Cassazione Civile, Sez. 3, 14 novembre 2019, n. 29500 - Infortunio sul lavoro e responsabilità dell'azienda sanitaria


 

Presidente: AMENDOLA ADELAIDE Relatore: POSITANO GABRIELE Data pubblicazione: 14/11/2019

 

Fatto

 


Con atto di citazione notificato il 3 febbraio 2005, E.K. evocava in giudizio, davanti al Tribunale di Teramo, la ASL di Teramo, unitamente al dott. G.B. per sentir affermare la responsabilità di quest'ultimo e, comunque del personale medico che aveva avuto in cura l'attore presso l'ospedale di Giulianova dal 1 luglio 2000 al 15 luglio 2000 per le lesioni da esso subite, con condanna dell'azienda sanitaria e del G.B. al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali.
Esponeva che a causa di un infortunio sul lavoro aveva subito lo schiacciamento della mano sinistra con fratture multiple e per tale motivo si era recato presso il Pronto Soccorso e, dopo l'accertamento della frattura, era stato sottoposto ad un primo intervento. Alcuni giorni più tardi, in data 11 luglio gli era stata diagnosticata "la necrosi del secondo, terzo e parziale del quarto dito, in nota operatoria per amputazione".
In conseguenza dell'imperizia e negligenza del sanitario e, comunque del personale medico, aveva subito l'amputazione delle falangi, successivi ricoveri presso altre strutture e conseguenze psichiche legate alla depressione nel tono dell'umore.
Si costituiva l'azienda sanitaria di Teramo contestando la pretesa e chiedendo di chiamare in causa QBE Insurance Limited ed Assitalia per essere garantita da tali società nell'ipotesi di accoglimento della domanda di danni.
Si costituiva la prima società eccependo l'inoperatività della garanzia prestata e chiedendo, in via subordinata, di ripartire l'indennizzo con Assitalia. In via ulteriormente gradata, chiedeva di determinare il grado di colpa attribuibile al G.B..
Si costituiva, altresì, Assitalia chiedendo la propria estromissione in quanto la denuncia del sinistro sarebbe intervenuta in data successiva alla vigenza della polizza. Nel merito insisteva per il rigetto della domanda.
Il Tribunale di Teramo, con sentenza del 22 aprile 2010, respingeva la domanda proposta da E.K. rilevando, sulla scorta delle conclusioni del consulente, che le conseguenze lesive lamentate dall'attore erano riconducibili in via esclusiva all'infortunio occorsogli sul lavoro, non ravvisando un difetto di diligenza nell'adempimento delle obbligazioni di cura da parte dei sanitari, né il nesso di causalità tra la loro condotta e i danni. In considerazione dell'urgenza del primo intervento chirurgico e della routinarietà del secondo, escludeva altresì l'ipotizzato difetto di informazioni inerenti i fattori di rischio circa la sfavorevole evoluzione della malattia traumatica e la possibilità di ricevere cure più idonee in centri di eccellenza per la chirurgia della mano. Escludeva la sussistenza di un vizio del consenso che avrebbe impedito una differente scelta di un polo specialistico presso il quale trasferirsi. Dichiarava , comunque, inammissibile la domanda di nullità del contratto stipulato tra l'azienda sanitaria e QBE, perché tardivamente proposta dalla prima solo con la prima memoria ai sensi dell'articolo 183, quinto comma c.p.c., al tempo vigente nella formulazione precedente la legge n. 80 del 2005.
Avverso tale decisione proponeva appello E.K. chiedendo la rinnovazione della consulenza, ritenendola viziata perché il professionista si era associato ad un medico chirurgo specialista della materia trattata. Nel merito, lamentava l'errata valutazione del compendio probatorio deducendo omissioni nella redazione e tenuta della cartella clinica, il mancato trattamento delle manifestazioni di cianosi delle dita intervenute a partire dal 4 luglio 2000, l'omessa attivazione della procedura prevista per fattispecie analoghe, attraverso l'invio del paziente presso un centro specializzato, l'irregolare escussione del consenso informato. Da tali elementi emergerebbe un inadempimento, sia della struttura sanitaria, che del medico, idoneo a giustificare la richiesta di risarcimento.
Si costituiva l'azienda sanitaria insistendo per il rigetto, contestando l'eccepita inoperatività della garanzia nei confronti di Assitalia, insistendo per la declaratoria di manleva verso gli assicuratori.
Si costituiva Assitalia-Le Assicurazioni d'Italia S.p.A. contestando nel merito la fondatezza della domanda, riguardo alla sussistenza del nesso di causalità e dell'imperizia dei sanitari. Ribadiva la carenza di legittimazione passiva per l'azione di garanzia, atteso che per effetto della clausola cd claims made oggetto dell'articolo 22, la polizza non operava, perché il sinistro era stato denunziato oltre il termine di vigenza contrattuale.
Si costituiva Allianz Assicurazioni S.p.A. rilevando la novità della questione relativa all'irregolare tenuta della cartella clinica ed eccepiva il limite della garanzia prestata in favore dell'assicurato dott. G.B..
Si costituiva QBE eccependo l'inammissibilità dell'appello per carenza di legittimazione attiva di E.K. nella parte in cui aveva esteso le domande di risarcimento anche ai terzi chiamati in causa. Nel merito contestava la pretesa ribadendo la non operatività della garanzia azionata dalla azienda sanitaria e, in via incidentale, impugnava la disposta compensazione delle spese di lite in primo grado.
La Corte d'Appello dell'Aquila, con sentenza del 9 marzo 2017 rigettava l'appello principale e, in accoglimento di quello incidentale proposto da QBE International Insurance Limited condannava l'azienda ospedaliera a rifondere alla appellata QBE le spese relative al primo grado di giudizio e condannava l'appellante al pagamento delle spese di lite nei confronti dell'azienda ospedaliera e di Ina-Le Assicurazioni d'Italia, e anche l'azienda sanitaria, al pagamento di quelle di secondo grado in favore di QBE.
Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione E.K. affidandosi a tre motivi. Resistono con separati controricorsi l'Azienda Unità Sanitaria Locale di Teramo e QBE Insurance (Europe) Limited. Entrambe le controricorrenti depositano memorie ex art. 378 c.p.c.
 

 

Diritto

 


Con il primo motivo si lamenta l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo ai sensi dell'articolo 360, n.5 c.p.c. e la violazione degli articoli 1175, 1176, 1218, 1223, 1337 e 2043 c.c., ai sensi dell'articolo 360, n.3 c.p.c.
Secondo il ricorrente alcuni passaggi della relazione di consulenza tecnica sarebbero carenti di riscontro oggettivo e scientifico come evidenziato in sede di controdeduzioni alla c.t.u. In particolare, la valutazione del consulente non sarebbe ancorata a precise linee guida o tecniche chirurgiche codificate, riportate in raccomandazioni, con la conseguenza che il presunto richiamo alla letteratura medica relativa alla materia in esame, operato dal giudice di appello, sarebbe errato. Il consulente avrebbe semplicemente espresso una opinione soggettiva e la motivazione della Corte territoriale sarebbe apparente.
Con il secondo motivo si deduce la violazione di legge ai sensi dell'articolo 360, n.3 c.p.c.
Sarebbe errata la motivazione della Corte nella parte in cui si esclude il nesso di causalità tra la condotta dei sanitari e il danno subito dall'attore in quanto, al contrario, ricorrerebbero molteplici profili di responsabilità anche riguardo al consenso informato. Sussisterebbe una condotta inadempiente ai sensi dell'articolo 1218 c.c. riguardo alla posizione dell'azienda sanitaria sulla base della teoria del contratto di spedalità. A fronte dell'allegazione dell'inadempimento l'azienda sanitaria non avrebbe dimostrato di avere adottato tutte le cautele prescritte dalla normativa vigente con conseguente riconoscimento della responsabilità, trattandosi di un peggioramento delle condizioni, sia prevedibile, che evitabile.
Infatti, la necrosi dei tessuti con perdita anatomica delle dita della mano non costituiva una complicanza imprevedibile, ma il risultato di un vero errore nell'intervento chirurgico. Sotto tale profilo neppure il medico aveva dimostrato di avere seguito le linee guida e le buone prassi, non aveva trattato la sofferenza vascolare ed aveva fornito un'informazione inadeguata.
Con il terzo motivo si deduce la violazione delle suddette norme oggetto del primo motivo oltre che dell'articolo 2230 e 2236 c.c. e degli articoli 13 e 32 della Costituzione, dell'articolo 3 della legge n. 833 del 23 dicembre 1978 della convenzione di Oviedo del 4 aprile 1997, ratificata con legge n. 15 del 28 marzo 2001 e ciò ai sensi dell'articolo 360, n.3 c.p.c.
Si lamenta, altresì, l'omesso esame di un fatto decisivo ai sensi dell'articolo 360, n.5 c.p.c. in relazione all'inadeguatezza del consenso informato per gli interventi chirurgici del 1° e del 12 luglio 2000. 
Riguardo al consenso informato già con l'atto di citazione sarebbe stato dedotto che, se opportunamente informato dell'assenza di personale specializzato presso l'ospedale di Giulianova, l'attore avrebbe deciso di recarsi presso altro centro di alta specializzazione per la chirurgia della mano.
Sotto tale profilo sarebbe errata la valutazione del consulente d'ufficio secondo cui la scelta di trasferire il paziente presso altro nosocomio per mancanza di un reparto specialistico non sarebbe sottoposta al consenso dello stesso, ma disposta d'ufficio, facendo presente che si tratterebbe di necessità improrogabile.
Sotto altro profilo il consenso informato prestato per iscritto in data 1 e 11 luglio 2000 con riferimento ai due interventi sarebbe generico e non sanato dall'ammissione, resa in sede di interrogatorio formale dal ricorrente, di avere prestato, comunque, il consenso all'amputazione. Da tale consenso orale non sarebbe possibile, come sostiene la Corte territoriale, dedurre la completezza dell'informazione. Ciò in quanto in considerazione delle concrete caratteristiche della fattispecie (ragazzo di 19 anni, nazionalità straniera, scarsa conoscenza della lingua, modulo relativo ad un intervento di routine, mentre il caso coinvolgeva delicate strutture vascolari) l'informazione avrebbe dovuto riguardare il profilo specifico della elevata probabilità dell'amputazione.
Appare preliminare l'esame dell'eccezione di inammissibilità del ricorso per tardività, oggetto del controricorso di OBE Insurance Limited. Contrariamente a quanto dedotto in ricorso, secondo cui la sentenza della Corte d'Appello de l'Aquila del 9 marzo 2017 non sarebbe stata notificata, consentendo pertanto al ricorrente di avvalersi del termine lungo, l'assicuratore ha eccepito e documentato di avere notificato, in data 27 giugno 2017 la sentenza ai procuratori costituiti e domiciliatari delle parti (per il ricorrente, presso l'avvocato Franco I. e il domiciliatario, avvocato Piero Giovanni DZ.).
L'eccezione è fondata perché, a seguito della notifica della sentenza, la scadenza del termine breve va riferita alla data del 26 settembre 2019, a fronte di una notifica del ricorso in data 3 ottobre 2017.
Il ricorso, pertanto, è inammissibile.
Le spese del presente giudizio di cassazione - liquidate nella misura indicata in dispositivo in favore dei due controricorrenti- seguono la soccombenza.
Infine, va dato atto - mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) - della sussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 13 comma 1-quater del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall'alt. 1, comma 17, della I. 24 dicembre 2012, n. 228, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito. Ciò in quanto è in atti la sola richiesta di revoca del beneficio dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato in favore del ricorrente.
 

 

P.Q.M.

 


dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore di ciascuna delle parti controricorrenti, liquidandole in € 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma Ibis dello stesso articolo 13.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte Suprema di Cassazione in data 3 luglio 2019.