Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 17 gennaio 2020, n. 1682 - Infortunio mortale in cantiere. Difetto di delimitazione dell'area per impedire la permanenza e il transito di operai sotto i carichi sospesi


 

 

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA Relatore: ESPOSITO ALDO Data Udienza: 24/09/2019

 

Fatto

 

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma del 15 gennaio 2013, con cui F.P., DM.A. (imputato non ricorrente) ed A.L. erano stati condannati alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione in ordine al reato di cui agli artt. 113, 589, commi primo e secondo, cod. pen. («perché, in cooperazione tra loro, F.P. in qualità di legale rappresentante della Ferleo Costruzioni s.r.l., DM.A., in qualità di legale rappresentante della Progetto Lavoro soc. coop. a r.l. e di datore di lavoro, e A.L., in qualità di coordinatore in fase di esecuzione dei lavori presso il cantiere Ferleo, per colpa generica e per violazioni degli artt. 9, comma 2, 77, sub c, D.P.R. n. 164 del 1965, 21, 22, comma 1, 89 sub a, 2 a e 2 b D. Lvo n. 626 del 1994, 2, comma 1, f-ter, 5, comma 1, lett. b, 21, comma 1, D. Lvo n. 494 del 1996, 4, lett. c, 389 sub c, D.P.R. n. 547 del 1955, cagionavano la morte di Z.N., dipendente della Progetto Lavoro per grave trauma cranico - encefalico, essendo stato investito e colpito dalla caduta di blocchetti di tufo da un'altezza di c.a. sei metri contenuti all'interno di vasca di carriola a stanghe ribaltabili marca Maurer, rovesciatasi durante il trasporto dei blocchetti a mezzo argano a cavalletto installato alla sommità dell'ultimo ponteggio» - in Roma il 17 aprile 2007) nonché al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili.
In ordine alla dinamica dell'incidente, la Corte territoriale ha rilevato che, come richiestogli dal capo cantiere, l'operaio G.E. posizionato su un'impalcatura stava sollevando dei blocchetti di tufo a mezzo di una carriola che scorreva grazie ad un tiro installato sul posto; il G.E. riferiva che, ad un certo punto, aveva tirato la carriola su ordine di un altro dipendente posizionato a terra. Quando la carriola era giunta al livello del secondo piano, la chiusura si apriva e i mattoni cadevano al suolo travolgendo lo Z.N., che si era recato sotto il tiro, poiché altri operai situati sopra il ponteggio lo avevano chiamato e gli avevano chiesto di posizionare la calce. In base alle dichiarazioni dell'Ispettore del Lavoro T. Giuseppe, intervenuto sul posto dopo il sinistro, la zona sottostante al tiro non era recintata.
I lavori in corso al momento del fatto erano stati conferiti alla Ferleo Costruzioni, rappresentata dal F.P.; l'esecuzione dei lavori era stata subappaltata alla ditta Progetto Lavoro Cooperativa, rappresentata dal DM.A., e l'A.L. era stato designato quale coordinatore in fase di esecuzione dei lavori.
II G.E., dipendente della Ferleo, riferiva che altri operai rumeni e operai della Progetto Lavoro da lui non conosciuti si trovavano sotto al tiro. M.N., dipendente dalla Ferleo, riferiva che stava inviando i blocchetti di tufo inseriti nella carriola, issata al tiro attraverso una carrucola e un sistema di corde agli operai posizionati all'ultimo piano. Egli aveva inserito quattro blocchetti di tufo e aveva inviato un segnale ai suddetti operai; al momento dell'infortunio, aveva inserito tre blocchetti e aveva lasciato intendere tramite un gesto che stava per spostarsi a prelevare gli ulteriori blocchetti di tufo: al suo ritorno trovava lo Z.N. al suolo travolto dai blocchetti. Lo Z.N. era presente sul posto, in quanto, su richiesta di altri operai, stava mandando la calce ai piani sovrastanti mediante un'altra carriola.
La Corte di merito ha considerato decisive le dichiarazioni di S.G., dipendente della Progetto Lavoro e di P.G., dipendente della Ferleo. Il S.G. dava atto della presenza sul cantiere di operai delle due ditte; due dipendenti della Ferleo erano stati incaricati di portare i blocchetti di tufo con la carriola e di portarli sul terrazzo e non poteva escludere che due o tre volte anche la Progetto Lavoro avesse utilizzato il tiro elettrico, per tirare su la carriola. Il P.G. dichiarava di aver consegnato il materiale necessario in cantiere quasi tutti i giorni sulla scorta delle istruzioni impartite da tale GI., capo cantiere della Progetto Lavoro.
Si versava quindi in un'ipotesi di coordinamento tra lavorazioni poste dalle due società. Stante tale consolidato quadro probatorio, il giudice di primo grado aveva correttamente ritenuto superflua l'escussione del teste di difesa geom. P.T., che era stata richiesta dall'A.L. e dal F.P. al fine di provare i rapporti intercorrenti tra le imprese coinvolte.
Dall'istruttoria dibattimentale emergeva la mancanza di un piano di sicurezza e di coordinamento, che avrebbe dovuto regolamentare tutte le fasi lavorative da svolgere in sinergia tra le maestranze della società. La pericolosità delle operazioni imponeva una pianificazione dei lavori, per evitare pericolo per gli operai dell'altra ditta. Il M.N. riferiva che né lui né gli altri operai avevano ricevuto disposizioni circa le modalità di invio della calce e dei blocchetti di tufo ai piani sovrastanti.
L'A.L., in qualità di coordinatore per la sicurezza, avrebbe dovuto acquisire il P.O.S. della Progetto Lavoro ed adottare misure apposite anteriormente all'inizio dei lavori. Le maestranze delle due società adoperavano promiscuamente il tiro elettrico per il sollevamento dei materiali edili nonostante la mancata delimitazione dell'aerea di carico e l'omessa predisposizione di argini idonei ad evitare la caduta accidentale di materiali al passaggio sotto l'impalcatura. Peraltro, la carriola, appartenente alla Ferleo, era inidonea al sollevamento di laterizi. Il F.P. e il DM.A. avrebbero dovuto impedire la permanenza e il transito di operai sotto i carichi sospesi.
Il caricamento della carriola costituiva un'operazione da eseguire con cautela, perché se attuata in modo non uniforme, cioè con distribuzione omogenea dei pesi per l'intera estensione dell'attrezzo, poteva agevolmente produrne il ribaltamento. I lavoratori, peraltro, non erano stati adeguatamente formati e non indossavano il casco.
2. L'A.L. e il F.P., a mezzo del comune difensore e mediante separati atti, ricorrono per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello. 
2.1 A.L.
Vizio di motivazione in relazione alla ritenuta presenza di due imprese nel cantiere e, quindi, della necessità di eseguire un coordinamento tra le stesse.
Si deduce che la Corte territoriale non ha adeguatamente valutato le testimonianze degli operai P.G. e G.E., secondo i quali la Progetto Lavoro era l'unica impegnata nelle attività edili del cantiere e solo eccezionalmente, per un brevissimo arco temporale, due operai della Ferleo Costruzioni s.r.l. erano stati assegnati ad una singola fase della lavorazione. Nonostante tali chiare indicazioni, la sentenza impugnata ha illogicamente valorizzato la circostanza che un dipendente della Ferleo aveva consegnato il materiale edile necessario ai lavori presso il cantiere, vicenda neutrale rispetto all'ipotizzata presenza di due imprese. Emergeva, quindi, il vizio di motivazione dell'ordinanza di rigetto della richiesta di audizione del geom. P.T., il quale avrebbe potuto riferire sui rapporti tra le società Progetto Lavoro e la Ferleo Costruzioni.
2.2. F.P.
Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza tra il reato contravvenzionale originariamente contestato all'imputato e l'evento mortale, alla luce delle testimonianze rese nel corso del dibattimento nonché omessa motivazione e travisamento della prova circa le deduzioni svolte nell'atto di appello.
Si rileva che l'ipotesi di colpa specifica contestata al F.P. (nel relativo capo di reato contravvenzionale dichiarato prescritto) concerneva la violazione del D.P.R. n. 164 del 1956, per omessa adeguata delimitazione della zona di carico dell'argano a cavalletto utilizzato per effettuare l'operazione di carico dei mattoni, mediante barriere occorrenti ad impedire la permanenza e il transito di operai sotto i carichi sospesi ovviando ai rischi connessi. Al contrario, la Corte territoriale ha considerato la diversa ipotesi di colpa specifica contestata al coimputato A.L., consistente nella violazione di cui all'art. 5 D. Lvo n. 494 del 1996, per non aver provveduto a richiedere e ad acquisire il P.O.S. e per non aver aggiornato il P.S.C. con le misure di coordinamento tra le ditte esecutrici anche con specifico riguardo alle attività di movimentazione verso l'alto di carichi sospesi e alle cautele e alle tecniche da adottare. Come emerso dalle testimonianze rese dal M.N., dal S.G. e dal G.E., lo Z.N. era adibito al caricamento della carriola con la calce e dei materiali destinati ad essere sollevati con l'argano e si alternava col lavoratore M.N., che invece la riempiva con blocchetti di tufo; egli, pertanto, non era destinatario delle cautele contemplate nella norma contravvenzionale, diretta ad evitare che terzi ignari delle operazioni di sollevamento dei materiali transitassero inavvertitamente in tale area. L'eventuale delimitazione dell'area sottostante il tiro (condotta positiva richiesta dalla norma cautelare) non avrebbe evitato il decesso della persona offesa, che, per le mansioni svolte, doveva recarsi nell'area di operatività dell'argano. 
Il G.E. dichiarava che proprio lo Z.N. gli aveva dato il via libera per issare la carriola poi rovesciatasi durante la salita. L'unico presidio atto ad evitare l'evento considerato dalla norma incriminatrice era rimesso alla corretta formazione del lavo-ratore sull'uso del casco protettivo e sul comportamento da tenere dopo aver dato l'ordine di issare la carriola, condotte colpose non contestate al ricorrente.
La Corte di merito erroneamente ha configurato un obbligo di predisposizione di un sistema di protezione contro le cadute materiali dall'alto e ha riconosciuto la responsabilità del F.P. per il mancato coordinamento delle imprese, mentre tale compito spettava esclusivamente al geom. A.L., coordinatore in fase di esecuzione dei lavori (unico al quale era contestata tale ipotesi di colpa specifica).
3. Le parti civili OMISSIS chiedono dichiararsi l'inammissibilità dei ricorsi, in quanto concernenti ap-prezzamenti fattuali non deducibili in sede di legittimità e contenenti doglianze già compiutamente esaminate dalla Corte territoriale. Correttamente la Corte di merito ha rigettato la richiesta di audizione del teste T.P., emergendo il promiscuo impiego di operai delle società Ferleo Costruzioni e Progetto Lavoro all'interno del cantiere. L'A.L. aveva determinato la morte dello Z.N. per violazione dell'art. 5, comma 1, lett. b), D. Lvo n. 494 del 1996. Il F.P., non aveva delimitato l'area di sollevamento dei materiali, al fine di impedire la permanenza o in transito di operai nel momento del carico e del trasporto, non aveva predisposto precauzioni per eliminare o ridurre i rischi connessi alla caduta dall'alto di materiali e non aveva vigilato sulle ditte subappaltatrici affinché rispettassero tali obblighi. La sentenza non si è basata su fatti diversi rispetto a quelli riportati nel capo di imputazione.
 

 

Diritto

 


1. I ricorsi sono infondati e, pertanto, vanno rigettati.
L'unico motivo del ricorso proposto da A.L. è infondato.
In linea di diritto, va richiamata la giurisprudenza di questa Corte di legittimità in tema di dovere di sicurezza con riguardo ai lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto o di prestazione d'opera, ove si specifica che committenti e datori di lavoro delle imprese esecutrici sono entrambi titolari di obblighi partitamente assegnati e contenutisticamente differenziati, di talché le trasgressioni dell'uno non si riflettono in un esonero dell'altro, salva un'eventuale risolutiva incidenza sul piano causale (Sez. 4, n. 4644 del 11/12/2018, dep. 2019, Scardina, non massimata sul punto).
E' stato altresì affermato che, in tema di infortuni sul lavoro, in caso di subappalto, il datore di lavoro dell'impresa affidatari deve verificare le condizioni di sicurezza dei lavori affidati, la congruenza dei piani operativi di sicurezza (POS) delle imprese esecutrici rispetto al proprio, nonché l'applicazione delle disposizioni del piano di sicurezza e coordinamento (PSC), con la conseguenza che in mancanza di quest'ultimo, egli deve attivarsi richiedendolo immediatamente al committente oppure rifiutandosi di conferire il subappalto (Sez. 4, n. 10544 del 25/01/2018, Scibilia, Rv. 272240).
Relativamente alla specifica problematica sottoposta all'attenzione di questa Corte, si è osservato che, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, gli obblighi di osservanza delle norme antinfortunistiche, con specifico riferimento all'esecuzione di lavori in subappalto all'Interno di un unico cantiere edile predisposto dall'appaltatore, grava su tutti coloro che esercitano i lavori e, quindi, anche sul subappaltatore interessato all'esecuzione di un'opera parziale e specialistica, il quale ha l'onere di riscontrare ed accertare la sicurezza dei luoghi di lavoro, sebbene l'organizzazione del cantiere sia direttamente riconducibile all'appaltatore, che non cessa di essere titolare dei poteri direttivi generali (Sez. 3, n. 19505 del 26/03/2013, Bettoni, Rv. 254993, in fattispecie nella quale la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso del titolare di una ditta subappaltatrice che aveva omesso di recintare l'area in cui si trovava una gru a rotazione bassa).
Tanto premesso sulla giurisprudenza in materia, va osservato che i giudici di merito hanno chiarito che, nella fattispecie, mancava il piano di sicurezza e coordinamento (PSC), idoneo a regolare tutte le fasi della lavorazione, da svolgere in stretta sinergia tra le maestranze delle società Ferleo Costruzioni s.r.l. e la Progetto Lavoro soc. coop. a r.l., compresenti sul cantiere durante tutta la lavorazione.
In entrambe le sentenze di merito risultano adeguatamente illustrati gli elementi di prova indicativi della compresenza delle due società sul cantiere e sul loro contestuale e combinato impegno nelle lavorazioni.
In proposito, le affermazioni rese dai testi S.G. e P.G. (dipendenti della Ferleo Costruzioni) non trovavano smentite in ulteriori risultanze processuali né i ricorrenti prospettano elementi concreti per ritenerle inattendibili.
D'altronde, tali elementi trovavano ulteriore conferma nelle dichiarazioni di G.E. (altro dipendente della Ferleo Costruzioni) sulla presenza in cantiere di altri operai da lui non conosciuti e nei riscontri degli organi di P.G. intervenuti poco dopo l'infortunio circa la presenza sul posto di operai della Ferleo Costruzioni.
La scelta di non disporre l'audizione del geom. T.P. sollecitata dalle difese degli imputati doveva ritenersi pienamente legittima alla luce dei convergenti elementi circa la contestuale operatività in cantiere di entrambe le società.
L'A.L., in qualità di coordinatore per l'esecuzione dei lavori, di cui agli artt. 89, comma 1, lett. f) e 92 d.lgs n. 81 del 2008 (CSE), era deputato a verificare l'idoneità del piano operativo di sicurezza di ciascuna impresa, sia in relazione al PSC che in rapporto ai lavori da eseguirsi (Sez. 4, n. 10544 del 25/01/2018, Scibilia, Rv. 272239). Tale responsabilità non viene meno in conseguenza della mancata redazione del piano di sicurezza e coordinamento (PSC).
2. Anche il ricorso proposto da F.P. è infondato.
Con riferimento all'unico motivo di ricorso, va premesso che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, nei procedimenti per reati colposi, il mutamento dell'imputazione, e la relativa condanna, per colpa generica a fronte dell'originaria formulazione per colpa specifica non comporta mutamento del fatto e non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza, qualora l'imputato abbia avuto la concreta possibilità di apprestare in modo completo la sua difesa in relazione ad ogni possibile profilo dell'addebito (Sez. 4, n. 53455 del 15/11/2018, Castellano, Rv. 274500, in fattispecie in cui la Corte ha escluso che fosse configurabile una modificazione del fatto in un caso, relativo al decesso di un uomo a seguito dell'intervento di tre carabinieri che lo avevano bloccato a terra in posizione prona e con le mani dietro la schiena, in cui gli imputati, a fronte della originaria imputazione di colpa specifica, erano stati condannati per colpa generica, per non essersi resi conto che la prolungata immobilizzazione della persona offesa in tale posizione avrebbe potuto contribuire a causare l'evento mortale).
Questa Corte ha altresì affermato che, nei procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell'obbligo di contestazione suppletiva di cui all'art. 515 cod. proc. pen. e dell'eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'art. 521 stesso codice (Sez. 4, n. 18390 del 15/02/2018, Di Landa, Rv. 273265, nella fattispecie, in tema di omicidio colposo stradale, la Corte ha escluso la dedotta violazione di legge nell'ipotesi di condanna per imperizia e mancato rispetto di norme cautelari previste dal codice della strada, diverse da quelle in contestazione).
Ciò posto sui principi giurisprudenziali affermati in materia, va comunque rilevato che al F.P., in qualità di legale rappresentante della Ferleo Costruzioni società affidataria dei lavori, era stata ritualmente contestata un'ipotesi di colpa specifica al capo A) della rubrica - richiamata nel capo G) relativo all'omicidio colposo - contravvenzione sul lavoro poi dichiarata prescritta: «[...] per non aver provveduto a delimitare adeguatamente con barriere a terra la zona di carico dell'argano a cavalletto utilizzato per effettuare l'operazione di carico di mattoni di cui sub G, barriere indispensabili al fine di impedire la permanenza ed il transito di operai sotto i carichi sospesi ovviando ai rischi connessi» per violazione degli artt. 9, comma 2, e 77 D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164. L'art. 9 D.P.R. n. 164 cit. prevede «Il posto di carico e di manovra degli argani a terra deve essere delimitato con barriera per impedire la permanenza ed il transito sotto i carichi» e l'art. 77, sub c), D.P.R. n. 164 cit. stabilisce la pena prevista per l'inosservanza a tale obbligo.
Conformemente all'impostazione accusatoria, la Corte territoriale ha condannato il F.P. in relazione proprio a tale addebito, avendo coerentemente rilevato il difetto di delimitazione dell'area per impedire la permanenza e il transito di operai sotto i carichi sospesi e la mancata predisposizione di un meccanismo di protezione contro cadute accidentali di materiali dall'alto nella zona di operatività dell'argano.
Alla Ferleo Costruzioni amministrata dal F.P. erano stati conferiti i lavori dalle proprietarie del terreno; a sua volta il F.P. aveva subappaltato i lavori alla Progetto Lavoro. Come rilevato dall'Isp. T. , in servizio presso la Sezione P.G. Ambiente della Procura presso il Tribunale di Roma, l'obiettiva pericolosità delle operazioni in corso (sollevamento di laterizi con la carriola) avrebbe imposto una pianificazione dei lavori all'interno del cantiere proprio per evitare che durante l'esecuzione del piano si potessero creare situazioni di rischio per gli operai delle due ditte, come poi realmente verificatosi.
Come osservato dai giudici di merito, l'esigenza dello Z.N. di stazionare nella zona di operatività dell'argano non esimeva l'appaltatore dall'obbligo di predisporre di una barriera protettiva e di un'effettiva protezione contro cadute accidentali di materiale dall'alto.
In conclusione, la colpa del F.P. è stata ravvisata in relazione al solo profilo - adeguatamente contestato - della mancata apposizione di segni di delimitazione dell'area di cantiere; l'affermazione responsabilità non si è basata sul difetto di coordinamento tra imprese, rilievo formulato a carico del solo A.L..
3. Per le ragioni che precedono, i ricorsi vanno rigettati.
Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
I ricorrenti vanno condannati altresì al pagamento delle spese sostenute dalle parti civili in questo giudizio di legittimità. Tenuto conto della relativa complessità del procedimento, le spese vanno liquidate come segue: euro duemilacinquecento oltre accessori come per legge a favore di OMISSIS; euro tremila oltre accessori come per legge a favore di OMISSIS.

 


P.Q.M.
 

 

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili in questo giudizio di legittimità, così liquidate: 2.500,00 euro, oltre accessori come per legge a favore di OMISSIS, rappresentata dall'avv. Antonio Valori; 3.000,00 euro, oltre accessori come per legge a favore di Omissis, rappresentate dall'avv. Aldo Sipala.
Così deciso in Roma il 24 settembre 2019.