Cassazione Penale, Sez. 4, 06 dicembre 2019, n. 49575 - Irregolarità nello svolgimento di visite mediche e nel rilascio delle certificazioni di idoneità. Istanza di riparazione per ingiusta detenzione


Presidente: PICCIALLI PATRIZIA Relatore: PICARDI FRANCESCA Data Udienza: 21/11/2019

 

Fatto

 


1. V.G., a mezzo del proprio difensore di fiducia, ha impugnato l'ordinanza della Corte di Appello di Reggio Calabria, con cui è stata rigettata la sua richiesta di riparazione per ingiusta detenzione patita, nella forma degli arresti domiciliari, dal 17 aprile 2010 al 26 maggio 2010.
2. La ricorrente, sottoposta alla misura cautelare per i reati di associazione a delinquere e falso nell'ambito dell'esercizio dell'attività sanitaria espletata, quale socio accomandatario della Ge. Vi.s.a.s. di V.G. e C. (oggetto fornitura di servizi nei settori della qualità, dell'igiene e sicurezza del lavoro), unitamente al marito  (legale rappresentante del Centro Medico Associato Igea e accomandante della Ge.Vi.s.a.s.), è stata assolta in primo grado perché il fatto non sussiste.
3. La Corte di Appello ha rigettato l'istanza di riparazione per ingiusta detenzione, ravvisando nella condotta della ricorrente la colpa grave ostativa al riconoscimento dell'Indennizzo. Più precisamente, il giudice della riparazione ha sottolineato che, secondo quanto accertato dal giudice di merito nella sentenza assolutoria, "le procedure relative alle visite del lavoratori e di rilascio delle certificazioni di idoneità erano state caratterizzate da grossolani aspetti di irregolarità e da illegittime condotte connotate quantomeno da evidente negligenza ed imprudenza" e che la ricorrente era pienamente inserita in questo contesto di superficialità e pressapochismo, partecipando ed aiutando gli altri soggetti coinvolti.
4. La ricorrente, con l'odierna impugnazione, ha denunciato la violazione di legge e la manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 314 e 315 cod.proc.pen., asserendo che la Corte di Appello ha posto a fondamento della decisione gli elementi di accusa richiamati nell'ordinanza cautelare e smentiti dalla sentenza di assoluzione, con cui sono stati radicalmente esclusi gli elementi costitutivi del reato associativo, e con cui è stato accertato, da un lato, lo svolgimento delle visite mediche, contrariamente all'ipotesi accusatoria formulata, secondo cui le prestazioni erano eseguite presso uno studio medico inesistente e le visite non venivano effettuate, e, dall'altro lato, la conclusione di un accordo lecito tra F. e Ge.Vi.s.a.s.
5. La Procura Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso non può essere accolto.
2. Occorre premettere che la giurisprudenza di legittimità è costantemente orientata nel senso tracciato dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 34559 del 15.10.2002, secondo la quale in tema di riparazione per l'Ingiusta detenzione, il giudice di merito, per verificare se chi l'ha patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. Si è, inoltre, precisato che il giudice della riparazione, per stabilire se chi l'ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione "ex ante" - e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito - non se tale condotta Integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia Ingenerato, ancorché In presenza di errore dell'autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come Illecito penale (Sez. 4, n. 3359 del 22/09/2016 Cc. , dep. 23/01/2017, Rv. 268952). Per decidere se l'imputato abbia dato causa per dolo o colpa grave alla misura cautelare, deve essere valutato il comportamento dell'Interessato alla luce del quadro indiziarlo su cui si è fondato il titolo cautelare, e sempre che gli elementi Indiziari non siano stati dichiarati assolutamente inutilizzabili ovvero siano stati esclusi o neutralizzati nella loro valenza nel giudizio di assoluzione (Sez. 4, n. 41396 del 15/09/2016 Cc., Rv. 268238). In definitiva, il giudizio per la riparazione dell'Ingiusta detenzione è del tutto autonomo rispetto al giudizio penale di cognizione, impegnando piani di indagine diversi e che possono portare a conclusioni del tutto differenti sulla base dello stesso materiale probatorio acquisito agli atti, il che, tuttavia, non consente al giudice della riparazione di ritenere provati fatti che tali non sono stati considerati dal giudice della cognizione ovvero non provate circostanze che quest'ultimo ha valutato dimostrate (Sez. 4, n. 12228 del 10/01/2017 Cc., Rv. 270039).
3. Nel caso di specie, contrariamente a quanto asserito dalla ricorrente, la decisione della Corte di Appello non si è fondata su fatti smentiti dal giudice di merito, con la sentenza di assoluzione, ma proprio sui fatti in essa accertati e, cioè, sullo svolgimento delle visite dei lavoratori e sul rilascio delle certificazioni di idoneità medica con modalità tali che, pur non integrando gli illeciti penali contestati, erano caratterizzate da irregolarità, in cui la ricorrente era pienamente coinvolta (in primo luogo la sottoscrizione del certificato da parte di un medico diverso da quello che effettuava la visita). Tale modus operandi della società, facente capo alla ricorrente, pur essendo stato valutato come penalmente lecito, resta anomalo e negligente e causalmente collegato all'adozione ed al mantenimento della misura cautelare.
4. In conclusione, il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali. 
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 21 novembre 2019