Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 25 novembre 2019, n. 30679 - Crollo di un capannone. Nessun concorso di colpa del lavoratore imprudente


 

«In materia di infortuni sul lavoro, ai di fuori dei casi di rischio elettivo, nei quali la responsabilità datoriale è esclusa, qualora ricorrano comportamenti colposi del lavoratore, trova applicazione l'art. 1227, co. 1, c.c.; tuttavia la condotta incauta del lavoratore non comporta concorso idoneo a ridurre la misura del risarcimento ogni qual volta la violazione di un obbligo di prevenzione da parte del datore di lavoro sia giuridicamente da considerare come munita di incidenza esclusiva rispetto alla determinazione dell'evento dannoso, il che in particolare avviene quando l'infortunio si sia realizzato per l'osservanza di specifici ordini o disposizioni datoriali che impongano colpevolmente ai lavoratore di affrontare il rischio o quando l'infortunio scaturisca dall'avere il datore di lavoro integralmente impostato la lavorazione sulla base di disposizioni illegali e gravemente contrarie ad ogni regola di prudenza o infine quando vi sia inadempimento datoriale rispetto all'adozione di cautele, tipiche o atipiche, concretamente individuabili, nonché esigibili ex ante ed idonee ad impedire, nonostante l'imprudenza dei lavoratore, il verificarsi dell'evento dannoso».

«Qualora risulti l'inosservanza, da parte del datore di lavoro, di specifici doveri informativi (o formativi) del lavoratore rispetto all'attività da svolgere, tali da rendere altamente presumibile che, ove quegli obblighi fossero stati assolti, il comportamento dei lavoratore da cui è scaturito l'infortunio non vi sarebbe stato, non è possibile addossare al lavoratore, sotto il medesimo profilo, l'ignoranza delle circostanze che dovevano essere oggetto di informativa (o di formazione), ai fine di fondare una colpa idonea a concorrere con l'inadempimento datoriale e che sia tale da ridurre, ai sensi dell'art. 1227 c.c., la misura dei risarcimento dovuto».


 

Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE Relatore: BELLE' ROBERTO Data pubblicazione: 25/11/2019

 

Fatto

 

1. La Corte d'Appello di Trieste ha parzialmente accolto, in riforma della sentenza di primo grado, la domanda di risarcimento del danno proposta da G.C. nei riguardi del Comune di Sauris e del superiore M.P. per l'infortunio sul lavoro patito a causa del crollo di un capannone metallico di proprietà dell'ente.
La Corte riteneva che sussistessero coefficienti colposi in capo al M.P., in quanto la persona da lui mandata per riferire al G.C. che il lavoro doveva essere rinviato ad altra data, di modo che vi fosse un numero sufficiente di persone, non aveva insistito sulla tassatività dell'ordine, che dunque poteva essere stato inteso come riconnesso a ragioni di mera opportunità e comunque non a stringenti motivi di sicurezza. Inoltre lo stesso M.P., una volta avvisato dal suo sottoposto che il G.C. stava procedendo ugualmente allo smontaggio, non era intervenuto subito, in modo da impedire il rischio, come in concreto la Corte riteneva avrebbe potuto fare, anche sotto il profilo dei tempi dell'accaduto. La Corte riteneva peraltro che a determinare l'evento avesse concorso in via preponderante l'imprudenza del G.C. nell'avere deciso di svolgere il lavoro nonostante le indicazioni contrarie ricevute e senza essere sufficientemente informato sulle caratteristiche dell'opera da svolgere. Quindi fissava il risarcimento, per i danni alla persona subiti, in misura del 35 % del totale, sulla base di un contributo causale del 65 % da parte del ricorrente.
2. Il G.C. ha proposto ricorso per cassazione con dodici motivi, resistiti con controricorso dal Comune di Sauris e dal M.P. e con deposito di memorie illustrative da parte di tutti i contraddittori.
La causa, dapprima avviata alla trattazione camerale, è stata poi fissata in pubblica udienza in ragione dell'importanza delle questioni giuridiche coinvolte.
 

 

Diritto

 


1. Con i primi due motivi, nonché con il quarto e quinto motivo di ricorso il G.C. censura la sentenza per omessa valutazione (dedotta ex art. 112 c.p.c. e 360 n. 5 c.p.c) di alcuni comportamenti di mancata adozione di cautele (informazione del lavoratore sul rischio di crollo e sulla necessità di prediligere lo smontaggio con mezzi meccanici).
Il terzo motivo (art. 360 n. 3 c.p.c.) è dedicato alla rilevanza causale o concausale dell'asserita negligenza della vittima, mentre il sesto e settimo motivo riguardano, sempre ex art. 360 n. 3 c.p.c., il giudizio di graduazione delle colpe.
Infine gli ultimi cinque motivi si riferiscono al quantum debeatur, sotto il profilo dell'erronea esclusione, denunciata ex art. 360 n. 3 c.p.c. (spese di viaggio per visite e cure: ottavo motivo; costi della c.t.p. stragiudiziale: nono motivo), l'erronea determinazione delle spese di c.t.p. svolta in causa (decimo motivo, formulato sempre ex art. 360 n. 3 c.p.c.) ed infine il giudizio di personalizzazione della misura del danno alla persona, indicata come oggetto di motivazione soltanto apparente (undicesimo, ex art. 360 n. 4 c.p.c.) e comunque inadeguata (dodicesimo motivo ex art. 360 n. 3 c.p.c.).
2. I primi due motivi, con i quali il ricorrente sostiene che la Corte avrebbe omesso di valutare il fatto che il lavoratore non era stato informato sul rischio di crollo in caso di smontaggio, così impedendogli di decidere di non procedervi, sono inammissibili.
Infatti la Corte ha ritenuto che, sebbene non fosse certo che la persona inviata a riferire al G.C. di rimandare le operazioni di smontaggio avesse motivato tale indicazione sulla base di «stringenti motivi di sicurezza», al lavoratore fosse o dovesse comunque essere nota la pericolosità dell'operazione.
Dunque la conoscenza o concreta conoscibilità della pericolosità da parte del lavoratore è stata comunque valutata e pertanto, essendo evidentemente l'informazione della cui omissione ci si lamenta finalizzata a tale conoscenza, è evidente che quanto dedotto resta privo, dal punto di vista fattuale, di decisività alcuna.
Parimenti inammissibili sono il quarto ed il quinto motivo, con cui si adduce, sotto la duplice angolazione dell'omissione di pronuncia (art. 112 c.p.c.) e dell'omesso esame di un fatto decisivo (art. 360 n. 5 c.p.c.), una colpa datoriale consistita nel non avere privilegiato lo smontaggio con attrezzature meccaniche, in luogo dello smontaggio manuale.
Tale profilo non risulta effettivamente trattato in sentenza, ma, a fronte di ciò, onde impedire una valutazione di novità della questione, era onere del ricorrente quello di allegare l'avvenuta deduzione di esso innanzi al giudice di merito ed inoltre, in ossequio al principio di specificità del ricorso per cassazione, quello di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo avesse fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito (Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430; Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675), come viceversa non è avvenuto.
In definitiva il quadro fattuale attorno a cui ruota il giudizio sulla responsabilità per l'infortunio resta accertato nei termini di cui alla motivazione della Corte territoriale.
3. Venendo quindi alle questioni più strettamente giuridiche, si osserva che, in punto di diritto, con il terzo motivo il ricorrente, facendo leva anche su alcune massime di legittimità secondo cui in caso di violazione delle norme poste a tutela dell'integrità fisica del lavoratore il datore di lavoro è «interamente responsabile dell'infortunio che ne sia derivato e non può invocare il concorso di colpa del danneggiato», contesta il fatto che sia stato riconosciuto un suo concorso di colpa nella causazione dell'infortunio.
Ciò sollecita dunque la valutazione in ordine alla rilevanza o meno del concorso di colpa nell'ambito degli infortuni sul lavoro.
3.1 Non vi è dubbio che il nesso causale tra l'attività lavorativa ed il danno resti addirittura escluso in presenza di un rischio c.d. elettivo, declinato in riferimento ai comportamenti abnormi del lavoratore (tradizionalmente riferiti ad azioni intraprese volontariamente e per motivazioni personali ed estranee alle attività lavorative) come anche rispetto a quelle condotte che, pur afferendo all'ambito della prestazione, non sono prevenibili né, secondo il grado diligenza richiesto, in concreto impedibili e quindi destinate ad operare come caso fortuito rispetto alla responsabilità datoriale: v. a quest'ultimo proposito, Cass. 11 aprile 2013, n. 8861, che ha escluso la responsabilità datoriale in un caso in cui un lavoratore, dopo aver iniziato le ordinarie mansioni affidategli munito dei prescritti dispositivi di protezione individuale, se ne era privato non appena sfuggito alla sorveglianza del capo officina; analogamente v. Cass. 21 marzo 2018, n. 6995, in un caso in cui l'infortunio era derivato dall'inosservanza, non concretamente impedibile, di un divieto scritto ed esplicitato in un cartello posto in modo visibile sul veicolo, nel punto stesso ove il lavoratore era salito per farsi incautamente trasportare; viceversa v. Cass. 18 giugno 2018, n. 16026, che ha escluso il rischio elettivo in un caso in cui il lavoratore aveva violato la direttiva di dare inizio ad una certa attività solo dopo una data ora, ma in ciò era stato agevolato dal comportamento datoriale di consegna anticipata delle chiavi per l'accesso ai luoghi, ritenuto in contrasto con l'obbligo di porre in essere anche le misura preventive di salvaguardia rispetto a comportamenti anticipatori, seppure anomali o colposi, dei lavoratori; v. infine Cass. pen. 21 marzo 2019, n. 27871, secondo cui per l'esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente (analogamente, anche Cass. pen. 19 maggio 2017, n. 24923).
Al di là dei casi estremi, come sopra delineati, in cui il comportamento del lavoratore assorbe in sé l'intera efficacia causale dell'evento, si colloca dunque un'ampia area che coinvolge il tema del concorso di colpa e che necessita di definizione.
3.2 In giurisprudenza si è ripetutamente affermato che, quella dell'art. 2087 c.c., non costituisce ipotesi di responsabilità oggettiva e che il lavoratore è onerato della sola prova della "nocività" del lavoro, spettando poi al datore dimostrare di avere adottato tutte le misure cautelari idonee ad impedire l'evento.
Tali affermazioni sono state di recente chiarite e doverosamente munite di effettivo contenuto, nel senso che la responsabilità datoriale si fonda pur sempre «sulla violazione di obblighi di comportamento, a protezione della salute del lavoratore, imposti da fonti legali o suggeriti dalla tecnica, purché concretamente individuati» (Cass. 23 maggio 2019, n. 14066).
Pertanto, la regola di diritto è quella per cui una volta addotta ed individuata una cautela (specificamente prevista ex ante da norme o genericamente deducibile dalle vigenti regole di prudenza, perizia e diligenza richiedibili nel caso concreto) che fosse idonea ad impedire l'evento e che non sia stata attuata, ne resta radicata la responsabilità datoriale.
3.3 Ciò posto non può escludersi, così parzialmente dovendosi dissentire da quanto sostenuto dal ricorrente, che il comportamento colposo del lavoratore, autonomamente intrapreso ma tale da non integrare gli estremi del rischio elettivo, possa determinare un concorso di colpa, da regolare ai sensi dell'art. 1227 c.c. (così Cass. 13 febbraio 2012, n. 1994, in motivazione, Cass. 14 aprile 2008, n. 9817; Cass. 17 aprile 2004, n. 7328; ma anche, in ambito previdenziale e di regresso, Cass. 3 settembre 2018, n. 21563; Cass. 20 luglio 2017, n. 17917; Cass. 2 febbraio 2010, n. 2350) allorquando l'evento dannoso non possa dirsi frutto dell'incidenza causale decisiva del solo inadempimento datoriale, ma derivi dalla indissolubile coesistenza di comportamenti colposi di ambo le parti del rapporto di lavoro.
L'inadempimento datoriale agli obblighi di prevenzione non è infatti in sé incompatibile con l'esistenza di un comportamento del lavoratore qualificabile come colposo, in quanto di dò non vi è traccia negli artt. 2087 e 1227 c.c., né in alcuna altra norma dell'ordinamento.
D'altra parte le norme sanciscono l'obbligo del lavoratore di osservare i doveri di diligenza (art. 2104 c.c.), anche a tutela della propria o altrui incolumità (ratione temporis, art. 6 d.p.r. n. 547/1955; art. 5 d.lgs. 626/1994; ora art. 20 d. lgs. 81/2008) ed è indubbia la sussistenza di tratti del sistema prevenzionistico che coinvolgono anche i lavoratori (v. Cass. pen. 10 febbraio 2016, n. 8883), così come è scontato che i rapporti interprivati restino regolati, senza che metta qui conto una qualche più specifica dimostrazione in proposito, anche dal generalissimo principio di autoresponsabilità per le proprie azioni.
3.4 Tuttavia, sull'assetto del possibile concorso di colpa interferisce la portata pervasiva dell'obbligo datoriale di protezione, radicato in principi cardine dell'ordinamento (art. 32 Cost, sulla tutela della salute; art. 2 sulla preminenza della persona umana rispetto ad ogni altro valore) e la rilevanza della colpa è destinata a declinarsi secondo l'assetto giuridico dello specifico settore di rischio coinvolto.
All'interno di un quadro di fondo secondo cui chi organizza e pone in essere un'attività rischiosa, è tenuto a predisporre quanto necessario per evitare pregiudizi a terzi (art. 2050 c.c.), l'ambito lavoristico è infatti connotato, per un verso, dal fatto che esso comporta lo svolgimento di attività personale sotto la direzione e\o nel contesto di un'organizzazione altrui e, per altro verso, da un intenso coinvolgimento nel rischio della salute dei lavoratori.
I poteri direzionali determinano la soggezione agli ordini impartiti (art. 2104, co. 2, c.c.) e la predisposizione organizzativa, come anche la destinazione dell'organizzazione ad un fine produttivo espressione di un interesse proprio del datore di lavoro, impongono, nella menzionata logica di preminenza della persona, che i presidi di sicurezza risalgano alla responsabilità primaria datoriale: art. 2087 c.c.; art. 31 della c.d. Carta di Nizza, ove si prevede che «ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose», che evidentemente devono essere predisposte e curate dal datore di lavoro.
In altre parole, il massimo rilievo da attribuire ai doveri di protezione è conseguenza diretta della sussistenza in capo ad una delle parti di poteri unilaterali di direzione ed organizzazione, come anche della destinazione ad essa dei risultati ultimi dell'attività svolta e del coinvolgimento nella dinamica del sinallagma, rispetto all'altra parte, della persona altrui con le Ineludibili esigenze di tutela imposte dai principi primi dell'ordinamento.
Ciò senza contare, ad abundantiam, che, al di là delle tutele sociali, chi organizza l'attività è altrettanto naturalmente in grado di gestire la copertura assicurativa dei rischi economici che derivano dalle responsabilità a ciò così riconnesse.
Non a caso, dunque, si è affermato che i comportamenti concomitanti del lavoratore che pur possano rivestire, dal punto di vista materiale, portata concausale rispetto all'evento finale, degradano a mera occasione del danno, tutte le volte in cui essi siano tenuti a fronte di specifiche direttive, ordini, disposizioni datoriali (in questo senso ed in riferimento proprio a "specifici ordini di servizio" v. Cass. 14 aprile 2004, n. 7328; Cass. 8 aprile 2002, n. 5024; Cass. 16 luglio 1998, n. 6993).
In sostanza, la struttura del rapporto di lavoro, se non può in assoluto impedire al lavoratore di rifiutare l'adempimento di ordini datoriali indebitamente pericolosi per la propria salute (Cass., 1 aprile 2015, n. n. 6631; Cass. 10 agosto 2012, n. 14375), non toglie che, se quegli ordini siano viceversa osservati e ne consegua l'evento lesivo, la disposizione datoriale assorba in sé l'intera efficacia causale giuridicamente rilevante.
Non diversamente, non può parlarsi di concorso di colpa a fini civilistici, ove sia lo stesso datore di lavoro ad avere integralmente impostato la lavorazione sulla base di disposizioni illegali e contrarie ad ogni regola di prudenza (Cass. pen. 26 marzo 2014, n. 36227; in ambito parzialmente diverso, ma con applicazione dei medesimi principi, v. recentemente Cass. 10 maggio 2019, n. 12538), anche sotto il profilo della formazione (v. Cass. 18 maggio 2007, n. 11622 in tema di formazione degli apprendisti), informazione ed assistenza (v. ora Cass. 2 ottobre 2019, n. 24629, ancora rispetto all'assistenza da approntare in favore degli apprendisti).
Oltre a ciò, si deve ritenere - con spiccata aderenza rispetto al caso di specie - che di concorso di colpa nell'illecito non si possa mai parlare se la radice causale ultima dell'evento, pur in presenza di un comportamento del lavoratore astrattamente non rispettoso di regole cautelari, si radichi nella mancata adozione, da parte del datore di lavoro, di forme tipiche o atipiche di prevenzione, come detto individuabili e pretendigli ex ante, la cui ricorrenza avrebbe consentito, nonostante tutto, di impedire con significativa probabilità l'evento.
Ciò deriva dall'insegnamento risalente secondo cui il datore di lavoro è tenuto a proteggere l'incolumità del lavoratore nonostante l'imprudenza e la negligenza di quest'ultimo, che costituisce posizione assolutamente consolidata, per la quale, tra le moltissime pronunce, v. Cass. 4 dicembre 2013, n. 27127; Cass. 25 febbraio 2011, n. 4656.
E' dunque in questa prospettiva che va colto il significato di alcune pregresse massime secondo cui l'inadempimento all'obbligo di protezione è ragione di esclusione del concorso di colpa. Tale affermazione va infatti meglio intesa nel senso che, per il particolare assetto che la responsabilità assume nel settore del lavoro, il comportamento incauto della vittima, in quanto al contempo destinataria dei doveri di protezione sopra menzionati, resta, almeno nelle ipotesi sopra viste, privo di rilievo giuridico a fini risarcitori, pur non escludendosi la possibilità, al di fuori di tali ambiti, di un concorso colposo ex art. 1227 c.c.
3.5 Sotto altro profilo, viene in evidenza nella fattispecie, su sollecitazione dei motivi del ricorso principale, la questione in ordine al rilievo da attribuire agli obblighi di formazione ed informazione a carico del datore di lavoro.
Tale aspetto coinvolge il già menzionato specifico profilo contenutistico dell'obbligo di protezione, in forza del quale, tra le cautele da adottare a cura del datore di lavoro, vi è anche quella dell'informazione (o formazione) dei lavoratori rispetto a quanto necessario per la sicurezza dell'attività da svolgere.
In proposito, se nella catena causale che interviene a determinare l'infortunio si evidenzino comportamenti incauti del lavoratore che possono riconnettersi in modo diretto all'inosservanza di specifici doveri informativi (o formativi) datoriali, tali da rendere altamente presumibile che, ove quegli obblighi fossero stati assolti, quel comportamento non vi sarebbe stato, non è possibile, sempre alla luce degli effetti che dispiega il principio di prevenzione, addossare al lavoratore, sotto il medesimo e specifico profilo, una colpa idonea a concorrere con l'inadempimento datoriale.
In altre parole, nei predetti casi, non è sull'avere agito nonostante la carenza di informazioni (o formazione) che può fondarsi un ragionamento sul concorso colposo del lavoratore.
4. La Corte territoriale, nel decidere, si è discostata dai principi sopra delineati.
4.1 Nel valutare i comportamenti incauti addossati al lavoratore, la sentenza di appello ha fatto leva sull'avere egli agito nonostante non avesse «partecipato alla fase di montaggio», né ricevuto «alcuna specifica formazione riguardo alle modalità di svolgimento dell'opera (che peraltro non aveva mai eseguito prima di allora)», operando altresì «senza libretto di istruzioni».
L'errore è palese, in quanto era il datore di lavoro a non dover neppure prospettare al lavoratore, In assenza di quelle informazioni, lo svolgimento di quell'opera e ciò esclude che i corrispondenti profili possano essere valorizzati quali elementi colposi a carico del lavoratore.
4.2 Più a fondo, gli stessi accertamenti svolti dalla Corte territoriale rispetto alla complessiva dinamica del sinistro hanno effetto decisivo, sulla base dei principi sopra fissati, nel recidere ogni possibilità di ragionare in termini di concorso di colpa.
Nella sentenza impugnata si è accertato che la persona inviata a dire al G.C. di non procedere, lungi dall'opporsi all'esecuzione, finì addirittura per fornire indicazioni, evidentemente sommarie ed inutili, sul come farlo; inoltre la Corte ha concretamente accertato, anche sulla base della ricostruzione dei dati orari, che il superiore gerarchico del G.C., una volta avvisato da colui che aveva mandato a dire di non eseguire l'opera del fatto che il G.C. aveva deciso di procedere comunque, «se avesse agito per tempo, avrebbe avuto la possibilità materiale di impedire l'evento».
Una volta escluso che l'imprudenza di base attribuita al lavoratore, ovverosia l'avere agito nonostante la comunicazione di una disposizione contraria integrasse gli estremi del rischio c.d. elettivo, la sentenza ha dunque erroneamente ritenuto che tale imprudenza non fosse giuridicamente vanificata, a fini del concorso colposo e quindi della stessa rilevanza rispetto alla responsabilità risarcitoria, dal fatto che il datore non avesse adottato i doverosi comportamenti finalizzati non solo a non agevolare il concretizzarsi di quell'imprudenza (v. le indicazioni sommarie sullo smontaggio fornite da colui che era stato mandato a riferire l'ordine) ma anche ad impedirne gli effetti, attraverso un pronto intervento del superiore, pur avvisato in tempo utile di quello che stava accadendo e quindi messo nelle condizioni di porre in atto un concreto comportamento impeditivo.
5. In definitiva, il terzo motivo è fondato e va accolto.
Ciò comporta l'assorbimento del sesto e del settimo motivo, in quanto riguardanti il dosaggio del concorso di colpe che, per quanto sopra detto, non poteva essere riconosciuto, come anche i motivi dall'ottavo al dodicesimo, relativi al quantum, in quanto i corrispondenti capi di pronuncia restano caducati ex art. 336 c.p.c. e le relative questioni dovranno essere valutate ex novo in sede di rinvio, alla luce dell'assetto della responsabilità quale fissato sulla base dei principi sopra espressi.
La causa va quindi rinviata alla Corte d'Appello di cui al dispositivo che, sulla base degli accertamenti di fatto già svolti, si atterrà a quanto sopra stabilito.
6. Vanno altresì fissati i seguenti principi:
6.1 «In materia di infortuni sul lavoro, ai di fuori dei casi di rischio elettivo, nei quali la responsabilità datoriale è esclusa, qualora ricorrano comportamenti colposi del lavoratore, trova applicazione l'art. 1227, co. 1, c.c.; tuttavia la condotta incauta del lavoratore non comporta concorso idoneo a ridurre la misura del risarcimento ogni qual volta la violazione di un obbligo di prevenzione da parte del datore di lavoro sia giuridicamente da considerare come munita di incidenza esclusiva rispetto alla determinazione dell'evento dannoso, il che in particolare avviene quando l'infortunio si sia realizzato per l'osservanza di specifici ordini o disposizioni datoriali che impongano colpevolmente ai lavoratore di affrontare il rischio o quando l'infortunio scaturisca dall'avere il datore di lavoro integralmente impostato la lavorazione sulla base di disposizioni illegali e gravemente contrarie ad ogni regola di prudenza o infine quando vi sia inadempimento datoriale rispetto all'adozione di cautele, tipiche o atipiche, concretamente individuabili, nonché esigibili ex ante ed idonee ad impedire, nonostante l'imprudenza dei lavoratore, il verificarsi dell'evento dannoso»;
6.2 «qualora risulti l'inosservanza, da parte del datore di lavoro, di specifici doveri informativi (o formativi) del lavoratore rispetto all'attività da svolgere, tali da rendere altamente presumibile che, ove quegli obblighi fossero stati assolti, il comportamento dei lavoratore da cui è scaturito l'infortunio non vi sarebbe stato, non è possibile addossare al lavoratore, sotto il medesimo profilo, l'ignoranza delle circostanze che dovevano essere oggetto di informativa (o di formazione), ai fine di fondare una colpa idonea a concorrere con l'inadempimento datoriale e che sia tale da ridurre, ai sensi dell'art. 1227 c.c., la misura dei risarcimento dovuto».
 

 

P.Q.M.

 


La Corte accoglie il ricorso, nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Venezia, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 26.9.2019.