Categoria: Giurisprudenza civile di merito
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Tribunale di Genova, Sez. II Civ, 29 gennaio 2019, n. 272 - Amianto e mesotelioma maligno del carpentiere navale. Danno da perdita del rapporto parentale


 

PRECISAZIONE DELLE CONCLUSIONI
Per gli attori: Voglia l’Ill.mo Tribunale adito, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa e reietta,
□ Accertare e dichiarare la responsabilità del Ministero della Difesa in relazione a tutti i danni subiti dagli attori per i titoli e le causali di cui all’atto di citazione e successive memorie autorizzate;
□ Per l’effetto, condannare il Ministero della Difesa al pagamento in favore degli attori a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale delle somme così quantificate:
□ per danno non patrimoniale iure proprio da deprivazione del rapporto parentale (importi aggiornati alla luce delle tabelle del Tribunale di Milano 2018):
- €. 331.920,00 in favore della sig.ra
- €. 331.920,00 in favore della sig.ra
- €. 331.920,00 in favore del sig. ;
□ per danno esistenziale:
- €. 80.000,00 in favore della sig.ra
- €. 80.000,00 in favore della sig.ra
- €. 80.000,00 in favore del sig.
o a quella maggiore o minore somma che sarà accertata o comunque ritenuta di giustizia, oltre alla rivalutazione monetaria e al danno da ritardo nella misura degli interessi legali sulla somma devalutata alla data del decesso (14/09/2013) e rivalutata anno per anno sino al dì della sentenza ed ulteriori interessi legali sulla somma rivalutata dal dì della sentenza al saldo ed ulteriori interessi anatocistici a decorrere dalla data della domanda.
Con vittoria di spese, diritti e onorari di giudizio da distrarsi in favore del procuratore antistatario".
Per il convenuto: “Voglia l’ecc.mo Tribunale adito, previa integrazione iussu iudicis del contraddittorio nei confronti dell’lnail, rigettare le avversarie pretese in quanto infondate in fatto e in diritto; o in subordine, detrarre dalle somme da corrispondersi quanto già percepito a titolo di provvidenza pubblica e/o indennizzo e/o risarcimento del danno.
In vis istruttoria ....
Spese di lite rifuse”.
 

 

FattoDiritto

 


A seguito di sentenza n. 19/2015 del Tribunale di La Spezia versata in atti (il cui contenuto deve intendersi qui richiamato), la signora ... moglie del sig.  ... deceduto il ... ed i figli signori ... e ... convenivano in giudizio il Ministero della Difesa, esponendo tra l’altro:
- che il proprio congiunto aveva prestato attività lavorativa dall’1/12/1967 al 1/7/1994, data del suo collocamento a riposo, alle dipendenze del Ministero della Difesa presso l’Arsenale della Marina Militare di La Spezia, con la qualifica di carpentiere navale e di addetto ai bacini di carenaggio;
- che il sig. nell’espletamento delle sue mansioni (consistenti nello “smantellamento e riparazione e/o sostituzione di tubazioni e parti strutturali dell’unità navale"), era stato costretto a  manipolare e ad avere contatto diretto con l’amianto, senza alcun tipo di protezione;
- che l’intensa e duratura inalazione di fibre di amianto aveva causato al loro congiunto gravi problemi di salute, come confermato dall’esame istologico del 6/7/2012, con cui era stata diagnosticata la “diffusa infiltrazione da mesotelioma maligno sarcomatoide”;
- che lo stesso sig. ... , nonostante si fosse sottoposto a vari cicli di chemioterapia presso il Dipartimento di Oncologia dell’Ospedale di La Spezia, era deceduto in data ... che la causa della morte era risultata sia dal registro di igiene e sanità pubblica dell’Azienda USL, sia dall’INAIL, cui il proprio familiare, prima del decesso, si era rivolto presentando domanda di riconoscimento dell’esposizione all’amianto.
Concludevano, pertanto, chiedendo la condanna del convenuto al risarcimento dei danni non patrimoniali da essi attori patiti iure proprio per la perdita del rapporto parentale, nonché per danno esistenziale.
Con comparsa di risposta depositata il 4/6/2015 si costituiva il Ministero della Difesa, chiedendo, in via preliminare, l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’INAIL, qualificato come litisconsorte necessario, e contestando, nel merito, tutti gli assunti avversari.
Instava, quindi, per la reiezione delle domande attoree.
Nel corso del giudizio si procedeva all’assunzione delle prove orali sulle circostanze ammesse con ordinanza del 21/12/2015, dopo di che era disposta CTU, con conferimento del relativo incarico al prof. Franco T..
Infine, all’udienza del 26/10/2018 le parti precisavano le rispettive conclusioni, come in epigrafe riportate, e la causa era trattenuta in decisione, con assegnazione dei termini di legge per il deposito di comparse conclusionali e di memorie di replica.
Va, anzitutto, respinta la domanda del convenuto intesa all’integrazione del contraddittorio nei confronti di INAIL, atteso che, come già evidenziato, la presente vertenza ha ad oggetto esclusivamente i danni non patrimoniali subiti iure proprio dagli odierni attori a causa del decesso del proprio congiunto, ossia pregiudizi che, per loro natura, esulano dagli obblighi indennitari del menzionato istituto.
Ed invero, quanto liquidato dall’INAIL deve essere tenuto in considerazione in relazione alla quota di risarcimento spettante in sede civile per il danno biologico in senso stretto (nel caso di specie non richiesto dagli attori), non essendo ricomprese nelle somme dell’ente né la personalizzazione, né la quota di danno non patrimoniale ulteriore, compreso nel punto unico, diverso da quello biologico, né il danno non patrimoniale da inabilità temporanea, attesa la diversità ontologica di quanto corrisposto sotto tale voce, né, a maggior ragione, il danno da perdita del rapporto parentale.
Tanto premesso, passando alla disamina del merito della vertenza, l’attività istruttoria espletata consente di ritenere - con la dovuta certezza - il Ministero della Difesa responsabile dell’insorgenza della patologia che ha poi determinato il decesso del ... .
Per quanto attiene, infatti, al rapporto causale che deve necessariamente sussistere tra la condotta del soggetto tenuto a garantire la sicurezza sul luogo di lavoro e la malattia contratta dal lavoratore ai fini dell’imputabilità dell’evento lesivo, occorre sottolineare che l’accertamento del nesso tra un comportamento omissivo (quale quello addebitato al convenuto) e l’evento di danno è regolato dagli artt. 40 e 41 c.p., che stabiliscono un principio valido anche per l’illecito civile: nell’interpretazione fornita dalle SSUU penali con la sentenza 10 luglio 2002, n. 30328, “nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali art.ernativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva”.
In sostanza, a prescindere dal grado di probabilità in base al quale stabilire se la condotta omessa avrebbe evitato il danno, probabilità che la Suprema Corte definisce “logica” (tra le art.re, Cass. pen. sez. IV, 7 marzo 2008, n. 15282), resta il fatto che, secondo il giudizio c.d. controfattuale, la condotta è condizione necessaria dell’evento se, eliminata mentalmente, l’evento non si sarebbe verificato (a contrariis, la condotta non è conditio sine qua non dell’evento laddove, eliminata mentalmente, l’evento si sarebbe comunque realizzato).
Orbene, nella fattispecie in esame il CTU, a seguito di approfonditi accertamenti e con argomentazioni congruamente motivate, come tali, perciò, condivisibili, dopo avere esaminato “l’anamnesi lavorativa” del sig. (v., in particolare, pagine 38 e 39 della relazione, cui si fa rinvio) ed avere stabilito che “il decesso è stato certamente causato da mesotelioma pleurico” ha precisato quanto segue:
- “l’attività lavorativa svolta dal sig. presso l’Arsenale Marina Militare di La Spezia in qualità di scaldachiodi/carpentiere navale negli anni 1957-1979 (o forse 1957-1975) ha certamente comportato una esposizione ad amianto, di entità non calcolabile ma certamente e nettamente superiore ai livelli di esposizione della popolazione generale” (pag. 80 dell’elaborato);
- “detta esposizione ad amianto è stata pressoché causa, o concausa, del mesotelioma pleurico a causa del quale egli è deceduto, in assenza di art.ri evidenziabili fattori causali”.
D’altra parte, il prolungato contatto avuto dal sig. con l’amianto ha trovato puntuale conferma anche nelle deposizioni rese dal teste (da considerarsi pienamente attendibile, sia per la sua conoscenza dei fatti per cui è causa, sia per la sua posizione d’indifferenza rispetto all’esito del presente giudizio), il quale ha appunto riferito all’udienza del 15/06/2016: "... io e il sig. venivamo in contatto con materiali composti da amianto a bordo delle unità navali, dato che spesso dovevamo provvedere a tagliare le lamiere di ferro composte nella parte sottostante da amianto o da lana di vetro. Ciò avveniva per alcuni periodi per mesi interi ... io e il sig. ... ' eravamo presenti sulle navi anche quando lo smontaggio dei tubi di scarico dei motori rifasciati di amianto era effettuato da art.ri operai ... quando tali operai tagliavano la coibentazione di amianto le polveri si disperdevano nell’aria ... i sistemi di aspirazione non funzionavano durante le nostre lavorazioni ... le lavorazioni si svolgevano in grandi ambienti nelle navi privi di separazione, ambienti in cui lavoravamo tutti”.
Né possono a valere ad escludere la configurabilità del menzionato rapporto causale gli assunti del convenuto basati sul fatto che il sig. avrebbe lavorato per lunghi periodi alle dipendenze di datori di lavoro privati, nonché sul fatto che per circa un quinto dei casi di mesotelioma non è possibile identificare una causa (pag. 4 della comparsa conclusionale), dovendosi al riguardo sottolineare, da un lato, che il prof. T., dopo avere illustrato il periodo di attività svolta dal lavoratore alle dipendenze di ditte in appart.o ed il periodo di attività prestata alle dipendenze dell’Arsenale, ha comunque precisato che “ciascuno dei due periodi indicati ... è stato anche da solo di entità sufficiente a causare la malattia in misura più probabile che non’’ (pag. 48), e, dall’altro, che la S.C. ha stabilito che “la concorrenza di fattori causali professionali e non professionali, d’art.ra parte, implica l’applicazione del principio dell’equivalenza delle condizioni recepito dall'art. 41 c.p., per cui va attribuita efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito - anche in maniera indiretta e remota - alla produzione dell'evento” (Cass. 27/12/1999 n. 14565), “senza che possa operarsi una distinzione a seconda della prevalenza quantitativa di una causa o dell'art.ra (Cass. n. 21021/2007 in parte motiva).
Allo stesso modo, deve ritenersi ampiamente dimostrato come il Ministero della Difesa non abbia predisposto - nonostante l’obbligo di prevenzione sancito dall’art. 2087 c.c. - alcuna misura volta ad evitare l’esposizione del sig. all'amianto, o, comunque ad attutirne gli effetti nocivi.
Sotto tale profilo, risulta particolarmente significativo quanto dichiarato dal suddetto teste ; “io e il sig. maneggiavamo l’amianto a mani nude per rifasciare i cavi elettrici che correvano per tutta la nave ... non avevamo alcuna protezione (guanti, mascherine, tute) quando trattavamo l’amianto o quando comunque eravamo presenti al taglio sopra indicato ... non c’era stata data alcuna informazione circa la pericolosità dell’amianto, né erano stati fatti i corsi di formazione in tal senso”.
Occorre, inoltre, osservare che anche il CTU ha dato atto che “i mezzi e presidi approntati all’epoca dal Ministero ... sono stati praticamente nulli, e pertanto di nessuna valenza ed utilità” (cfr. pag. 81 della relazione).
In sostanza, nella fattispecie in esame non solo parte convenuta non ha dimostrato di avere adottato le cautele necessarie ad impedire l’insorgenza della patologia risultata poi letale, ma, al contrario, è emersa chiaramente la colposa omissione delle misure e dei dispositivi di protezione, che - secondo quanto accertato dal prof. T. - “avrebbero probabilmente ridotto - seppure non annullato - la probabilità di indurre il mesotelioma” (pag. 75).
Nessun dubbio può poi sussistere in ordine alla circostanza per cui i rischi connessi alla lavorazione dell’amianto fossero già noti al momento dello svolgimento del rapporto di lavoro che qui interessa.
Sul punto, assume particolare rilievo la ricostruzione effettuata dalla Corte di Cassazione nella seguente parte motiva della sentenza n. 4721/1998 (relativa ad un caso di decesso per mesotelioma):
“Non è revocabile in dubbio che, contrariamente a quanto sembra ritenere la impugnata sentenza, da tempo era nota la pericolosità della lavorazione dell'amianto, e, in ogni caso, da epoca ben anteriore al 1970. A tal fine basti ricordare come già il R.D. 14 giugno 1909 n. 442 (epoca nella quale le nozioni scientifiche, ed anche le esperienze in campo industriale, erano certo assai inferiori a quelle che si avevano mel 1970), che approvava il regolamento per il T.U. della legge per il lavoro delle donne e dei fanciulli, all'art. 29 tabella B n. 12, includeva la filatura e tessitura dell'amianto tra i lavori insalubri o pericolosi nei quali l'applicazione delle donne minorenni e dei fanciulli era vietata o sottoposta a speciali cautele, con una specifica previsione dei locali ove non sia assicurato il pronto allontanamento del pulviscolo; norma sostanzialmente identica seguiva nel regolamento per l'esecuzione della legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli, emanato con decreto luogotenenziale 6 agosto 1916 n. 1136, art. 36, tabella B, n. 13.
Ancora il R.d. 7 agosto 1936 n. 1720 che approvava le tabelle indicanti i lavori per i quali era vietata l'occupazione dei fanciulli e delle donne minorenni, prevedeva alla tabella B i lavori pericolosi, faticosi ed insalubri in cui è consentita l'occupazione delle donne minorenni e dei fanciulli, subordinatamente all'osservanza di speciali cautele e condizioni e, tra questi, al n. 5, la lavorazione dell'amìanto, limitatamente alle operazioni di mescola, filatura e tessitura.
Lo stesso R.D. 14 aprile 1927 n. 530, tra gli art.ri agli arti. 10, 16, e 17, conteneva diffuse disposizioni relative alla aerazione dei luoghi di lavoro, soprattutto in presenza di lavorazioni tossiche (ridurle per quanto possibile).
In epoca più recente, oltre alla legge delega 12 febbraio 1955 n. 52, che, all'art. 1, lettera F, prevedeva di ampliare il campo della tutela, al D.P.R. 19 marzo 1956 n. 303 - di seguito esaminato - ed alle visite particolarmente accurate previste dal D.P.R. 20 marzo 1956 n. 648, si deve ricordare il regolamento 21 luglio 1960 n. 1169 che all'art. 1 prevede, specificamente, che la presenza dell'amianto nei materiali di lavorazione possa dar luogo, avuto riguardo alle condizioni delle lavorazioni, ad inalazione di polvere di silice libera o di amianto.tale da determinare il rischio.
Si può infine ricordare che il premio supplementare stabilito dall'art. 153 del T.U. n. 1124 del 1965, per le lavorazioni di cui all'allegato n. 8, presupponeva un grado di concentrazione di agenti patogeni superiore a determinati valori minimi (Cass. 20 agosto 1991 n. 8970).
Tutto ciò, senza considerare che la imperizia, nella quale rientra la ignoranza delle necessarie conoscenze tecnico scientifiche, è uno dei parametri integrativi al quale commisurare la colpa, e non potrebbe risolversi in esimente da responsabilità per il datore di lavoro.
Da quanto esposto discende che normativamente, all'epoca di svolgimento del rapporto di lavoro del dante causa dei ricorrenti, era ben nota la intrinseca pericolosità delle fibre dell'amianto impiegato nelle lavorazioni, tanto che le stesse erano circondate legislativamente di particolari cautele, anche indipendentemente dalla concentrazione di fibre per centimetro cubo.
È appunto rispetto a tale rischio intrinseco a tale tipo di lavorazione che si imponeva il concreto accertamento della adozione di misure idonee a ridurre il rischio, in ottemperanza alla norma di chiusura di cui all'art. 2087 cod. civ., e tra queste, proprio quelle delle quali i ricorrenti lamentavano la insufficienza; segnatamente quella di cui all'art. 21 del D.P.R. 19 marzo 1956 n. 303, il quale, come la stessa impugnata sentenza ricorda, stabilisce che nei lavori che danno normalmente luogo alla formazione di polveri di qualunque specie, il datore di lavoro è tenuto ad adottare provvedimenti atti ad impedire o ridurre, per quanto è possibile, lo sviluppo e la diffusione nell'ambiente di lavoro" soggiungendo che "le misure da adottare a tal fine devono tenere conto della natura delle polveri e della loro concentrazione", cioè devono avere caratteristiche adeguate alla pericolosità delle polveri.
Nè si tratta di una prescrizione isolata, sol che si consideri che nello stesso D.P.R. n. 303 vi sono numerose norme che richiamano il dovere del datore di lavoro di evitare il contatto dei lavoratori con polveri nocive: l'art. 9, che prevede il ricambio d'aria, l'art. 15, che prevede, persino fuori dell'orario di lavoro, si debba ridurre al minimo il sollevamento della polvere nell'ambiente, e, proprio al tal fine, l'impiego di aspiratori; l'art. 18, che proibisce l'accumulo delle sostanze nocive; l'art. 19, che impone di adibire locali separati per le lavorazioni insalubri; l'art. 20, che difende l'aria dagli inquinamenti con prodotti nocivi specificamente mediante l'uso di aspiratori; l'art. 25, che prescrive, quando possa esservi dubbio sulla pericolosità dell'atmosfera, che ; i lavoratori siano forniti di apparecchi di protezione”.
Va soggiunto che lo stesso CTU ha rilevato che nell’ambiente scientifico il rapporto causale tra amianto e mesotelioma era conosciuto dal 1965 circa (v. pag. 80 della relazione) e che anche nel documento della Regione Lombardia di cui alle pagine 55 e 56 dell’elaborato del prof. Traversa era stato affermato che “a livello internazionale l’esistenza di un potere cancerogeno dell’amianto sul polmone ... e sulla pleura (mesotelioma) è stato definitivamente ed ufficialmente stabilito nel rapporto del Gruppo di Lavoro ;.. presentato nel 1964 ... e pubblicato nel 1965”.
Senza contare che le dimensioni e l’organizzazione del Ministero della Difesa erano tali da rendere esigibile la massima diligenza ed attenzione nell’adeguamento alle conoscenze scientifiche concernenti il proprio settore di operatività.
Ne consegue che, stante la posizione di garanzia assunta dal convenuto, quest’ultimo deve ritenersi responsabile della patologia contratta dal sig. ... nel periodo in cui il medesimo aveva prestato la propria attività lavorativa presso l’Arsenale di La Spezia.
Passando poi ad esaminare il profilo della quantificazione dei danni non patrimoniali subiti dai signori ... iure proprio, occorre anzitutto premettere che il soggetto che chiede il risarcimento a seguito della morte di un congiunto per la definitiva perdita del rapporto parentale lamenta un pregiudizio concernente un bene giuridico diverso da quello della salute di cui è titolare (e la cui ratio trova tutela nell’art. 32 Cost.), in quanto l’interesse fatto valere attiene all’intangibile sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell’ambito della famiglia, nonché all’inviolabile libertà di piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana all'Interno della famiglia.
Trattasi di interesse protetto, di rilievo costituzionale, non avente natura economica, la cui lesione apre la via ad un risarcimento ai sensi dell’art. 2059 c.c. (v. Cass. 2557/2011 e Cass. 26972/2008).
Più nello specifico, il danno da perdita del rapporto parentale va al di là del mero dolore che la morte in sé di una persona cara provoca nei prossimi congiunti che le sopravvivono, concretandosi esso (a) nel vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno e perciò nell'irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull’affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità, nonché (b) nel non potere fare più ciò che per anni si è fatto e (c) nell’alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti.
Con riferimento alle somme dovute ai prossimi congiunti iure proprio, deve sottolinearsi che il sistema liquidatorio per i superstiti adottato dal Tribunale di Milano e seguito anche da questo Tribunale, ovvero quello ancorato a distinte e specifiche “forcelle” monetarie rapportate al grado di parentela e alla relazione di convivenza, appare tuttora adeguato anche dopo la sentenza della S.C. n. 26972/2008.
Tale voce risarcitoria unica, che tiene conto del danno non patrimoniale complessivamente valutato (esistenziale e morale), non è altro che l’insieme dei pregiudizi verificatisi nella sfera degli affetti e delle relazioni interpersonali, più in generale, delle attività realizzatrici della persona umana, eventi che immancabilmente si ricollegano alla scomparsa, in circostanze drammatiche, di una persona precedentemente inserita nel contesto familiare.
Il mondo affettivo preesistente dei singoli superstiti subisce un inevitabile peggioramento ed il loro equilibrio psichico un’innegabile alterazione.
Per quanto concerne la concreta quantificazione, va osservato che i criteri orientativi di cui alle tabelle di Milano prevedono per la morte del coniuge a favore dell’altro non separato e del padre a favore di ogni figlio una somma compresa tra un minimo di € 165.960,00 ed un massimo di € 331.920,00.
Con riguardo-anzitutto alla posizione dei figli, in assenza di allegazioni: e - deduzioni specifiche sul vincolo affettivo (non potendo al riguardo rilevare, sotto il profilo strettamente probatorio, la prod. n. 16, trattandosi di atto predisposto direttamente dalla sig.ra ... , privo di data certa ma comunque successivo all’evento), va rilevato che in considerazione, da un lato, dell’età dagli stessi già raggiunta al momento del decesso del padre (41 anni la sig.ra ... e 39 anni il sig. .. " , e, dall’altro, del fatto che risulta del tutto verosimile - in base alle regole di comune esperienza - che i citati attori avessero all’epoca una vita autonoma dal punto di vista abitativo, sentimentale e lavorativo, appare congruo liquidare, a favore di ogni figlio, l’importo di € 200.000,00.
Per quanto attiene invece alla sig.ra ..., deve liquidarsi la somma di € 270.000,00, dato che tale attrice è stata privata del sostegno affettivo del marito a soli 63 anni; né può tralasciarsi la particolare sofferenza inevitabilmente provocata dal venire meno della convivenza quotidiana e dal conseguente senso di vuoto derivante dal fatto di abitare nella stessa casa in cui sono state condivise con il coniuge le varie fasi e situazioni della vita.
Senza contare, in ogni caso, che a seguito del decesso del sig. ... alla menzionata attrice sono stati definitivamente preclusi i normali progetti che due coniugi della loro età avrebbero ancora potuto fare, in considerazione della durata media della vita e del tempo libero a disposizione.
I predetti importi riconosciuti ai singoli attori a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale iure proprio devono essere previamente devalutati fino alla data dell’evento (14/09/2013) e sugli stessi, progressivamente rivalutati anno per anno, vanno calcolati gli interessi al tasso legale fino all’odierna liquidazione; devono, altresì, riconoscersi gli interessi legali corrispettivi dalla data odierna fino all’effettivo pagamento.
Contrariamente a quanto richiesto in via subordinata dall’odierno convenuto, dalla somma complessiva di € 670.000,00 (€ 270.000,00 + € 200.000,00 + € 200.000,00) non va detratto quanto corrisposto dall’INAIL, per le ragioni già in precedenza illustrate a proposito della natura delle erogazioni in esame e dell’oggetto delle pretese attoree.
Non può poi trovare accoglimento l’ulteriore domanda dei signori ... in ordine al risarcimento del danno “non patrimoniale oggettivo iure proprio o danno esistenziale” (v. pagine 15 e 16 della citazione), trattandosi, come già detto, di pregiudizio ricompreso in quello da perdita del rapporto parentale sopra descritto; peraltro, la voce di danno in esame non ha trovato adeguato riscontro probatorio nelle risultanze dell’attività istruttoria espletata, né nella documentazione versata in atti.
In virtù del criterio della soccombenza, il Ministero della Difesa deve condannarsi al pagamento delle spese di giudizio (valore compreso tra € 520.000,01 ed € 1.000.000,00), con l’aumento del 10% sui parametri previsti per le cause comprese nello scaglione tra € 260.000,01 ed € 520.000,00, ai sensi dell’art. 6 D.M. 55/2014, tenuto conto del numero e della natura delle questioni trattate; non può invece accogliersi la domanda attorea (avanzata in memoria di replica) di rimborso delle spese di CTP, non essendo stato adeguatamente provato che i signori ... abbiano in concreto sostenuto detto esborso.
Infine, le spese della svolta CTU vanno poste a carico del citato convenuto, stante l’esito di tale accertamento.
 

 

P.Q.M.

 


Il Tribunale, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, dichiara il convenuto Ministero della Difesa responsabile della patologia contratta dal sig. ... e risultata causa della sua morte in data 14/09/2013.
Condanna il Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, al pagamento delle seguenti somme:
- € 270.000,00 (duecentosettantamila/00) a favore dell’attrice sig.ra
- € 200.000,00 (duecentomila/00) a favore della sig.ra
- € 200.000,00 (duecentomila/00) a favore del sig.
oltre a rivalutazione monetaria ed interessi legali come indicato in parte motiva, a titolo di risarcimento dei danni non patrimoniali iure proprio subiti dai medesimi attori a seguito del decesso del sig. ... .
Respinge le altre domande attoree, nonché la domanda formulata in via subordinata dal convenuto.
Condanna, altresì, il Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, al pagamento, a favore dei signori ... e delle spese di lite che liquida in € 553,70 per esborsi e in € 19.816,50 (€ 3.712,50 per la fase di studio, € 2.447,50 per la fase introduttiva, € 5.417,50 per la fase istruttoria ed € 8.239,00 per la fase decisionale) per compensi, oltre 15% di spese forfettarie, IVA e CPA come per legge, con distrazione a favore del difensore dichiaratosi antistatario.
Pone definitivamente a carico del convenuto le spese dell’espletata CTU, così come già liquidate con decreto del 12/09/2017.
Genova, 25 gennaio 2019
Il Giudice
dott. Alberto La Mantia