornire riscontri processuali mediante produzione dell'indispensabile documentazione sanitaria a supporto della domanda o articolare prove orali sul punto.
Sotto questo profilo, dunque, la domanda non può certamente trovare accoglimento. Occorre però considerare come il danno non patrimoniale può essere provato anche da presunzioni semplici alle quali il giudice ‘'può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell'esercizio del potere discrezionale da lui detenuto (cfr. Cass. civ., sez. lav., sentenza 20 dicembre 2018 — 19 febbraio 2019, n. 4815; Cass. n. 11269 del 2018: n. 7471 del 2012).
Una volta provata la lesione, il risarcimento e la liquidazione del danno patito non può che avvenire in via equitativa in ragione del carattere strettamente personale del diritto leso e la conseguente impossibilità di dimostrare in concreto l'entita del danno, senza necessità di particolari dimostrazioni da parte del danneggiato, ai sensi dell'art. 2059 c.c. (cfr. Cass., sez. III, 3 dicembre 2007, n. 25171 in materia di liquidazione del danno morale conseguente alla lesione dell'onore o della reputazione). La valutazione equitativa dovrà necessariamente tener conto della gravità oggettiva del fatto, desumibile dalle modalità concrete della condotta illecita e della portata offensiva della stessa.
Dagli elementi probatori raccolti in ordine alla gravità oggettiva del fatto è possibile affermare, sulla base del ragionamento presuntivo, che il datore di lavoro ha arrecato concreto e grave pregiudizio alla dignità personale del lavoratore nel luogo di lavoro, al suo onore e alla sua reputazione, indubbiamente derivante dall’imbarazzo di essere osservato dai colleghi di lavoro con i pantaloni bagnati per essersi minzionato addosso. Risulta equo quantificare il danno risarcibile in ..., non essendo in alcun modo ascrivibile alla società datrice di lavoro la risonanza mediática che la vicenda ha avuto, frutto di una scelta del ricorrente, che ha ritenuto opportuno informare la stampa di quanto occorso.
Sulla somma di ..., trattandosi di un debito di valore, spetta la rivalutazione all'attualità in base ad un indice presuntivo che può essere individuato nell'indice Istat, in ragione dell'aggiornamento annuale dell'importo e della sua riferibilità al semplice consumatore, oltre interessi al saggio legale sulla somma anno per anno rivalutata, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte.
Le spese del giudizio, liquidate sulla base del valore della controversia riconosciuto in sentenza, secondo i parametri di cui al D.M. n. 37 del 8.3.2018 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale - Serie Generale - n. 96 del 26.4.2018, in vigore dal successivo 27.4.2018), avuto riguardo all'attività concretamente espletata dalle parti, devono essere poste a carico della parte resistente sulla base del principio di soccombenza.
 

 

P.Q.M.

 


il Tribunale di Lanciano, in funzione di Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando, così provvede:
-in accoglimento del ricorso, condanna la società resistente alla corresponsione in favore del lavoratore della somma pari ad f oltre interessi e rivalutazione nei termini di cui in motivazione;
-condanna la società resistente alla rifusione in favore del ricorrente delle spese del giudizio liquidate in f ¡tre rimborso forfettario, IVA e Cap. come per legge.
Così deciso in Lanciano, all'udienza del 23.09.2019.