Cassazione Penale, Sez. 4, 17 settembre 2019, n. 38401 - Perquisizione e sequestro probatorio nell'ambito del procedimento relativo al crollo del Ponte Morandi


 

 

 

Presidente: FUMU GIACOMO Relatore: ESPOSITO ALDO Data Udienza: 21/05/2019

 

 

Fatto

 


1. Con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale di Genova, in funzione di giudice del riesame, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dalla società Spea Engineering s.p.a. avverso il decreto di perquisizione e conseguente sequestro probatorio per i reati di cui agli artt. 589 e 589 bis cod. pen..
Il Tribunale del riesame ha osservato che, dalla lettura del decreto di perquisizione, era emerso che il P.M. aveva dato l'indicazione di procedersi alla perquisizione della sede della società e della documentazione cartacea ed informatica, anche in bozza, note, appunti di qualunque tipo afferente le verifiche e i calcoli relativi al transito dei trasporti eccezionali sul viadotto Polcevera e sul tronco dall'anno 2000 nonché le verifiche di sicurezza di primo e di secondo livello.
I militari sottoponevano a sequestro ai sensi dell'art. 252 cod. proc. pen. un faldone etichettato "51001 Uscita Verbali Sicurezza Relazioni Trasporti eccezionali".
Tale sequestro era operato dalle forze dell'ordine, che valutavano autonomamente il vincolo di pertinenzialità delle cose poi sequestrate, in quanto il P.M. indicava alle medesime di procedere a norma dell'art. 252 cod. proc. pen..
Il Tribunale del riesame ha rilevato che, in applicazione del principio di tassatività delle impugnazioni previsto dall'art. 568, comma 1, cod. proc. pen., il provvedimento di perquisizione doveva essere ritenuto inoppugnabile e non sottoponile a riesame; ha esteso tale considerazione al provvedimento di sequestro probatorio ad opera della P.G., che ricorre ogni qualvolta il decreto del P.M. non indichi l'oggetto specifico della misura, ma contenga un generico richiamo a quanto rinvenuto.
Per tale ragione, senza instaurare il contraddittorio e fissare l'udienza camerale ex art. 324 cod. proc. pen., il Tribunale del riesame ha dichiarato l'Inammissibilità del ricorso, anche al fine di consentire al ricorrente di agire diversamente per ottenere la restituzione dei beni appresi, tuttora non restituiti.
2. Spea Engineering s.p.a., a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame per violazione dell'art. 250 cod. proc. pen..
Si deduce che, nel corso delle operazioni, il personale della G.d.F. di Genova aveva effettuato le copie forensi del contenuto di diversi supporti informatici di proprietà di A. S. e di V.M., sottoponendo a sequestro tutti i dati informatici contenuti al loro interno, in modo indiscriminato, senza visionarli preventivamente e senza selezionare dei soli file di specifico interesse.
Era irrilevante la circostanza che nel verbale di P.G. gli organi della G.d.F. qualificassero di propria iniziativa il sequestro eseguito ai sensi dell'art. 252 cod. proc. 
pen., in quanto il pubblico ministero, avendo dettagliatamente indicato l'oggetto e non avendo disposto nessuna convalida, evidentemente lo aveva considerato come sequestro disposto ai sensi dell'art. 253 cod. proc. pen.. Inoltre, si trattava di sequestro ex art. 253 cit., in quanto, nella stessa data, gli ufficiali di P.G. redigevano un separato verbale di sequestro ex art. 354 cod. proc. pen..
Il Tribunale del riesame ha richiamato la giurisprudenza di legittimità riguardante l'ipotesi di decreto del P.M., che non indica l'oggetto specifico della misura e contiene indicazioni esclusivamente generiche, indirizzo interpretativo non pertinente all'Ipotesi in questione.
Per le ragioni suindicate i giudici della cautela avevano erroneamente dichiarato inammissibile il riesame.
2.1. Nelle note difensive depositate in data 15 maggio 2019, la società ricorrente evidenzia che, in data 23 febbraio 2019, il pubblico ministero aveva emesso un nuovo decreto di sequestro avente oggetto le medesime cose già sequestrate e che, in data 26 febbraio 2019, con provvedimento immotivato, il pubblico ministero aveva rigettato un'istanza di restituzione dei beni sequestrati.
Tali vicende confermavano che l'attività eseguita il 24 gennaio 2019 era stata intesa dal pubblico ministero come esecuzione di un decreto di perquisizione e sequestro, emesso ai sensi dell'art. 250 cod. proc. pen., il cui ambito di esecuzione era stato ben individuato nel proprio oggetto. Non era stata demandata nessuna valutazione agli organi delegati, motivo per cui l'operato degli organi di P.G. non era stato convalidato nei termini di legge.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso è manifestamente infondato.
In linea generale, va premesso che la questione preliminare posta con il ricorso consiste nello stabilire se il P.M., delegando la polizia giudiziaria all'esecuzione di una perquisizione e del sequestro di cose costituenti corpo del reato o pertinenti al reato ritenute utili ai fini delle indagini, debba successivamente provvedere alla convalida del sequestro.
Nei casi di sequestro di cose non esattamente individuate nel decreto di perquisizione, la convalida si impone come necessaria in quanto, in sua assenza, la qualificazione giuridica delle cose sequestrate come corpo del reato o pertinenti al reato, non sempre agevole a seconda delle circostanze concrete, sarebbe rimessa esclusivamente alla Polizia Giudiziaria, fuori dai casi di urgenza previsti in ordine alle medesime attività di sua iniziativa di cui all'art. 354 cod. proc. pen., per le quali la convalida si impone ai sensi dell'art. 355, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 5494 del 28/01/2016, Bisogno, Rv. 266306; Sez. 5, n. 35138 del 09/06/2010, Galli, Rv. 248337; Sez. 5, n. 43282 del 17/10/2008, Vastola, Rv. 241727).
In sostanza, la P.G. non può essere lasciata arbitra di valutare la rilevanza delle cose da sottoporre a sequestro ai fini delle indagini e, soprattutto, di attribuire alle medesime una qualificazione giuridica quali cose costituenti corpo del reato o ad esso pertinenti; ciò non le impedisce il sequestro, ma la correttezza di tale qualificazione va sottoposta all'avallo dell'autorità giudiziaria procedente attraverso la convalida, quando il decreto di perquisizione non indica specificamente le cose da sequestrare.
In ordine ai rimedi esperibili, in base alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, non è soggetto ad impugnazione il decreto di perquisizione del pubblico ministero che rimetta alla discrezionalità degli organi di polizia l'individuazione di cose da sottoporre a sequestro, dovendo, in tale ultimo caso, intervenire il decreto di eventuale convalida del sequestro che è il solo provvedimento soggetto a riesame (Sez. 2, n. 51867 del 20/11/2013, Gaeta, Rv. 258074; Sez. 6, n. 23101 del 21/4/2004, Fornari, Rv. 229958).
Peraltro, operato il sequestro di cose la cui indicazione non sia predeterminabile in base alla motivazione del decreto di perquisizione, senza che intervenga da parte dell'autorità giudiziaria né convalida del sequestro né restituzione delle cose sequestrate, la procedura da osservarsi è quella per cui l'interessato dovrà chiedere la restituzione dei beni ed in caso di rigetto della richiesta potrà attivare il ricorso di cui aN'art. 263, commi 4 e 5 cod. proc. pen., essendo invece inammissibile il procedimento di riesame (Sez. 2, n. 48070 del 26/09/2018, Melchionna, Rv. 274240; Sez. 5, n. 5353 del 27/11/2014, dep. 2015, Zanfretta, Rv. 263027; Sez. 3, n. 3130 del 2/10/1997, Tazzini, Rv. 208868).
2. Ciò posto sui principi operanti in materia, nella fattispecie, il decreto di perquisizione e sequestro emesso dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di Genova era del seguente tenore: «[...] poiché vi è fondato motivo di ritenere che presso la sede della Spea [...] possa trovarsi documentazione cartacea ed informatica, anche in bozza, note, appunti di qualunque tipo afferente le verifiche e i calcoli relativi al transito dei trasporti eccezionali sul viadotto Polcevera e sul tronco dall'anno 2000 nonché le verifiche di sicurezza di primo e di secondo livello [...] ordina la perquisi-zione locale degli Uffici della società Spea [...]; il sequestro [...] della documentazione rinvenuta e/o esibita, comprensiva di note appunti di qualunque tipo, anche se contenuta su supporti informatici [...] ritenuta pertinente ai reati per cui si procede [...]».
In base all'assunto difensivo, il P.M. aveva delegato la Polizia Giudiziaria all'esecuzione di una perquisizione e del sequestro di cose costituenti corpo del reato o pertinenti al reato ritenute utili ai fini delle indagini, ma in termini sufficientemente dettagliati; il sequestro, quindi, doveva essere qualificato come sequestro probatorio disposto dal P.M. ai sensi dell'art. 253 cod. proc. pen., impugnabile dinanzi al Tribunale del riesame anziché quale sequestro probatorio operato autonomamente dalla Polizia Giudiziaria, non autonomamente impugnabile e soggetto a convalida da parte del P.M..
Il Tribunale del riesame, con motivazione logica ed immune da censure, conforme ai principi giurisprudenziali riportati al paragrafo precedente, ha dichiarato inammissibile il ricorso sul presupposto che il provvedimento di perquisizione è inoppugnabile e che il sequestro probatorio doveva intendersi di P.G., in quanto il decreto del Pubblico Ministero conteneva un generico ordine di sottoposizione a vincolo reale di quanto rinvenuto presso la sede della società Spea e non indicava specificamente le cose da sequestrare. Ha ritenuto, quindi, non autonomamente impugnabile il decreto di sequestro operato dalla P.G..
Lo stesso ricorrente, d'altronde, si duole delle modalità di esecuzione del sequestro, che avrebbe riguardato "tutti i dati informatici in modo indiscriminato, senza selezione dei file di specifico interesse", aspetto che conferma l'assenza di qualsiasi dettaglio idoneo a ritenere sufficientemente illustrato l'oggetto. Contrariamente a quanto dedotto dalla difesa, le decisioni del P.M. di non effettuare il procedimento di convalida e di riemettere il provvedimento di sequestro (vedi memoria difensiva) possono comportare una diversa qualificazione del decreto, la quale può essere effettuata solo sulla base del suo contenuto oggettivo.
3. Per le ragioni che precedono, il ricorso va dichiarato inammissibile con conseguente condanna la società Spea al pagamento delle spese processuali. Sussistono giusti motivi per esonerare la suddetta società dal pagamento di una somma di danaro in favore della Cassa delle ammende.
 

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.