Cassazione Penale, Sez. 4, 22 ottobre 2019, n. 43211 - Responsabilità del socio lavoratore per la morte di un altro socio lavoratore durante la potatura di un albero. Carente organizzazione del lavoro


Presidente: FUMU GIACOMO Relatore: MONTAGNI ANDREA Data Udienza: 04/10/2019

 

Fatto

 

 

 

1. La Corte di Appello di Roma, con la sentenza indicata in epigrafe, confermava l'affermazione di responsabilità nei confronti di P.S., già pronunciata dal Tribunale di Roma con sentenza del 6.12.0216, in riferimento al delitto di omicidio colposo in danno del lavoratore DS.F.. Al prevenuto, nella sua qualità di socio, lavoratore e responsabile per la sicurezza della Dimensione Verde 90 s.a.s., nonché di autore materiale della condotta, si addebita di aver cagionato la morte di DS.F., altro socio e lavoratore della richiamata società. In particolare, al P.S. si ascrive di aver omesso di provvedere alla segregazione dell'area adibita a lavori di giardinaggio, ai sensi dell'art. 109, d.lgs. n. 81 del 2008. Ciò in quanto, mentre si trovava sulla piattaforma per la potatura di un pino rientrante nella proprietà di F., lascava cadere una porzione del tronco dell'albero, che attingeva al capo l'altro socio DS.F., che si trovava nell'area sottostante, non segregata né segnalata, benché rientrante nel raggio di azione del carrello.
La Corte di Appello rilevava che la ricostruzione dello stato dei luoghi al momento del fatto era avvenuta sulla base delle dichiarazioni rese da coloro che avevano assistito all'Infortunio; ciò in quanto, immediatamente dopo l'evento, il P.S. e l'altro lavoratore C. avevano rimosso il macchinario con il quale stavano procedendo al taglio dell'albero ed anche il pezzo di tronco che aveva colpito la parte offesa.
In riferimento alla dinamica dell'incidente, la Corte distrettuale considerava che la vittima, quando venne attinta dal tronco sfuggito all'odierno imputato, era all'interno del giardino privato, sotto l'albero oggetto della potatura; e che il cestello, al cui interno si trovava il P.S. che stava effettuando il taglio della pianta con una motosega, era posizionato all'altezza di tre metri, accanto all'albero in questione. Il Collegio qualificava come non attendibili le dichiarazioni del testimone C., che aveva riferito che DS.F. si trovava, invece, in una diversa posizione. Al riguardo, la Corte di Appello considerava che la porzione di tronco era caduta da una altezza di tre metri; e che, in assenza di fattori esterni, il grave aveva certamente seguito una traiettoria rettilinea, nel raggiungere il suolo.
La Corte distrettuale rilevava che l'organizzazione del lavoro risultava deficitaria, non essendo state previste le modalità operative con le quali trasportare a terra, in condizioni di sicurezza, le porzioni di tronco di volta in volta tagliate dall'operatore che si trovava sul cestello. Considerava che la zona sottostante l'albero avrebbe dovuto essere segregata; e che il passaggio sotto l'albero, da parte del DS.F., nel corso del taglio della pianta, non integrava una condotta anomala.
2. Avverso la richiamata sentenza della Corte di Appello di Roma ha proposto ricorso per cassazione P.S., a mezzo del difensore.
L'esponente deduce violazione di legge e vizio di motivazione per travisamento del fatto in relazione alla ricostruzione dell'evento e con riguardo al rigetto della richiesta di rinnovo dell'istruttoria dibattimentale. Denuncia, in particolare, l'inosservanza del principio di autoresponsabilità del lavoratore ed il vizio di motivazione in relazione alla interruzione del nesso causale.
La parte osserva che la Corte di Appello, rispetto alla ricostruzione del sinistro e nella valutazione del compendio probatorio, è incorsa in un travisamento del fatto, incidente sulla tenuta logica della decisione.
Il ricorrete premette che lo spostamento dei mezzi, successivamente al sinistro, si è reso necessario per consentire l'accesso dell'ambulanza nell'area interessata; ed osserva che detta evenienza sgombra il campo da velate insinuazioni sul possibile interesse dell'imputato a realizzare un inquinamento probatorio.
Ciò posto, osserva che la ricostruzione della dinamica del sinistro è offerta dalle dichiarazioni dell'Ispettore di Polizia A., intervenuto sul posto a distanza di alcune ore dal fatto, la cui deposizione dibattimentale non è stata richiamata dai giudici di merito. Il deducente sottolinea che il predetto dichiarante ha confermato che l'albero, per insistendo nell'area di un privato, per il suo sviluppo obliquo, sovrastava la zona pubblica. La parte rileva che DS.F. nel momento in cui venne attinto da un pezzo del tronco, si trovava all'esterno del giardino del F.. E sottolinea che C. ha riferito che al momento del sinistro il cestello si stava già abbassando.
Il ricorrente osserva che la posizione del cestello, come dimostrato dal consulente tecnico della difesa, una volta collocato ad una diversa altezza, pari a quattro o cinque metri da terra rispetto a quanto ritenuto in sentenza, è compatibile con la posizione del corpo della vittima indicata dai testi, cioè a dire in prossimità dello stabilizzatore sinistro della piattaforma. Rileva che appare censurabile la decisione assunta dalla Corte territoriale di rigettare la domanda di rinnovo dell'istruttoria dibattimentale, funzionale all'espletamento di perizia per accertare la dinamica della caduta del ceppo e l'esatta posizione del DS.F. al momento dell'impatto.
L'esponente richiama le dichiarazioni rese da F., osservando che l'area era stata in realtà chiaramente delimitata; e sottolinea che, secondo il predetto dichiarante, fu proprio DS.F. a dirigere le operazioni. Rileva che DS.F. inopinatamente pose in essere un comportamento abnorme, poiché uscì dal giardino di proprietà del F. per espletare un bisogno fisiologico, utilizzando un passaggio che delimita le due aree, trovandosi così nel cono d'ombra del cestello.
Il ricorrente rileva l'illogicità della motivazione con la quale Corte di Appello ha ritenuto sussistente il nesso causale tra la condotta dell'imputato e l'evento lesivo, pure a fronte del comportamento abnorme posto in essere dal DS.F., che si allontanò senza preavviso dalla proprietà del F.. Osserva che la responsabilità del P.S. deve essere esclusa sulla base del principio di autoresponsabilità del lavoratore.
L'esponente afferma poi cha la norma di cui all'art. 109, d.lgs. n. 81 del 2008, che prescrive la recinzione del cantiere, è volta a tutelare unicamente i soggetti estranei alla lavorazione. E ribadisce che DS.F. era un addetto al lavoro, con mansioni qualificate.
Infine, la parte censura le valutazioni espresse dalla Corte territoriale, sull'organizzazione del lavoro, per la mancata previsione di modalità operative idonee a trasportare in sicurezza le porzioni di tronco di volta in volta tagliate. Osserva che, in realtà, secondo le indicazioni dei testi, le dimensioni del ceppo erano inferiori a quelle riferite in sentenza. E rileva che la Corte ipotizza che il tronco sia sfuggito dalle mani del P.S., non considerando i passaggi della procedura utilizzati abitualmente dalla ditta Dimensione Verde 90, che prevedono il posizionamento di ogni porzione di tronco sulla piattaforma e quindi l'abbassamento della stessa, per avvicinarla al suolo.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso è infondato.
2. Procedendo all'esame congiunto dei motivi di ricorso, deve osservarsi che l'esponente basa le proprie censure sul ritenuto carattere abnorme del comportamento posto in essere dalla stessa persona offesa.
Occorre quindi in primo luogo soffermarsi sul tema della abnormità della condotta del lavoratore infortunato.
Come noto, la Corte di cassazione ha ripetutamente affermato che le norme antinfortunistiche sono destinate a garantire la sicurezza delle condizioni di lavoro, anche in considerazione della disattenzione con la quale gli stessi lavoratori effettuano le prestazioni. Segnatamente, si è chiarito che, nel campo della sicurezza del lavoro, gli obblighi di vigilanza che gravano sul datore di lavoro risultano funzionali anche rispetto alla possibilità che il lavoratore si dimostri imprudente o negligente verso la propria incolumità; che può escludersi l'esistenza del rapporto di causalità unicamente nei casi in cui sia provata l'abnormità del comportamento del lavoratore infortunato e sia provato che proprio questa abnormità abbia dato causa all'evento; che, nella materia che occupa, deve considerarsi abnorme il comportamento che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro; e che l'eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l'obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica (cfr. Sez. 4, n. 3580 del 14/12/1999, dep. 2000, Bergamasco, Rv. 215686). E la Suprema Corte ha chiarito che non può affermarsi che abbia queste caratteristiche il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un'operazione rientrante pienamente, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli (Sez. 4, n. 10121 del 23/01/2007, Masi, Rv. 236109).
2.1. Tanto precisato, è utile altresì ricordare che la prescrizione di cui all'art. 109, d.lgs. n. 81 del 2008 ha una funzione precauzionale, sia verso i lavoratori che verso i terzi. Invero, la predisposizione di adeguate forme di recinzione, certamente funzionale ad impedire l'accesso al cantiere da parte di soggetti estranei, intende garantire anche la sicurezza dei lavoratori, che nel cantiere sono chiamati ad operare. La delimitazione dell'area di cantiere, cioè, integra una norma cautelare di ordine polifunzionale. La previsione, nell'assicurare che terzi estranei, privi di ogni formazione antinfortunistica, accedano all'area interessata dalle lavorazioni, esponendo a rischio se stessi, risulta contestualmente funzionale a circoscrivere la zona di cantiere, quale zona intrinsecamente esposta a fonti di rischio, anche per il lavoratori addetti. In tali termini, la recinzione si risolve in un presidio funzionale a garantire la sicurezza degli operatori addetti alle lavorazioni che devono essere svolte all'interno della zona delimitata. Del resto, la Corte regolatrice, nell'affermare che, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, gli obblighi di osservanza delle norme antinfortunistiche gravano su tutti coloro che esercitano poteri organizzativi del lavoro, ha precisato che detti obblighi comprendono anche la prescrizione di recintare la zona in cui si trovano determinati macchinari, come una gru a rotazione bassa, proprio al fine di garantire la sicurezza dei lavoratori che accedono all'area (Sez. 3, Sentenza n. 19505 del 26/03/2013, Rv. 254993).
3. Le richiamate coordinate interpretative conducono ad apprezzare l'infondatezza dei motivi di ricorso.
La ricostruzione della dinamica del sinistro muove da un dato di fatto incontrovertibilmente accertato: DS.F., mentre stava seguendo da terra le operazioni di taglio di un albero, unitamente a P.S. che si trovava su cestello e all'altro addetto C., venne attinto mortalmente al capo da un ceppo, costituente una porzione circolare del tronco che era appena stato tagliato dal P.S.. La Corte territoriale ha specificato che il cestello, sollevato dal braccio meccanico estensibile, si trovava ad una altezza di circa tre metri, accanto all'albero da tagliare. Non pare allora attaccabile il ragionamento probatorio sviluppato dalla Corte territoriale - vagliando criticamente le dichiarazioni dei testi oculari - laddove il Collegio ha osservato che il ceppo aveva seguito una traiettoria rettilinea, una svolta sfuggito al P.S., nel raggiungere il suolo da una altezza di tre metri; e che, pertanto, DS.F. doveva necessariamente trovarsi all'interno del giardino di proprietà del F., sotto l'albero.
L'ordine di considerazioni che precede evidenzia la piena congruenza delle considerazioni pure svolte dalla Corte territoriale, in riferimento alla deficitaria organizzazione del lavoro di potatura, sia per la mancata previsione di modalità operative con le quali trasportare a terra, in condizioni di sicurezza, le porzioni di tronco di volta in volta tagliate dall'operatore che si trovava sul cestello, sia per l'omessa delimitazione e segregazione della zona sottostante l'albero. Detti rilievi conducono del pari a rilevare l'insindacabilità della valutazione circa l'insussistenza di profili di abnormità nella condotta del DS.F., il quale stazionava sotto l'albero, nel corso del taglio della pianta, non essendo state osservate le prescrizioni sulla recinzione del cantiere, funzionali a garantire anche la sicurezza dei lavoratori, nei sensi sopra precisati.
Come si vede, il percorso argomentativo seguito dalla Corte territoriale si colloca del tutto coerentemente nell'alveo dei richiamati insegnamenti giurisprudenziali; ed il ricorrente, piuttosto che attaccare criticamente il ragionamento probatorio sviluppato dalla Corte di Appello, invoca in realtà una inammissibile considerazione alternativa del compendio probatorio, in sede di legittimità, in aderenza alla tesi difensiva, volta ad ascrivere al comportamento abnorme del lavoratore deceduto la genesi del sinistro.
3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle spese in favore delle costituite parti civili OMISSIS, liquidate in dispositivo.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese in favore delle costituite parti civili OMISSIS che liquida in complessivi euro 3.500,00 oltre spese generali al 15%, CPA e IVA.
Così deciso il 4 ottobre 2019.