Corte di Appello di Torino, Sez. Lav., 13 gennaio 2020, n. 904 - Uso prolungato del cellulare e tumore alla testa: nesso causale secondo criteri probabilistici del "più probabile che non"



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI TORINO
SEZIONE LAVORO

Composta da:
Dott.ssa Rita MANCUSO PRESIDENTE
Dott. ssa Caterina BAISI CONSIGLIERE
Dott.ssa Silvia CASARINO CONSIGLIERE Rel.
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A

 


nella causa di lavoro iscritta al n. 721/2017 R.G.L. promossa da: ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO - I.N.A.I.L. -,
con sede in Roma, Via IV Novembre n. 144, in persona del Direttore Regionale pro-tempore del Piemonte, rappresentato e difeso per procura generale alle liti Notaio Romano di Chivasso del 07.08.2013 rep. N. 55082 Raccolta 16699 dagli Avv.ti Loretta Clerico ed Elia Pagliarulo, ed elettivamente domiciliato in Torino, Corso Galileo Ferraris n. 1 presso l’Avvocatura Regionale INAIL
APPELLANTE
CONTRO
R.R., residente a Leinì (TO), Via Lamarmora n. 11, rappresentato e difeso per procura in calce al ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, congiuntamente e disgiuntamente, dagli Avv.ti Renato Ambrosio, Stefano Bertone e Chiara Ghibaudo, ed elettivamente domiciliato presso il loro studio in Torino, Via Bertola n. 2
APPELLATO
oggetto: malattia professionale
 

 

CONCLUSIONI
Per l’appellante:
come da ricorso depositato in data 31.8.2017 Per l’appellato:
come da memoria difensiva depositata in data 22.10.2018
 

 

Fatto

 


Il sig.  R.R. ha chiamato l’INAIL davanti al Tribunale di Ivrea, deducendo la natura professionale del neurinoma dell’acustico destro di cui è affetto, in quanto patologia contratta per l’uso abnorme di telefoni cellulari nel periodo 1995-2010, in cui ha lavorato alle dipendenze di Telecom s.p.a., e chiedendo quindi la condanna dell’Istituto convenuto a pagargli la prestazione dovuta per legge, commisurata alla percentuale di invalidità, indicata in misura pari ad almeno il 37%.
L’INAIL ha contestato la domanda attorea e ne ha chiesto il rigetto.
Istruita la causa mediante escussione di alcuni testimoni e con due c.t.u. medico-legali (una sul nesso causale e l’altra sulla quantificazione dei postumi permanenti), con sentenza n.
96/2017 pubblicata il 21.4.2017, il Tribunale, in accoglimento del ricorso, ha condannato l’INAIL a corrispondere al ricorrente la prestazione spettante con riferimento alla percentuale di invalidità del 23%, con condanna a rimborsare al ricorrente le spese di lite e a pagare le spese di c.t.u..
Propone appello l’INAIL; resiste l’appellato.
Disposta nuova c.t.u. medico-legale (affidata congiuntamente alla dott.ssa Carolina Marino e al dott. Angelo D’Errico, specialisti rispettivamente la prima in medicina-legale e il secondo in medicina del lavoro, dirigente medico del Servizio Sovrazonale di Edipemiologia ASL TO3), all’udienza del 3.12.2019, all’esito della discussione, la Corte ha deciso la causa come da separato dispositivo.
 

 

Diritto

 

Il Tribunale ha accolto il ricorso osservando che:
-il ricorrente, quale referente/coordinatore di altri dipendenti Telecom, ha utilizzato in maniera abnorme telefoni cellulari nel periodo 1995-2010, come dimostrato dall’istruttoria testimoniale (testi M., N., B.);
-in base ad essa si deve infatti ritenere che il ricorrente, coordinando una quindicina di colleghi, nell’ipotesi più prudente utilizzasse con loro il telefono per almeno due ore e mezza al giorno (2 telefonate x 5 minuti x 15 colleghi), e che, nell’ipotesi maggiore, le ore al telefono diventassero oltre sette (3 telefonate x 10 minuti x 15 colleghi), a cui si aggiunge il tempo trascorso al telefono per riferire ai propri superiori e per coordinarsi con il direttore dei lavori degli enti e con le imprese esterne che Elaboravano nei lavori, nonché durante il fine settimana, come confermato dal teste R.R., figlio del ricorrente;
-inoltre, all’epoca non esistevano strumenti per attenuare l’esposizione alle radiofrequenze e questa era aggravata dal tipo di tecnologia utilizzata per i primi telefoni cellulari (tecnologia ETACS), e dal fatto che spesso l’utilizzo avveniva all’interno dell’abitacolo di un’autovettura;
-la letteratura scientifica è divisa in merito alle conseguenze nocive dell’uso dei telefoni cellulari: da una parte l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), facente parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (ente imparziale ed autorevole a livello mondiale) il 31.5.2011 ha reso nota una valutazione dell’esposizione a campi elettromagnetici ad alta frequenza, definendoli come “cancerogeni possibili per l’uomo” (categoria 2B); dall’altra lo studio Interphone individua un rischio del 40% superiore per i glioma (famiglia di tumori cui appartiene anche quello che ha colpito il ricorrente) negli individui che abbiano usato il cellulare molto a lungo e per molto tempo; gli unici studiosi che con fermezza escludono qualsiasi nesso causale tra utilizzo di cellulari e tumori encefalici sono i proff. Ahlbom e Repacholi, ma detti autori si trovano in posizione di conflitto di interessi, essendo il primo consulente di gestori di telefonia cellulare ed il secondo di industrie elettriche; -ai risultati a cui sono pervenuti gli studi finanziati dalle aziende produttrici di telefoni cellulari non può essere attribuita particolare attendibilità in considerazione della posizione di conflitto di interessi degli autori, come ritenuto dalla S.C. nella sentenza n. 17438/2012 in un caso relativo ad altro tumore encefalico (neurinoma del ganglio di Gasser);
-la c.t.u. ha accertato la sussistenza del nesso causale;
-pertanto, e considerate le peculiarità del caso concreto (associazione tra tumore raro ed esposizione rara per durata ed intensità; periodo di latenza congruo con i valori relativi ai tumori non epiteliali; il fatto che la patologia sia insorta nella parte destra del capo del ricorrente, soggetto destrimane; mancanza di altra plausibile spiegazione della malattia), deve ritenersi provato un nesso causale, o quantomeno concausale, tra tecnopatia ed esposizione, sulla base della regola del “più probabile che non”;
-i postumi permanenti debbono essere riconosciuti nella misura del 23%, come da conclusioni del c.t.u., non contestate da alcuna delle parti.
Con il primo motivo di gravame l’INAIL lamenta che il Tribunale abbia omesso di pronunciarsi sull’eccezione di inammissibilità del ricorso, ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., per mancanza della dichiarazione di valore della prestazione richiesta.
Il motivo è infondato, avendo la Corte Costituzionale, con sentenza 20.11.2017 n. 241, dichiarato l’incostituzionalità di detta norma.
Con il secondo motivo, l’Istituto sostiene che il Tribunale abbia erroneamente ritenuto provato un uso abnorme per 15 anni del telefono cellulare per esigenze lavorative, essendo le testimonianze sul punto contraddittorie: in particolare, secondo la deposizione del teste B. la durata delle telefonate (e quindi l’esposizione alle radiofrequenze) era di un’ora e quaranta minuti al giorno, mentre secondo quanto riferito dal teste M. essa arrivava fino a 10 ore, durata inverosimile in quanto superiore alla stessa durata della giornata lavorativa. Inoltre, secondo quanto emerso dall’istruttoria testimoniale, le telefonate tra l’appellato e i colleghi avvenivano anche mediante telefono fisso, e, d’altra parte, il figlio dell’appellato non è stato in grado di quantificare le telefonate ricevute dal padre fuori dell’orario di lavoro quando egli era reperibile. Né in base alle deposizioni dei testimoni è possibile determinare la quantità e la durata delle telefonate all’interno dell’abitacolo dell’autovettura.
Pur non potendosi ritenere, diversamente da quanto sostenuto dall’appellato, che le circostanze storiche relative all’esposizione siano provate per non essere state contestate dall’INAIL ex artt. 115 e 416 comma 3 c.p.c., trattandosi di fatti non noti all’Istituto e che quindi esso non è in grado di contestare o meno, il motivo è comunque infondato.
L’istruttoria testimoniale ha infatti confermato la notevolissima esposizione del sig. R.R. alle radiofrequenze per l’uso del telefono cellulare nel periodo 1995-2010.
Infatti, il teste M., collega dell’appellato dal 1990 al 2010, ha riferito che l’appellato coordinava la sua attività e quella degli altri tecnici esterni (di cui l’appellato era superiore gerarchico), pari complessivamente a 15-20 persone; il teste ha dichiarato che si sentiva con l’appellato quotidianamente più volte al giorno, circa 2-3 volte al giorno o anche di più, con chiamate della durata di 5-10 minuti ciascuna.
Il teste N., collega dell’appellato dal 2000 al 2011, ha dichiarato di essersi sentito con lui molto spesso, anche un paio di volte all’ora, e che le telefonate duravano 5 minuti, ma anche di meno.
Il teste B., che ha lavorato con l’appellato dai primi anni ‘90 al 1996, ha dichiarato che quest’ultimo coordinava circa 10¬12 colleghi; e di avere contattato l’appellato almeno 2-3 volte in un giorno, con telefonate di circa 5-10 minuti ciascuna.
Come rilevato dal Tribunale, le telefonate dell’appellato intercorrevano anche con il direttore dei lavori, con le imprese esterne e con i superiori (v. testi M. e B.).
Escludendo quindi i valori massimi (che si ottengono considerando il numero più elevato di telefonate effettuate dai tecnici all’appellato e la durata massima di esse, come indicati dai testi) e prendendo perciò in considerazione il numero minimo e il numero medio di telefonate di ciascun tecnico (rispettivamente 2 e 2,5) per il numero di essi (l5-20 secondo M., 10-12 secondo B.), si ottiene un’esposizione, secondo le testimonianze di M. e N., da un minimo di 3,30 ore al giorno (200 minuti) a un medio di 5 ore al giorno (300 minuti), e, secondo la testimonianza di B., da un minimo di 1 ore e 40 minuti (100 minuti) a un medio di 3 ore e 50 minuti (230 minuti).
Pertanto, pur con il grado di precisione compatibile con il fatto di riferirsi a circostanze che, anche a distanza notevole di tempo, si ripetono durante un periodo lungo, anche con un inevitabile grado di variabilità, il quadro istruttorio consente, a parere della Corte, di ritenere provata un’esposizione a radiofrequenze molto elevata, che, in via del tutto prudenziale, va quantificata in circa 4 ore al giorno per tutto il periodo dedotto nel ricorso.
All’epoca non esistevano strumenti che consentissero di evitare il contatto diretto del telefono cellulare con il viso, come cuffiette o auricolari (v. teste M., e v. teste N., secondo cui le cuffiette, peraltro acquistate personalmente dai tecnici Telecom, avevano iniziato ad essere utilizzate a partire dall’inizio del 2000, e, nello stesso senso, v. teste B.).
E’ vero, come osservato dall’INAIL, che l’appellato disponeva di un ufficio dotato di un telefono fisso (v. teste M.), ma i testi hanno riferito che lo contattavano sul telefono cellulare in quanto era più facile reperirlo, considerato che sovente si spostava fuori dell’ufficio e che era meno agevole rintracciarlo sul telefono fisso, in quanto in tal caso occorreva passare per il centralino (v. testi M., N., B.).
E’ poi emerso che la tecnologia ETACS (che, come si dirà più oltre con riferimento alla c.t.u. svolta nel presente grado, emetteva radiofrequenze molto più potenti di quelle utilizzate attualmente dai telefoni cellulari) è durata circa 7 anni (teste M., v. anche teste N., che ha dichiarato che a partire dal 2000 prevaleva la tecnologia GSM; nello stesso senso, v. teste B.).
Queste circostanze hanno reso l’esposizione, già di per sé prolungata, particolarmente intensa.
Il figlio dell’appellato, sentito come teste, ha poi confermato che il padre è destrimane.
Con il terzo motivo di gravame, l’INAIL deduce l’erroneità della conclusione del Tribunale in ordine all’esistenza del nesso eziologico tra la patologia e l’esposizione lavorativa a radiofrequenze.
In particolare:
-osserva in primo luogo che il neurinoma del nervo acustico non è una malattia tabellata, sicché l’onere di provare la natura professionale della patologia incombe sul ricorrente;
-critica la c.t.u. disposta dal Tribunale, evidenziando gli errori materiali ivi contenuti e sostenendo che essa perviene a conclusioni errate, poiché non suffragate da una legge scientifica generale di copertura o quantomeno da una legge scientifica che abbia un preponderante consenso;
-deduce che la c.t.u., le cui conclusioni sono state recepite dal Tribunale, si è basata sulla classificazione IARC del 2013, senza dare adeguatamente conto di studi successivi, e non ha correttamente valutato il significato della classificazione delle radiofrequenze in relazione all’evidenza cancerogena, ossia come categoria 2B (“possibilmente cancerogeno per l’uomo”), e quindi la più debole tra quelle utilizzate dall’Agenzia per classificare agenti che presentino evidenze positive di cancerogenicità (a fronte della categoria 2A, “probabilmente cancerogeno per l’uomo” e della categoria 1, “cancerogeno per l’uomo”);
-sostiene che lo studio Interphone deve ritenersi attendibile, in quanto studio caso-controllo indipendente, pur a fronte di un solo parziale finanziamento da parte di industrie di telefoni cellulari e operatori di telefonia mobile, come pure devono ritenersi attendibili gli studi di Hardell; detti studi e gli ulteriori, pur con i limiti evidenziati dalla relazione del dott. Grandi (ricercatore del Dipartimento di Medicina, Epidemiologia, Igiene del Lavoro e Ambientale INAIL), prodotta nel presente grado, non supportano l’associazione tra utilizzo del telefono cellulare e l’insorgenza del tumore;
-deduce che, diversamente da quanto sostenuto dal c.t.u. (e condiviso dal Tribunale), non sono conosciuti i meccanismi di azione delle radiofrequenze;
-sostiene che non è provato che l’appellato (soggetto destrimane) usasse il telefono cellulare appoggiandolo sempre all’orecchio destro;
-deduce inoltre che non è corretto, come ha fatto il Tribunale, inferire dalla coesistenza di due fenomeni rari (nel caso di specie, tumore raro ed esposizione rara a radiofrequenze) un nesso di causa-effetto tra di essi;
-sostiene infine che erroneamente è stato ritenuto un periodo di latenza del tumore (secondo la dottrina scientifica, almeno 10 anni) compatibile con l’esposizione a radiofrequenze sin dal 1995, considerato che il tumore (a lentissima crescita), si è manifestato già nel dicembre 2009, e, pertanto, non risulta applicabile il rischio individuale pari a 1,44, riportato invece dal c.t.u..
Alla luce della c.t.u. disposta nel presente grado anche questo motivo di gravame è infondato.
I Consulenti d’Uffìcio si sono correttamente attenuti al quesito formulato dalla Corte con ordinanza del 16.1.2019, in cui era richiesto di svolgere gli accertamenti peritali basandosi su un’esposizione pari a 4 ore al giorno (come dimostrata dall’istruttoria testimoniale di cui si è già detto), seppure per mero errore, nel verbale di conferimento incarico del 19.3.2019, si sia fatto riferimento al quesito formulato nel primo grado, che non precisava la durata dell’esposizione. Pertanto, in conformità ai tempi di esposizione indicati nel quesito conferito, è stato stimato un tempo di utilizzo lavorativo del telefono cellulare pari a 840 ore/anno (4 ore x 210 giorni lavorativi), con un tempo stimato complessivo di utilizzo nell’intervallo di 15 anni intercorso tra il 1995 ed il 2010 pari a 12.600 ore (840 ore/anno x 15 anni) (v. pag. 51 c.t.u.).
I periti hanno inoltre considerato che, come emerso dall’istruttoria, i telefoni cellulari utilizzati dall’appellato sino alla fine del 1999 erano analogici (utilizzavano la tecnologia ETACS) e quindi, dal 2000, erano digitali (utilizzavano la tecnologia GSM), evidenziando che “I telefoni analogici e quelli digitali basati su tecnologia GSM 2G erano caratterizzati da emissioni di radiofrequenze (RF) molto superiori rispetto a quelli digitali attuali 3G e 4G, con livelli di intensità di emissioni di RF di quasi due ordini di grandezza superiori (IARC, 2013), ovvero quasi 100 volte superiori ” (v. pagg. 51-52 c.t.u., affermazione tratta dalla Monografìa IARC (2013) sulle radiofrequenze, come precisato dai Consulenti d’Ufficio a pag. 121 della relazione).
Premesso che il neurinoma acustico (o schwannoma vestibolare, indicato per brevità nella c.t.u. come “NA”), tumore cerebrale benigno, raro e a crescita lenta, è caratterizzato da un periodo di latenza dall’inizio dell’esposizione ad un fattore di rischio fino al momento della diagnosi di malattia pari a non meno di 10-15 anni (v. pag. 54 e segg.), i Consulenti d’Ufficio hanno citato i numerosi studi sulla materia, dando atto che la maggior parte di essi sono studi caso-controllo che sono stati condotti dal gruppo di lavoro Interphone e dal gruppo di ricerca dell’Università di Orebro, Svezia, guidato dal prof. Hardell, evidenziandone le caratteristiche e le metodologie, nonché i limiti e le critiche svolte su di essi dalla letteratura scientifica (v. pag. 58 e segg.).
Dopo lo studio Interphone pubblicato nel 2010 sulla relazione tra esposizione a TC (telefono cellulare) e gliomi e meningiomi (tra cui non era quindi incluso il NA), “Nel 2011 il gruppo di studio INTERPHONE pubblicava, in un altro articolo, i risultati dello studio internazionale caso-controllo su uso di telefoni cellulari e rischio di sviluppare murinomi dell ’acustico, che comprendeva più di 1.000 casi e oltre 2.000 controlli arruolati tra il 2000 e il 2004 (INTERPHONE, 2011).
Questo studio non ha riscontrato differenze nell’esposizione pregressa a TC in casi e controlli per “utilizzo regolare” definito sulla base di almeno una chiamata alla settimana.
Al contrario, ha osservato un eccesso di rischio statisticamente significativo di sviluppare NA (di quasi 3 volte nei soggetti esposti, rispetto ai non esposti), nei soggetti classificati nella classe più alta di esposizione, corrispondente ad un utilizzo complessivo di TC superiore a 1.640 ore (traducibili in durate medie di esposizione di 1 ora al giorno per 4 anni, o di 2 ore al giorno per 2 anni, o di mezz’ora al giorno per 8 anni)”, evidenziando inoltre che i risultati dello studio mostravano nella classe con più alta esposizione cumulativa (utilizzo complessivo di telefono cellulare maggiore o uguale a 1640 ore) un’associazione statisticamente significativa del NA solo con l’uso ipsilaterale di telefono cellulare (OR, o Odds Ratio = 3.74), sicchè “Dal momento che, come anche osservato da Cardis (Cardis, 2008), le radiofrequenze (RF)/emissioni
elettromagnetiche emesse dai telefoni portatili vengono assorbite soprattutto dal lato del capo al quale viene accostato l’apparecchio telefonico durante l’utilizzo (c.d. utilizzo ipsilaterale) e che con l’aumentare della distanza del telefono dal capo la dose di radiazioni elettromagnetiche assorbita dai tessuti diminuisce bruscamente, il riscontro di un’associazione statisticamente significativa del NA solo con l’uso ipsilaterale di TC supporta l’ipotesi che le RF emesse dai TC svolgano un ruolo causale nell’induzione/sviluppo di NA".
Con riferimento ad una delle osservazioni dell’appellante sopra riportate, rileva la Corte che, non contestato e confermato dalla testimonianza del figlio dell’appellato che quest’ultimo è destrimane, il fatto che si tenda ad usare il telefono, esclusivamente o quasi, appoggiandolo all’orecchio del lato del corpo “dominante", rientra nel fatto notorio essendo usualmente riscontrabile nell’esperienza comune.
I Consulenti d’Ufficio hanno poi citato la classificazione dello IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) del 2011, secondo cui le radiofrequenze sono “possibilmente cancerogene per l’uomo", valutazione confermata nella monografia del 2013 sulle radiazioni non ionizzanti, evidenziando che nell’aprile 2019 un Advisory Group della IARC, composto da 29 ricercatori provenienti da 19 paesi, ha inserito le radiofrequenze tra gli agenti per cui è ritenuta prioritaria una rivalutazione di cancerogenicità da parte della IARC nel periodo 2020-2024 (IARC Monographs Priorities Group, 2019). Hanno quindi menzionato gli studi successivi (v. pagg. 68-69).
Nella tabella redatta dai Consulenti d’Ufficio alle pagg. 70 e 71 della perizia sono riportate le caratteristiche e i risultati degli studi epidemiologici pubblicati sull’associazione tra utilizzo di TC e NA, relativi al rischio di NA stimato per i soggetti con la più alta esposizione cumulativa in ciascuno studio, in termini di durata dell’esposizione, di durata cumulativa del tempo di esposizione o della durata dell’abbonamento telefonico, divisi anche per utilizzo ipsilaterale e controlaterale rispetto all’insorgenza del tumore.
Come rilevato dai Consulenti d’Ufficio, dall’esame della tabella emerge che la maggioranza degli studi mostra eccessi di rischio associati ad elevata durata di utilizzo o esposizione cumulativa a TC, che in vari studi sono statisticamente significativi, con più alti rischi associati all’utilizzo ipsilaterale di TC.
Nella perizia è evidenziato “il fatto che negli studi in cui il rischio di NA è stimato sulla base del numero di ore cumulative di utilizzo, la categoria con la più alta esposizione cumulativa stimata (che trova il monte ore più alto di 1640 ore nello studio INTERPHONE 2011) ha un limite che è almeno circa 8 volte più basso del numero di ore (12.600 ore circa) di utilizzo di TC stimato nel caso del Sig. R.R.” (v. pag. 69 c.t.u.).
I Consulenti d’Ufficio hanno poi esaminato le evidenze da studi sperimentali su animali, pubblicati successivamente alla monografia IARC del 2013, di cui uno condotto dall’Istituto
Ramazzini e l’altro dal National Toxicology Program (NTP) statunitense: il primo ha osservato un incremento statisticamente significativo di Schwannoma delle cellule cardiache di Schwann a carico dei ratti maschi, anche se stimato su un numero limitato di casi (3 casi nel gruppo a più alta esposizione vs. 0 casi nel gruppo non esposto), ed un incremento non statisticamente significativo di iperplasia delle cellule cardiache di Schwann, che costituisce una lesione pre-tumorale, in entrambi i sessi (Falcioni et al., 2018); e anche il secondo ha mostrato, per i ratti maschi, un incrementato numero di casi di Schwannoma cardiaco, rispetto ai ratti maschi non esposti, che era statisticamente significativo sia per esposizione a radiofrequenze CDMA (3 casi nel gruppo con esposizione intermedia, 6 casi nel gruppo con la più alta esposizione e 0 casi tra i non esposti) che per esposizione a quelle da GSM (5 casi nel gruppo più esposto e 0 casi tra i non esposti) (NTP, 2018).
1 Consulenti d’Ufficio hanno precisato che “gli Schwannomi cardiaci sono dello stesso tipo istologico dei murinomi del nervo acustico (che, infatti, sono denominati anche Schwannomi vestibolari), cosa che supporta una relazione causale tra esposizione a radiofrequenze e incidenza di NA ” (v. c.t.u. pag. 76).
In base a tutti questi elementi, i Consulenti d’Ufficio hanno concluso che “Nel caso concreto specifico in esame, il rischio derivante dall’utilizzo professionale di telefono cellulare risulta decisamente aggravato in relazione principalmente al lungo periodo di esposizione (15 anni) ed all’elevata intensità dell’esposizione stessa, quest’ultima dovuta sia alla tipologia di apparecchi telefonici cellulari utilizzati (ETACS e quindi GSM 2G, con livelli di emissione quasi 100 volte superiori rispetto ai più moderni telefoni cellulari), che all’elevato numero di ore di utilizzo dell’apparecchio telefonico stesso (con un’esposizione media di 840 ore/anno, con conseguente esposizione complessiva in 15 anni stimata nell’ordine di 12.600 ore). Pertanto, anche alla luce delle risultanze dei più recenti studi sugli animali condotti da NTP e dall’Istituto Ramazzini (che mostrano eccessi di tumori dello stesso tipo istologico del NA, anche se in altra sede) e dalle recenti indicazioni dell’Advisory Group della IARC sulla necessità di una prioritaria rivalutazione da parte della IARC della cancerogenicità delle radiofrequenze, considerando le risultanze degli studi epidemiologici disponibili che, per quanto non del tutto concordanti, mostrano comunque frequentemente un eccesso di casi di NA in presenza di prolungata esposizione o di esposizioni intense, è dato ritenere che, nello specifico caso in esame, con criterio di elevata probabilità logica, si possa ammettere un nesso eziologico tra la prolungata e cospicua esposizione lavorativa a radiofrequenze emesse da telefono cellulare e la malattia denunciata dal periziato all’INAIL (neurinoma dell’ottavo nervo cranico destro)" (v. conclusioni preliminari a pagg. 77-78, ribadite a pagg. 123-124 nelle conclusioni e risposte ai quesiti).
Le conclusioni sono fondate su un accurato ed aggiornatissimo esame delle fonti della letteratura scientifica, applicata alle peculiarità del caso concreto (per quantità e durata dell’esposizione), in assenza di fattori alternativi di rischio, secondo standard di certezza probabilistica (“più probabile che non”).
Rispetto alle conclusioni del Consulenti d’Ufficio, i Consulenti INAIL hanno svolto articolate osservazioni (riportate a pagg. 79¬84 della relazione), mentre i difensori dell’appellato hanno sottolineato la posizione di conflitto di interesse di alcuni autori di studi che hanno negato la cancerogenicità delle radiofrequenze (v. pagg. 84-97 c.t.u.), in particolare nell’ambito della letteratura citata dall’INAIL (v. pagg. 94-95).
Ritiene la Corte che i Consulenti d’Ufficio abbiano fornito esaustive risposte in merito alle osservazioni dei Consulenti di parte appellante.
In particolare:
1) i dati relativi all’esposizione su cui si sono basati i Consulenti d’Ufficio non sono, come sostenuto dai Consulenti INAIL, tratti “sostanzialmente dalle informazioni anamnestiche riferite dall’assicurato”, bensì, come già osservato, oggetto del quesito formulato dal Collegio avuto riguardo alle circostanze comprovate all’istruttoria testimoniale già sopra descritta;
2) con riferimento alle critiche sull’attendibilità degli studi secondo cui sussiste un nesso eziologico tra esposizione a radiofrequenze e il neurinoma dell’acustico, i Consulenti d’Ufficio hanno svolto le seguenti articolate repliche:
a) quanto alle possibili distorsioni (“bias”), i Consulenti d’Uffìcio hanno illustrato le differenze tra gli studi caso- controllo e gli studi di coorte, precisando che nella materia in esame la letteratura è quasi interamente costituita da studi caso- controllo. In questo tipo di studio (a differenza degli studi di coorte, da cui si ricava il rapporto tra l’incidenza della malattia nella popolazione esposta al fattore di rischio e l’incidenza della stessa malattia nella popolazione non esposta), il rischio relativo (RR) è approssimato da un altro indicatore di rischio, ovvero l’Odds Ratio (OR), che viene calcolato sulla base del rapporto tra la frequenza di esposizione al fattore di rischio tra i casi (malati) rispetto alla frequenza di esposizione al fattore di rischio tra i controlli (non malati).
Ciò rende possibili misclassificazioni non differenziali (che interessano sia i casi che i controlli nella stessa misura), le quali, come evidenziato dai Consulenti d’Uffìcio, determinano sempre una sottostima del rischio rispetto al rischio reale, e misclassificazioni differenziali dell’esposizione (errori di classificazione che interessano in diversa entità i casi rispetto ai controlli), le quali possono condurre sia ad una sovrastima che ad una sottostima del reale rischio di malattia dovuto all’esposizione, e la più seria minaccia alla validità dei risultati è costituita da una forma di misclassificazione differenziale dell’esposizione denominata “recali bias”, dovuta alla possibilità che i soggetti che risultano affetti da malattia tumorale ricerchino nella propria memoria dei dati relativi alla propria pregressa esposizione a possibili fattori di rischio per la salute che possano avere determinato tale malattia.
Tuttavia i risultati degli studi disponibili (lo studio di Vrijheid et al., 2009, lo studio di Aydin et al., 2011, e lo studio di Petterson et al., 2015) indicano che è improbabile che gli studi su esposizione a TC e rischio di NA siano stati affetti da una misclassificazione differenziale dell’esposizione a RF da TC, tale da determinare una sovrastima dell’esposizione tra i casi rispetto ai controlli e, pertanto, una conseguente sovrastima del rischio di NA associato all’esposizione a RF da TC; al contrario, sia i risultati di detti studi, che quelli di altri studi che hanno valutato, in soggetti sani, la validità dell’esposizione a TC “autoriferita” (ovvero riferita dagli stessi soggetti inclusi nello studio e rilevata per mezzo di questionario o intervista ad essi somministrati), indicano la presenza di una forte misclassificazione non differenziale dell’esposizione (Samkange-Zeeb et al., 2004; Toledano et al., 2014; Vanden Abeele et al., 2013), con conseguente sottostima della forza dell’associazione tra esposizione a TC e rischio di NA, rispetto al rischio reale, sicché le stime di rischio (O.R.) ottenute nei diversi studi sarebbero fortemente sottostimate e il rischio reale di sviluppare NA sarebbe molto più alto di quello osservato negli studi stessi (v. pagg 99-103 c.t.u.);
b) anche quanto alla ipsilateralità dell’utilizzo del telefono cellulare rispetto al lato di comparsa del tumore gli studi disponibili (Shimizu e Yamaguchi, 2012) evidenziano la possibilità di una forte misclassificazione non differenziale, con conseguente sottostima (v. pag. 103 c.t.u.);
c) a differenza di quanto sostenuto dai Consulenti di parte INAIL, un effetto dose-risposta, cioè un significativo aumento del rischio di sviluppare la malattia tumorale (NA) all’aumentare della dose cumulativa di esposizione a RF da TC, è presente nei risultati della pooled analysis di Hardell et al. (2013), come da tabella riportata a pag. 104 della relazione, che mostra un rischio di NA associato all’uso di telefoni wireless progressivamente crescente all’aumentare della dose cumulativa di esposizione a TC (calcolata in base alle ore di utilizzo di TC): v. pagg. 103¬105 c.t.u.;
d) un possibile motivo della mancanza di un effetto dose-risposta nello studio Interphone (2011) e in altri studi è che le categorie di esposizione cumulativa utilizzate fossero troppo basse: per esempio, nello studio Interphone il limite inferiore per la categoria di esposizione cumulativa più alta era posto a sole 1.640 ore di utilizzo di TC, corrispondenti a meno di mezz’ora al giorno per 10 anni. Come osservato nella relazione peritale, una dose di esposizione al di sotto di questo limite potrebbe essere non sufficiente a determinare lo sviluppo di NA (v. pag. 105 c.t.u.).
Si tratta peraltro di una dose di esposizione, come emerge dalla perizia, assolutamente non confrontabile con la massiccia e prolungata esposizione a radiofrequenze subita dall’appellato per ben 15 anni;
e) l’affermazione dei Consulenti INAIL secondo cui soggetti audiolesi protesizzati, che possiedono sussidi uditivi che utilizzano quotidianamente per l’intera giornata con annessa funzione bluetooth, non hanno mai fatto riscontrare casi di neurinomi dell’acustico, non è supportata da alcun riferimento bibliografico (v. pag. 107 c.t.u.);
f) diversamente da quanto sostenuto dai Consulenti INAIL, il trend della patologia per cui è causa (schwannoma dell’VIII nervo cranico) mostra un aumento, in coincidenza con la diffusione della telefonia cellulare, di detta malattia nel corso degli ultimi decenni. I Consulenti d’Ufficio hanno indicato, nelle pagg. 55-57 della relazione, i diversi studi sulla questione, rilevando che, secondo alcuni di essi, l’aumento di incidenza della malattia sarebbe attribuibile al miglioramento delle tecniche strumentali - basata sulla diffusione di nuove tecnologie, ad esempio TAC e RMN - utilizzate per pervenire alla diagnosi di tale tumore; ma osservando tuttavia che studi basati sui dati più recenti mostrano un ulteriore incremento di incidenza di NA, anche riferito a periodi in cui la diffusione dei migliori strumenti di diagnostica di questi tumori era già avvenuto (Kleijwegt et al., 2016: aumento nella regione di Leyden dell’incidenza di NA di oltre 3 volte in un arco temporale di 11 anni intercorrente tra il 2001 al 2012; Marinelli et al., 2018: aumento dell’incidenza di NA in Minnesota, USA, di oltre 2 volte in un arco temporale di 11 anni intercorrente tra il 1995 al 2016; sempre negli USA, il Central Brain Tumor Registry, CBTRUS, ha pubblicato report annuali dal 2007 al 2016 con dati registrati dal 2004 al 2013 che evidenziano un raddoppio dell’incidenza annuale di NA: da 0,88 a 1,73 x 100.000); a pag. 108 della relazione hanno richiamato i dati del registro tumori danese che evidenziano un incremento nell’incidenza di tumori cerebrali, con un aumento del 40% tra gli uomini e del 29% tra le donne tra il 2001 e il 2010 (Sundhedsstyrelsen, 2010).
E’ quindi condivisibile la conclusione dei Consulenti d’Ufficio secondo cui è improbabile che l’incremento di incidenza di NA sia attribuibile unicamente alla possibilità, derivante dell’affinamento delle metodiche diagnostiche di tale tumore o anche da una maggiore accessibilità della popolazione alle strutture sanitarie, di ottenere più diagnosi di NA.
3) Con riferimento agli studi di NTP e dell’Istituto Ramazzini, alle osservazioni critiche dei Consulenti INAIL sulla loro validità scientifica, anche mediante richiamo al recentissimo articolo pubblicato dall’International Commission on Non Ionizing Radiation Protection (ICNIRP) su Health Physics, i Consulenti d’Ufficio (v. pagg. 108-113 della relazione) hanno esaustivamente replicato che:
- si tratta dei più grandi studi sperimentali su animali condotti finora e sono caratterizzati da elevata standardizzazione dei protocolli di ricerca e da alta qualità dei metodi utilizzati;
- lo scopo principale degli studi sperimentali sui tumori condotti sugli animali è quello di valutare se l’esposizione ad un sospetto agente cancerogeno provochi o meno eccessi di tumori nei gruppi di animali esposti. Pertanto il fatto che, per gli animali oggetto di studio, possano essere previsti tempi e modalità di esposizione differenti rispetto a quelli degli esseri umani (per i roditori, a differenza che per l’uomo, “total body ” e per l’intera vita), non rende i risultati degli studi meno validi.
Inoltre, con riferimento all’osservazione della difesa dell’INAIL, nel corso della discussione orale, circa l’inattendibilità di questi studi in quanto non effettuati sull’uomo, la Corte ritiene esaustiva e condivisibile la replica dei Consulenti d’Ufficio (anche mediante richiamo a fonti di letteratura scientifica sullo studio del NTP) secondo cui il criterio razionale per condurre studi di cancerogenicità in modelli animali “si basa su dati sperimentali che mostrano che ogni agente noto come cancerogeno nell ’uomo, quando adeguatamente testato, ha mostrato di essere cancerogeno negli animali (IARC, 2006) e che quasi un terzo dei cancerogeni umani sono stati identificati dopo che effetti cancerogeni sono stati trovati in studi ben condotti sugli animali (Huff, 1993). Non c’è ragione di credere che un agente fisico come le radiofrequenze possa danneggiare i tessuti animali, ma non i tessuti umani" (Melnick, 2019, citato alle pagg. 76-77 e 109 della relazione). Le sperimentazioni sulla cancerogenicità di agenti o sostanze vengono usualmente eseguite su animali, quali i roditori, che presentano elementi di similitudine con gli uomini, sicché non si può negare pregiudizialmente valore scientifico ai risultati di detti studi;
- il fatto che l’eccesso di tumore sia stato riscontrato soltanto nei ratti (e quasi esclusivamente di sesso maschile) non inficia la validità dello studio, considerato che lo schwannoma cardiaco insorge in diverse varietà di ceppi di ratti (e con maggior frequenza nei maschi), ma non è mai stato osservato nei topi;
- nonostante, nello studio dell’Istituto Ramazzini, l’esposizione dei ratti sia avvenuta alla dose massima testata, il tasso di assorbimento specifico conseguente all’esposizione era di poco superiore al limite massimo per irradiazione al corpo intero per l’uomo; mentre, quanto allo studio del NTP, pur essendo la dose di esposizione molto superiore al limite massimo di esposizione ammissibile per irradiazione al corpo intero per l’uomo, la dose assorbita a livello locale è solo una piccola parte della dose somministrata a tutto il corpo, e, in particolare, per il cervello, la dose assorbita è stata stimata in circa il 10% della dose totale somministrata a tutto il corpo;
- il numero di casi di tumore riscontrato negli animali è statisticamente significativo: nello studio di NTP, 6 casi nel gruppo a più alta esposizione a RF da CDMA e 5 casi in quello con più alta esposizione a RF da GSM, mentre nessun caso si è verificato nel gruppo non esposto; nello studio dell’Istituto
Ramazzini, 3 casi osservati nel gruppo a più alta esposizione e nessuno nel gruppo non esposto;
- in merito alla diversa localizzazione degli schwannomi riscontrati nei ratti esposti negli studi dell’NTP e dell’Istituto Ramazzini (localizzazione a livello cardiaco invece che a livello cerebrale), appare probabile che la modalità di irradiazione degli animali abbia influito nel determinare questo risultato, in quanto la somministrazione di RF è stata indirizzata a tutto il corpo e non concentrata solo sulla testa degli animali da esperimento, come invece avviene per l’esposizione a RF negli utilizzatori di TC;
- gli schwannomi cardiaci sono dello stesso tipo istologico dei neurinomi del nervo acustico (che, infatti, sono denominati anche schwannomi vestibolari), cosa che supporta una relazione causale tra esposizione a radiofrequenze e incidenza di NA. Pertanto, il fatto che i NA siano tumori benigni, al contrario degli schwannomi cardiaci maligni osservati nei ratti negli studi del NTP e dell’Istituto Ramazzini, appare irrilevante, considerato che questi studi dimostrano che l’esposizione a RF può determinare una trasformazione neoplastica delle cellule di Schwann, processo che sia i tumori benigni che i tumori maligni hanno in comune;
- lo studio del NTP ha concluso affermando che i risultati dimostrano una chiara evidenza di attività cancerogena delle RF (NTP, 2018);
- l’effettuazione di confronti multipli nelle analisi condotte nei due studi del NTP e dell’Istituto Ramazzini ha sicuramente aumentato il rischio che si verificassero associazioni spurie in questi due studi, ma la probabilità che tre analisi indipendenti abbiano trovato solo per caso un incremento significativo di sviluppare tumori dello stesso tipo istologico e nella stessa sede anatomica è bassissima, anche considerando i molti confronti effettuati in analisi, ciò che supporta in maniera inequivocabile l’effetto cancerogeno delle RF;
- la presenza di un effetto cancerogeno è supportata anche dall’osservazione di un significativo aumento del danno al DNA, valutato per mezzo della presenza di rotture del DNA con la metodica Comet assay, in vari organi, tra cui soprattutto il cervello, sia in ratti che in topi (Wyde, 2016);
- diversamente da quanto sostenuto dai Consulenti INAIL, le analisi sono state condotte “in cieco” (v. articolo di Melnick del 2019, in risposta alle critiche dell’INCIRP riguardo allo studio del NTP);
4) In merito alla motivazione per la quale l’Advisory Group della IARC ha inserito le radiofrequenze tra gli agenti per cui è ritenuta prioritaria una rivalutazione di cancerogenicità da parte della IARC nel periodo 2020-2024 (secondo i Consulenti INAIL non per motivi di particolare allarme, ma in quanto rivalutazione rientrante nelle normali procedure di aggiornamento periodico delle valutazioni di evidenza cancerogena promosse dall’Agenzia), nella relazione peritale è trascritta la tabella riportata nell’articolo, dalla quale si ricava che le radiazioni non ionizzanti (radiofrequenze) sono tra gli agenti per i quali è raccomandata una rivalutazione urgente (“high priority”) della cancerogenicità per l’uomo, indicazione, specificata nella tabella stessa, motivata dal fatto che le nuove evidenze derivanti da test biologici e meccanicistici “richiedono una rivalutazione della classificazione”. Nell’articolo dell’Advisory Group è inoltre specificato che la priorità per la rivalutazione è stata assegnata sulla base di evidenze sull’esposizione umana e in base al grado di evidenza disponibile per valutare la cancerogenicità (v. pagg. 113-115 c.t.u.);
5) Quanto alle osservazioni dei Consulenti INAIL circa l’incompatibilità dell’evoluzione della patologia dell’appellato (essendo il tumore, già nel 2010, di dimensioni pari a 2,6 cm, a fronte di un ritmo di crescita di circa 1,5 mm all’anno) e i periodi di latenza della stessa (oltre 15-20 anni, non meno di 10-15 anni), i Consulenti d’Ufficio hanno osservato che, secondo l’autore citato dai Consulenti INAIL (Dott. P. F., Istituto Besta di Milano), il ritmo di crescita del tumore, di circa 1,5 mm all’anno, si riferisce a circa il 75% dei neurinomi dell’acustico, mentre un quarto di essi ha tendenza a crescere più rapidamente e in maniera più aggressiva (v. pag. 116 c.t.u.). Inoltre, i Consulenti d’Ufficio, alle pagg. 116-117 della relazione, hanno citato ampia letteratura scientifica da cui risultano tassi di crescita del neurinoma dell’acustico piuttosto variabili. In particolare, in caso di NA caratterizzati da fenomeni cistici ed emorragici (come quello dell’appellato), sono stati osservati tassi di crescita di oltre 4 mm/anno (Paldor et al., 2016), e nella revisione di Paldor vengono citati anche alcuni case reports nei quali sono stati descritti casi di NA con tassi di crescita fino a 25 mm/anno (Fayad et al, 2014).
Appare dunque condivisibile la conclusione sul punto dei Consulenti d’Ufficio secondo cui “I tassi di crescita del NA osservati nella letteratura scientifica, la presenza nel caso in esame di fenomeni cistico-necrotici (anche citati dai CTP INAIL) e il lungo periodo intercorso tra la prima esposizione e la diagnosi di NA (15 anni), rappresentano elementi certamente non idonei a giustificare una esclusione del nesso causale tra esposizione a RF da TC e insorgenza di NA, così come sostenuto dai CTP INAIL.
Al contrario, tali dati rappresentano elementi assolutamente compatibili con la sussistenza, nel caso in esame, del riscontro di un NA delle dimensioni di 2.6 cm al momento della diagnosi, in soggetto esposto da 15 anni a RF da TC ” (v. pag. 117).
6) Pertanto, considerato il periodo di esposizione dell'appellato alle radiofrequenze (dal 1995 al 2010, anno in cui gli è stato diagnosticato il NA), il tempo intercorso tra l’inizio dell’esposizione e la comparsa del tumore (pari a15 anni, e non a 4 anni come sostenuto dai Consulenti INAIL) è assolutamente compatibile con l’induzione e lo sviluppo del NA sulla base dei dati di letteratura, anche considerando 5 anni per l’inizi azione del tumore e 10 anni per il suo sviluppo.
Inoltre, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa dell’appellante nel corso della discussione orale, non vi è contraddizione tra quanto argomentato dai Consulenti d’Ufficio alle pagg. 115-118 in merito alla latenza della malattia, al suo sviluppo e alle dimensioni del tumore al momento della diagnosi nel 2010 (2,6 cm), e quanto scritto alle pagg. 57-58 della relazione sul periodo di latenza riconosciuto nella letteratura scientifica (almeno 10-15 anni), avendo i Consulenti d’Ufficio motivato sulla compatibilità tra il periodo di latenza della malattia e le dimensioni del tumore, menzionando (a differenza dei Consulenti INAIL) copiosa letteratura scientifica sull’estrema variabilità della crescita media del tumore, che ha registrato anche casi di valori massimi pari a 17 mm/anno e addirittura fino a 25 mm/anno (v. pagg. 116-117 c.t.u.).
7) Non vi è contraddizione tra l’affermazione dei Consulenti d’Ufficio (v. nota 25 a pag. 70 della relazione) secondo cui «Appare quindi improbabile che si possano vedere gli eventuali effetti dell’uso di TC sull’incidenza dei NA, almeno sui dati fino al 2010, data la diffusione relativamente recente dei TC e il lungo periodo di induzione di questi tumori e l’affermazione dell’esistenza del nesso eziologico nel caso di specie, poiché la frase di cui sopra è evidentemente riferita al fatto che appare improbabile che negli studi epidemiologici si potessero vedere eventuali effetti dell’uso di telefono cellulare, in quanto nelle popolazioni esaminate da tali studi l’inizio dell’esposizione, per la gran parte dei soggetti, era troppo recente, mentre, nel caso concreto in esame, l’esposizione dell’appellato ha avuto inizio nel 1995, ovvero 15 anni prima della diagnosi del tumore (NA) ed in un periodo storico in cui i TC erano ancora poco diffusi nella maggior parte dei paesi europei (v. pagg. 118-119 c.t.u.).
I Consulenti d’Ufficio hanno pertanto ravvisato il nesso causale tenendo correttamente in considerazione la concreta esposizione dell’appellato alle radiofrequenze, che, per le sue peculiarità (durata ed intensità conseguente all’uso abnorme del telefono cellulare), presenta caratteristiche del tutto diverse da quelle medie riscontrate in generale dalla popolazione nel periodo per cui è causa;
8) con riferimento alle conclusioni dei Consulenti INAIL, che, al fine di escludere il nesso causale, richiamano il documento dell’ISS, rapporto ISTISAN 19/11, i Consulenti d’Ufficio hanno esaustivamente replicato che: “il rapporto ISTISAN su RF e tumori è stato criticato dall ’associazione Medici per l’Ambiente (ISDE, acronimo di International Society of Doctors for Environment) per varie ragioni (Di Ciaula, 2019), tra cui: la selezione degli studi inclusi nelle meta-analisi presentate; l’interpretazione delle associazioni osservate tra RF e tumori intracranici; l’uso inappropriato dei dati sull’andamento dell’incidenza dei tumori cerebrali per confutare l’associazione tra RF e tumori cerebrali; il non aver tenuto conto nella loro valutazione dei risultati di recenti studi sperimentali su animali, ..., che hanno mostrato effetti cancerogeni su ratti (NTP, 2018; Falcioni et al., 2018) e, soprattutto, per non avere fatto conseguire alla dichiarata incertezza sugli effetti associati ad un uso intenso e prolungato di TC raccomandazioni più stringenti sui limiti di esposizione a RF, in particolare per i bambini e gli adolescenti, che potrebbero essere maggiormente suscettibili a tali effetti (Di Ciaula, 2019)" (v. pag. 119 c.t.u.).
I Consulenti d’Ufficio hanno poi menzionato il rapporto della ANSES (Agenzia Nazionale Francese per la Sicurezza Sanitaria per Alimentazione Ambiente e Lavoro) sugli effetti delle onde emesse dai telefoni mobili sulla salute, che conclude segnalando che gli studi scientifici pubblicati sino ad oggi non permettono di escludere la comparsa di effetti biologici per l’uomo oltre certe soglie di esposizione a RF da TC, evidenziando inoltre che il 76% dei telefoni cellulari esaminati emette radiofrequenze superiori al limite massimo raccomandato dall’ICNIRP per esposizione di testa e tronco (v. pagg. 119-121 c.t.u.).
I Consulenti d’Uffìcio, a parere della Corte, hanno replicato punto per punto alle osservazioni dei Consulenti INAIL, menzionando copiosa letteratura scientifica a supporto delle proprie argomentazioni, e fornendo, in conclusione, solidi elementi per affermare un ruolo causale tra l’esposizione dell’appellato alle radiofrequenze da telefono cellulare e la patologia per cui è causa.
I dati epidemiologici, i risultati delle sperimentazioni sugli animali (non contraddetti, allo stato, da altre sperimentazioni dello stesso tipo), la durata e l’intensità dell’esposizione (assolutamente peculiari per la loro abnormità) che assumono particolare rilievo considerata l’accertata - a livello scientifico - relazione dose-risposta tra esposizione a radiofrequenze da telefono cellulare e rischio di neurinoma dell’acustico, unitamente alla mancanza di un altro fattore che possa avere cagionato la patologia, complessivamente valutati, consentono di ritenere che, caso specifico, sussista una legge scientifica di copertura che supporta l’affermazione del nesso causale secondo criteri probabilistici (“più probabile che non”).
In effetti, buona parte della letteratura scientifica che esclude la cancerogenicità dell’esposizione a radiofrequenze, o che quantomeno sostiene che le ricerche giunte ad opposte conclusioni non possano essere considerate conclusive, come evidenziato anche dai Consulenti d’Ufficio a commento delle osservazioni della difesa dell’appellato (riportate alle pagg. 84 - 97 della relazione), versa in posizione di conflitto di interessi, peraltro non sempre dichiarato: si veda in particolare, a pag. 94 della relazione, l’osservazione della difesa dell’appellato (in alcun modo contestata dalla controparte) secondo cui gli autori degli studi indicati dall’INAIL, nominativamente elencati, sono membri di ICNIRP e/o di SCENIHR, che hanno ricevuto, direttamente o indirettamente, finanziamenti dall’industria.
I Consulenti d’Ufficio hanno al riguardo osservato: “Inoltre, anche alla luce dell’ampia documentazione sui conflitti di interesse di diversi ricercatori coinvolti nello studio INTERPHONE, pure prodotta dai consulenti dell ’appellante, si ritiene che debba essere dato minor peso agli studi pubblicati da autori che non hanno dichiarato l’esistenza di conflitti di interesse invece sussistenti e che debba essere dato maggior peso ai risultati di studi condotti da ricercatori esenti da tali conflitti, come ad esempio gli studi effettuati da Hardell e collaboratori.
Nel caso in esame, possono concretizzare situazioni di conflitto di interesse rispetto alla valutazione dell’effetto sulla salute delle RF, ad esempio, quei casi in cui l’autore dello studio ha effettuato consulenze per l’industria telefonica o ha ricevuto finanziamenti per la realizzazione di studi dall’industria telefonica oppure (come anche stabilito anche dal Karolinska Institutet di Stoccolma, in relazione all’esposto presentato contro il prof. Ahlbom, poi destituito dalla presidenza del gruppo di lavoro IARC sulle RF proprio a causa della sua appartenenza all’ICNIRP) nel caso in cui l’autore stesso sia membro dell’ICNIRP (International Commission on Non - Ionizing Radiation). Infatti l’ICNIRP è un’organizzazione privata, le cui linee guida sulle RF hanno una grande importanza economica e strategica per l’industria delle telecomunicazioni, con la quale peraltro diversi membri dell’ICNIRP hanno legami attraverso rapporti di consulenza ... A parte possibili legami con l’industria, appare evidente che i membri dell’ICNIRP dovrebbero astenersi dal valutare l’effetto sulla salute di livelli di RF che l’ICNIRP stesso ha già dichiarato sicuri e quindi non nocivi per la salute (Hardell, 2017)" (v. pag. 107 relazione).
L’impostazione dei Consulenti d’Ufficio è del tutto condivisibile, essendo evidente che l’indagine, e le conclusioni, di autori indipendenti diano maggiori garanzie di attendibilità rispetto a quelle commissionate, gestite o finanziate almeno in parte, da soggetti interessati all’esito degli studi.
L’ampia letteratura scientifica citata ed applicata dai Consulenti d’Ufficio, del tutto indipendente, deve quindi ritenersi affidabile, così come le conclusioni, a livello epidemiologico, a cui essa è pervenuta.
Del resto, proprio in una controversia nei confronti dell’INAIL relativa a malattia professionale (tumore intracranico) per esposizione a radiofrequenze da telefono cellulare, la S.C. ha ritenuto che “L’ulteriore rilievo circa la maggiore attendibilità proprio di tali studi, stante la loro posizione di indipendenza, ossia per non essere stati cofinanziati, a differenza di altri, anche dalle stesse ditte produttrici di cellulari, costituisce ulteriore e non illogico fondamento delle conclusioni accolte ” (v. Cass. 12.10.2012 n. 17438).
Trattandosi di malattia professionale non tabellata e ad eziologia multifattoriale, la prova della causa di lavoro, indubbiamente gravante sul lavoratore, per costante giurisprudenza di legittimità deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, e quindi, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell’origine professionale, essa può essere ravvisata in presenza di un rilevante grado di probabilità (cfr., tra le molte, Cass. 10.4.2018 n. 8773 ), grado che, per le ragioni illustrate, è emerso dalla c.t.u. disposta nel presente grado.
La percentuale di invalidità nella misura del 23%, già riconosciuta nella c.t.u. disposta dal Tribunale e ribadita dalla consulenza espletata nel presente grado, è stata espressamente accettata dall'appellato (v. pag. 3, punto a, memoria appellato).
In conclusione, l’appello dev’essere respinto.
Le spese del grado seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo in conformità ai parametri vigenti, tenuto conto del valore della causa e dell’attività difensiva svolta, con distrazione in favore dei difensori.
Le spese di c.t.u., viste le conclusioni a cui essa è pervenuta, vanno poste a carico definitivo dell’INAIL.
Al rigetto dell’appello consegue ex lege (art. 1, commi 17-18, l. 228/2012) la dichiarazione che sussistono i presupposti per l’ulteriore pagamento, a carico dell’appellante, di un importo pari a quello del contributo unificato dovuto per l’impugnazione.
 

 

P.Q.M.
 

 

Visto l’art. 437 c.p.c., respinge l’appello;
condanna l’Inail a rimborsare all’appellato le spese del grado, liquidate in euro 10.000,00, oltre rimborso forfettario, Iva e Cpa, con distrazione in favore dei difensori;
pone a carico dell’appellante gli oneri di CTU, liquidati come da separato decreto;
dichiara la sussistenza delle condizioni per l'ulteriore pagamento, a carico dell'appellante, di un importo pari a quello del contributo unificato dovuto per l'impugnazione.
Così deciso all’udienza del 3.12.2019